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VIVIT VERO IN ME CHRISTUS
“Io e il Padre Mio verremo a lui
(Nostro Signore Gesù Cristo) “In verità in me vive Cristo” (San Paolo) La teologia mistica è il punto più elevato della vita spirituale e quindi si connette direttamente all'ascetica e tramite essa alla morale. Sebbene la mistica sia piena di concetti e di situazioni in cui Dio stesso opera e in modo straordinario – situazioni e concetti a loro volta strettamente legati alla dogmatica e alla teologia della preghiera - essa mantiene un nucleo etico che peraltro mostra al meglio le caratteristiche della morale cristiana, ossia la soprannaturalità delle sue cause, dei suoi mezzi e dei suoi fini; la centralità dell'azione divina nell'anima umana; la carità come essenza sua propria. Queste caratteristiche, unite alla connessione con le altre branche della teologia che, appunto, qui si vedono meglio che altrove, ma che pure esistono con la teologia morale e ascetica, fanno sì che al termine di una esposizione sull'etica si possa agevolmente collocare qualche appunto di teologia mistica. LA VIA UNITIVA La terza via da percorrere per il cammino della perfezione è la via unitiva, riservata ai perfetti, a chi cioè si è purificato nello spirito e si è rassodato nella pratica delle virtù; essa è oggetto della teologia mistica. Il fine della via unitiva è l'intima e abituale unione con Dio per mezzo di Gesù Cristo. I suoi caratteri distintivi sono una vita costantemente vissuta alla presenza di Dio, contemplato nell'intimo del cuore, in un totale distacco dalle creature, in solitudine e in silenzio almeno desiderati quando non fruiti, così da creare dentro di sé una intima cella dove rinvenire il Signore; la pratica dell'amore di Dio come unica virtù che muove e motiva a tutte le altre; la scomparsa dei ragionamenti nell'orazione e la semplificazione dei suoi affetti in un prolungato e affettuoso sguardo su Dio; la semplificazione della struttura della vita, in cui la preghiera è pressoché continua. Tale vita conviene a chi ha raggiunto un certo livello spirituale, ossia a chi ha tale purità di cuore da avere orrore per il peccato veniale deliberato e per la resistenza alla Grazia fatta volontariamente; a chi ha padronanza di sé nell'esercizio del dominio delle passioni e della pratica di virtù, per cui può darsi a Dio completamente; a chi ha ormai l'abituale bisogno di pensare a Dio qualunque cosa faccia. Nella via unitiva la contemplazione è fondamentale. Essa è un atto di vista intellettuale semplice astratto da elementi affettivi e immaginativi; se l'oggetto è di per sé amabile e bello suscita ammirazione ed amore. Tale cosa avviene ovviamente nella contemplazione divina in grado sommo. L'orazione di contemplazione – diversa da quella discorsiva degli incipienti e da quella affettiva dei proficienti- è sotto il predominio dello sguardo contemplativo, se non per tutta la sua durata almeno frequentemente. Gli affetti in essa sono semplificati, come dicevamo, perché non esigono molteplici atti come nell'orazione affettiva dei proficienti, in quanto l'amore riunifica tutti gli altri atti nel suo proprio ed è posto in modo stabile. Mancano da essa anche i ragionamenti dell'orazione discorsiva perché superflui in quanto non necessari per istradarsi e motivarsi nell'amore. Essa è perciò una vista semplice ed affettuosa delle cose divine o di Dio stesso. Vi sono tre specie di contemplazione: la acquisita, la infusa e la mista. La contemplazione acquisita è quella in cui la semplificazione degli atti intellettuali ed affettivi è il frutto della nostra attività aiutata dalla Grazia e spesso dall'azione latente dei doni dello Spirito Santo. La contemplazione infusa è quella in cui la semplificazione degli atti risulta dall'azione di una Grazia speciale che si impossessa di noi e che ci fa ricevere lumi ed affetti mediante cui Dio opera in noi col nostro consenso. La contemplazione mista è quella in cui gli atti dell'una e dell'altra si alternano. Nella via unitiva distinguiamo due fasi: la unitiva semplice o attiva e la unitiva passiva o mistica. L'unitiva semplice è la fase in cui si coltivano i doni dello Spirito Santo e in cui si semplifica l'orazione. L'unitiva passiva è la fase in cui invece si ha la contemplazione infusa, di cui si è detto. Ad essa spesso si associano fenomeni straordinari. La via unitiva semplice ha invece la contemplazione acquisita, detta anche orazione di semplicità; in essa si coltivano i Doni dello Spirito Santo (Sapienza Intelletto Consiglio Scienza Fortezza Pietà e Timore di Dio). Essi sono molto diversi dalle virtù, perché ci danno la capacità di ricevere e seguire gli impulsi della Grazia operante, per divina ispirazione; pertanto sono più perfetti di esse. Sono abiti o predisposizioni soprannaturali che danno alle facoltà la docilità di obbedire prontamente all'ispirazione della Grazia. Tale recettività va ovviamente coltivata ed entra in esercizio quando Dio ci dà la Grazia operante in tal senso. La coltivazione dei Doni implica altresì uno sviluppo progressivo, compiuto mediante la pratica delle virtù morali, la lotta con lo spirito del mondo, il raccoglimento interiore con un frequente pensiero di Dio, l'abitudine a seguire prontamente e generosamente l'ispirazione divina, la fiduciosa invocazione rivolta al Signore. I Doni si dividono in intellettuali ed affettivi. I primi sono Scienza, Intelletto, Sapienza e Consiglio; i secondi tutti gli altri. I primi tre intellettuali producono contemplazione. Il più perfetto è la Sapienza, il meno perfetto è il Timore di Dio. Ai Doni si connettono i Frutti dello Spirito Santo, le Beatitudini evangeliche – che vi corrispondono e li realizzano – e le cosiddette Grazie gratisdatae, di cui diremo. Tornando all'orazione di semplicità, diremo che essa implica gratitudine ed amore; come dicevamo, i ragionamenti in essa diminuiscono fino a scomparire; le convinzioni sono ormai tanto radicate da produrre gli affetti; la riflessione è sostituita da uno sguardo intuitivo dell'intelletto; gli affetti si riducono e si concentrano su uno solo, egemone, che può essere ad esempio l'amore per il Crocifisso o quello per l'Eucarestia, ecc. Tale semplificazione si estende a tutta la vita e la riunifica nella glorificazione continua di Dio fatta attraverso tutte le cose. I vantaggi di tale orazione sono molteplici: Dio è appunto glorificato, meritoriamente e debitamente, in tutto il giorno; l'anima è meglio santificata; il distacco dal mondo perfezionato; l'umiltà è più semplice. Coloro che sono chiamati a tale orazione sono ormai afflitti da un certo disgusto per l'orazione discorsiva e sono desiderosi di semplificare l'orazione stessa. Nell'orazione di semplicità non vi è un metodo – come l'ignaziano o quello sulpiziano per la discorsiva – perché è costituita dal guardare e dall'amare, magari fissando un'immagine, rappresentandosi delle scene, leggendo adagio la Bibbia, facendo atti motivati d'amore o anche semplici atti di volontà mediante cui si vuole rimanere nell'amore durante la preghiera. Questa orazione di contemplazione acquisita è tale almeno all'inizio, mentre predispone a quella infusa, in cui a volte sfocia e si trasforma. La contemplazione infusa è una vista semplice ed intuitiva di Dio e delle cose che Lo riguardano. Essa procede dall'amore e tende ad esso. Dio qui esercita il ruolo principale, chiamando gratuitamente l'anima alla contemplazione, scegliendo momento, modo e durata di essa, operando sull'apice o cima dell'anima -detta anche centro di essa o intimo fondo – e producendovi conoscenza e amore. La conoscenza così prodotta può essere per affermazione o per negazione. L'una è distinta, oscura, sperimentale e causata o attirando attenzione su qualcosa di noto che ora assume un nuovo significato o facendo dedurre qualcosa di nuovo da quanto noto o ancora producendo in noi specie infuse che rappresentano brevemente la visione beatifica, come avvenne a Mosè, Elia e alla Vergine Maria. L'altra ci mostra la trascendenza di Dio facendoci vedere tutto ciò che Lui non è e mostrandoci così il Suo Mistero: è questa l'intuizione negativa che ci porta nella cosiddetta tenebra divina (così chiamata proprio per la sua incomprensibilità) dove Dio risiede. Nella contemplazione infusa Dio accende nell'anima un amore ineffabile, inebriante, assoluto. L'anima si lascia prendere e muovere liberamente, per cui agisce meritoriamente; è tuttavia passiva perché le facoltà non sono più pienamente attive e anzi sono progressivamente inibite, fino ad un apice detto appunto legamento delle potenze, caratteristico, tra le altre cose, delle estasi. L'operazione dell'anima sta dunque nel guardare e amare Dio, nel farsi rapire da Lui e nel compiere atti corrispondenti almeno impliciti. Dio quindi opera attivamente, come Cio Che è, ossia la Realtà Vivente, afferrata per conoscenza sperimentale. In tale contemplazione l'anima può capire e amare (contemplazione cherubica) o amare più di quanto capisca (contemplazione serafica). Nella contemplazione vi sono insieme gaudio e angoscia; quest'ultima causata dal fatto che Dio non è posseduto completamente. Ciò è di per sé inesprimibile. L'anima è infatti in quella tenebra divina a cui accennavamo, in cui “vede” Dio senza “sapere” realmente Chi Egli sia. Non sa esprimere il suo amore né descriverlo. Da qui la rarefazione degli scritti di certi mistici. Ad essi tuttavia, per la pratica di tale contemplazione, toccano enormi vantaggi: una glorificazione di Dio ancora più perfetta della contemplazione acquisita; una santificazione dell'anima ancora più profonda; un amore di Dio consumato in Lui e per Lui, proveniente direttamente da Lui; una conseguente pratica ancor più perfetta delle virtù, specie dell'umiltà e della conformità al Divino Volere; una conoscenza divina santificatrice e non solo intellettuale. Dio chiama a questa contemplazione infusa chi vuole, ma ordinariamente sceglie anime rodate nella virtù e giunte alla contemplazione acquisita, così purificatesi, o anime innocenti, generalmente di bambini. Tutti possiamo desiderare la contemplazione infusa, purchè non per vanità ma in subordine alla nostra santificazione, con umiltà e con sottomissione ai decreti divini. Nella contemplazione infusa distinguiamo in genere diverse fasi, secondo la classificazione fatta da Santa Teresa d'Avila (1515-1582) e da San Giovanni della Croce (1542-1591), che sono: l'orazione di quiete, arida e soave; l'unione piena; l'unione estatica, soave e penosa; l'unione trasformativa o matrimonio spirituale. L'orazione di quiete si ha quando Dio si impossessa dell'anima nel suo apice, lasciando liberi i sensi e le facoltà inferiori dell'anima stessa. Generalmente dapprima è arida, perché contraddistinta da prove passive che purificano l'anima. In essa la contemplazione è appunto infusa, ma in modo oscuro e segreto, direi inconsapevole per il soggetto contemplante, togliendogli il gusto della meditazione discorsiva e dell'orazione affettiva, così da introdurlo alla preghiera in modo faticoso, a dispetto del desiderio forte che esso sente di Dio. E' quella esperienza chiamata notte dei sensi. In essa spesso il mistico è molto tentato, perseguitato, provato anche da agenti esterni. Questa orazione accresce la conoscenza di Dio e di sé, libera dalle forme spirituali dei vizi capitali, dà qualche consolazione interiore. Esige tuttavia una disposizione di abbandono a Dio. La fase dell'orazione di quiete soave è una dolce e affettuosa immersione dell'intelletto e della volontà in Dio, prodotta da una Grazia speciale dello Spirito Santo. E' perciò foriera di raccoglimento indotto o passivo, che è in sé fase propedeutica alla quiete propriamente detta, a sua volta orazione soprannaturale non interamente passiva che avviene nella parte superiore dell'anima, facendole sentire e gustare Dio, presente in lei. L'orazione e i gusti divini sono dunque infusi, ma l'uomo corrispondendovi vi ha i meriti e i contenti. Tale quiete può essere silenziosa, orante e operosa. In quest'ultimo stato, unendo la contemplazione e l'azione, essa dura molto, mentre nelle altre forme è per forza più breve. Una fase ulteriore è quella del sonno delle potenze, dove l'intelletto è afferrato da Dio, che lascia libere la fantasia e la memoria. In tutto ciò è indispensabile un umile abbandono. L'orazione di unione piena, detta anche unione piena o semplice delle facoltà interne, è infatti una intimissima unione dell'anima con Dio accompagnata dalla sospensione di tutte le facoltà o potenze interne e la certezza che Dio è nell'anima. Nel corso di essa non vi sono né distrazione né stanchezza, ma grande letizia, zelo, distacco dalle creature, sottomissione a Dio, carità intensa per il prossimo. L'unione estatica è detta anche fidanzamento spirituale per l'intimità che si crea tra Dio e l'anima, in quanto questa si unisce a Lui uscendo da se stessa. Essa può essere soave o dolorosa. L'unione estatica soave è costituita dall'assorbimento dell'anima in Dio e dalla sospensione dei sensi. L'uno viene dall'ammirazione e dall'amore di Dio stesso; l'altra, per quanto concerne i sensi esterni, è conseguente ed avviene progressivamente, partendo dall'insensibilità fino ad arrivare all'immobilità – per cui l'estatico non solo non patisce dolore alcuno né può essere distolto dalla sua esperienza metafisica, ma anche non può essere in alcun modo spostato- anche se alcune volte è intera e altre è incompleta – per cui l'estatico può per esempio dettare le esperienze che va facendo. Nell'unione estatica sono sospesi anche i sensi interni, in misura maggiore di qualunque altra fase della via unitiva. Naturalmente l'uomo rimane libero, e in virtù di ciò corrisponde, inevitabilmente, a ciò che Dio gli comunica nell'estasi soave. Se essa è intera, dura al massimo una mezz'ora, se invece è incompleta può durare anche più giorni. Il risveglio può essere spontaneo o provocato, attraverso un ordine impartito da un Superiore legittimo. L'unione estatica soave ha tre fasi; la prima è l'estasi semplice, ossia un dolce deliquio che causa una ferita dolorosa e deliziosa; la seconda è il ratto o rapimento, in cui Dio si impossessa dell'anima con impeto e violenza; la terza è il volo dello spirito, che avviene con tanto impeto da suggerire il distacco tra anima e corpo. L'estatico inevitabilmente ha una santità di vita; diversamente, il fenomeno sarebbe sospetto. Matura un pieno distacco dalle creature, un immenso dolore dei peccati, una grande pazienza nelle prove passive (la cosiddetta purificazione d'amore), una frequente visione e affettuosa dell'Umanità di Cristo e della Beata Vergine, nonché di altre figure amiche dell'aldilà. Tra le purificazioni che toccano all'estatico vi è la trasverberazione, ossia un dardo di fuoco brandito da un personaggio celeste che trafigge l'anima che così desidera ancor più vedere Dio. L'estasi dolorosa corrisponde alla notte dello spirito, in cui avviene la purificazione e la riforma degli affetti e degli abiti spirituali non raggiunti dalla notte dei sensi, nonché l'emendazione delle imperfezioni attuali e il superamento della fiacchezza. In essa l'intelletto è nelle tenebre, la volontà nell'aridità, la memoria senza ricordi, gli affetti immersi nel dolore e nell'angoscia. L'anima si sente abbandonata meritatamente (abbandono spirituale) e nei casi estremi non può occuparsi di nessuna delle sue faccende (legamento delle potenze, che non possono più agire). Quest'estasi dolorosa dà ardente amore di Dio, lume interiore di vivissima luce, sentimento di grande sicurezza interiore, mirabile forza per salire i dieci gradini dell'amore di Dio, fino a giungere all'unione trasformativa. L'unione trasformativa o matrimonio spirituale è la vetta della vita mistica, della vita morale, della vita di preghiera. I suoi caratteri sono intimità, serenità e indissolubilità. Non vi sono più estasi né ratti, in quanto in essa tutto è dolce e calmo. Teresa d'Avila descrive le visioni che caratterizzano l'ingresso nel talamo divino: quella immaginativa – ossia sensibile- e quella intellettuale di Gesù, indi la visione della Santissima Trinità. L'effetto di questa unione sono il santo abbandono, in cui l'anima è indifferente a qualunque cosa, purchè sia conforme al divino volere, compreso il morire, sebbene abbia il desiderio di vedere Dio; il desiderio quieto e intenso di patire; l'assenza di desideri e di pene interiori; uno zelo ardente per le anime; una motivazione d'amore in ogni cosa. Dopo di ciò, vi è solo da morire per godere la visione beatifica. Una caratteristica della via unitiva è la frequenza di fenomeni mistici straordinari di origine divina. I primi da considerare sono i fenomeni divini intellettuali. Tra di essi le più note sono le rivelazioni private. Prive di contenuti che non siano già presenti nella Rivelazione pubblica, esse avvengono con visioni, locuzioni e tocchi divini. Le visioni possono essere sensibili, se percepite nella realtà (apparizioni); immaginative, se viste solo nella mente – come nei sogni; intellettuali, se percepite nella mente senza alcuna forma sensibile. Le locuzioni o parole sovrannaturali sono manifestazioni del pensiero divino intese dai sensi esterni (locuzioni auricolari) o interni (locuzioni immaginarie o intellettuali). I tocchi divini sono deliziosi sentimenti spirituali impressi nella volontà dal contatto divino e accompagnati da viva luce intellettuale. Possono essere ordinari o sostanziali, se più profondi. Le rivelazioni private devono essere ricevute con estrema umiltà e non mai cercate. La persona che le riceve dev'essere di temperamento equilibrato, di provata moralità, di mente sana, di soda virtù, di profonda umiltà, di sincera obbedienza ai direttori spirituali, in avanzato stato di purificazione interiore o di animo innocente (come i bambini), di grado eroico di virtù (la cosiddetta estasi di vita). La rivelazione privata non deve contraddire la Fede, la morale o la decenza, né chiedere cose impossibili. Di solito il fenomeno che l'accompagna – specie visioni- produce nel mistico dapprima terrore e poi grande pace – fenomeni inversi nel caso di contraffazioni diaboliche, essendo permesso allo spirito delle tenebre di rivestirsi di ingannevoli forme di luce per provare le anime- e causa un rassodamento ulteriore di virtù. Le rivelazioni private possono essere accompagnate da segni divini. Il contenuto delle rivelazione privata non dev'essere creduto obbligatoriamente, anche se molte di esse sono state autenticate dalla Chiesa. Bisogna discernere in esse il contenuto religioso, che solo può essere approvato, e gli altri aspetti i quali, essendo attribuibili a fattori contingenti, non possono mai essere certificati. Tali fattori sono le circostanze storico-culturali in cui il veggente si trova, la sua personale formazione ed indole, le cattive interpretazioni date erroneamente del messaggio dal veggente stesso, le inconsapevoli modifiche introdotte nella dettatura e nella stesura dei testi che contengono le rivelazioni stesse, gli argomenti non religiosi introdotti nella rivelazione stessa (storici, letterari, scientifici ecc.). Infatti Dio non concede rivelazioni private se non per motivi religiosi, e ordinariamente non concernono questioni di altra natura, anche se collegati ad essi. Perciò i dati eventualmente noti in tal maniera possono essere anche veri, ma difficilmente possono essere autenticati. Un altro genere di fenomeni divini intellettuali sono le summenzionate Grazie gratisdatae o carismi. Esse donate appunto in modo assolutamente gratuito da Dio. Sono la parola della Sapienza, per cui si desumono dal dogma conclusioni che lo arricchiscono; la parola della Scienza, che spiega le verità di fede con l'ausilio delle conoscenze umane; il dono della Fede, che opera prodigi; quello delle Guarigioni; quello dei Miracoli (1); il dono della Profezia; il discernimento degli Spiriti, ossia la lettura nei cuori; il dono delle Lingue, per cui ci si esprime in idiomi sconosciuti; il dono dell'Interpretazione delle lingue stesse, spesso ignote a chi le pronunzia.Vi sono poi i fenomeni di matrice psicofisiologica. La levitazione è l'estasi ascensiva o salita estatica; a volte è un volo, altre una corsa. E' un fenomeno tecnicamente preternaturale, perché anche un Angelo o un demone possono sollevare un corpo fisico. Le irradiazioni luminose avvengono o attorno al capo come aureola o attorno a tutto il corpo. Gli effluvi sono derivati dalla cosiddetta osmogenesia: i corpi dei Santi in vita o in morte emanano odori soavi; spesso le loro reliquie trasudano oli profumati o manne odorose. L'astinenza prolungata permette ai mistici di sopravvivere senza mangiare, bere o dormire anche per decenni, spesso sostituita, nei primi due casi, dall'Eucarestia. Le stimmate e gli altri fenomeni di riproduzione parziale o totale dei segni della Passione di Cristo, sono precedute da vivi patimenti e si imprimono negli estatici; sono presenti nelle parti del corpo in cui il Signore ha patito; danno sofferenza nei momenti legati alla Passione e/o al Suo Memoriale; le piaghe che esse imprimono non suppurano e, pur non essendo profonde, danno sempre copiose emorragie; sono concesse solo a persone di altissima virtù. Spesso sono invisibili per poi palesarsi. Il primo stigmatizzato conosciuto è San Francesco d'Assisi (1181/1182-1226); il più celebre contemporaneo, che rivisse tutti i momenti della Passione (Sudorazione di Sangue, Flagellazione, Coronazione di Spine, peso della Croce, Piaghe della Spalla Destra e del Costato) quotidianamente, sia nel privato che nella Celebrazione eucaristica, è stato San Pio da Pietrelcina (1887-1968), il primo sacerdote stigmatizzato. La bilocazione è la presenza in più luoghi contemporaneamente della persona del mistico, col suo corpo fisico. Di tutti i fenomeni psicofisiologici si compie una attenta disamina scientifica, onde evitare suggestioni, plagi o inganni. Il demonio, che tenta spesso di scimmiottare Dio, è a sua volta artefice di alcuni fenomeni, detti appunto diabolici. Innanzitutto con l'inganno può adulterare alcuni doni carismatici spacciandoli per veri; indi può plagiare qualche fenomeno intellettuale o psicofisiologico; ma il suo specifico sta nell'infestazione e nell'ossessione. La prima avviene con tentazioni accompagnate da immagini, suoni, percosse o amplessi, nonché da stimolazioni della fantasia e della memoria, come delle passioni. Può essere una prova passiva per i mistici e può combattersi con l'Esorcismo privato. Rimane fermo il principio che il diavolo non può né condizionare né controllare il pensiero e la volontà. L'ossessione è la presenza del diavolo nel corpo, alternante così stati di crisi e di calma, che si manifesta con l'uso di lingue sconosciute, con la conoscenza di fatti segreti, con grande forza fisica e alcune levitazioni, nonché con l'allergia assoluta a quanto è sacro. Un test significativo è l'uso di oggetti sacri su soggetti ignari della loro natura, come l'aspersione di acqua santa in piccola quantità alle spalle del presunto ossesso, per vedere come reagisce. Se questi mostra intolleranza, è un chiaro segno della presenza del nemico. Ordinariamente l'ossesso diviene tale per la pericolosa frequenza a riti occulti o per una particolare malvagità. Rimedi all'ossessione sono la Confessione, la Comunione, l'uso dei Sacramentali, quello del Crocifisso, la pratica dell'Esorcismo compiuta dal sacerdote autorizzato e secondo il Rituale. A margine della teologia mistica, va annotato che alcune questioni dottrinali ad essa connesse sono irrisolte. La prima è la natura della conoscenza contemplativa, se immediata o mediata, ossia attraverso specie create. I più optano per la seconda ipotesi. La seconda è se la vocazione alla contemplazione infusa sia universale per tutti i battezzati, sia pure in modo remoto e generale, e di per sé sufficiente per giungervi, se nello stato di Grazia. La maggioranza dei teologi afferma che sia così, ma è un dato di fatto che molte anime elette non vi arrivano mai. La terza è la questione se la contemplazione sia parte della via illuminativa o di quella unitiva. Di solito la si inserisce, come si è visto, nella unitiva. E' bene poi collegare la propria vita ascetica e mistica al ciclo liturgico, collegandosi così al Grande Mistero. LA CROCE DI GESU' E LE NOSTRE CROCI NELLA TEOLOGIA MISTICA Gesù è la fonte della Grazia ed è principio di Croce. L'una ce l'ha meritata tramite l'altra, per cui la prima la conferisce per renderci simili a Lui e la seconda ci spinge a portarla, anzi ce la porge, proprio perché la somiglianza sia perfetta. E' infatti la Grazia di Cristo che produce la sussistenza del Suo Corpo Mistico, per cui, in esso, le Anime sante sono una sola Persona con Lui e hanno uguaglianza di condizione. Ora, l'Anima di Cristo, in virtù della pienezza della Sua Grazia, ha una fortissima ed invincibile inclinazione a quella Croce che abbracciò per la Salvezza del Mondo e la ha in ragione del fatto di essere Capo del Corpo Mistico, ossia Nuovo Adamo e principio di rinnovamento e riunificazione del genere umano. Cristo, per la conoscenza che ebbe sempre delle circostanze in cui sarebbe morto, ebbe per tutta la Sua Vita un principio di Croce. La stessa carità che lo spingeva alla Croce fu per Lui causa di tristezza, trovando in tale stato d'animo una modalità di realizzare l'azione redentrice. Essa fu più forte di qualsiasi altra inclinazione naturale e sovrannaturale che l'Anima del Redentore potesse subire, compresa l'inclinazione alla Gloria. Nel corso della Sua Passione il Redentore, Che solo aveva il potere di dare la Sua Vita, senza che alcuno potesse sottrargliela, allungò i tormenti e dilazionò il momento della Morte proprio per soddisfare la Sua inclinazione alla Croce intesa come volontà salvifica, soffrendo così oltre ogni rigore di giustizia e ogni necessario. Tale inclinazione non si soddisfa dunque nella Passione e nella Morte, è ancora presente in Cristo e fa sì che le Anime sante siano inclinate a soffrire proprio per completare quanto manca alla Passione del Redentore non solo a vantaggio proprio, ma di tutta la Chiesa, in particolare dei peccatori. Le Anime sante sono dunque principiate alla Croce da Cristo, in proporzione alla Grazia. Esse ricevono un amore separante, che appunto come quello di Cristo le separa da tutto per far sì che si immolino con Lui. Tale amore separante nel Cristo fu tale da separarlo persino dal Padre mediante la sospensione dell'Unione di Protezione che avvenne in Croce e che lo spinse a gridare: Eloì Eloì lemà sabactàni? Egli gustò tale dolore per la Gloria del Padre e il nostro bene, e perciò fu glorificato. Dopo di Cristo, solo la Vergine ha sofferto più di ogni altra creatura. Fu la prima ad avere l'amore separante, con una Croce proporzionata alla grandezza della dignità di Madre di Dio, esplicantesi in tanti dolori conformi al Suo amore materno illimitato, causati da Gesù stesso Che vide soffrire, privi di consolazione ai piedi della Croce e causa di Croce per lo stesso Gesù Che sapeva che la Madre soffriva per Lui. La stessa Resurrezione, separando definitivamente il Figlio dalla Madre in questo mondo, fu per la Vergine Beata principio beatificante di Croce, perfezionato dal momento dell'Ascensione. Alla luce di ciò appare evidente che Dio si comunica alle Anime sia tramite le consolazioni che tramite le desolazioni. Queste sono più amare dopo le consolazioni, che nascono dal desiderio insaziabile dell'Amore di Dio, dalla contemplazione delle Sue perfezioni, dai languori del Suo Amore, dall'Eucarestia e dalla trasformazione d'amore e dalla conoscenza di esso oltre ogni conoscenza. Le desolazioni invece sono, tra le altre, le croci spirutuali o interiori, ossia pesantezze, aridità, scrupoli, pusillanimità, la fine dell'esperienza sensibile della Grazia, la ribellione della natura, il disordine delle facoltà umane, l'abbandono generale ed universale, l'ignoranza della propria virtù e perfezione, lo stesso pensiero di Dio che diviene tormento per l'anima. Le croci spirituali sono tremende, alcune dette addirittura orrende, ma sono più perfette e utili delle consolazioni nel perfezionamento interiore. Le Anime infatti che abusano delle consolazioni sono insolenti, quelle che vi si attaccano sono deboli, quelli che le usano male sono incostanti, quelle che non ne traggono frutto sono rovinate. Invece, private delle consolazioni, le Anime purificano le loro intenzioni, giungono alla povertà di spirito, purificano la memoria e l'intelletto, perfezionano la volontà e l'amore. APPROFONDIMENTO: SISTEMI MISTICO-ASCETICI SPECULATIVI DEL MEDIOEVO Prenderemo a scopo esemplificativo in considerazione alcune figure. La prima che più di tutte ci serve per divinare lo spirito dei tempi propri è quella di San Bernardo di Chiaravalle (1092-1153), la cui personalità mistica fu prepotentemente spinta ad operare tra i suoi contemporanei. Lo stesso slancio che profuse nella predicazione della Seconda Crociata lo adoperò nella diffusione della sua dottrina dell’amore mistico, assai utile anche per comprendere la spiritualità dei milites pro Christo nella predicazione bernardiana. Tale filone teologico ha avuto un grande sviluppo nei secoli successivi. Egli, interpretando alla lettera il grido apostolico che non voleva si conoscesse altro al di fuori del Cristo Crocifisso, si lanciò contemporaneamente in una campagna antidialettica che, se da un lato è il naturale completamento della sua battaglia antiereticale dall’altro fu tuttavia una battaglia di retroguardia che, meno male, non potè impedire la diffusione della grande cultura scolastica nel Medioevo latino. Il primo tema che ci suggestiona in Bernardo è l’elogio dell’umiltà: ad essa egli eleva un monumento alto come le guglie delle cattedrali gotiche di cui propugnava l’elevazione in tutta Europa. Era infatti l’unica ragione per cui il cistercense credeva che valesse la pena innalzarsi. Infatti solo nell’abbassamento dell’humilitas si diviene uguali a Cristo. Un metodo democratico, alla portata di tutti, che però seleziona una nuova aristocrazia dello spirito, nata dalla dura ascesa dei gradini di questa virtù, che sono ben dodici, come già insegnava Benedetto da Norcia. Solo l’uomo veramente umile scopre la verità, che è riconoscere la propria miseria, e solo essa ci fa compatire il prossimo nelle sue mancanze e genera la carità per esso. E la carità apre l’anima al pentimento e alla purificazione. Così, libera dalle cose del mondo, l’anima cristiana, ovunque si trovi, può elevarsi alla contemplazione, fino all’estasi, che la fa perdere in Dio, quasi deificandola. In questa ineffabile dottrina Bernardo sublima la sensualità propria di tutti i mistici, accendendo una fiamma viva d’amore che arderà in letteratura fino all’opera omonima di Giovanni della Croce. Infatti, la fenomenologia psichica di tale ascesi è identica a quella di una passione amorosa, e il Dottore ne è perfettamente consapevole, specie quando attribuisce la felix unio all’amore, inteso come impetuosa, virile ed irresistibile volizione. E come tutti i grandi amori esso è un tormento, destinato a placarsi solo nell’eternità, e non può essere comunicato, in quanto la piena del cuore forza, fino a divellerla, la porta del linguaggio. Al servizio di questa elaboratissima mistica Bernardo, che era antidialettico ma non antiretorico, mise il suo stile elegantissimo, degno del rinnovato fervore umanistico della sua epoca, e l’arsenale inesauribile delle sue esperienze parapsicologiche. Lungi tuttavia dal credersi degno delle sue estasi, Bernardo giustifica teologicamente questo fenomeno, partendo addirittura dalla Creazione come atto di amore libero, in cui Dio fa l’uomo a sua immagine, perché libero nell’arbitrio. La volontà umana è una scintilla dell’amore di Dio, e l’uomo ama il Signore naturaliter. Amato da Dio, l’uomo può e deve amarsi, e questo amore coordinato, dell’uomo verso Dio che si ama da sé, e verso se stesso amato da Dio, è la vera unione con Lui. Tale unione è infranta dal peccato, che è l’amore di qualcosa oltre il volere di Dio, non per Lui. L’uomo si rende dissimile da Dio. Ma questi continua ad amarlo, e con il Cristo Redentore lo rimette in condizione di amarLo e, in Lui, di amare ogni cosa. In quest’ottica l’uomo si rieduca all’amore continuamente per opera di Dio, maestro interiore di carità. Tutta la vita è mistica, perché divina le cose scorgendovi dietro la forza misteriosa della carità, e in essa vi è tutto il senso dell’elevazione dello spirito, che non ha bisogno di estasi o miracoli. Per questa storia d’amore coronata dal successo, l’uomo ama Dio non per la ricompensa ma per sé, e Dio, che lo riama, lo vuole in eterno accanto a sé. Tutto l’impianto giuridicizzante della vita cristiana ordinaria è ripensato magistralmente. Ed è a questo punto che l’anima, amando Dio per sé e sé stessa in Dio, può da questi essere pienamente amata, anche in senso metafisico, meritando il sublime tocco dell’estasi. Non dunque questa esperienza come frutto di una segregazione fisica dal mondo, ma come una separazione dalla propria natura corrotta. Altro genio della mistica cistercense, notevole per rigore speculativo e per introspezione psicologica, è Guglielmo di San Thierry († 1148). Spirito più filosofico di quello di Bernardo, Guglielmo dipende più di lui dalla dottrina della reminiscenza di Agostino. Dio, infatti, ha naturalmente inserito nell’uomo l’amore per Lui. Solo il peccato distoglie l’uomo da questo amore. Il monachesimo è proprio lo sforzo di ricondurre l’amore dell’uomo a Dio. Il metodo da seguire impone prima che l’anima conosca se stessa come imago Dei, nel suo pensiero stesso (mens). In essa, Dio ha lasciato la sua impronta, perché lo ricordiamo sempre. E’ la memoria, segreta, che genera la ragione; da entrambe procede la volontà. In effetti, la memoria è memoria di Dio, la ragione è lo sforzo di comprenderlo alla sua stessa luce, la volontà il conato verso di Lui. Questa generazione delle facoltà dello spirito ricalca l’eterna genesi della Trinità. Senza il peccato, sarebbero solo per Dio. Col peccato, si pervertono, e possono essere redente solo dalla grazia. Così restaurate, esse, progredendo nella conoscenza d’amore, rendono l’anima sempre più uguale a Dio stesso. Essere immagine di Lui implica infatti la conoscenza di Lui. Il secondo focolare della mistica speculativa del XII sec. è l’abbazia parigina dei canonici agostiniani di San Vittore. Il Beato Ugo di San Vittore (1096-1141), sassone, a differenza della scuola cistercense, volge consapevolmente in contemplazione tutto lo scibile che riesce a ottenere. Consapevole dell’ampliamento delle frontiere cognitive della sua epoca, e della esplosione delle forme classificatorie tradizionali del sapere, si sforza lui stesso di elaborare una nuova forma di enciclopedismo che superi, integrandolo, il sistema del trivio e del quadrivio, ma ribadisca con forza la supremazia della teologia, culminante nella sistematizzazione della mistica. In questo senso l’enciclopedismo medievale, degno di essere affiancato a quello ellenistico e a quello illuminista per vastità d’intenti e solidità di risultati – sia pure in proporzione alle diverse epoche – trova una delle sue ragioni d’essere proprio nel misticismo, ansioso di alimentare la propria conoscenza di Dio attraverso la riconversione religiosa dello stesso sapere profano. Il De Sacramentis di Ugo è infatti una vera enciclopedia. La complessa organizzazione delle scienze del Vittorino è avviata dalla constatazione che il sapere è sempre utile per l’amore – in quanto oggetto d’amore è Colui che fece ogni cosa – e conclusa dalla sua mistica. Essa cerca d’interpretare in senso allegorico il messaggio spirituale insito in ogni cosa. L’anima riconosce in esso come l’orma che Dio ha lasciato nel cosmo, in attesa di vederlo in Cielo. Per ora essa sta ritirata in se stessa, come Noè nell’Arca, lasciandosi scivolare sul mare del mondo, ostile ed insidioso. La decodificazione del senso delle cose avviene in ordine alla Creazione e alla Redenzione; la prima è esplorata dalle scienze profane, l’altra da quelle sacre. Gli ambiti sono dunque significativamente e modernamente complementari ma separati. Non a caso Ugo accetta di leggere la Bibbia secondo l’allegorismo agostiniano, rifiutando ogni fondamentalismo e anticipando Galilei, senza che la Chiesa dei suoi tempi avesse laceranti crisi di coscienza. Inoltre il Vittorino, precorrendo in questo lo spirito di altri filosofi futuri, coonesta il proprio misticismo epistemologico con una matrice esistenziale, proponendo una efficace e suggestiva dottrina del Cogito. Non possiamo ignorare di esistere, né di essere al di là del nostro stesso corpo; la consapevolezza di non essere sempre esistiti e di non poter essere causa di sé, ci spinge a scoprire Dio come fondatore del nostro stesso esistere. E’ lo schema delle Meditazioni metafisiche di Cartesio, senza la tortuosa cerebralità del dubbio iperbolico, e senza l’affannosa deduzione dell’esistenza di Dio tramite prove astruse. Ugo aggancia l’esistenza di Dio a quella di ognuno, prova la necessità di Dio in relazione alla vita del singolo. Mai la filosofia monastica aveva dovuto tanto alla suggestione di una vita solitaria. In questo cogito esistenziale fortissime, più che in Cartesio, sono le implicazioni idealistiche, che hanno però i propri contravveleni ortodossi nella rigorosa fondazione dell’essenza individuale su quella divina. Come Cartesio, Ugo afferma risolutamente che le cose sono buone perché Dio le ha volute, e non viceversa, fondando così il suo oggettivismo naturalistico su un volontarismo metafisico. Riccardo di San Vittore (†1173), discepolo e successore di Ugo nell’abbazia, più di lui indulge alla sistematizzazione della mistica, ancorandola ad una teologia speculativa che ripropone in modo serrato i ragionamenti di Anselmo di Aosta e Agostino. Sostenitore di una conoscenza di Dio che salga dall’esperienza alla ragione alla contemplazione, fino al tocco divino della visione estatica nell’oblio di sé, Riccardo suggella, nelle sue opere lo sforzo di una teologia che, invece di mortificare il sapere come faceva Bernardo, vada alla ricerca di nuove sintesi culturali. Con questi fermenti, si apre la tradizione mistica bassomedievale. Nel suo fiorire, al vertice della letteratura scolastica erudita, come rappresentante di una temperie di pensiero che è platonico-agostiniano-francescana, e alla guida dell’Ordine del Poverello d’Assisi, troviamo San Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), filosofo, teologo, letterato e cardinale. Nel quadro del suo complesso pensiero la mistica speculativa appare il vertice della riflessione, concordemente con i suoi interessi personali e con lo sforzo pastorale di adattare la santità francescana alla tradizione e ad un sistema che ne facesse uno strumento formativo. Convinto dell’accordo tra fede e ragione, Bonaventura attribuisce alla prima una più profonda guida verso Dio. Essa culmina in un itinerarium mentis che scorge dietro le cose le orme divine, facendo della vita un viaggio verso il Signore. Ciò può avvenire solo per grazia, essendosi la natura corrotta per il peccato: l’uomo deve pregare, vivere santamente, scoprire il vero, contemplare, ed elevarsi a Dio. Questi ci parla attraverso le cose, e si fa riconoscere nelle vestigia del mondo sensibile, nell’immagine di sé lasciata nell’anima e nell’unione mistica. Su queste tre tappe si innestano complessi temi filosofici, prove dell’esistenza di Dio, dottrine della conoscenza, ma la loro ispirazione rimane sempre genuinamente spirituale, con un fine ascetico molto più forte di quello tomista. All’altro capo del Medioevo, a testimonianza di una dissoluzione sempre più incalzante, altri mistici elaboreranno dottrine diverse, più intime, più ripiegate su se stesse, quando non addirittura in totale frattura con la tradizione, ardite fino all’eresia formale nel ripensare quel Dio dalla cui esperienza prendevano le mosse. Siamo ormai nel XIV sec. La mistica è categoria storico-religiosa per decodificare la crisi nella quale l’Occidente medievale si sta, insensibilmente, inoltrando. Questo balzo cronologico non deve fare credere che in mezzo non vi sia mistica, o che non sia degna di essere menzionata. Tutt’altro. Ve ne fu e a iosa. Ma non fu speculativa nel senso proprio del termine, non fu apportatrice di sistemi nuovi di pensiero. Con gli autori domenicani che andiamo, sommariamente, ad esplorare, rinasce lo sforzo innovativo della riflessione mistica, e alcune delle loro intuizioni fanno discutere ancora oggi, espresse peraltro in un tedesco che con loro raggiungeva le prime vette della sua letteratura religiosa. La prima figura è quella enigmatica, ed emblematica, di Giovanni Eckhart (1260-1327), chiamato di solito Meister Eckhart, ossia maestro Eckhart, quasi lo sia per antonomasia. Domenicano tedesco, professore a Colonia, nelle sue lezioni e nelle sue opere egli, profondo conoscitore di tutta la tradizione filosofica antecedente, riprese il pensiero neoplatonico, così come era stato formulato da Proclo, e capovolse tutte le asserzioni dei pensatori ufficiali della Chiesa. Chi si meraviglierebbe, scoprendo che Eckhart doveva essere condannato come eretico, e che solo la morte lo salvò dal verdetto avignonese di Giovanni XXII (1316-1334), promulgato postumo con la bolla In Agro Dominico? E se la sua esperienza religiosa fu senz’altro ben intenzionata, e se le sue proposizioni, prese da sole, possono risultare edificanti e addirittura ortodosse, e se anche il suo magistero fu altrettanto ben intenzionato che alcuni suoi discepoli furono i maggiori mistici del Cattolicesimo, è altrettanto vero che il suo pensiero rappresenta, nell’Ordine domenicano, quella crisi che i francescani vivevano nella controversia sulla povertà proprio in quei decenni, condannati proprio da Giovanni XXII. E tuttavia una sostanziale bontà religiosa di questi insegnamenti arditi e generosi, a tratti confusi, bisogna senz’altro ammetterla, perché tra i discepoli di Eckhart sorsero alcuni tra i maggiori maestri della mistica cristiana, profondi rinnovatori della pietà religiosa, e legati da molteplici relazioni a quella devotio moderna che, da Gerardo Groote in poi, avrebbe, tra ‘300 e ‘400, rinnovato lo spirito cattolico. Primo è Giovanni Tauler (1300-1361), autore di sermoni in cui la dottrina della favilla eckhartiana viene completamente ripensata, e consapevolmente inserita nel filone agostiniano, arricchito da suggestioni psicologiche di Alberto Magno. Il tema fondamentale è quello del fondo o vetta dell’anima, luogo di assoluta quiete, privo di rappresentazioni, in cui lo spirito, assolutamente recettivo, può elevarsi alla contemplazione mistica. Attraverso il fondo, l’anima si ricongiunge all’idea eterna che Dio aveva di lei. Questo accade per mediazione del Gemüt, ossia di una sorta di cuore pascaliano ante litteram, la cui disposizione fondamentale verso il bene o il male altro non è che l’inclinazione verso l’esterno o l’interno dell’anima. Sviluppando e assecondando l’introversione dell’anima verso il suo fondo, l’uomo riconosce in essa la presenza ammaestratrice di Dio stesso. Grande è il conforto che viene dal dialogo interiore – lo dimostrerà nelle sue opere, secoli dopo, Giovanni della Croce– ma pericoloso è il fruirne senza aver fatto una vera esperienza delle virtù cristiane, in quanto l’esaltazione potrebbe far ritenere parola del Signore ciò che non lo è. Fondamentale rimane dunque l’esemplificazione della vita cristiana sulla Passione e la Morte di Cristo, per la quale Tauler riprende gli insegnamenti del prologo dell’Itinerarium di Bonaventura. A questa vita ascetica sono chiamati tutti. Tauler ha nelle sue omelie espressioni delicate su chi, volendo lasciare il proprio lavoro per darsi tutto a Dio, viene da Questi interiormente dissuaso, perché rimanga nel suo stato a dargli gloria. Lo stesso dottore dichiara che un lavoro onesto fatto per amore di Dio vale più di mille devozioni senza amore, e afferma che avrebbe voluto fare il ciabattino, se avesse potuto. Certe forme spirituali per la santificazione dei laici, come quelle insegnate da Josè Maria Escrivà de Balaguer ai suoi discepoli dell’Opus Dei, o l’iniziativa del rosario vivente del sarto polacco Jan Tyranowsky, che larga influenza ebbe sulla formazione spirituale di papa Wojtyla, sono qui ampiamente precorse. Putroppo, i vincoli di parentela spirituale tra Tauler, la devotio moderna e la Riforma protestante causarono al dottore mistico alcuni gravi infortuni postumi, tanto che – del tutto ingiustamente – Sisto V arriverà a metterlo all’Indice, da cui poi fu saggiamente rimosso. In ogni caso, la mistica controriformistica non sarebbe stata tedesca e domenicana, ma ispanica e carmelitana. Altro discepolo di Eckhart fu il Beato Enrico Suso (1295-1366), attento agli aspetti sentimentali della devozione e grande interprete del pensiero del maestro, legato al movimento degli Amici di Dio. Mistico poeta e trovatore, riveste le sue riflessioni e le sue immagini di amore cavalleresco. Fortemente legato all’arte figurativa del suo tempo, procede per immagini intense e icastiche. Convinto come Eckhart che misticismo voglia dire distacco dalle cose e immersione in Dio, non cade tuttavia nell’equivoco panteista, sebbene abbia subito sanzioni ecclesiastiche per la sua fedeltà morale al maestro, e accentua l’identità personale e separata del Signore come partner d’amore. Il Beato Giovanni di Ruysbroeck (1293-1381), brabantino, mantiene una sua fisionomia che lo differenzia dai discepoli di Eckhart. Egli descrive, specie nella prima opera, il modo in cui Dio, prendendo l’iniziativa, attraverso la Grazia, fa innamorare di sé l’anima. I suoi doni la seducono, e lei risponde. Rispondendo, essa viene progressivamente perfezionata, ed esce verso il suo Dio, come le spose della parabola verso il loro promesso. Ispirandosi a Bernardo, Giovanni vuole che l’anima viva la sua ascesa mistica nella vita affettiva, attiva e contemplativa, e nessuna forma di esistenza risulta penalizzata, anzi ognuna è la scala che si deve salire sino a Dio. Questa ascesi implica un triplice processo di unificazione: della natura nel cuore – le potenze spirituali – delle potenze nell’intelligenza e dell’uomo tutto in Dio. Ciò implica uno sforzo volitivo costante. Dalle virtù morali si sale agli esercizi spirituali, da essi alla contemplazione e da qui, a Dio piacendo, all’unione mistica. Essa è tuttavia indescrivibile. Sviluppando un tema trattato contemporaneamente da Tauler, egli, che si ispira al neoplatonismo dello Pseudo-Dionigi, la paragona alla restituzione all’esistenza essenziale, ossia all’unificazione con l’idea che Dio ha di noi nel Verbo. Lungi dal voler avviare una disputa essenzialista, Ruysbroeck ne fu tuttavia coinvolto da Giovanni Gerson, che nella generazione successiva gli attribuì intenti filosofici che non aveva mai avuto. APPROFONDIMENTO: LA MISTICA DI TERESA D'AVILA E DI GIOVANNI DELLA CROCE Tutta l'esperienza spirituale di Teresa è tesa una pienezza dell'inabitazione trinitaria, verso una conformazione a Cristo, preludio di gloria futura. Cristo è l'obiettivo di tutto il cammino. Teresa ha esposto la sua esperienza spirituale, la sua vita di orazione, raccolta, interiore, silenziosa, contemplativa, che nasce dall'amore, cresce nella contemplazione e fiorisce nella comunione. Nasce come esigenza di vivere un rapporto personale con Dio. Cristo non è un Dio lontano ma il Dio che penetra nella storia, che nasce come un Bambino, che cresce, soffre, ama. Il mistero dell'Incarnazione è al centro di tutta l'esperienza. In questa meditazione si trova la scoperta del vero e autentico amore: separarvisi è rinunciare al vero incontro con Dio. “Quasi al termine dell'esperienza di vita spirituale iniziata con l'orazione, come più alto grado della vita contemplativa, sta l'esperienza di Dio Trinità. In una visione, le giungono queste parole: «Non cercare di chiudere me in te, ma cerca di chiudere te in me». In alcune Relazioni ella descrive la partecipazione a tale mistero come comunità perfetta di tre Persone distinte tra cui vi è uno scambio reciproco di amore e in cui vige una essenziale unità. Questa esperienza contemplante il mistero trinitario viene resa con una descrizione del Padre come fonte di luce e di amore, che la attira per arricchirla, per riversare su di lei la sua compiacenza. L'esperienza dell'inabitazione trinitaria infonde pace e serenità, preludio di quel godimento promesso nella gloria futura. Negli ultimi giorni di vita, Teresa avrà sempre più il desiderio di godere la visione di Dio come anche di servirlo ancora sulla terra” (A. Lotti). Gli scritti di Teresa sono occasionali e nascono per aiutare i confessori a comprendere le sue varie esperienze interiori oppure per aiuto alle sue monache per approfondire e comprendere la vita spirituale. Le più importanti opere sono le seguenti: il Libro della vita, autobiografia e libro di dottrina mistica; Cammino di Perfezione, in cui Teresa descrive il proprio itinerario spirituale, caratterizzato da una profonda unione con lo Sposo Gesù; Il Castello Interiore, diviso in sette mansioni, ossia stanze, dimore, la cui allegoria descrive un cammino di spiritualità (Le prime tre mansioni si riferiscono alla vita ascetica, nelle altre quattro predomina la vita mistica. Si tratta di: 1) entrare nel castello; 2) lottare; 3) subire la prova dell'amore; 4) le prime esperienze soprannaturali; 5) l'allegoria del baco da seta; 6) le estasi e il fidanzamento spirituale; 7) il matrimonio mistico); Fondazioni, che nasce da un'esperienza soprannaturale: in una visione è il Signore ad ordinarle di scrivere la storia di queste Fondazioni. Si tratta di un documento storico importante per conoscere gli inizi della riforma teresiana del Carmelo in Spagna. A tutte queste opere vanno aggiunti un grandissimo Epistolario, Relazioni spirituali preparate per i confessori, alcune Preghiere, Pensieri sull'amore di Dio e molte Poesie. Giovanni della Croce sostiene che tutto quello che esiste, in quanto creato da Dio, è buono. Attraverso le creature noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha lasciato una traccia di sé. La fede è l’unica maniera per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino. Tutto quello che Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne. Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui; di conseguenza ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva la necessità della purificazione e dello svuotamento interiore. Questa “purificazione” è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita. Il lungo e faticoso processo di purificazione esige certo lo sforzo personale, ma tutto quello che l'uomo può realmente fare è “disporsi” all'azione divina e non porle ostacoli. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l'anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall'amore divino e si rallegra completamente in esso. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione dell’anima, il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor viva descrive lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato è quello del fuoco: come esso quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e “pulisce” l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell'unione con Dio nell'eternità. L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal punto di vista della purificazione progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la memoria e la volontà. La Notte oscura descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento di Dio in questo processo di “purificazione” dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce “passiva” tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura. (Sintesi del discorso di Benedetto XVI, 16.II.2011). 1. Il miracolo è una violazione delle leggi di natura, per cui solo Dio può farlo e nessun altro, ne' la Vergine né i Santi né gli Angeli né i demoni. Il dono del miracolo fa sì che il carismatico sia il tramite mediante cui si compie tale azione, come ad esempio la guarigione subitanea da un cancro con sparizione nel nulla di cellule metastatiche, o la ricrescita di un arto o la moltiplicazione di un elemento sensibile ecc. Theorèin - Settembre 2012 |