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HOMO SPIRITUALIS
“L'uomo spirituale giudica tutti
(San Paolo) Che cosa la spiritualità? La definizione implica anche la possibilità di capire cosa sia la teologia spirituale. La spiritualità è innanzitutto la caratteristica di tutto ciò che è immateriale, da Dio fino all'anima, che è la forma del composto umano. In ragione di ciò l'uomo è l'unico essere vivente che, pur nella sua materialità, può e deve vivere in una dimensione spirituale, chè anzi è quella più alta e quella più sua propria, la cui specificità cristiana si identifica essenzialmente con l'oggetto della teologia spirituale. NATURA E COMPITO DELLA TEOLOGIA SPIRITUALE In tempi relativamente recenti, la teologia spirituale è stata identificata con quella ascetica e quella mistica, l'una volta al perfezionamento morale l'altra alla compenetrazione dell'uomo nella sfera divina. Sicuramente non vi è spiritualità senza una visione mistica del mondo e della vita, né senza lo sforzo di raffinare la propria anima. Ma la spiritualità è a mio avviso una cornice più ampia, in cui questi due ambiti si inseriscono senza esaurirne tutti gli aspetti. E' in un certo senso la determinazione della quintessenza della vita cristiana, la specificazione di un modo di agire e di sentire, che è presupposto, fondamento e coronamento ad un tempo della vita morale, passando all'occorrenza attraverso le frontiere dell'ascetica e della mistica. Essa si nutre della linfa sacramentale e si costituisce sulle verità di fede. Per cui la teologia spirituale studia la spiritualità come sintesi esistenziale della vita cristiana, nei soggetti individuali e collettivi, per cui possiamo peraltro dire che vi sono molte spiritualità possibili all'interno dell'unica spiritualità cristiana, che a sua volta si differenzia nettamente e sostanzialmente dalle forme di spiritualità di altre fedi, tagliando in radice la possibilità, inquietante, di ogni irenismo e sincretismo, sebbene l'uno e l'altro siano tentazioni molto diffuse e a cui molti, colpevolmente, cedono, quando non addirittura preferiscono le forme allogene della spiritualità stessa, privandosi della ricchezza inesauribile della linfa cristiana. La possibilità di vivere la spiritualità cristiana, che è essenzialmente sovrannaturale, dipende dal fatto che l'uomo spirituale è, biblicamente, pneumatico e non psichico, ossia vive della vita dello spirito, inteso come parte immortale, e non dell'anima, che invece è il semplice soffio vitale. Nell'antropologia paolina infatti lo pneuma è quella che per noi è l'anima, mentre lo psykè è la vita biologica. Questa distinzione si è perduta nell'elaborazione teologica successiva, ma è fondamentale per capire cosa intende San Paolo quando dice che l'uomo spirituale giudica tutti ma non è giudicato da alcuno (1 Cor 2, 15). L'uomo spirituale è colui che vive nella consapevolezza di avere una vita nuova, di Grazia, destinata all'eternità. La Grazia santificante concessa da Cristo ha infatti reso la natura umana migliore di come sarebbe stata sia nello stato base (ossia senza doni soprannaturali e preternaturali ma anche senza Peccato originale), sia nella giustizia originaria, quella adamitica, perché Cristo, Figlio di Dio, incarnandosi, si è unito in un certo modo ad ogni uomo, rendendolo quindi qualcosa che va oltre se stesso. Questa condizione si esplica in tutte le forme della spiritualità cristiana; le più antiche sono quella battesimale e del martirio; l'affiancarono poi quelle della vita monastica e religiosa, declinata nelle istruzioni e nelle istituzioni dei vari grandi Fondatori; collateralmente si collocano le forme spirituali più recenti, dei laici – confraternali, associative e dell'apostolato dei laici – fino a quelle trasversali dei movimenti ecclesiali. Si parla anche di forme di spiritualità legate agli stati di vita. Vi è inoltre il fascio delle spiritualità legate alle devozioni, cristologiche, pneumatologica, mariane e quant'altro, peraltro compossibili tra loro. Vedremo dopo le catalogazioni sommarie di queste categorie di spiritualità; ora seguiamo ancora il discorso sulle linee generali della teologia spirituale. Alla luce della Rivelazione, la spiritualità è l'unione dell'uomo, sia nell'anima che nel corpo, allo Spirito di Dio. Essa è un dinamismo che scaturisce dalla Grazia, concessa da Dio per procurarsi dei figli adottivi. L'educazione spirituale dell'uomo ha attraversato tutta la storia, mediante l'Antica Alleanza, fino all'Incarnazione. Con questo evento il Verbo si unisce ad ogni uomo, e lo conduce nell'abisso del mistero trinitario. Figlio del Padre, membro del Corpo di Cristo, tempio dello Spirito, ogni battezzato vive così una spiritualità pienamente soprannaturale. Il compimento si avrà nell'eskaton, quando Dio sarà tutto in tutti. Nella vita di ognuno è tuttavia necessario conformarsi al modello Cristo, rinnegando se stessi, prendendo la Croce e seguendolo; il punto focale è l'annientamento di sé, nell'accettazione della rinunzia, del sacrificio, del dolore, della morte come passaggio, accettata o voluta come testimonianza, per entrare nel Cielo. Così l'uomo si spoglierà pienamente di sé e si rivestirà di Cristo in modo pieno, così come Cristo si è spogliato dell'aspetto invitto della Divinità per divenire il Servo, onde sedere alla Destra del Padre. In tale conformazione, l'uomo non agisce per forza propria né per fredda conformazione ad una Logica universale e remota, ma per l'impulso verso Dio che la Grazia infonde in lui, permettendogli di scegliere quel bene che può compiere solo con l'aiuto di Dio stesso. In una parola, la conformazione spirituale a Dio avviene solo se ci si innamora di Lui, cosa che accade sempre per Suo stesso impulso. La dura scalata alla perfezione diviene dunque una ascesa di carità, con le sue dolcezze e le sue attrattive, sia pure in mezzo a quel dolore che, solo, dà valore all'amore stesso. Questa scalata si compie attraverso l'accettazione della volontà di Dio. Essa prelude e inizia l'unione trasformante che si realizza nell'aldilà. Anche qui il mezzo e il fine è l'amore, non essendo l'unione una identificazione sostanziale, come erroneamente insegnava il Quietismo, condannato dal beato Innocenzo XI (1676-1688). Una prima domanda che ci si pone nell'ambito della Spiritualità cristiana è la seguente: come è possibile vivere in Cristo e nello Spirito, visto che tale vita è eterna e il nostro sforzo lo compiamo nella nostra esistenza terrena, temporanea e precaria? Ciò avviene perché la nostra stessa vita terrena è una tappa del movimento spirituale che parte da Dio e torna a Lui. La linfa della nostra esistenza è la SS.Trinità: creati da Dio, siamo redenti in Cristo e giustificati nello Spirito; elevati alla vita sovrannaturale, siamo capaci di far sgorgare la nostra esistenza nell'eternità; mossi dalla Grazia e da essa sostenuti, perfezioniamo la nostra natura ormai salva e viviamo secondo Cristo. Un secondo quesito riguarda i segni mediante i quali il cristiano può avere in sé la sicurezza della presenza della SS.Trinità. Possiamo sapere di essere in Grazia? Secondo 1 Cor 4, 4 e altri passi biblici, non è possibile. Dio non abbandona mai per primo, dà la Grazia a coloro che lo pregano, non permette che siamo tentati oltre le nostre forze, non insegna cose impossibili, non rifiuta la Sua Grazia; tuttavia, nessuno può sapere se sarà salvo o dannato, se capace o meno di convertirsi dopo la caduta, se sarà perseverante fino alla fine o no, essendo la perseveranza essa stessa una grazia. L'uomo può perciò vivere in questo ambito di speranza teologale, che merita essa stessa la benevolenza divina, essendone il frutto più succoso in questo ambito. Solo dopo la morte di un fedele la Chiesa può, a determinate condizioni, dire se egli è salvo, mediante la beatificazione e la canonizzazione. La terza domanda riguarda il modo in cui l'uomo può dare un giudizio per il suo passato e assicurarsi un orientamento migliore per l'avvenire. Come può accadere? L'uomo può anzitutto constatare se ha in sé i frutti dello Spirito: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé. Se lo Spirito è in noi, nel senso che ci guida pacificamente, allora siamo uniti, per quanto possibile quaggiù, a Dio stesso e abbiamo una tranquillità in mezzo alle situazioni anarchiche della nostra vita corporea. E' pertanto evidente che la spiritualità non si esprime concettualmente, ma nella vita concreta, anche se invisibile, e che tale espressione è essa stessa sedimento e coronamento della vita morale in sé, che solo così non rimane una sterile e impossibile applicazione di precetti e nozioni. LE BEATITUDINI EVANGELICHE: LA MAGNA CHARTA DELLA SPIRITUALITA' Il cristiano che vive la vita soprannaturale sperimenta la vera natura della moralità, non come legge del dovere, ma come vocazione alla Beatitudine, in terra e in cielo, per l'unione e la conformità a Dio in Cristo per lo Spirito. Assume significato quindi la pratica di vita delle Beatitudini Evangeliche, così come Gesù le ha espresse nel Vangelo nel corso del Discorso della Montagna (Mt 5,3-12). Esse capovolgono la logica umana, non andandole contro, ma superandola e mostrandone gli aspetti fallaci:
Queste Beatitudini sono più di un comando, sono una canonizzazione. Coloro che scientemente vivono le condizioni descritte sono benedetti già in terra, e in esse trovano una radice eminentemente soprannaturale nella quale innestare in modo completamente nuovo la vita morale, sia del Decalogo che delle virtù. Esse possono essere vissute solo in una prospettiva divina, proprio in vista della beatitudine che assicurano, ma una volta abbracciate svelano il senso profondo della stessa esistenza in terra. Già nell'AT erano dichiarati beati coloro che praticavano la pietà, la saggezza, il timor di Dio, specie nei Libri sapienziali (Sal 1, 1-2; 33, 12; 127, 5-6; Pr 3, 3; Sir 31, 8). Gesù fa entrare in queste benedizioni i poveri di questo mondo. In particolare le prime tre Beatitudini dichiarano felici i deboli e i miseri di questo mondo, perchè hanno la benedizione del Regno; le altre riguardano l'atteggiamento morale dell'uomo. I poveri di spirito sono coloro che hanno un'anima da poveri. La parola povero è usata con la sfumatura morale di Sof 2,3; indica colui che, non avendo le ricchezze, non le desidera disordinatamente, oppure possedendole, non ripone in esse la sua speranza e vive distaccato dal loro stesso possesso. La beatitudine consiste nel fatto che chi è povero di spirito possiede il Regno dei Cieli, che è Gesù stesso, povero realmente a sua volta, essendosi spogliato della condizione esteriore della Divinità ed essendosi fatto privare di tutto, compresa la vita, per donarla all'uomo, in piena e assoluta fiducia nel Padre. Solo infatti colui che è povero spiritualmente e considera Dio sua sola ricchezza è completamente unito a Lui. In questa prospettiva un povero avido e insoddisfatto – non legittimamente inteso a migliorare la propria condizione – non è più beato di un possidente. Nella povertà di spirito tutti, anche i ricchi, possono essere salvati, anche se ovviamente una minore ricchezza facilita la salvezza perchè allontana dalla tentazione; di certo non vi è salvezza per chi non si distacca dai beni di questo mondo. Gli afflitti sono coloro che, sapendo che la vita umana non è mai esente da sofferenze, le sopportano per amore di Dio in unione al Cristo Crocifisso; ciò darà loro la consolazione da parte di Dio stesso, attraverso il Suo Spirito, e alla fine della vita nella Salvezza. Va da sé che una afflizione mal sopportata non produce alcuna beatitudine. I miti sono coloro che rimangono calmi e sereni innanzi alle cattiverie umane e alle sventure; sono coloro che vivono lontani dalla superbia che vuole sempre e comunque imporsi, che non sa perdonare le offese; sono gli umili, perchè solo l'umiltà permette la mitezza, mentre l'orgoglio rende litigiosi e vendicativi. Essi hanno imparato da Cristo, mite e umile, ed erediteranno la terra, sia perchè umanamente sopravviveranno ai conflitti, sia perchè essa, intesa come promessa, prefigura il Cielo. Coloro che hanno fame e sete della giustizia sono quelli che bramano ardentemente di praticarla e farla praticare, dando a ciascuno il suo, e ancor di più sono coloro che desiderano costantemente la giustificazione, la santificazione, che nel linguaggio biblico spesso è semplicemente indicata come “giustizia”. Questa giustizia è Cristo stesso; noi possiamo mangiare e bere di Lui nell'Eucarestia. Ecco perchè la beatitudine consiste nell'essere sfamati e dissetati: attraverso il Pane del Cielo otteniamo la giustizia di Dio e quindi anche quella umana. I misericordiosi sono capaci di perdonare, di donarsi a chi non merita o a chi non ha titolo, di racchiudere in sé, come nelle proprie viscere, attraverso l'amore, tutti i fratelli, conformemente alla radice della parola ebraica che indica la misericordia. Ad essi sarà riservata la stessa misericordia, da Dio stesso. I puri di cuore sono distaccati da ogni concupiscenza e desiderio malvagio; la loro intenzione è limpida; le loro azioni terse, perciò possono essere sicuri di vedere il Santo faccia a faccia. Gli operatori di pace sono coloro che la costruiscono attorno a sé, senza invidie, rancori, meschinità, vendette, gelosie, lotte, contese; coloro che vivono promuovendola nella serenità e nella sincerità, non con debolezza, ma con dolce fermezza. Essi sono figli di Dio, perchè Egli è l'autore della pace, e nel Suo Figlio siamo pacificati tra noi e con Lui. I perseguitati per la giustizia sono coloro che soffrono per la loro rettitudine e in particolare per la Fede in Cristo; come Lui martirizzati, sono uguali al loro Modello, Che è dunque stabilmente in loro. Di essi infatti si dice che, quando saranno insultati, perseguitati, calunniati per causa Sua, dovranno rallegrarsi ed esultare per la grandezza della loro ricompensa nei Cieli. In Lc 6, 20-22, in un Discorso diverso da quello della Montagna, ma simile per argomento, Gesù dà una versione ridotta e meno estesa concettualmente delle Beatitudini. Dichiara beati i poveri, perchè di essi è il Regno di Dio; quelli che hanno adesso fame, perchè saranno saziati; quelli che ora piangono, perchè rideranno; quelli che sono odiati, messi al bando, insultati e il cui nome è respinto come scellerato, a causa di Gesù stesso, perchè grande è la loro ricompensa nei Cieli. Queste Beatitudini sottolineano la predilezione che Dio ha per coloro che sono vittime del mondo nella sua cattiveria e annunziano il capovolgimento della loro sorte in cielo; sottendono tuttavia una ispirazione spirituale che proprio in Matteo è resa esplicita e si rapporta alla vita interiore, rendendo ancora più perfetta la condizione dei beati stessi. E' infatti eloquente quello che segue dopo, le dannazioni, rivolte ai ricchi, ai sazi, a coloro che ridono, a coloro di cui tutti dicono bene. Costoro, evidentemente per la vita che conducono in tali condizioni, sono dimentichi dei fratelli e di Dio; il ricco ha già la sua consolazione e quindi non ne avrà altre; il sazio avrà fame e colui che ride sarà afflitto e piangerà, sia perchè la loro sorte non potrà sempre essere stabile, sia perchè stoltamente in essa hanno riposto la loro fiducia e perciò saranno puniti; coloro che poi hanno il plauso di tutti sono come i falsi profeti, dei quali ovviamente avranno il castigo. FORME STORICHE DI SPIRITUALITA' CATTOLICA Come dicevamo, sono possibili almeno tre catalogazioni delle forme spirituali: quella che le enumera nella loro successione storica; quella che ne mostra le connessioni con gli stati di vita; quella che le connette a precisi orientamenti teologici. Consideriamo anzitutto la prima. Nel corso della storia, la spiritualità cattolica, ispirata dalle Beatitudini, si è espressa in molte maniere. La differenza tra di esse sta nei mezzi di perfezione impiegati e nei moventi all'impiego di essi. I mezzi di perfezione sono comuni a tutte le forme di vita cristiana, ma cambia l'importanza che assumono nelle diverse spiritualità. Ad esempio, la preghiera è necessaria per ogni cristiano; però, nelle diverse spiritualità, cambieranno i modi e i tempi dedicati ad essa. I moventi che spingono ad agire per la perfezione si riuniranno tutti nell'amore di Dio ma differenza tra l'essere spinti dal desiderio di unione mistica o dall'ansia apostolico-missionaria. Infine, va ricordato che una spiritualità non può assolutizzare alcune prospettive al punto da dimenticare qualcuno degli elementi costitutivi della vita cristiana. La forma base e più arcaica, sempre viva, sempre nuova e sempre uguale, è la spiritualità del Battesimo. Essa raggiunge la sua massima profondità nel IV sec. Clemente di Alessandria (150ca.-215ca.) descrive la completa trasformazione che apporta liberando dal potere demoniaco e rimettendo tutti i peccati. Fa diventare figli di Dio, inabitati dallo Spirito, Che dà la vera conoscenza. Essa è il principio della nuova vita che deve essere sviluppata e vissuta con coerenza. Il suo dono è la Grazia. In esso avviene quello che avvenne al Giordano a Gesù. Il principio della Grazia battesimale è la Croce; il cristiano deve essere fedele a Cristo, Sposo dell'anima. In ragione di ciò egli custodisce la Grazia battesimale, fino al martirio e nella vita di carità. Su questa spiritualità battesimale, che Origene (185-254) individuava come la vera forma di spiritualità, si innestano non solo tutte le altre spiritualità sacramentali (come quella eucaristica) ma tutte le spiritualità in genere, a cominciare da quella del martirio. Questa rimane ancora oggi una spiritualità professata nel sangue; il cuore della Chiesa la visse abbondantemente nei primi secoli del Cristianesimo, ma non sono mancate drammatiche repliche delle persecuzioni, sino ai giorni nostri; in genere non vi è epoca senza martiri, e il martirio stesso è una condizione spesso non solo fisica ma anche morale. Tale spiritualità raggiunse l'apice nel III sec. Per essa il martirio è apice e coronamento della perfezione. Vera imitazione di Cristo è il martirio. Da ciò il culto dei martiri. Versare il sangue unisce in modo particolare a Cristo, Che soffre nel martire spesso togliendo il dolore al Suo testimone attraverso l'estasi. Accanto al martirio cruento, che apre il Cielo come il Battesimo, si colloca quello incruento, inteso come interiore o come ascetismo o come morte causata dall'abnegazione. Ciò favorì la nascita della spiritualità verginale e di quella monastica. La spiritualità verginale è attestata dal I sec. sulla scorta dell'esempio di Gesù stesso e continuerà per sempre. A quell'epoca, coloro che danno la loro vita a Cristo nella castità sono considerati come sposati con lui. Non hanno voti ma promesse, possono retrocedere ma sono importanti e stimati nella Chiesa. La corona virginitatis è prestigiosa tanto quanto quella martyrum. Proprio per sfuggire alle insidie di un ideale troppo alto da vivere in comunità non sempre all'altezza, dal III sec. tale spiritualità genera quella eremitica e poi quella monastica, che nella vita solitaria o associata ha elementi di maggior sicurezza per garantire il raggiungimento della perfezione. La spiritualità monastica è molto antica e ha diverse forme, dal monachesimo egiziano a quello siriaco, a quello greco e a quello prebenedettino. Ma la spiritualità benedettina è senz'altro la più importante per la Chiesa Cattolica. Il testo di riferimento è la Regola di San Benedetto (480 ca. - 547). Il monastero è la schola del servizio del Signore; vi si promette obedientia, stabilitas, conversatio morum. L’abate è maestro e guida del monaco, che è discepolo obbediente. La virtù che lo contraddistingue è l’umiltà nei suoi dodici gradi, il primo dei quali è l’obbedienza. L’opus Dei è la preghiera comune, alternata alla lettura e al lavoro. Non tutto il monachesimo occidentale, tuttavia, segue la Regola di Benedetto; ad esempio la Certosa ha come Regola le proprie Consuetudini, per tacere della Regola di Sant'Agostino (354-430). Esistono poi forme monastiche moderne che solo in parte si rifanno al modello tradizionale, prendendo ispirazione dal monachesimo orientale o dalle Vite dei Padri del deserto. In ogni caso nella spiritualità monastica è parte integrante la professione di tutti i Consigli evangelici, che afferiscono in senso stretto più alla vita ascetica che a quella meramente spirituale, pur non essendo possibile avere una spiritualità prescindendo dall'essenza dei Consigli stessi. Ovviamente anche la spiritualità monastica esiste tutt'oggi. Essa influenza di molto anche ambienti esterni ai chiostri. La spiritualità del pellegrinaggio è la forma concessa ai laici per imitare la vita monastica- considerata ormai la più alta manifestazione della vita interiore essendo cessate le persecuzioni- attraverso la pratica temporanea della povertà, della castità e dell'obbedienza nel corso del loro spostamento. Essa si basa sul viaggio verso una meta sacra; il viaggio è mimesi della vita spirituale, imitazione della venuta di Cristo in mezzo a noi, mezzo di espiazione; la meta sacra è il luogo privilegiato per entrare in contatto con Dio, o laddove Egli stesso Si è incarnato ed è vissuto, morto e risorto, o per mezzo dei Suoi Santi. Entrando in contatto con Dio e coi Suoi Santi, il pellegrino si copre dei loro meriti, potendo così espiare, impetrare, ringraziare. Esistiti sin dal I sec., i pellegrinaggi hanno l'età aurea nel Medioevo come fenomeno spirituale, ma esistono e prosperano ancora oggi. La spiritualità dei crociati è un incrocio della spiritualità monastica e della spiritualità del pellegrino. Il crociato espone la sua vita per salvare i fratelli in Cristo minacciati dagli infedeli, dai pagani, dagli eretici, dagli scismatici, dagli scomunicati. Prende le armi per difendere gli inermi. Ha una meta, inizialmente Gerusalemme, da liberare dagli infedeli, e poi altri luoghi santi (come Santiago de Compostela), fino ad arrivare a puntare a tutte le Chiese, parte del Mistico Corpo di Cristo, purchè in esse vi sia una infestazione malvagia da estirpare. Nell'esposizione della vita il crociato è come Gesù. Il contatto con Lui gli ottiene quell'Indulgenza che nei pellegrinaggi precedenti era solo adombrata. Questa spiritualità fiorisce dall'XI al XIII sec., ma prosegue tra alterne vicende fino al XVIII sec. Il suo modello biblico è l'Esodo, pellegrinaggio archetipico, armato, degli Ebrei verso la Terra Promessa liberata dai Cananei. Oggi non esiste più. La spiritualità eucaristica s'incentrò, specie a partire dall'XI sec., sulla consapevolezza della Presenza Reale di Cristo nel Santissimo Sacramento e sull'adorazione, l'impetrazione, il ringraziamento e le altre azioni di preghiera orientate ad onorarLa. Implica l'unione alla Sua Offerta perpetua e lo sforzo di santificarsi. Tale spiritualità sacramentale ovviamente dura tutt'ora e non cesserà mai. Essa è presente in tutte le forme della vita cristiana e quindi della sua spiritualità. La spiritualità conventuale mendicante ha tre forme maggiori. La francescana è fortemente legata alla figura di San Francesco d’Assisi (1182-1226), che contemplò la Maestà di Dio Padre, raggiunto attraverso il Cristo Povero e Crocifisso (l’incontro coi lebbrosi), nello Spirito. Il riconoscimento che Dio solo è il Bene e che ogni bene è suo si manifesta nella professione della povertà. Questo atteggiamento genera la restituzione a Dio di quanto da lui proviene, in lode e in opere. Il clima è quello della fraternità e dall'umiltà. La spiritualità domenicana è la spiritualità dell’intellettualità contemplante, che percepisce la luce dell’Amore e manifesta il primato dell’intelletto. L’attività intellettuale è portata fino alla sua soglia estrema, che è la contemplazione di Dio, anticipo della visione beatifica. È anche un spiritualità militante, apostolica. San Tommaso d'Aquino (1225-1274) insegna che “è cosa più grande donare agli altri le realtà contemplate piuttosto che contemplare solamente”. In questa linea si inserisce la mistica renana e quella di Santa Caterina da Siena (1347-1380). La spiritualità carmelitana ha come fine l’unione con Dio. La perfezione cristiana è l’intimità divina, fino all’unione mistica. Gli strumenti sono svariati. Anzitutto lo spogliamento totale, attraverso il “sentiero del nulla”: il nulla è infatti richiesto dal Tutto di Dio. Questo avviene attraverso un cammino di purificazioni attive e passive. Indi l’orazione, particolarmente la mentale, che “non consiste nel molto pensare ma nel molto amare” (S. Teresa d'Avila). Poi la contemplazione, cui si giunge attraverso purificazioni attive e passive. Nella spiritualità carmelitana Dio è percepito come amore, misericordia; Gesù è contemplato nella sua umanità e divinità; Maria è la regina del Carmelo. Anche la dimensione apostolica è importante, come immolazione feconda, preghiera potente a favore dell’umanità e apostolato attivo. Forma recente ed eminente di riproposizione della spiritualità carmelitana si rintraccia in S. Teresa di Lisieux (1873-1897) e nella sua “piccola via”. Tutte queste spiritualità esistono fino ai giorni nostri e sono molto vissute, anche al di fuori dei conventi. Tra Medioevo ed Età Moderna si colloca la fioritura della spiritualità della devotio moderna, legata alla riscoperta dell'aspetto intimo della vita cristiana, della pietà personale, dell'impegno concreto nella vita individuale e nel proprio impegno, nello sforzo ascetico. Sebbene storicamente scomparsa, essa, che fu una reazione alla degenerazione del materialismo dei pellegrinaggi e all'esclusivismo dello spirito monastico e conventuale, ancora influenza forme spirituali intimiste e assai ferventi nella preghiera e nell'azione. La spiritualità ignaziana è tipica dei Gesuiti e contrassegno della Controriforma. Testo essenziale sono gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556). L’intuizione fondamentale è nel motto ad maiorem Dei gloriam, cioè nel servire ed amare la Divina Maestà, purificando ogni intenzione e volontà propria, tutto per la maggior gloria di Dio. La gloria di Dio si riassume nella sequela di Cristo; l’obiettivo della Compagnia è “militare per Dio sotto il vessillo della croce e servire al solo Signore, Gesù Cristo, e alla Chiesa sua sposa, sotto l’obbedienza del Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra”. La sequela di Cristo prevede la condivisione della sua umiliazione: l’abnegazione totale della propria volontà. Il riferimento a Cristo verrà poi sintetizzato nella devozione al Sacro Cuore. Il fine apostolico è forma di servizio alla gloria di Dio e di Cristo, specificato da uno speciale vincolo di obbedienza al Papa. Frutto degli Esercizi sono il discernimento degli spiriti e le regole per l’elezione. Tale spiritualità esercita oggi la sua influenza anche ben al di fuori delle pur ampie propaggini della Compagnia di Gesù e delle sue Case. La spiritualità salesiana è di origine seicentesca. Il testo di riferimento è l'Introduzione alla vita devota di San Francesco di Sales (1567-1622), che si propone di insegnare la “vera devozione”, la perfezione cristiana, che consiste nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Esclude dalla devozione le grazie straordinarie e particolari esercizi. La vera e viva devozione non è altro che autentico amor di Dio. In quanto l’amore di Dio abbellisce l’anima nostra, si chiama grazia e ci rende graditi alla divina Maestà; in quanto ci dà forza di agire bene, si chiama carità; ma quando è giunto a quel grado di perfezione nel quale non solo ci fa agire bene, ma operare con diligenza, fervidamente e prontamente, allora si chiama devozione. La devozione è possibile a tutti, nei diversi stati di vita e può essere assecondata con l’aiuto di un direttore spirituale. Per il laicato viene proposto un programma spirituale che parte dalla purificazione dal peccato e dalla rinuncia ad ogni attaccamento ad esso e si sviluppa attraverso la pratica della preghiera mentale, di cui fornisce un metodo chiaro e breve. Prospetta poi la pratica delle virtù più adatte al laico, ossia la carità, la mansuetudine, la dolcezza e la mitezza. Infine parla delle tentazioni, della tristezza, delle consolazioni, delle aridità e conclude offrendo modelli per l’esame di sé. L’ispirazione salesiana è ripresa dal XIX sec. dai Salesiani di San Giovanni Bosco (1815-1888), pur con un taglio proprio. L’umanesimo cristiano, l’amorevolezza e l’ottimismo di fondo segnano il sistema pedagogico della Società Salesiana, che si compendia nel “sistema preventivo”, strutturato su ragione – religione – amorevolezza. L'ambito di influenza di questa spiritualità è ancora ampio, anche fuori dalle Case salesiane. La spiritualità della secolarità è del secolo XX, che ha visto crescere il ruolo del laicato, particolarmente favorito dalla nascita e dallo sviluppo dell’Azione Cattolica. Questo porta con sé anche lo sviluppo di una spiritualità che riconosce nel mistero dell’Incarnazione il proprio riferimento fondamentale e che sviluppa una “teologia delle realtà secolari”, luogo specifico della propria testimonianza cristiana (santi nel mondo, nonostante il mondo) e materiale della propria santificazione (santi per mezzo delle realtà del mondo). Una tale prospettiva si basa sulla riscoperta del Battesimo, fondamento di ogni forma di vita cristiana. Una tale riscoperta ha condotto anche alla nascita degli Istituti secolari, che sono una novità del XX sec. (l’approvazione da parte della Chiesa è del 1948, con il ven. Pio XII [1939-1958]) e che sviluppano proprio l’intuizione della spiritualità secolare. In questa forma di vita, infatti, la secolarità viene vissuta nella radicalità dei Consigli evangelici, ma restando sempre e assolutamente nell’ambito della vocazione laicale, perchè i membri di Istituti secolari non sono religiosi, ma laici a pieno titolo. Tale spiritualità è oggi in piena fioritura. La spiritualità dei Movimenti ha caratterizzato la seconda metà del ‘900 con la nascita di vari Movimenti ecclesiali (Opera di Maria o Movimento dei Focolari, Opus Dei, Cammino Neocatecumenale, Comunione e Liberazione, Rinnovamento dello Spirito, ecc.). Per molti di questi si può individuare anche una propria spiritualità. Va ricordato il legame con la riscoperta del ruolo del laicato e sottolineata la laboriosa dinamica di inserimento nella vita della Chiesa locale. I Movimenti sono una realtà importante della Chiesa di oggi, sostenuta dall’esplicito appoggio della Gerarchia ecclesiastica (in particolare a partire dal beato Giovanni Paolo II [1978-2005]). LA DOTTRINA DEGLI STATI DI VITA E DELLA LORO SPIRITUALITA' Passando alla descrizione della spiritualità degli stati di vita, dobbiamo anzitutto dire che all’interno della Chiesa è sempre esistita la divisione tra cristiani laici, religiosi e chierici. Già Sant'Agostino aveva consegnato al medioevo l’immagine dei tria genera hominum, detti anche ordines. Accanto a queste espressioni si va affermando anche il termine status, con l’introduzione di questo vocabolo nelle prime collezioni di Diritto canonico, come il Decretum Gratiani. Il termine, con uno stretto legame col concetto di libertà o servitù, entra nel Diritto ed è utilizzato in tal modo da Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologica. S. Tommaso considera dapprima in generale gli atti umani comuni a tutti gli stati, cioè le virtù teologali e cardinali, e poi in particolare alcuni atti propri di alcune categorie di cristiani; qui, dopo aver parlato dei carismi e della distinzione fondamentale tra le due principali forme di vita, che sono la attiva e la contemplativa, passa a parlare dei vari stati. Tommaso afferma che la nozione di stato può essere intesa in senso materiale o spirituale. In questo secondo senso l’uomo può essere libero dal peccato e servo della giustizia, oppure servo del peccato e libero dalla giustizia (cfr. Rm 6, 20.22). Si entra dunque in uno stato di vita contraendo un obbligo stabile: esso si realizza nel caso dei Vescovi, dove il sacramento dell’Ordine crea un vincolo stabile con la perfezione, e nel caso dei religiosi, dove l’obbligo di tendere alla perfezione, contratto con i voti, costituisce lo stato di perfezione. Tale perfezione consiste nella carità ed è di tre tipi. Essa è assoluta solo in Dio, che ama perfettamente, mentre conosce due tipi di perfezione per le creature umane: quella dei Beati (che sono creature, ma che amano sempre attualmente Dio) e quella di noi ancora sulla terra, che non siamo perennemente centrati sulla visione amante di Dio. La perfezione possibile a noi “viatori” si divide, a sua volta, in due modi: la perfezione essenziale e necessaria, che consiste nell’evitare il peccato, osservando i precetti di Dio, e quella accidentale e strumentale, che consiste nell’osservare i Consigli evangelici. Si noti che si tratta di due vie per raggiungere il medesimo fine, che è la carità. La strada dei Comandamenti (i precetti) è obbligatoria per tutti, la strada dei Consigli è facoltativa per alcuni, perché i precetti proibiscono ciò che è essenzialmente contrario alla carità, mentre i Consigli suggeriscono qualcosa che non si oppone alla carità, ma che può rendere più difficile il suo conseguimento. Così il possesso dei beni non è contrario alla carità e dunque non è peccato, ma la povertà rende più facile il suo conseguimento. La nozione di stato comprende tre elementi: l’obbligo, la perpetuità e la solennità. L’obbligo riguarda la nozione di servitù, cui abbiamo già accennato: nel caso dei religiosi rimanda ai voti, che sono un obbligo liberamente contratto a riguardo dei Consigli evangelici, che portano alla perfezione, e nel caso dei Vescovi rimanda al sacramento dell’Ordine. La perpetuità significa che tale obbligo deve essere assunto per sempre. La solennità significa che esso deve essere pubblico, di fronte alla Chiesa. Tommaso collega la nozione di stato alla perfezione, che può essere maggiore o minore; sostiene la maggiore virtu' dello stato di perfezione (soprattutto della vita religiosa) rispetto agli altri stati di vita. Egli non afferma che i religiosi sono perfetti, perché nulla impedisce che vi siano alcuni perfetti che non sono nello stato di perfezione, come pure che vi siano alcuni che sono nello stato di perfezione ma non sono perfetti; semplicemente egli propone un confronto di stati, e non di persone, affermando che uno stato è più perfetto di un altro. Per concludere possiamo dire che, dopo Tommaso, l’espressione stati di vita verrà comunemente usata per indicare lo stato di perfezione- fondamentalmente identificato nei religiosi, che professano i consigli evangelici- lo stato clericale, composto dai chierici, cioè dai ministri della chiesa - nei quali l’ufficio costituisce uno stato, anche se non è stato di perfezione (eccetto il caso dei Vescovi) - e lo stato laicale, costituito da tutti i battezzati che non appartengono ai due stati precedenti. Un importante cambiamento nella riflessione cattolica è avvenuto col Concilio Vaticano II (1962-1965). Il capitolo V della Lumen Gentium (1964), dedicato alla universale vocazione alla santità nella Chiesa, insegna che ogni stato di vita nella Chiesa è ordinato alla santità, da realizzare diversamente, secondo le proprie caratteristiche, e viene così a scardinare per certi versi, la classica dottrina dello “stato di perfezione”, che era strettamente connessa alla nozione di stati di vita e legata alla schematizzazione del Tomismo. L’affermazione conciliare ha significato una profonda rivalutazione del ruolo del laicato, che la dottrina tradizionale non considerava stato di perfezione. Tra i fattori che storicamente hanno portato a questa presa di coscienza, ricordiamo la già citata importanza progressivamente assunta già sul finire del XIX sec., e poi decisamente nei primi decenni del XX, dai movimenti laicali, a cominciare dal Terz'Ordine Francescano fino all'Azione cattolica, comportando una progressiva valorizzazione della condizione laicale e una conseguente riflessione sulla spiritualità del laicato, che si è poi espressa a livello dottrinale in diversi interventi del Magistero a questo proposito (soprattutto Pio XI [1922-1939]), e in modo speciale appunto nel capitolo V della Lumen Gentium. Un altro significativo segnale della crescita di questa progressiva convinzione fu l’approvazione degli Istituti secolari di cui abbiamo detto; con tale approvazione si accetta che anche la condizione laicale o secolare possa essere stato di perfezione, attraverso la professione dei Consigli evangelici. Tale recezione del Concilio è stata autorevolmente avallata già da Paolo VI (1963-1978) e dal beato Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (1988). Entrando nei dettagli, indichiamo i cardini delle spiritualità degli stati. La spiritualità laicale si delinea nel corso del Novecento a partire dall’enciclica Annum sacrum pubblicata il 25 maggio 1899 da Leone XIII (1878-1903). Con questo documento il Papa annunziava la consacrazione del mondo al Sacro Cuore di Gesù, all’inizio del XX secolo, e invitava a una spiritualità apostolica protesa ad affermare la Signoria di Cristo (quella che nel 1925, con l’enciclica Quas Primas, sarà la sua Regalità). Il Papa invitava in particolare i laici cristiani a lavorare per tale scopo, in un mondo sempre più scristianizzato. Un’opera importante, svolta nei vari decenni del Novecento, è quella dell'Azione Cattolica, che insegna a intere generazioni a vivere, in ogni posto, la propria vocazione. Accanto all'Azione Cattolica, grande importanza nel corso del Novecento hanno nella Chiesa. Come dicevamo, gli Istituti secolari. Loro nota essenziale è la secolarità assoluta, vissuta nel mondo, con grande riserbo, per essere presenza fecondatrice nella città degli uomini. Sorgono così nella Chiesa tante figure di laici impegnati (alcuni membri di Istituti secolari, altri no) che vivono in modo straordinario la loro fede e la loro vocazione, come il beato Pier Giorgio Frassati (1901-1925). Durante e dopo il secondo conflitto mondiale bisogna anche registrare il sorgere di nuove associazioni ecclesiali, che presto saranno chiamate genericamente “movimenti”. Nel 1943 Chiara Lubich (1920-2008) fondò l’Opera di Maria o Movimento dei Focolari a Trento, sviluppando così un’esperienza ecclesiale che ha come vocazione la spiritualità dell’unità e che si diffonderà in tutto il mondo. Nel 1954 don Luigi Giussani (1922-2005) fondò Gioventù studentesca, come branca dell’Azione Cattolica, che dopo la crisi del ’68 si trasformò in Comunione e Liberazione. Sempre verso il 1967, in questo caso a Roma, iniziò il Cammino Neocatecumenale. Un’altra notevole esperienza postconciliare è quella del Rinnovamento nello Spirito, un movimento sensibile alla preghiera e alla dimensione comunitaria. La spiritualità presbiterale assume una forma abbastanza omogenea a partire dal Concilio di Trento (1945-1963) e dall’istituzione dei Seminari. Il passaggio a una nuova impostazione avviene con il decreto conciliare Presbyterorum Ordinis (1965). Il documento insegna che i sacerdoti trovano la propria santificazione a partire dal ministero sacerdotale, indicando nella carità pastorale il cuore della perfezione del presbitero. Da notare che, subito dopo la menzione dei Vescovi, si parla dei Presbiteri, non più esclusi dalla vocazione alla perfezione in quanto allo stato di vita. La spiritualità della vita consacrata si basò per secoli sulla concezione della vita consacrata come stato di perfezione. Un significativo cambiamento che si opera nel Novecento, come abbiamo visto, è la comprensione del ruolo del laicato e la sua affermazione nella Chiesa, con la crescente consapevolezza che la perfezione non è appannaggio dei religiosi, perché tutti nella Chiesa sono chiamati ugualmente alla santità. La dottrina conciliare sulla vita consacrata è proposta nel cap. VI della Lumen Gentium e nel decreto Perfectae Caritatis (1965). In estrema sintesi l’elenco delle caratteristiche della spiritualità in questione è il seguente: la consacrazione, ulteriore rispetto a quella battesimale, su cui si fonda; la sequela Christi o pratica dei consigli evangelici; il carisma specifico di ogni istituto; il celibato, insieme alla vita comune in fraternità e alla povertà; i comuni contenuti della universale vocazione cristiana, vissuti in una forma propria che fa riferimento alla vita storica di Cristo. FORME DI SPIRITUALITA' TEOLOGICAMENTE ORIENTATE O DEVOZIONALI Vi sono infine forme di spiritualità legate a delle devozioni di largo impatto ancora oggi e per sempre. La spiritualità del Sacro Cuore di Gesù scaturisce, nella sua forma moderna, dalle rivelazioni private di Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) e pone l'istanza dell'amore di riparazione e dell'oblazione orante per la salvezza degli uomini. Un accento sociale è posto su di essa dal ven. Leone Dehon (1843-1925). E' stata sistematicamente sviluppata dalle encicliche papali di Leone XIII, Pio XI e Pio XII. Il suo fulcro è la risposta all'Amore personale di Gesù – simboleggiata nel Cuore appunto - col nostro amore personale. La spiritualità del Preziosissimo Sangue di Gesù è stata sistematizzata, nelle sue forme contemporanee, da san Gaspare del Bufalo (1786-1837), che pose l'accento sull'adorazione del prezzo del Riscatto dell'uomo e sulla sua capacità di santificare e di suscitare opere pastorali, nonché sull'omaggio compensativo al Signore Che ha dato la Sua Vita per noi in modo cruento. Suo grande apostolo è stato il beato Giovanni XXIII (1958-1963). La spiritualità del SS. Nome di Gesù è legata soprattutto, nell'Età Moderna e fino ad oggi, a San Bernardino da Siena (1380-1444) e implica la fiducia nella potenza salvifica di Cristo, il Cui Nome esprime la Sua stessa sussistenza personale. La spiritualità della Regalità di Cristo s'incentra sullo sforzo di far regnare il Signore nella nostra vita e in quella del mondo intero come risposta alla secolarizzazione; fu caldeggiata da Pio XI e da padre Agostino Gemelli (1878-1959). La spiritualità delle Sante Piaghe di Nostro Signore implica la consapevolezza della capacità riparatrice che queste Piaghe hanno per noi e per il mondo intero. Legata nel Medioevo alle preghiere e alle rivelazioni private di santa Brigida di Svezia (1303-1373), di recente ha avuto impulso per le esperienze mistiche della ven. Marie Marthe Chambon (1841-1907). La spiritualità della Divina Misericordia scaturisce dalle esperienze mistiche di Santa Maria Faustina Kowalska (1905-1938). Essa sottolinea la gratuità del dono divino e la necessità di corrispondervi con pieno abbandono, nella consapevolezza della propria indegnità. E' stata ampiamente sostenuta dal beato Giovanni Paolo II. La spiritualità della Santa Infanzia di Gesù implica la devozione al Bambino Gesù, l'imitazione della Sua innocenza e purezza, l'abbandono fiducioso nelle Sue mani o infanzia spirituale, caldeggiata in modo profondo in tempi recenti da Santa Teresa di Lisieux. La spiritualità di Gesù Sacerdote di Misericordia Infinita è orientata alla santificazione dei sacerdoti e all'amore per il Signore e la Sua SS. Umanità; scaturisce dalle esperienze mistiche della ven. Santina Scribano (1917-1968). La spiritualità dello Spirito Santo implica l'abbandono all'azione della Terza Persona Divina, Che abita in noi, e la santificazione come corrispondenza alle Sue mozioni. Di recente padre David Maria de Angelis (1912-1998) e madre Carolina Venturella (1901-1989) si sono impegnati nella sua diffusione con l'Opera dello Spirito Santo, presentato come Potenza Divina d'Amore. La spiritualità dell'Eterno Padre è rara se considerata nelle sue forme più evidenti; s'incentra direttamente sulla Prima Persona Divina, scaturigine e compimento di ogni bene nel mondo, fondamento stesso della Trinità, Creatore dell'Universo, nel quale ha mandato il Figlio per redimerlo e lo Spirito per santificarlo, facendoci Suoi figli nell'Unigenito. La spiritualità mariana ha molteplici forme ed è molto antica. La consapevolezza del modello inarrivabile delle Sue virtù, del Suo patrocinio materno, della Sua funzione generatrice di Grazia, del Suo lignaggio altissimo di Madre di Dio Sempre Vergine e Tutta Santa si è espressa in una infinità di forme devozionali, legate sia ai Suoi privilegi (Immacolata Concezione, Mediazione Universale, Corredenzione, Assunzione, Regalità, Perfetta Santità, Perpetua Verginità), sia alle Sue apparizioni (Lourdes, Fatima, Guadalupe, Rue du Bac, La Salette, Banneux, come esempi), sia ai luoghi legati alle Sue memorie miracolose (Loreto, Pompei, Siracusa, Czestochowa, il Pilar, Einsiedeln, Mariazell, Le Puy, Aquisgrana, Betlemme, Nazareth, Gerusalemme, Bzommar e altri), sia ai titoli di cui è stata nel tempo adornata (Addolorata, Vergine del Carmelo, del Rosario, delle Grazie, del Soccorso, ecc.), con le conseguenti pratiche di pietà. Apostolo della consacrazione mariana è stato San Luigi Maria Grignon di Montfort (1673-1716), ripresa in grande stile da Giovanni Paolo II. Le definizioni dogmatiche dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione da parte del beato Pio IX (1846-1878) e del ven. Pio XII (1939-1958) rispettivamente nel 1854 e nel 1950, come l'enciclica Ad Caeli Reginam (1954) dello stesso papa Pacelli sulla Regalità mariana, hanno dato impulso alla devozione alla Vergine. Le apparizioni di Fatima (1917) hanno dato impulso alla devozione riparatrice e propiziatrice al Cuore Immacolato di Maria. Le spiritualità legate al culto dei Santi e degli Angeli implicano l'imitazione delle loro virtù e le pratiche di devozione a loro legate, per avere il loro patrocinio e associarsi alla loro azione spirituale. Tra esse svettano quelle di San Giuseppe e di San Michele. Quella per i Defunti implica il suffragio. Ovviamente tutte le spiritualità devozionali sono essenzialmente cristocentriche, perché direttamente o indirettamente orientate a Cristo, unico Redentore, Mediatore e Capo del Mistico Corpo che è la Chiesa. IL PERCORSO SPIRITUALE DELLE CONFESSIONI Chi scrive non ha la pretesa né la capacità di dare un quadro esauriente della teologia spirituale, anzitutto per la sua scarsa vita interiore. Tuttavia vorrebbe fornire esemplificazioni pratiche di vita interiore. Un classico della letteratura dello spirito può senz'altro illuminare tutti noi in questo percorso. Si tratta delle Confessioni di Agostino di Ippona (354-430). Opera di larghissimo influsso proprio nell'ambito spirituale, è strutturata in diversi libri, e mostra come tutta la vita può essere orientata al compimento interiore. Nel I Libro, dalla nascita ai quindici anni, il Santo parte da considerazioni preliminari. Innanzitutto pone il principio per cui Dio deve essere conosciuto per essere invocato e dev'essere invocato per essere conosciuto. Indi spiega come e perché si debba invocare Dio. Ne mostra l'immensità e l'inesprimibilità, nonché il desiderio che c'è di Lui in ognuno di noi. A confronto del mistero della natura umana nella sua finitezza, mostra quello dell'eternità di Dio. Il Santo poi enumera le colpe dell'infanzia, mostrando come anche essa non sia innocente innanzi a Dio; descrive altresì il modo in cui imparò a parlare, il suo disinteresse per lo studio, le punizioni dei precettori, l'amore per il gioco e il teatro; narra il suo differimento del Battesimo e pone il principio per cui Dio ricava il bene anche dal male, pure nella vita del singolo. Mostra altresì l'utilità dello studio, descrive quello da lui fatto nell'ambito umanistico e giunge alla necessità di offrire tutto a Dio. Denuncia infine la potenza corruttrice della cultura profana, la vanità dell'uso in essa dell'intelligenza, la natura diseducativa di una formazione solo retorica e non anche morale. Chiude descrivendo i peccati della fanciullezza e mostrando che ogni cosa è dono di Dio. Nel II Libro parla dei suoi sedici anni. Spiega perché ricorda le sue colpe. Afferma che per bisogno di amore si cercano dei suoi surrogati illusori; sentenzia che l'ozio favorisce lo scatenarsi delle passioni; mostra come esista una malvagità fine a se stessa; analizza come nel peccato si cerchi il godimento erroneo di un bene; dimostra come nelle passioni ci siano soddisfazioni solo illusorie che invece sono stabili solo in Dio; asserisce che Dio preserva da colpe più gravi e perdona le commesse; denuncia la vanità dell'attrattiva del peccato, la pericolosità delle cattive compagnie che trascinano al male e descrive l'aspirazione alla pace interiore. Nel III Libro, parlando di quando era giovane studente, descrive esperienze comuni e perciò emblematiche: la ricerca di amori sensuali, la sete di sensazioni procurata dal teatro, ma anche il freno naturale contro certi eccessi, il valore della letteratura per l'iniziazione all'amore per la sapienza, il primo approccio alla Scrittura, l'inanità delle eresie dei Manichei e la loro inutilità; riflette altresì sul problema della moralità, sui suoi fondamenti naturali, sulla difficoltà di giudicare gli uomini; infine riferisce il dolore della madre per la sua perversione e la conseguente ipoteca che le sue lacrime misero sul suo futuro, ottenendogli la conversione. Nel IV Libro parla del periodo del suo insegnamento scolastico. Si dice sedotto e seduttore; racconta dell'insegnamento della retorica, dell'amore per una donna, dell'interesse per l'astrologia; descrive lo sconforto in cui lo getta la morte di un amico, la consolazione del pianto, la noia della vita e la paura della morte, il bisogno di cambiare ambiente. Narra quindi di come lasciò Tagaste. Pone il principio per cui è beato chi ama Dio e gli altri in Lui, rammenta che le creature devono servire per salire a Dio e non per attaccarvisi, perché solo Lui non passa, giungendo così ad esortare a cercare solo Lui, quale unica fonte di felicità. Torna poi a descrivere la sua carriera, il suo primo trattato - sulla bellezza- i vani motivi per cui ammirare altri uomini; mostra come Dio resista ai superbi, rappresentati dalle sue vane elucubrazioni, e sentenzia l'inutilità della cultura a tutto vantaggio dell'utilità di liberarsi prima dalle passioni. Nel V Libro narra come andò dall'Africa all'Italia. Esordisce con una lode al Dio delle misericordie. Mostra che Dio consola anche chi si allontana da Lui. Narra il suo incontro col manicheo Fausto. Spiega i rapporti tra scienza umana e fede divina. Si dilunga su Mani, sulla persona di Fausto e su come il Manicheismo lo deludesse. Parla della partenza per Roma e dell'arrivo in città; di come la madre pregasse per lui; del suo esitare tra Manicheismo e Scetticismo; del raffronto tra Manicheismo e Scrittura; del comportamento degli studenti romani; dell'incontro con Ambrogio a Milano e del distacco dal Manicheismo. Nel VI Libro Agostino parla di sé a trent'anni. Comincia con l'arrivo a Milano di Monica sua madre, del loro rapporto e della figura di Ambrogio. Descrive il suo graduale passaggio dalla confusione alla scoperta della verità e di come giungesse a preferire la Fede cattolica. Parla della felicità che scaturisce dalla speranza teologale, che è diversa da quella umana. Parla dell'amicizia con Alipio e Nebridio, di come il primo sia retto, impari a non giudicare affrettatamente e sia influenzabile da spettacoli cruenti e di come il secondo sia assetato di verità. Descrive il suo travaglio interiore, il problema del matrimonio come mezzo per arginare le passioni, il suo fidanzamento, i progetti di vita comune e il fatto che non possa stare senza una donna. Conclude con la discussione con gli amici sul Sommo Bene e sul sommo male. Nell'VIII Libro parla della ricerca della verità. Il percorso intellettuale diviene parte integrante della maturazione interiore. Dice che è difficile concepire l'Essenza di Dio. Riporta l'obiezione di Nebridio contro il Manicheismo. Pone il problema dell'origine del male e cerca inutilmente una soluzione. Dice che Dio è Essenza incorruttibile. Abbandona l'astrologia. Descrive il modo in cui la Misericordia divina gli venne in aiuto, il suo passaggio al Neoplatonismo, la ricerca della verità in se' stesso, la scoperta della solo parziale esistenza delle creature, della sostanzialità del Bene e dell'insostanzialità del male, della bontà di tutte le creature, del fatto che le cose devono l'esistenza a Dio, del male come perversione della volontà, e il rifiuto del dualismo manicheo. Narra della sua graduale ascesa a Dio, del fatto che ancora non giungesse a scoprire Cristo come Mediatore; parla del mistero racchiuso nell'Incarnazione, del fatto che la fede venga dall'umiltà e che questa non s'impari sui libri dotti; infine descrive il suo avvicinamento a San Paolo. Nell'VIII Libro Agostino raggiunge la Verità. L'incontro con Simpliciano e la conversione di Vittorino lo preparano. Descrive la lacerazione che aveva in sé di due volontà contrastanti; narra della scoperta della bellezza della vita morale e delle sue reazioni ed esitazioni; si chiede perché la volontà sia inefficace nel perfezionamento morale, intraprende faticosamente la via della virtù e infine narra l'episodio del Tolle et Lege, ossia di come fosse determinato a leggere le Lettere di Paolo ascoltando per caso una filastrocca di bambini, e di come tale lettura gli fece capire che doveva rivestirsi di Cristo e non di passioni. Nel IX Libro descrive il Battesimo e il ritorno in Africa. Inizia con una preghiera di ringraziamento. Spiega perché lasciò l'insegnamento; narra il suo ritiro a Cassiciaco, in cui scriveva e meditava sui Salmi, e la sua preparazione al Battesimo. Racconta come avvenne, assieme a quello di Alipio e Adeodato, suo figlio. Si sofferma sul canto liturgico di Milano e parla della giovinezza e della virtu' della madre. Descrive la loro contemplazione insieme ad Ostia e la morte di lei coi funerali, in cui Agostino s'impose di non piangere. Termina con la preghiera per la madre. Nel X Libro Agostino riflette non più sul suo passato ma sul presente. Pone concetti ormai maturi e splendidi: Dio unica speranza e amante della Verità; il senso della sua confessione fatta a Dio e agli uomini, riguardante non solo il passato ma anche il presente; la sua volontà di farsi conoscere perché Dio venga ringraziato per lui e con lui; Dio solo conosce l'uomo; Egli Che è da ricercare e da amare prima e sopra tutto, Egli Che si raggiunge oltre il sensibile e grazie alla memoria. Apre un'ampia parentesi su questa facoltà (introducendo così anche la riflessione teoretica nella vita spirituale), sulle sue meraviglie, sul fatto che tutte le nozioni risiedano in essa, del modo in cui in essa entrino; si dilunga sul significato di “pensare”, sul fatto che la memoria sia anche la sede delle leggi aritmetiche, sulla memoria della memoria, sulla presenza in essa dei sentimenti, sul ricordo del ricordo e sul ricordo attraverso le immagini. Agostino afferma poi che Dio va cercato oltre la memoria, aggiungendo il modo in cui è possibile trovare ciò che è perduto e che è impossibile cercare ciò che è dimenticato del tutto, per cui la ricerca di Dio è la ricerca della felicità, di cui spiega cosa sia il ricordo. La felicità è infatti gioire in Dio; tutti la desiderano e ne hanno il ricordo ancestrale perché Dio è nella nostra memoria, nella quale non vi è tanto un luogo per Lui, ma che è essa stessa atta a riceverLo quando c'è chi lo ascolta. Per cui il Santo ammette di aver tardi amato la Bellezza tanto antica e tanto nuova. Ammette tuttavia che la vita umana è tutta una prova, e descrive le varie tentazioni, della carne, del gusto, dell'odorato, dell'udito, della vista, della curiosità, nonché l'ambizione delle cariche, il piacere della lode, il compiacimento di sé anche nel respingere la vanagloria. Ricorda che Dio comanda la continenza, che piacere a sé è dispiacere a Dio, che Dio è Verità e non può stare con la menzogna, che non vi sono altri mediatori tra Lui e noi oltre Cristo. Nell'XI Libro Agostino tiene una meditazione sulle parole con le quali comincia la Genesi: “In principio Dio creò”. La teologia sistematica entra quindi nel percorso spirituale. Enuncia il motivo per cui rivela se stesso a Dio. Afferma di voler intraprendere la meditazione sistematica della Scrittura e prega per comprenderne il senso. Afferma che le cose esistono perché create. Spiega la differenza tra Creazione di Dio e lavoro umano. Ricorda che le parole umane passano ma la Parola di Dio rimane in eterno. Essa è il Verbo, Che si è rivolto a noi nel Vangelo. Esorta ad ascoltare Dio Che ci parla dentro. Si domanda cosa facesse Dio prima di creare e pone la differenza tra tempo ed eternità. Mostra come Dio non facesse nulla prima di creare e che il tempo iniziò con la Creazione. Portando la riflessione spirituale esistenziale sulle strutture stesse del vivere, si chiede cosa sia il tempo, si dilunga sul passato, sul presente e sul futuro, si domanda se si possa misurare il tempo stesso e se esistano passato e futuro, si chiede come si possa parlare dell'uno e dell'altro. Spiega come mai la profezia sia mistero e perché sia improprio parlare di presente, passato e futuro. Si dilunga sulla misurazione del tempo e manifesta il suo ardente desiderio di comprendere tale problema. Lega il tempo al movimento degli astri, ma deduce che il primo non sia legato al movimento corporeo. Si chiede allora se esso sia solo estensione, per poi dedurre che la sua misurazione avviene nella nostra mente. Indica le tre operazioni dell'anima: attesa del futuro, attenzione al presente e ricordo del passato. Aspira ad essere accolto nell'eterno dopo la dissipazione del tempo. Comprende la vanità della domanda su cosa Dio facesse prima della Creazione e afferma che l'eterno è misteriosamente al di sopra di ogni divenire. Nel XII Libro la meditazione si allarga a tutta la frase: “In principio Dio creò il Cielo e la Terra”. Anzitutto pone la povertà dell'uomo che cerca, ma si consola affermando che Dio è con lui. Si chiede cosa siano il Cielo dei Cieli, le tenebre, l'abisso; cosa significhi la terra invisibile e disordinata; descrive la ricerca della mente; parla di come erroneamente egli prima si raffigurasse la materia e di quale sia la sua origine, nonché di come essa stessa nella sua informità sia stata alla base della Creazione. Pone l'atemporalità di tali creature. Invoca la Verità e mostra l'eternità di Dio. Dice che Cielo intellettuale – ossia il Cielo dei Cieli che è il Paradiso – e la terra informe sono stati creati fuori del tempo. Mostra la mirabile profondità della Divina Parola, enuncia gli argomenti su cui è in accordo coi suoi avversari e indica i suoi interlocutori, enumera varie opinioni sul senso da attribuire alle parole “cielo” e “terra”, deduce le verità insite nella Genesi, afferma che essa tace molte opere del Creatore, si domanda quale sia il vero senso delle parole del Libro Sacro e su come in tale indagine si debba evitare la presunzione, mentre indica il pensiero in merito di alcune anime semplici e conclude che sulla varietà delle opinioni debba trionfare la carità. Mostra come la prima creatura sia stata la materia e invoca Dio perché mostri la verità. Nel XIII Libro medita sulle allegorie della Creazione. Invoca Dio. Mostra come la nostra esistenza sia un suo puro dono. Dice che creando la luce Dio illuminò la creatura spirituale. Enuncia il significato del fatto che lo Spirito si portava sulle acque. Afferma che la Trinità si manifestò nella Creazione. Spiega perché lo Spirito sia ricordato per ultimo e che Suo compito è di elevarci e confortarci. Parla delle creature spirituali cadute e risollevate e del trasporto dell'amore. Spiega che gli Angeli conobbero solo la visione di Dio. Mostra l'immagine della Trinità in noi. Spiega che la conversione è simboleggiata nella frase “Fiat lux”. Si domanda come sarà lo splendore divino quando lo vedremo e dice come dobbiamo vivere in attesa di farlo. Enuncia i significati simbolici del firmamento, del mare e della terra, degli astri, dei rettili, dei cetacei, degli uccelli, dell'anima vivente e delle belve, dell'uomo fatto ad immagine di Dio, delle molteplici specie, dell'erba e degli alberi. Ricorda che in Dio vi è la fonte della vita, si appella agli eletti e insegna che l'uomo spirituale ha il potere di giudicare. Dice che il valore del dono sta nell'intenzione e parla delle opere buone di chi non ha fede. Insegna che tutto il Creato è buono. Spiega che leggiamo la Parola eterna tramite parole temporali. Contesta i Manichei sulla creazione, ringrazia il Signore e mostra come tutto ciò che esiste in Lui è visto buono, nonché il modo in cui il tutto stesso sia stato creato. Riepiloga i significati allegorici, invoca la pace, parla del Giorno del riposo, descrive il futuro riposo finale in cui Dio sarà riposo e pace per tutti. Che è la meta di ogni cammino spirituale. IL PERCORSO SPIRITUALE DEL DIO SILENZIOSAMENTE NOSTRO Propongo ora al lettore un altro percorso spirituale, meno elevato ma pur profondo, tratto dal libro Dio Silenziosamente Tuo (1986) del padre gesuita Aldo Aluffi (1922-1992). Esso sviluppa una spiritualità della Presenza divina nella nostra vita, di cui tutti abbiamo bisogno. Egli si rivolge al lettore in prima persona, ma io cercherò di rendere il suo pensiero nella prima plurale, essendo stato un suo lettore e quindi un destinatario del suo ammaestramento. Il punto di partenza è Dio, Questo sconosciuto. Bisogna anzitutto capire come e perché Egli sia sconosciuto per noi. Poi dobbiamo aderire a Lui come si aderisce ad uno Sconosciuto, perché Egli ci sfugge. Solo quando aderiamo Egli ci possiede e solo allora lo conosciamo. Questo perché tutti siamo nell'iniziativa di Dio. Dio è infatti silenziosamente operante in noi. Per cui vi è sempre la necessità di ricredersi su di Lui. Dobbiamo poi riflettere su Dio che opera in ciascuno di noi. Egli infatti viene e cerca ognuno di noi. Accade in noi senza di noi e opera anche in tale maniera. A noi tocca quindi di operare con quello che Egli opera in noi. Ognuno può dunque parlare del “suo” Dio. Egli è per tutti come l'ascensore, come diceva santa Teresa di Lisieux, perché ci conduce in alto per forza propria. Bisogna perciò convertirsi al venire di Dio. Convertirsi anzitutto all'opera di Dio in noi; poi tenere la porta aperta, perché Dio non può mancare, in quanto Egli non si rassegna ad essere spettatore del nostro operare, mentre aspetta i nostri passi prima delle nostre discussioni. La meditazione successiva verte sul fatto che siamo viventi nel Dio vivente. Dobbiamo quindi impegnarci come viventi e non ritirarci dalla vita; il nostro primo impegno è vivere. Dobbiamo accogliere veramente tutta la nostra vita e vedremo Dio in noi. Perciò diciamo che la Gloria di Dio è l'uomo vivente. La vita qui non sono le azioni che si compiono in essa, ma è lo stesso esistere come consapevole adesione all'Essere, che è appunto Dio stesso. Da ciò discende la profondità e anche la relatività del nostro operare, anche se spirituale. Le operazioni non sono il vivere, ma atti della vita. In ragione di ciò, meditiamo su Dio e sul Suo contatto. Anzitutto su come pensarlo, indi sulla necessità di fare il vuoto perché Egli lo occupi. Il nostro amore crescerà con o senza la Sua ispirazione, anche in momenti di bonaccia interiore. Il contatto con Lui è un contatto di vita. Vi è poi la considerazione della presenza di Dio nella nostra esperienza. Anzitutto bisogna rettamente intendere l'esperienza divina; poi bisogna sentirsi conosciuti da Dio, così da capire che c'è sempre da tentare la via che passa per Lui. Egli infatti attira tutti, anche me che scrivo e te che leggi. Così attirati, viviamo Dio nel nostro discernimento. Capiamo anzitutto cosa sia il discernimento. Poi perché dobbiamo discernere e contemplare. Poi come dobbiamo agire nel discernere. Dio ci appare così come Colui Che ama anticipare, il Dio delle anticipazioni, Che va quindi capito nella Sua comunicazione spontanea. Dopo il discernimento, Dio è senz'altro anche nella nostra preghiera. Egli ci fa maturare nella Sua preghiera, perché Egli ci mette nella preghiera, irrora il nostro niente col Suo Tutto, nel quale non tanto noi ci mettiamo ma Lui mette noi. La nostra vita dev'essere essa stessa preghiera. La nostra preghiera deve essere essenzialmente adorazione. Dopo, quando Lui vorrà, verrà. Perché Egli non viene subito, ma poi. Così Dio è nel nostro amore. Noi amiamo nella misura in cui ci facciamo amare da Lui. Fondamentale è dunque lasciarci amare da Lui. Ciò avviene cercando la Sua volontà. Dio sarà così nel nostro silenzio. Innanzitutto bisogna accettare di entrare nel silenzio di Dio, indi a imparare a tacere con Lui, per scorgere così la Sua opera silenziosa. Allora Dio ci apparirà silenziosamente evidente. Alla luce di ciò, Dio sarà per noi Colui Che ci fa convivere. Scopriremo la bellezza di essere Parola di Dio, di incontrarci nella medesima Sua Parola. Consegneremo così agli altri la parte migliore di noi. Perché Dio e la creatura sono in un solo amore e in un solo operare. Il percorso ora ci farà meditare su Dio e la Sua debolezza. Bisogna capire che esiste una impotenza divina, che è quella a cui Lo condanniamo se non ci convertiamo al Suo modo di agire. Egli infatti continua ad operare tra noi con la Sua debolezza di Crocifisso, e dobbiamo quindi tirarci fuori dal culto dell'efficienza. Quelli che credono sono qui in mezzo a noi, non nel trionfalismo, ma nell'amicizia con chi non crede. Che per loro può essere grazia ed è antemurale al male. Alla luce della debolezza divina, capiamo la nostra debolezza. Capiamo che dobbiamo vivere la compassione che Dio ha di noi, che Egli aspetta solo il nostro grido, che non lo respingerà mai. Perché siamo cari a Dio come siamo. Cosa sconcertante, perché noi siamo cari a noi stessi per come vorremmo essere, e Dio ci è caro per come vorremmo che ci facesse essere. Vi è dunque ora da passare il guado di Dio e il dolore. Egli infatti è al di dentro di ogni dolore, mentre noi ne siamo fuori, anche quando sono i nostri, maggiormente quando sono altrui, sebbene pretendiamo di giudicarli. Nessun male sconfigge Dio, e nei lutti più atroci Egli si rivela. Da qui l'ultimo passaggio. Dio e il male. Bisogna anzitutto diagnosticarlo e capire che Dio lo illumina per farcivi trovare il senso più vero della vita. Veramente Dio ama l'uomo; lo ama nella misura con cui gli propone di vivere una esistenza carica di senso. Non vi è da vedere nei nostri mali una vendetta di Dio, Che anzi ama perdutamente la Sua Creazione. E' che Dio è di notte, come quando si fece buio sul Calvario. Egli risplende nella notte della vita, anche se attorno è oscuro. Come appendice, Aluffi propone Dio oggi silenziosamente nostro alla luce del Vaticano II. La spiritualità diviene qui eminentemente ecclesiale, con l'accento su un Vangelo che sempre stupisce, su un Concilio contro nessuno, sul risalire alle sorgenti, sulla Chiesa come mistero. Con l'auspicio di volti giovanili, della fioritura dei carismi, della missione, dell'apertura agli altri e la conseguente parola ai giovani, ai vecchi e a chi non cerca. A dimostrazione che la spiritualità senza tempo vive in ogni tempo secondo il modo suo proprio. IMITATORES MEI ESTOTE
“Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro
(Nostro Signore Gesù Cristo) La teologia ascetica è una parte della teologia spirituale, almeno nella sistemazione teologica contemporanea. Essa vive di vita propria, perché ha lo scopo di perfezionare interiormente il cristiano, fornendogli motivi, mezzi, modi e fini per questo sforzo. Da questo punto di vista è strettamente collegata alla teologia morale e prelude alla teologia mistica, che invece studia le modalità con cui il cristiano, già in vita, è strettamente unito al Suo Dio, completando così, per quanto gli è concesso, il percorso etico-spirituale che dovrebbe essere di ogni battezzato. PRINCIPI DELLA TEOLOGIA ASCETICA L'uomo ha una vita naturale, che è stata da Dio elevata sino a quella Sua propria, ossia la soprannaturale. Egli lo fece una prima volta con Adamo, la cui natura perfetta, adornata dei doni preternaturali, fu suggellata con l'elargizione della Grazia santificante; essa doveva essere trasmessa ereditariamente, assieme agli altri doni, alla progenie umana, così da rendere semplice e costante il cammino dei Figli adottivi del Signore verso di Lui. La condizione richiesta era l'ossequio a Dio quale Legislatore dell'Universo, Principio fontale della Verità. Il Peccato originale segnò il capovolgimento del piano divino, e il castigo conseguente implicò la perdita della Grazia, la scomparsa dei doni preternaturali, il deterioramento della natura umana e la perdita della libertà di fare il bene. L'uomo precipitò nell'abisso della dannazione e il mondo divenne un deserto spirituale, in cui ognuno è nemico di sé e degli altri e tutti sono infeudati a satana. Il Signore non volle tuttavia abbandonare le sue creature e inviò il Redentore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, Incarnato e fatto Uomo, capace per questo di assumere su di sé le colpe degli uomini e di riversare su di essi l'infinito tesoro dei Suoi meriti, i quali avrebbero così coperto i peccati e restaurato la Giustizia sovrannaturale, rendendo possibile la pratica del Bene. In ragione di ciò ogni uomo deve essere innestato in Cristo Nuovo Adamo, per ricevere la linfa della Grazia che non scorre più nelle vene spirituali della umanità degradata. Ciò avviene mediante i Sacramenti, dei quali il Cristo si serve per comunicarci lo Spirito Santo, nel Quale diventiamo simili a Lui. Restaurato in Cristo, l'uomo può adempiere la Legge e può intraprendere il perfezionamento spirituale, arrivando a mete che neanche ad Adamo nella Giustizia primordiale erano concesse, perché ormai tutti siamo innestati nel Figlio di Dio. In ragione di ciò possiamo intraprendere un percorso ascetico. Ed è evidente la stretta connessione dell'ascetica non solo con la morale, per quanto concerne ciò che essa prescrive, ma con la dogmatica cristologica, soteriologica, pneumatologica ed ecclesiologica, per quello che riguarda la sua fondazione, e con la sacramentaria, per ciò che verte sulla sua possibilità di realizzazione. È dunque evidente che l'ascetica è in un certo senso una sezione complementare della teologia morale, nonché parte integrante della sistematica. Iniziato nell'economia salvifica il processo della nostra santificazione, vediamo quali sono gli attori principali dell'ascesi. Il primo di essi è Dio stesso, le Cui Tre Persone Divine sono infatti sempre implicate nella nostra santificazione. Lo Spirito Santo è la Persona Divina Che direttamente opera in noi. Egli abita in noi, perciò abbiamo nei Suoi confronti i giusti doveri di rispetto, di ascolto, di custodia della Sua presenza. Egli infatti abita in noi come in un Tempio. Egli, Grazia Increata, ci comunica la Grazia santificante; per essa, abito della nostra anima, riceviamo le Grazie attuali che ci muovono, ci sostengono e ci confermano nel bene; esse sono una esplicazione delle Grazie sacramentali che riceviamo attraverso i Sette Segni. Ognuna di tali Grazie assecondate e portate a compimento è per noi titolo per averne di nuove, sino alla Grazia della perseveranza finale che ci introduce nel Cielo. Le Grazie, che sono un dono immeritato di Dio che scaturiscono dal Battesimo, che a sua volta ci muove per primo alla Fede che inaugura la dinamica salvifica in noi, implicano, se assecondate, il consolidamento del nostro abito al bene, le virtù. Gesù Cristo, in quanto Uomo Dio, è causa meritoria, esemplare, fontale della vita di Grazia e quindi della vita ascetica. Egli ha infatti meritato per noi la Grazia e in virtù di ciò ce la comunica nei modi descritti; Egli è il modello, l'esempio perfetto ed eterno a cui non solo noi dobbiamo tendere, ma a cui il Padre stesso, nello Spirito, ci spinge ad uniformarci, e il Cristo stesso vuole conformarci a Se', perché la nostra incorporazione al Suo Mistico Corpo non sia solo un fatto parziale. Egli è la fonte della Grazia, proprio perché Capo di questo Corpo, da cui essa scorre, come linfa e sangue spirituali. E' perciò indispensabile essere devoti, nel senso di “donarsi a”, del Verbo Incarnato. La Santissima Vergine Maria, nei modi subordinati Suoi propri, è causa meritoria, esemplare e Mediatrice di Grazia universale. Elle infatti ha meritato come Corredentrice, dopo essere stata Lei stessa la prima Redenta, contribuendo alla salvezza del genere umano in modo complementare e non sufficiente all'opera del Figlio, Che volle questo proprio per innalzare al massimo fastigio la natura umana rinnovata. Ella è causa esemplare perché primo modello perfettamente uniforme all'archetipo costituito da Cristo stesso. Ella è Mediatrice Universale perché riceve dal Figlio le grazie e le distribuisce secondo il Divino Consiglio a Lei comunicato. Appare evidente quindi la fondazione mariologica dell'ascetica; se ne deduce che, dopo Cristo, Maria è Colei alla Quale è indispensabile votarsi per raggiungere la perfezione. Gli Angeli e i Santi, ciascuno nel modo suo proprio, attribuito loro nella divisione delle funzioni tra le membra del Corpo Mistico nella Comunione dei Santi, partecipano della causalità meritoria ed esemplare, nonché della mediazione subordinata, propria della Vergine e, attraverso di Lei, a quelle primarie ed assolute del Cristo, Che a Sua volta riceve lo Spirito Santo dal Padre stesso. Tale partecipazione è gerarchica, e chi occupa una posizione più elevata trasmette la Grazia ricevuta a chi gli è subordinato. Ciò è assai evidente nella Gerarchia Angelica, ma sussiste anche nelle Schiere dei Santi. Perciò è necessario praticare il culto degli Angeli, dei Santi e dei Defunti, santi anch'essi anche se non ancora inseriti nella Gloria. Un ruolo particolare è svolto da San Michele, da San Giuseppe, dai Santi protettori e dall'Angelo Custode di ognuno. L'uomo è ovviamente protagonista della sua ascesi. In così alta compagnia, deve combattere contro i suoi nemici spirituali. Anzitutto contro la triplice concupiscenza; indi contro il mondo, strutturato per invogliare al peccato; infine contro il diavolo che tenta ad esso. Conseguendo il merito, l'uomo accresce la Grazia e la Gloria, consolidando così la sua vita spirituale. In ragione di ciò è bene santificare tutte le nostre azioni. Ciò, essendo possibile per il nostro sacerdozio reale, è opportuno, utile e necessario; a tale scopo, la recezione dei Sacramenti è indispensabile, sia per riparare alle battaglie perdute (con la Confessione) sia per aumentare la Grazia stessa (con l'Eucarestia). In genere, tutta la vita cristiana è possibile in virtù della Grazia di stato concessa dal Battesimo e dalla Cresima, che crea nell'uomo una condizione stabile o carattere che predispone all'azione sovrannaturale anche quando, disgraziatamente, si cade nella colpa, rimanendo così capaci di ricevere il perdono. Perciò è indispensabile ricevere i Sacramenti con le dovute disposizioni, dalla Fede – intesa rispettivamente come abito o come atto esplicito – per il Battesimo e la Cresima, al pentimento perfetto o imperfetto col proposito per la Confessione, allo stato di Grazia e alla considerazione di Chi si riceve nell'Eucarestia. Gli attori così elencati che concorrono alla milizia ascetica hanno come scopo la perfezione della vita cristiana nel battezzato. Essa consiste nella carità. Ma siccome tanto più alto è l'oggetto d'amore e tanto più intensa la mozione verso di essa, quanto più è lo sforzo che si è disposti a compiere e che è di per sé necessario, tale carità, avendo Dio come oggetto e spingendosi verso di Lui, non potrà mai essere senza sacrificio. Cristo stesso, bruciante di amore per il Padre e per gli uomini a causa Sua, non rifuggì dal dono della vita. Tale perfezione si raggiunge obbedendo ai Precetti della morale e ascoltando all'occorrenza i Consigli. Essi, in quanto tali, non sono indispensabili per la perfezione, ma rendono più agevole il cammino verso di essa, perché rimuovono cose che possono fungere da ostacolo. E così la povertà libera dall'impaccio della ricchezza, l'obbedienza da quello dell'autodeterminazione, la castità da quello dei sensi; i Consigli sono osservabili, nella loro interezza, solo dai chiamati a fare ciò; ma nessun cristiano può perfezionarsi e anche solo vivere la legge morale se non li segue almeno in parte per quanto è necessario nello stato suo proprio di vita. All'interno della perfezione cristiana, che pure è un tutt'uno, vi sono diversi gradi, i più alti dei quali inglobano in sé quelli più bassi senza annullarli. Questi gradi, come vedremo, corrispondono a tre vie: la purgativa, l'illuminativa e l'unitiva. Sono chiamate vie perché conducono ad una meta. La purgativa è orientata ad evitare i peccati mortali, per cui è propria di coloro che iniziano il percorso ascetico, gli incipienti. La illuminativa fa progredire nella virtù, per puro amore di Gesù, Che quindi illumina, come luce interiore, coloro che la intraprendono e quindi vivono in una condizione più avanzata, i proficienti. La unitiva conduce all'unione con Dio, ed è propria dei perfetti. Essa tuttavia spetta, come ambito d'esposizione sistematica, alla teologia mistica. In ogni caso anche chi percorre generosamente la via unitiva non potrà mai essere perfetto realmente in terra, perché non potrà mai amare Dio né per quanto Egli merita né senza interruzione; infatti nessun uomo sarà mai impeccabile, in quanto almeno involontariamente commetterà delle imperfezioni. Tutti siamo chiamati a tendere alla perfezione, ciascuno nel proprio stato. Ci spingono a ciò sia il bene della nostra anima- perché essa può così aspirare ad una beatitudine più alta che duri in eterno – sia dalla Gloria di Dio che in essa si manifesta, sia l'intento di edificare il prossimo con il proprio sforzo. Per tendere alla perfezione ci sono concessi dei mezzi; essi possono essere interni o esterni. I mezzi interni sono svariati. Anzitutto il desiderio stesso della perfezione, che Dio suscita in noi e che è necessario ed efficace per lo scopo a cui è ordinato. Poi vi è la conoscenza di Dio, intesa non solo come comprensione delle verità della Fede, ma anche come consapevolezza della Sua Presenza, così da permetterci di comprendere come Egli vuole che noi ci comportiamo e come è giusto farlo avendoLo sempre presente alla nostra anima: questa forma di conoscenza è il camminare alla Presenza Divina. Indi vi è la conoscenza di se stessi, per assecondare le nostre buone inclinazioni e fuggire da quelle cattive. Ancora vi è la conformità alla Volontà Divina, intesa sia come Volontà di segno, che si esplica nella Rivelazione, sia come Volontà di beneplacito, che si mostra in quanto vuole o permette tutto quanto accade. La conformità alla Divina Volontà si realizza per gradi: anzitutto per timore, obbedendo ai comandi e accettando ciò che avviene per riverenza e per espiazione; poi per speranza, attendendo la remunerazione per l'ossequio portato o anche il superamento della prova; infine per amore, trovando nei decreti divini, sia di segno che di beneplacito, la propria felicità e realizzazione perché emanazione dell'Amato Signore, il Quale nulla vuole se non per il nostro bene e Che mai è separato da noi. Ciò produce il cosiddetto Santo Abbandono, che implica la piena conformità a tale Volere. Ultimo mezzo è la preghiera, il piccolo grande mezzo, senza il quale Dio non concede le Grazie attuali, che quindi vanno umilmente richieste, e che è essa stessa l'effetto della Grazia sacramentale. I mezzi esterni sono la direzione spirituale, fatta da un Sacerdote -a volte anche da laici – che spesso è anche il Confessore, e a cui ognuno è tenuto a darsi se vuole realmente progredire nella vita interiore; un regolamento di vita; le letture e le conferenze spirituali, iniziando dalla Sacra Scrittura; l'impostazione di corrette relazioni in campo domestico, amichevole, professionale e apostolico. LE DUE VIE DELL'ASCETICA Come dicevamo, nel cammino ascetico e mistico, esistono tre vie. Ma solo le prime due afferiscono all'ascetica, mentre la terza rientra nella mistica. La prima è la menzionata via purgativa. In essa, gli incipienti avanzano innanzitutto pregando e compiendo gli esercizi appositi per allenare le loro facoltà interiori. Questi esercizi sono svariati. Il primo è la meditazione sul peccato, sulle sue cause, sull'opportunità delle mortificazioni, sui propri doveri, sull'uso retto della Grazia e su Gesù, modello di perfezione. Vi sono due grandi metodi di esercizio spirituale, l'ignaziano e il sulpiziano, il primo del Fondatore della Compagnia di Gesù, il secondo del Monastero di San Sulpizio a Parigi. Dopo gli esercizi, per avanzare nella prima via è salutare la penitenza, fatta per riparare il peccato. Essa avviene mediante l'accettazione di quanto ci accade, prima per rassegnazione e poi per felice conformità; poi attraverso il compimento fedele dei doveri del proprio stato; indi col digiuno; ancora con l'elemosina; poi con le privazioni; infine con le mortificazioni volontarie. Oltre la penitenza, è utile la mortificazione volta a prevenire il peccato. Ciò avviene fuggendo anzitutto le occasioni; poi mortificando il corpo e i sensi esterni, tralasciando gli sguardi immodesti, l'ascolto morboso o curioso, le conversazioni che non siano sagge ed oculate, e altre accortezze simili. Vanno poi mortificati i sensi interni, resistendo alle passioni, volgendole al bene e moderandole. Infine vanno mortificate le facoltà superiori, mediante la disciplina dell'intelletto e l'educazione della volontà. Gli incipienti devono poi lottare contro i vizi capitali e i loro sottoprodotti: superbia e orgoglio, invidia e gelosia, ira, gola, lussuria, accidia, avarizia; devono battersi contro le tentazioni; infine devono scaltrirsi contro alcune trappole della vita spirituale, ossia le illusioni sulle consolazioni e le aridità – per cui sopravvalutano le une e sottovalutano le altre – l'incostanza nell'impegno, l'eccessiva premura, gli scrupoli per i peccati commessi o che si possono commettere. La seconda via è la via illuminativa, di cui pure facevamo menzione. Essa è per i proficienti, ossia le anime più fervorose nell'ascetica. In essa ci si introduce con l'orazione affettiva, chiamata così perché vi dominano i puri affetti, atti di volontà che esprimono a Dio il nostro amore e il nostro desiderio di glorificarLo. Anche per l'orazione affettiva vi sono due metodi, l'uno ignaziano e l'altro sulpiziano. Nella via illuminativa dominano le virtù morali infuse, ossia le sovrannaturali, Fede Speranza e Carità, immesse nell'anima mediante il Battesimo. Per esse ci vuole una cura particolare: vanno accresciute; bisogna guardarsi dal rischio che si indeboliscano; si devono conservare tutte insieme. La Speranza è fondamentale per l'ascetica, perché da un lato fa mantenere fisso il termine del perfezionamento anche quando sembra lontano e dall'altro fa ambire al premio eterno. La carità è verso Dio e verso il prossimo; essa è progressiva per l'Uno e per gli altri. Le virtù morali naturali sono, in questo percorso, ricondotte alle Quattro Virtù Cardinali: la prudenza, la giustizia – da cui discendono la religione e l'obbedienza- la fortezza e la temperanza – a cui si connettono castità, umiltà e dolcezza. Nella via illuminativa bisogna guardarsi dagli attacchi del nemico e dal risveglio dei vizi capitali. In particolare questi possono manifestarsi in una forma spirituale detta notte dei sensi. In essa si manifesta l'inclinazione all'orgoglio nella vita spirituale, una conseguente invidia della Grazia altrui e svariate forme di sensualità interiore. Tra esse annoveriamo la golosità spirituale di consolazioni e di sforzi intellettuali, nonchè la lussuria spirituale, che coltiva amicizie sensibili sotto il pretesto della devozione. Vi è poi l'accidia. Indi l'avarizia spirituale, che si manifesta con il mero compimento di sterili esercizi esteriori. La notte dei sensi si supera con la Notte oscura, che afferisce all'esperienza mistica della via unitiva. Un rischio ulteriore è quello della tiepidezza. Per rimediare a tante trappole, è bene affidarsi al Confessore. Salutari gli Esercizi spirituali, la pratica delle virtù, l'osservanza dei doveri. Nel discernimento degli spiriti, importante per la direzione spirituale, è bene comprendere le consolazioni e i desideri della vita interiore del diretto. Lasciamo la trattazione, pur breve, della via unitiva, alla prossima esposizione della teologia mistica. I CONSIGLI EVANGELICI TRA TEOLOGIA MORALE E ASCETICA Essendo i Consigli evangelici la quintessenza dell'ascetica, è bene riproporre alcuni concetti che li concernono. Il cristiano può vivere, ciascuno nel proprio stato, sino nei casi estremi di una vita consacrata solo ad essi, i Consigli Evangelici praticati da Gesù stesso: Povertà, Castità e Obbedienza, liberando del tutto l'uomo dal fomite del male che si è installato nella sua stessa anima attraverso la triplice concupiscenza. Mentre il comandamento e il precetto sono obbligatori, mentre in tutte le situazioni della vita l'uomo deve scegliere la via della beatitudine o della dannazione, i Consigli evangelici non obbligano ma garantiscono una perfezione maggiore. Essi esprimono tre istanze che, se seguite alla lettera, liberano l'uomo dai beni terreni, dall'amore coniugale e dalla propria stessa libertà, non perchè cattivi, ma per fondarsi completamente in Dio. Se ogni cristiano è tenuto a vivere i tre Consigli nella propria condizione di vita, alcuni prescelti lo fanno radicalmente, i religiosi. Per essi parliamo di povertà volontaria, castità perpetua e ubbidienza perfetta. Certo, se tutti fossero chiamati, l'umanità finirebbe. Ma nessuno è esentato dallo spirito dei consigli. La povertà è appunto la concretizzazione della povertà di spirito; la castità è legata alla propria condizione e può essere osservata anche nel matrimonio senza essere totale; l'obbedienza implica l'onesta sottomissione ai superiori per quanto compete loro. Tuttavia i Consigli evangelici sono propriamente dei soli religiosi. Non è che la vetta della santità si abbia attraverso essi, perchè si raggiunge nella carità; ma in queste tre forme vi è la situazione di vita più perfetta e conforme a Cristo, Che fu povero, casto e obbediente. Vi sono buone ragioni per praticare la povertà. L'uomo si attacca ai beni del mondo ed essi lo pervertono. Allontanandosi da essi per fondarsi in Dio e aiutare chi ha bisogno rende l'anima più sicura della salvezza. In quanto alla castità, nella sua forma totale è una vocazione, che deve essere seguita pena la perdita dell'anima, specie se funzionale alla vita sacerdotale e religiosa, così come non deve essere imposta per non ottenere lo stesso danno per l'incapacità di sopportarla. Nella castità virtuosa l'uomo può dedicarsi solo a Dio senza l'impaccio degli affetti terreni. Relativamente all'ubbidienza, essa nella sua perfezione riceve il divino volere in ciò che gli altri e non noi stessi decidiamo a nostro riguardo. In questo l'uomo, come Gesù, accetta senza riserve la volontà del Padre, riconoscendola in ogni cosa. IL PERCORSO ASCETICO DE L'IMITAZIONE DI CRISTO Il libro ascetico più diffuso del mondo cristiano è l'Imitazione di Cristo. Scritto molto probabilmente da Giovanni Gersen (nato nel 1243) nel XIII sec., veicola una spiritualità ascetica di matrice monastica, ma adatta a tutti con le opportune modifiche, poco teorica e molto pratica. Mi sembra giusto proporne una piccola sintesi. Il testo è in quattro libri. Il Primo è intitolato “Incominciano le esortazioni utili alla vita dello spirito”. Articolato in venticinque brevi capitoli, pone all'attenzione del lettore un crescendo di istanze spirituali. La prima è la necessità dell'Imitazione di Cristo per progredire interiormente e il connesso disprezzo di tutte le vanità del mondo. Segue l'umile conoscenza di se stessi, che sola permette di ricevere l'ammaestramento della Verità e, in conseguenza, l'esercizio della ponderatezza dell'agire. Consiglia poi la lettura dei libri di devozione. Mette in guardia dagli sregolati moti dell'anima, invita a guardarsi da speranze vane e a fuggire la superbia. Esorta ad evitare l'eccessiva familiarità con chiunque, specie le donne per i sacri ministri, inculca l'obbedienza e la sottomissione, mette in guardia dai discorsi inutili e afferma che la conquista della pace interiore è legata all'amore del progresso spirituale. Sottolinea i vantaggi delle avversità ed esorta a resistere alle tentazioni; ammonisce contro i giudizi temerari e valorizza le opere fatte per amore. Insegna a sopportare i difetti altrui e spiega come dev'essere la vita nei monasteri. Adduce in tal senso gli esempi dei grandi Padri ed enuncia come si deve addestrare chi si è dato a Dio. Inculca l'amore della solitudine e del silenzio. Spinge alla compunzione del cuore, esorta alla meditazione della miseria umana e poi della morte. Fa porre mente al giudizio divino e alla punizione dei peccatori. Esorta quindi infine a correggere fervorosamente tutta la nostra vita. Il Secondo libro ha per titolo “Incominciano le esortazioni che ci introducono all'interiorità”. Consta di dodici capitoli. Il primo di essi, che ovviamente prosegue il percorso del libro precedente, esorta al raccoglimento interiore. Indi all'umile sottomissione. Delinea il profilo di colui che ama il bene e la pace. Spiega cosa sia la libertà di spirito e come di conseguenza avere semplicità di intenzione. Enuncia l'importanza dell'attento esame di se stessi. Mostra la gioia di una coscienza retta. Mette l'amore di Gesù sopra ogni cosa. Spiega come si debba avere intima amicizia con Gesù. Enuncia come e perché non si debba temere la mancanza di ogni conforto umano. Esorta alla gratitudine per la Grazia divina. Spiega perché sia scarso il numero di coloro che amano la Croce di Gesù, mostrando perché invece essa sia la via maestra dell'interiorità. Il Terzo libro si intitola “Incomincia il libro della Consolazione interiore”. I capitoli sono cinquantanove. Esso mostra come Cristo parli interiormente all'anima fedele, come la Verità si faccia sentire dentro di noi senza altisonanti parole, come si debba dare umile ascolto alla Parola di Dio, che non tutti meditano a dovere. Fornisce a tale scopo una Preghiera per chiedere la Grazia della devozione. Prosegue esortando a mantenersi intimamente uniti a Dio in spirito di verità e umiltà. Enuncia i mirabili effetti dell'amore verso Dio. Spiega come dia prova di avere un vero amore chi lo possiede realmente. Invita a proteggere la Grazia sotto la salvaguardia dell'umiltà. Esorta ad avere bassa opinione di sé innanzi a Dio e a riferire tutto a Lui come fine ultimo. Mostra come sia dolce cosa abbandonare il mondo e servire Dio. Invita a vagliare e a frenare i desideri del cuore. Imposta l'importanza dell'educazione a patire e della lotta contro la concupiscenza. Insegna a mettersi al di sotto di tutti in umile obbedienza secondo l'esempio di Gesù e a pensare all'occulto giudizio di Dio per non insuperbirci nel bene. Spiega come comportarci e che cosa dire di fronte a ogni nostro desiderio, dando una Preghiera perché riusciamo a compiere la volontà di Dio. Ammonisce a cercare solo in Dio la vera consolazione ed esorta ad affidarGli stabilmente la cura di noi stessi; invita a sopportare serenamente le miserie di questo mondo sull'esempio di Cristo e mostra come debba essere la capacità di sopportare le offese e la vera pazienza provata. Invita a riconoscere la propria debolezza e la miseria di questa nostra vita, nonché a trovare in Dio, sopra ogni bene e dono, la nostra pace, riconoscendo i Suoi molti e vari benefici. Enuncia le quattro cose che recano una vera grande pace e fornisce Preghiere contro i pensieri malvagi e per ottenere lume all'intelletto. Esorta poi a guardarsi dall'indagare curiosamente la vita altrui. Spiega in che cosa consista la stabilità della pace interiore e l'amore del progresso spirituale, nonché l'eccelsa libertà dello spirito, frutto dell'umile preghiera più che dello studio. Ammonisce che l'amore di se stesso distoglie massimamente dal Sommo Bene, fornendo una preghiera per ottenere la purificazione del cuore e la celeste sapienza. Prende posizione contro le linguacce denigratrici. Insegna ad invocare e a benedire Dio nelle tribolazioni; a chiedere il Suo aiuto, nella fiducia di ricevere la Sua Grazia; ad abbandonare ogni creatura, per trovare Dio; a rinnegare se stessi e a rinunciare ad ogni desiderio; a porre l'intenzione ultima sempre in Dio, a dispetto dell'instabilità del cuore. Spiega che chi è ricco d'amore gusta Dio in tutto e sopra tutto. Ricorda che in questa vita non vi è certezza di andare esenti da tentazioni. Mette in guardia dai vuoti giudizi umani. Insegna che per avere libertà di spirito bisogna rinunciare assolutamente e totalmente a se stessi. Inculca il buon governo di sé nelle cose esterne e il ricorso a Dio nei pericoli. Insegna a non avere nessun affanno nel nostro agire. Ricorda che non abbiamo nulla di buono in noi stessi e di cui vantarci. Esorta al disprezzo di ogni onore di questo mondo e a non porre la nostra pace nell'uomo; prende posizione contro l'inutile scienza di questo mondo e insegna a non attaccarci a cose esteriori; invita a non fare affidamento su alcuno, perché le parole facilmente ingannano; ad affidarsi a Dio quando spuntano parole che feriscono; a sopportare ogni cosa gravosa per conseguire la salvezza eterna. Paragona quest'ultima alle angustie della vita presente. Parla del desiderio della vita eterna e dei beni promessi a chi lotta. Insegna che chi è nella desolazione deve mettersi nelle mani di Dio. Ammonisce a dedicarsi a cose più umili quando si viene meno in quelle più alte; a non credersi degni di consolazione quanto di castighi; a tenere a mente che la Grazia non si confonde con ciò che ha sapore di terreno. Contrappone gli opposti impulsi della natura e della Grazia; mostra la corruzione della natura e la potenza della Grazia. Invita a rinnegare se stessi e a imitare Cristo nella Croce. Insegna a non abbatterci eccessivamente quando si cade in qualche mancanza. Ammonisce dal non cercare di conoscere le superiori cose del Cielo e gli occulti giudizi di Dio. Insegna infine a porre ogni speranza e fiducia in Dio. Il Quarto libro, intitolato “Incominciano i consigli devoti per la Santa Comunione”, è formato da diciotto capitoli. Esso introduce a una pratica salutare del Sacramento eucaristico. Ogni capitolo è sotto la forma di un colloquio tra il discepolo e Cristo. Si inizia da alcune parole di Gesù. Spiega con quanta venerazione si debba accogliere Cristo. Mostra come nel Sacramento si manifestino all'uomo la grande bontà e l'amore di Dio. Spiega l'utilità della Comunione frequente ed enuncia i molti benefici concessi a chi si comunica devotamente. Fa considerazioni sulla grandezza del Sacramento e sulla condizione del Sacerdote. Fornisce una invocazione per prepararsi alla Comunione. Spiega l'importanza dell'esame di coscienza e del proposito di correggersi. Rammenta l'offerta di Cristo sulla Croce e vi collega la donazione di se stessi. Esorta ad offrire noi stessi a Dio con tutto quello che è in noi, pregando per tutti. Ammonisce a non tralasciare la Comunione a cuor leggero, perché il Corpo di Cristo e la Scrittura sono necessari all'anima devota. Ricorda che colui che si appresta a comunicarsi si deve preparare con scrupolosa diligenza. Insegna che nel Sacramento l'anima devota deve tendere con tutta se stessa all'unione con Cristo. Mostra l'ardente brama del Corpo di Cristo in alcuni devoti. Addita l'umiltà e il rinnegamento di sé come mezzi per ottenere la Grazia della devozione. Invita a manifestare a Cristo le nostre manchevolezze e a chiedere la Sua Grazia. Parla di come debba essere ardente l'amore e intenso il desiderio di ricevere Cristo. Chiude ammonendo l'uomo, perché non indaghi con animo curioso intorno al Sacramento e si faccia umile imitatore di Cristo e sottometta i suoi sensi alla Fede. IL PERCORSO ASCETICO DELLA TRILOGIA DI JOSE'MARIA ESCRIVA' DE BALAGUER Tra i libri di ascetica più letti oggi e più adatti ad ogni condizione vi sono i tre libretti di San Josè Maria Escrivà de Balaguer (1902-1975), Cammino, Solco e Forgia. Essi s leggono e si meditano con calma, nell'orazione personale. "Leggi adagio questi consigli. Medita con calma queste considerazioni. Sono cose che ti dico all’orecchio, in confidenza d’amico, di fratello, di padre. E queste confidenze le ascolta Dio". Così l’autore introduce Cammino, il suo libro più popolare. Il primo, perché sebbene pubblicato con questo titolo nel 1939, era un rifacimento del precedente Considerazioni spirituali. Novecentonovantanove spunti di meditazione – il numero è dettato dalla devozione dell’autore alla Santissima Trinità – "per far emergere qualche pensiero che ti colpisca; così migliorerai la tua vita, ti avvierai per cammini d’orazione e d’Amore, e diverrai finalmente un’anima di criterio". Pensieri che spaziano in tutti gli aspetti della vita cristiana di chi vuole essere e comportarsi da figlio di Dio in mezzo al mondo. "La maggior parte di questo libro l’ho scritta nel 1934, cercando di sintetizzare la mia esperienza sacerdotale per utilità delle anime di cui avevo cura, fossero o no dell’Opus Dei. Non è un’opera riservata ai membri dell’Opus Dei: è stata scritta per tutti, anche per i non cristiani. Cammino va letto con un minimo di spirito soprannaturale, di vita interiore e di impegno apostolico. Non è un codice per l’uomo di azione. Vuole essere un libro che induca a entrare in rapporto con Dio e ad amarlo, e a servire tutti gli uomini". Cammino è un vero long seller della letteratura spirituale e può esser considerato un classico. Ha venduto quattro milioni e mezzo di copie nelle varie edizioni in quarantaquattro lingue. In un crescendo, il Santo fornisce meditazioni sui seguenti temi, messi in connessione progressiva: il carattere, la direzione spirituale, l'orazione, la santa purezza, il cuore, la mortificazione, la penitenza, l'esame, i propositi, gli scrupoli, la presenza di Dio, la vita soprannaturale, la vita interiore, la tiepidezza, lo studio, la formazione, il piano della santità, l'amor di Dio, la carità, i mezzi, la Vergine, la Chiesa, la Santa Messa, la Comunione dei Santi, le devozioni, la Fede, l'umiltà, l'obbedienza, la povertà, la discrezione, l'allegria, altre virtù, la tribolazione, la lotta interiore, i Novissimi, la volontà di Dio, la gloria di Dio, il proselitismo, le cose piccole, la tattica, l'Infanzia spirituale, la vita d'infanzia, la chiamata, l'apostolo, l'apostolato, la perseveranza. Nel 1950, nella nota a un’edizione di Cammino, San Josemaría prometteva al lettore un altro libro intitolato Solco. In realtà uscì postumo nel 1986, benché l’autore fosse stato più volte sul punto di darlo alla stampa. L’intenso lavoro gli impedì sempre di fare l’ultima revisione del testo. Anche Solco si snoda in brevi pensieri per la meditazione e anch’esso è frutto della vita interiore. Ma si concentra su una tematica particolare:"Consentimi, lettore amico, di prendere la tua anima e di farle contemplare virtù umane: la Grazia opera sulla natura". Era questa un’idea cara a San Josemaría: nell’organismo soprannaturale i doni della grazia poggiano sulla natura, le virtù infuse su quelle naturali o umane. Le qualità umane, in altre parole, sono indispensabili per poter agire bene sul piano soprannaturale. E sono queste che il libro prende in considerazione nei suoi mille pensieri. A oggi sono state vendute mezzo milione di copie in diciannove lingue. Anche qui, sinfonicamente, abbiamo una meditazione progressiva sui seguenti temi: generosità, rispetto umano, allegria, audacia, lotte, pescatori di uomini, sofferenza, umiltà, cittadinanza, sincerità, lealtà, disciplina, personalità, orazione, lavoro, frivolezza, naturalezza, veracità, ambizione, ipocrisia, vita interiore, superbia, amicizia, volontà, cuore, purezza, pace, Aldilà, la lingua, propaganda, responsabilità, penitenza. A completare la trilogia di libri particolarmente adatti all’orazione personale, nel 1987 uscì la terza raccolta di annotazioni spirituali di San Josemaría. Qui i passi sono millecinquantacinque, divisi in tredici capitoli prevalentemente incentrati sul progressivo itinerario della vita interiore verso l’identificazione con Cristo. La chiave di lettura la dà il bel prologo dell’autore: "Quella madre, – santamente appassionata, come tutte le madri – il suo bambino lo chiamava il suo principe, il suo re, il suo tesoro, il suo sole. Io pensai a te. E compresi – quale padre non ha nelle viscere qualcosa di materno? – che non era esagerazione ciò che diceva quella madre buona: Tu… sei più di un tesoro, vali più del sole: tutto il Sangue di Cristo! Come non prendere la tua anima – oro puro – per metterlo nella forgia, e lavorarla col fuoco e col martello, fino a fare di quest’oro nativo uno splendido gioiello da offrire al mio Dio, al tuo Dio?". Anche di questo libro gli esemplari venduti sono oltre quattrocentomila in quattordici lingue. Qui l'itinerario procede, sempre dal basso all'alto, sui seguenti temi: folgorazioni, lotta, sconfitta, pessimismo, “tu puoi”, lottare ancora, risorgere, vittoria, lavoro, crogiolo, selezione, fecondità, eternità. Theorèin - Luglio 2012 |