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A cura di: Vito Sibilio
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NON LOQUERIS FALSUM TESTIMONIUM
Appunti di teologia morale dell'VIII Comandamento

“Ou pseudomartyr'seis
katà tou plēsíon sou
martypían pseudē”

“Non loqueris
contra proximum tuum
falsum testimonium”

(Il Signore sul Sinai a Mosè)

“Il tuo parlare sia sì, si e no, no.
Il di più viene dal maligno”

(Nostro Signore Gesù Cristo)

L'VIII Comandamento proibisce la falsificazione della verità nei rapporti con gli altri. Senza la confidenza reciproca, ossia se gli uomini non si dicessero la verità, la convivenza umana sarebbe impossibile. Invece la verità dà a ciascuno ciò che gli è dovuto e che si aspetta di ricevere. Infatti, per giustizia, ognuno è tenuto a dire all'altro la verità; la veracità invece manterrà l'equilibrio tra quanto si può rivelare e quanto no, mediante onestà e discrezione. Ciò avviene perché Dio è la Verità, e quindi vuole la Verità anche tra le sue creature, che sono esse stesse vere, perché realmente simili a come Lui le ha volute, e capaci di verità, ossia di conoscersi per quelle che sono. Ogni violazione della verità con azioni e parole sono atti contrari all'ordine morale.

CIO' CHE PRESCRIVE L'VIII COMANDAMENTO

La prima fondamentale prescrizione del Comandamento è quella di vivere nella Verità, Che altri non è se non Dio medesimo. Egli è la Sorgente di ogni verità. La Sua Parola, ossia il Suo Verbo, è la Verità suprema, il Concetto che Egli ha di Sé e mediante cui ha fatto il mondo, esemplificandolo su quanto contenuto nel Verbo stesso. La Legge, sia naturale che morale, data da Dio, è Verità, perché espressione, immanente o trascendente, della razionalità con cui Egli ha fatto il mondo. Egli è dunque il Verace (Rm 3,4) e i membri del Suo Popolo, anzi le membra del Corpo Totale del Suo Cristo sono esse stesse chiamate a vivere nella, della e per la Verità.

Dio è inoltre fedele alle Sue promesse. Egli ha mandato nel mondo, oppresso dalle tenebre della menzogna che genera il peccato spacciando per vero il falso e per giusto l'ingiusto, la Sua stessa Parola, il Figlio, Gesù Cristo. Egli è pieno di grazia e di verità (Gv 1,14) ed è la Luce del mondo (8,12). Colui che è suo discepolo rimane dunque fedele alla Sua parola, perché la Verità libera e santifica. Per permetterci ciò, il Verbo ci dà lo Spirito Santo, lo Spirito di Verità, mandato dal Padre stesso in Nome del Figlio. Egli guida alla Verità tutta intera (Gv 16,3), ossia alla pienezza della conoscenza rivelata di Dio, che a sua volta rischiara le conoscenze umane. Perciò Cristo prescrive: sia il vostro parlare sì sì o no no; il di più viene dal maligno (Mt 5, 37).

La prima verità naturale a cui tutti sono tenuti ad aderire, dopo averla cercata, è quella su Dio. Essa è verità evidente negli splendori della Creazione. E' lampante nella storicità del Verbo e della Rivelazione. Ad essa tutti sono tenuti ad aderire e ad ordinarvi tutta la loro esistenza. In questa Verità, prima ancora che l'uomo stesso ne sia consapevole, egli vede i primi principi logici ed ideali che, nel fondo dell'anima, gli rendono possibile ogni conoscenza. Il Verbo è infatti per noi tutti e ciascuno la Luce illuminante del fondo della Coscienza. Egli è il principio gnoseologico e il fondamento epistemologico di tutta la conoscenza umana, anche in chi non Lo conosce. La perversione e la falsificazione della Verità naturale dell'uomo, che sbocca nella consapevolezza che Dio esiste, implica anche la distruzione totale o parziale della stessa possibilità conoscitiva dell'uomo.

In conseguenza di questa verità conosciuta, l'uomo è tenuto ad agire e parlare con veracità. L'abbiamo menzionata prima. Essa è la virtù stessa della verità, detta anche franchezza o sincerità; per essa siamo veri nei nostri atti e sinceri nel parlare, fuggendo la doppiezza, la simulazione e l'ipocrisia, contro la quale Gesù ha sempre fulminato violenti anatemi, censurandola più di ogni cattiva azione.

La prima sincerità che ci è richiesta è quella della testimonianza di fede. Quando è necessario, in modi sempre più solenni, innanzi ai singoli o alla collettività, sfidando l'opinione del conformismo e la giustizia perversa degli uomini, il cristiano deve confessare la propria fede senza equivoci. Ciò ci rende, con la parola e le opere, testimoni del Vangelo. Tale testimonianza è sempre possibile, per la grazia del Battesimo e della Confermazione. La più alta testimonianza della Fede è il martirio: il cristiano, esattamente come Gesù, non rinnega né nasconde la Verità e dà la vita per professarla, sapendo di riaverla nell'ultimo giorno con l'anima e col corpo, e di andare subito con la prima in Paradiso, ma anche che chi rinnega Cristo innanzi agli uomini sarà da Lui rinnegato innanzi al Padre. I Martiri sono i più alti tra i Santi: essi, morendo per la Fede o la Carità, sono innalzati al rango più elevato, secondi solo agli Apostoli. Coloro che, pur disposti al martirio, scampano ad esso per le circostanze, subendo solo parziali tormenti, sono i Confessori. Le memorie di questi Santi sono l'archivio della Verità, per questo la Chiesa custodisce con zelo gli Acta Martyrum.

Se l'apostasia in persecuzione è la maggior colpa, vi sono poi altre colpe contro la Verità. La falsa testimonianza è una affermazione contraria alla verità fatta in tribunale. Se fatta sotto giuramento, ossia chiamando Dio a testimonio, è uno spergiuro. Se tali azioni fanno condannare un innocente, assolvere un colpevole o accrescere ingiustamente delle pene, sono ancora più gravi. Il giudizio temerario è l'ammissione, anche solo tacita, di colpe e mancanze altrui senza sufficiente fondamento. Per evitarlo, si cercherà per quanto possibile di interpretare in modo benevolo gli atti del prossimo. La maldicenza o detrazione o mormorazione è la rivelazione di difetti o mancanze altrui a terzi che le ignorano, senza giustificato motivo. La delazione è la rivelazione di notizie riservate a chi non è tenuto a saperle. La calunnia è un'affermazione falsa che nuoce alla reputazione degli altri dando adito a giudizi negativi sul loro conto. Maldicenza e calunnia sono peccati contro la giustizia e poi contro la carità. Tutte queste azioni ledono il diritto naturale al rispetto della reputazione che ognuno ha. Tale reputazione è legata all'onore, che è la testimonianza sociale della dignità umana. La lusinga, l'adulazione, la compiacenza sono parole o azioni che incoraggiano e confermano gli altri nella malizia dei loro atti; l'adulazione diventa colpa grave se si fa complice di azioni gravi; riuscire graditi, evitare un male, far fronte ad una necessità o conseguire vantaggi leciti sono invece motivi che rendono veniale l'adulazione. Mai è lecita la conseguente doppiezza di linguaggio, neanche per essere utili o per amicizia. La iattanza o millanteria, che si vanta di ciò che non è vero, è una colpa. L'ironia verso i difetti altrui per sminuirne la persona, lo è anch'essa; a maggior titolo il sarcasmo fatto allo stesso scopo. La menzogna consiste nel dire il falso con l'intento di ingannare; la sua matrice è satanica, perché dalla menzogna venne fuori la Caduta, e perché satana, nella sua ribellione, rifiutando la Verità, è diventato menzognero e padre della menzogna, senza avere più in sé alcuna verità sua propria, fino a negare la propria dipendenza da Dio. Essa è la colpa più grave contro la Verità. La gravità della menzogna dipende dalla misura della deformazione della verità stessa, dall'intenzione del mentitore, dal danno che causa, dal diritto che lede. Se danneggia gravemente la carità e la giustizia, è colpa mortale. Essa è una vera violenza morale fatta agli altri, inconsapevoli vittime. Esige, anche quando è stata perdonata, il dovere della riparazione. Esso obbliga in coscienza, in modo proporzionato al danno, riguarda anche le colpe contro la reputazione altrui, deve avvenire se necessario in pubblico o, se ciò non è possibile, in privato, impone quanto meno la riparazione morale nella carità, se il danno non può essere risarcito direttamente. Le azioni ispirate alla menzogna, come le adulterazioni, le sofisticazioni, le falsificazioni e le conseguenti distribuzioni dei manufatti fraudolenti, nonché le frodi, le truffe e gli imbrogli, i complotti, le congiure, i tradimenti sono colpe quasi sempre gravi. Le matrici della menzogna, ossia l'invidia, la gelosia, la malizia, la malevolenza, la malignità, sono inclinazioni del cuore umano che non vanno assecondate.

Tuttavia il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato. In nome della carità ognuno deve vagliare di volta in volta cosa si può dire e cosa no. Dinanzi ad interlocutori troppo invadenti si può usare un linguaggio velato, la cosiddetta restrizione mentale, che consiste nel pronunziare frasi con una riserva nel cuore, in casi di particolare necessità. Bene e sicurezza altrui, rispetto della vita privata, bene comune sono motivi sufficienti per tacere qualcosa che non è bene sia noto o che è bene che rimanga nascosto, nonché per usare la restrizione mentale. Il dovere di evitare lo scandalo esige spesso una discrezione rigorosa, purchè esso non diventi alibi per coprire delle colpe o per permetterne la perpetuazione, se è suo dovere o è in suo potere impedirle. Nessuno ha il dovere di palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla. Il segreto è il vincolo che lega la persona al silenzio su quello che conosce; può essere legato alla condizione posta da chi ha rivelato la notizia; può essere dettato da opportunità; può essere legato all'esercizio della propria professione (segreto professionale). Il maggior segreto è quello della Confessione: il Sacerdote non può mai rivelare quanto saputo nel Sacramento, né in tutto né in parte, né con le parole né con le opere, per nessuna ragione, anche a prezzo della vita, sotto pena di scomunica. Tale sigillo sacramentale è stato posto dal IV Concilio Lateranense, suggellando per sempre col silenzio la Confessione auricolare al Sacerdote da parte del penitente. In genere, tutti siamo tenuti al riserbo. Gli operatori dell'informazione devono equilibrare l'esigenza del bene comune e il rispetto dei diritti particolari; l'intimità e la libertà della persona che svolge un ruolo pubblico sono violate dall'informazione quando essa si ingerisce nella loro vita privata senza ragione.

ETICA DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

Nella moderna società della comunicazione di massa, l'VIII Comandamento, oggetto di apposita riflessione del Magistero morale ecclesiastico, culminata nel decreto Inter Mirifica del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), ha indicato le modalità specifiche di un'etica dell'informazione. I mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo importante nell'informazione, nella promozione culturale, nella formazione, progredendo progressivamente in base ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all'influenza esercitata sull'opinione pubblica. Perciò l'informazione attraverso i mass media è al servizio del bene comune. In ragione di ciò, si configura un diritto naturale e divino della Chiesa di utilizzare i mass media, anzi di averne di propri. In genere, la società ha il diritto ad un'informazione vera, libera, giusta e solidale. Il contenuto dev'essere vero e integro, salve la giustizia e la carità; il modo onesto e conveniente, ossia rispettoso della legge morale, dei diritti umani, sia ricercando che divulgando le notizie stesse. Gli operatori del settore devono quindi formare e diffondere opinioni pubbliche rette, pena la mancanza verso la giustizia e la carità. La comunicazione vera e giusta, la libera circolazione delle idee, favorendo la conoscenza e il rispetto mutuo, sono l'aspetto solidale dell'informazione. Giornalisti ed editori non falseranno i fatti, non esagereranno nelle critiche, non diffameranno. I fruitori dei mass media non saranno passivi, ma ne useranno con moderazione, disciplina e rettitudine. L'autorità civile deve difendere e proteggere la vera e giusta libertà di informazione, perché l'abuso mediatico non danneggi la moralità pubblica e inibisca il progresso sociale, punendo la violazione dei diritti di ciascuno e dei loro legittimi segreti. Inoltre deve informare a tempo debito i cittadini di quanto concerne la vita collettiva, specie per frenarne le ansie, senza alterare i fatti o manipolare l'opinione pubblica. L'uso politico dei media, fatto sistematicamente dai regimi totalitari, per scopi propagandistici, la coercizione della libertà di pensiero in nome dei delitti di opinione, la denigrazione degli oppositori e l'uso politico della giustizia per perseguirli, sino ad indurli ad accusarsi di cose mai fatte, sono gravi colpe che la Chiesa condanna.

FONDAZIONE ETICA DELL'ESTETICA SACRA E PROFANA

Legato al tema etico dell'VIII Comandamento è quello del rapporto tra verità e bellezza in genere (estetica e poetica) e tra queste e arte sacra in particolare. La pratica del bene genera un senso di benessere che attesta la bellezza del bene stesso, una bellezza morale e spirituale, l'una nell'ordine dell'armonia delle azioni, l'altra in quello della loro contemplazione intellettuale. Questa bellezza è oggetto di amore, tanto più perfetto e indistruttibile quanto è elevata la bellezza stessa del bene in questione, sino al Bene supremo, che è la Bellezza in sé, in quanto Verità suprema che emana un fascino primigenio. Ciò è Dio stesso. Egli si comunica essenzialmente attraverso la Parola, ma adopera anchele immagini, sia nel mondo creato come Sua epifania che nelle immagini intellettuali e sensibili che mediano la presenza delle realtà spirituali all'occhio umano. La Bellezza, comunicata agli enti in grado proporzionato al loro livello ontologico, è dunque fruibile dall'uomo; anzi la Bellezza è l'Essere stesso in quanto contemplato, in ogni suo grado. L'uomo ha l'intima necessità di contemplare la Bellezza, e da ciò scaturisce la sua stessa vocazione alla sua espressione. Ogni estetica è vera, e quindi moralmente valida, se riproduce o imita un bello reale, non solo o tanto nelle forme, quanto nei contenuti e nei valori. La Chiesa non rigetta quindi nessuna arte, né espressiva né letteraria, purchè essa non voglia alterare l'ordine naturale armonico delle cose che ne è la bellezza stessa, perché ne è la verità. Per cui sia la riproduzione di un modello, che la creazione di un oggetto, come anche la descrizione di uno stato oggettivo o soggettivo, se non hanno l'intento di alterare nell'uomo l'esatta percezione della verità, sono sempre moralmente leciti, nella misura in cui l'artista ne è consapevole. Ciò vale anche per l'arte letteraria e la sua poetica. L'arte infatti è orientata all'uomo, questi lo è a Cristo, e Quegli a Dio stesso.

In ragione di ciò, l'arte sacra è la forma più elevata di arte, in tutte le sue forme sensibili (letteratura, pittura, scultura, architettura, musica e altre arti minori). Perfettamente conforme alla Natura Visibile del Verbo, capace di riprodurre in Essa la Sua Persona – che è sempre oggetto di ogni rappresentazione – legata alla mimesi dei Corpi visibili in cui la Grazia ha operato, quelli dei Santi, e in cui ancora opera – ossia quelli presenti in Cielo del Cristo e della Madre – nonché a quella delle forme in cui si mostrano le anime dei Defunti, dei Santi e gli Spiriti celesti, atta ad esprimere nei simboli fissati dalla Scrittura e dalla Tradizione i sensi riposti della Liturgia, i contenuti del Dogma, gli insegnamenti della Morale, volta ad ammaestrare i fedeli narrando la Storia Sacra e le storie dei Santi stessi, incline a riprodurre le armonie della Ragione celeste e della Gloria dei Beati, l'arte sacra dev'essere coltivata con zelo dalla Chiesa. Le sue forme sono legate alla Tradizione delle verità rivelate. La recente crisi di quest'arte, scaturita dal suo legarsi alle forme, anch'esse in profonda incertezza identitaria, dell'arte profana, può essere superata solo mediante la riproposizione dei simboli e degli schemi tradizionali, o mediante l'elaborazione di nuovi. In ragione di ciò operano le Commissioni per l'arte sacra e quelle per la Conservazione del Patrimonio artistico e storico, in tutte le diocesi del mondo e in coordinamento con quelle pontificie. Questo perché l'uso dell'arte sacra, sulla base dei modelli biblici, non è una semplice possibilità offerta all'uomo, ma uno specifico dovere della Chiesa. In esso l'uso degli elementi sensibili permette ad essi di contribuire alla liturgia cosmica; perciò è opportuno adoperare, ad onore di Colui Che è Padrone di tutto, i metalli più preziosi, le stoffe più rare, le tecniche più sublimi, per glorificarLo come fonte e principio di ogni bellezza e ricchezza. La frequente obiezione di chi vorrebbe destinare i tesori dell'arte sacra ai poveri è una forma di ipocrisia, perché i poveri sono sempre con noi, ma non sempre possiamo onorare Gesù, il Padre e lo Spirito Santo, direttamente o nei Santi, edificando Loro luoghi di culto o erigendo in Loro onore oggetti sacri.

ETICA DELLA PEDAGOGIA

Strettamente legata all'etica dell'VIII è la questione della retta educazione dell'uomo, che deve avvenire nella Verità. Anche qui la Rivelazione è stata ampiamente esplicitata dal Magistero ecclesiastico, sino al decreto del Concilio Vaticano II sull'educazione cristiana, la Gravissimum Educationis. L'educazione è fondamentale nella formazione dell'uomo, specie quella cristiana. La Chiesa ha il diritto naturale e divino di educare i propri membri, sia attraverso scuole sue proprie di ogni ordine e grado, sia mediante quelle non propriamente sue, dalle quali non può essere esclusa senza colpa; tale diritto si esplica non solo nella formazione religiosa dei propri fedeli, sia nelle maniere specifiche rivolte al Clero che in quelle più generiche per tutti i battezzati, ma anche mediante quella profana impartita a chiunque la voglia, la possa o la debba ricevere da lei. La Chiesa infatti ha il dovere di occuparsi dell'intera vita dell'uomo e quindi ha un compito specifico nel progresso e nello sviluppo dell'educazione. In genere, tutti gli uomini hanno diritto all'educazione, quale formazione della persona umana. I cristiani, in quanto battezzati, hanno diritto all'educazione religiosa. La famiglia ha il primo compito educativo naturale; la società deve integrarla all'occorrenza; la Chiesa ha poi il compito esclusivo di condurre gli uomini alla Salvezza. Non vi è dunque una fondazione naturale della scuola statale o laica, sebbene la prima forma possa essere storicamente accettabile ed opportuna. La Chiesa ha i suoi mezzi educativi propri: istruzione catechistica, società educative, associazioni giovanili e scuole. La scuola in genere è fondamentale, basilare è poi la formazione morale e culturale dell'insegnante. La scelta della scuola da parte delle famiglie, specie in ordine all'indirizzo culturale e spirituale, dev'essere libera. Lo Stato deve garantirla e deve concorrere con la società tutta alla ricerca di metodi educativi più idonei. La Chiesa poi ha il diritto di essere presente in tutte le scuole non cattoliche per la formazione dei suoi membri – mediante l'insegnamento religioso, la nomina dei docenti ad acta, la presenza di educatori cristiani, la cura spirituale degli studenti e dei docenti - mentre i genitori devono vigilare che ai loro figli non sia impartita una educazione difforme dai principi cristiani. La scuola cattolica in quanto tale deve formare cristianamente ed umanamente; deve avere forme adatte a tutte le situazioni economiche e sociali; deve avere i riconoscimenti legali del suo fine sociale e i necessari aiuti; una cura particolare è da riservarsi, da parte della Chiesa e dello Stato, alle Università cattoliche, sia per soli insegnamenti religiosi che per quelli anche profani; fondamentale è la presenza diffusa delle Facoltà teologiche o di istituti analoghi, uniti o separati agli Atenei secolari, nonché di cattedre e insegnamenti simili, in tutte le Università, anche non cattoliche, quando possibile. Tali Facoltà infatti devono formare al Sacerdozio e approfondire la Rivelazione. Una menzione e una cura particolari meritano poi le scuole specifiche di formazione sacerdotale prima delle Università e delle Facoltà Teologiche, ossia i Seminari, diocesani e regionali ( i Maggiori), voluti dal Concilio di Trento (1545-1563) per l'educazione del Clero, e i Noviziati, per gli aspiranti Religiosi. Per questa formazione, specificamente sacerdotale e religiosa, bisogna attenersi a quanto stabilito dal Concilio Vaticano II nel decreto sulla formazione sacerdotale Optatam Totius e ribadito dal Beato Giovanni Paolo II (1978-2005) nell'esortazione apostolica post-sinodale Pastores Dabo Vobis (1991), nonché alle parti concernenti tali argomenti nel decreto conciliare Perfectae Caritatis e nell'esortazione apostolica post-sinodale dello stesso Papa, Vita Consecrata (1996). In genere è bene promuovere il coordinamento di tutti questi Istituti tra di loro e con le scuole e le Università profane.


Theorèin - Maggio 2012