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NON DESIDERABIS UXOREM PROXIMI TUI
“Non concupisces domum proximi tui:
(Il Signore sul Sinai a Mosè) “Chi guarda una donna per desiderarla
(Nostro Signore Gesù Cristo) La concupiscenza è il moto dell'appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione. E' l'opposizione della carne allo spirito, intese come vita peccaminosa e vita virtuosa; è la conseguenza del Peccato originale e dei peccati attuali, che si tramanda nella generazione carnale; è una inclinazione al male senza essere, quando non è oggetto di consenso, essa stessa un male. L'uomo, essere composto di anima e corpo, ha di per sé una tensione che nello stato base può essere composta facilmente e che nella giustizia originaria era scomparsa sotto il dono preternaturale dell'assenza delle passioni; il Peccato originale l'ha resa parossistica e ha assoggettato l'uomo alla veemenza della carnalità, distruggendo la libertà umana. Solo la Grazia divina, ottenuta tramite Gesù Cristo, restaura la libertà, permette di combattere e vincere le passioni e, con la dovuta ed umile richiesta, concede che esse siano anche diminuite, portando l'uomo non solo nella condizione di poter non peccare, ma anche in quella di non poter peccare, cominciando proprio dalle colpe carnali. Vi sono, come attesta l'Apostolo Giovanni, tre tipi di concupiscenza o desiderio smodato: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita. (1Gv 2,16) La prima è il desiderio smodato e disordinato del sesso; la seconda quella dei beni; la terza è quella della vana grandezza umana. Il Nono Comandamento proibisce la prima. CIO' CHE PRESCRIVE IL NONO COMANDAMENTO Esso prescrive la purificazione del cuore, ossia della sede della personalità morale e umana, da cui vengono i cattivi propositi. Prescrive peraltro la pratica della temperanza, la virtù cardinale che pone argine e limite ai desideri. Si compendia e si supera nella beatitudine dei Puri di Cuore, che perciò vedranno Dio. Essi infatti sottopongono intelligenza e volontà alla grande impresa della santificazione, attraverso la carità, la castità e l'ortodossia della fede. Il battezzato, credendo rettamente, obbedisce; obbedendo, vive onestamente; vivendo onestamente, si purifica; purificandosi, comprende la sua fede. Questo circolo ermeneutico-pragmatico della santificazione fu tracciato magistralmente da sant'Agostino. I Puri di Cuore vedranno Dio; su questa terra vedono le cose alla Sua Luce, compresi i corpi, rispettati come tempio dello Spirito e contemplati nella loro bellezza come epifania del Creatore. Senza purezza di cuore non vi può essere visione del Creatore. In virtù del Battesimo riceviamo la Grazia di poter lottare contro la concupiscenza; essa è confermata nella Cresima; accresciuta nell'Eucarestia; restaurata e corroborata nella Confessione; data in modo particolare nell'Olio Santo. Agli sposi e agli ordinati è data in modo particolare per il loro stato. Essa è necessaria perché la Redenzione non ha estinto il fuoco della concupiscenza. La lotta contro la carne avviene mediante la virtù della castità, che è essa stessa un dono da chiedere; mediante la purezza d'intenzione per cui cerchiamo di vedere e fare tutto secondo la volontà divina; mediante la purezza dello sguardo esteriore ed interiore, ossia attraverso la disciplina dei sentimenti e dell'immaginazione, il rifiuto della compiacenza nei pensieri impuri, il rigetto di immagini e situazioni che inducano turbamento erotico; mediante la preghiera, perché la continenza è una grazia essa stessa, che va chiesta costantemente, umilmente, decisamente. La purezza esige il pudore, parte della temperanza, perché custodisca l'intimità umana e conduca alla castità, regolando sguardi e gesti in relazione alla dignità umana e delle loro relazioni. Esso regola anche le modalità dell'unione sponsale, perché in essa l'uomo non si abbrutisca pensando che tutto gli sia lecito e conveniente, usando sé e la sua compagna come oggetti di piacere. Per pudore si conserva il riserbo, il silenzio, la discrezione, la modestia laddove siano necessari. Per pudore l'abbigliamento non è concepito per provocare o mettersi in mostra. Esso impone la legge naturale per cui né l'anima né tanto meno il corpo umano debbano essere messi in mostra attraverso mezzi di comunicazione o anche in ambiti più ristretti; si oppone alle sollecitazioni che la società pone in tale senso permettendo di resistere alle mode e alle ideologie dominanti; pone le basi per il loro superamento. Se storicamente le modalità concrete della pudicizia cambiano attraverso le concezioni dell'uomo, della donna e della società, essa di per sé è immutabile e la sua sovversione è contro natura; il pudore infatti insorge nell'uomo con l'uso di ragione e va pedagogicamente confermato nell'adolescenza, quando è minato dalle tentazioni della crescita. In ragione di ciò, è necessaria una purificazione dell'ambiente sociale, specie dei mezzi di comunicazione o di svago; ognuno deve purificare il suo ambiente rifuggendo da questi mezzi e dai luoghi ove essi sono adoperati. La permissività dei costumi è contraria alla legge naturale e a quella di Dio; essa si basa su una concezione errata della libertà, che è tale non se può fare quello che le pare, ma se fa ciò che è giusto; che libera non quando abbatte le norme o non segue la ragione, ma quando doma le passioni che si oppongono alle norme e alla ragione stessa. L'educazione umana e cristiana esige che questi costumi siano castigati; la società deve espellere da sé ciò che travia e scandalizza; l'autorità deve mantenere il livello di moralità pubblica, anche con mezzi coercitivi laddove necessari, e vietando la diffusione del vizio mediante i mezzi di comunicazione di massa o la sua pratica in luoghi pubblici, semipubblici o, nel caso, anche privati, se essi siano particolarmente scandalosi. In genere, il desiderio cattivo, su cui ci sofferma volontariamente, costituito dalla bramosia di azioni gravemente impure, e di cui si sia pienamente consapevoli, costituisce colpa grave; in particolare è grave il desiderio che, indipendentemente dall'atto immaginato, sia adulterino o contro natura. Il desiderio cattivo, radice e causa dell'azione impura di qualunque genere, va combattuto perché la sfera morale è intrinsecamente intima, perciò non può prescindere dal controllo delle intenzioni e dei pensieri che da essi scaturiscono. Perciò l'osservanza del IX Comandamento rende possibile quella del VI. NON DESIDERABIS OMNIA QUAE PROXIMI TUI SUNT
“Non concupisces domum proximi tui:
“ouk epithym'seis tēn oikían tou plēsion sou,
(Il Signore Dio sul Monte Sinai) “Laddove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Nostro Signore Gesù Cristo) Il Decimo Comandamento proibisce la concupiscenza dei beni altrui, la cosiddetta concupiscenza degli occhi. Essa infatti è radice del furto, della rapina e della frode. Porta alla violenza e all'ingiustizia. Come la fornicazione, la bramosia è una forma di idolatria. Dovendo la legge morale regolare anche l'intenzione e i pensieri, il X Comandamento prescrive quella purezza di intenzione che è indispensabile per osservare non solo il VII, ma anche tutti gli altri Comandamenti. CIO' CHE PRESCRIVE IL DECIMO COMANDAMENTO Esso proibisce l'avidità, ossia il desiderio senza misura di appropriarsi dei beni terreni; vieta la cupidigia, ossia la brama smodata di ricchezze e di potere; proibisce di desiderare di compiere ingiustizie per danneggiare le persone invidiate; proscrive il desiderio di condizioni disagiate per terzi onde prosperare. Se invece il desiderio è onesto, ossia è dei beni dell'altro ma non implica né l'uso di mezzi malvagi, né la loro sottrazione o distruzione, ma solo la legittima emulazione, non è peccato. Invece bisogna fuggire dall'invidia, che fa compiere misfatti gravi e per la quale, così come il diavolo la concepì verso noi uomini, la morte entrò nel mondo. Essa infatti è triste per i beni altrui; desidera smodatamente di appropriarsene; diviene colpa mortale quando vuole un grave male per il prossimo. La benevolenza è l'antidoto dell'invidia; siccome essa scaturisce dalla superbia, va combattuta anche con l'umiltà. La Grazia libera l'uomo dalla cupidigia e dall'invidia, perché gli dà la forza di aderire alla Legge che le vieta e perché lo volge al desiderio del Solo e Sommo Bene, che soddisfa ogni desiderio e che è per tutti sovrabbondante. Ovviamente anche la concupiscenza degli occhi alberga nella carne ed è in lotta con lo spirito; ma la fede nel Redentore crocifigge la carne coi suoi desideri e crea l'uomo nuovo. Gesù prescrive di amarlo sopra ogni cosa, perciò per Lui dobbiamo rinunciare a tutti i nostri beni, almeno nell'intenzione, diventando estranei ad essi nella misura in cui è necessario per la nostra santificazione, fino a renderli solo oggetto del nostro uso per la vita, di cui ci serviamo come se non li avessimo. La povertà evangelica trova qui in radice la sua prescrizione più generale, senza diventare una norma di vita se non per gli eletti alla vocazione monastica. I Poveri di Spirito, che vivono nell'umiltà volontaria, nel rinnegamento di sé e nella confidenza esclusiva in Dio, quale unico vero Bene, sono beati perché hanno il Regno dei Cieli, che è Cristo stesso. Egli infatti è divenuto povero per noi, spogliandosi della Sua stessa Gloria increata e rivestendosi di una Umanità ordinaria, fino alla Morte di Croce liberamente scelta. I poveri più facilmente giungono a questa perfezione, o almeno hanno meno ostacoli su questa strada, se decidono di percorrerla. I ricchi invece cercano nel denaro la propria consolazione e sicurezza e sono rimproverati e minacciati da Dio e da Cristo. I Poveri di Spirito vedranno quel Dio Che supera ogni bellezza, ricchezza, potenza; Che sazia ogni desiderio. I battezzati devono lottare contro la concupiscenza degli occhi, con la preghiera, l'esercizio della frugalità e della temperanza, il controllo dei pensieri, col sacrificio, certi alla fine di conseguire la corona incorruttibile, promessa a chi combatte la buona battaglia. Theorèin - Giugno 2012 |