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A cura di: Vito Sibilio
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PRIMUS INTER SANCTOS
Elementi di giosefologia devozionale

“Non ho mai chiesto una grazia a San Giuseppe
senza averla ottenuta”

(Santa Teresa di Lisieux)

Abbiamo visto quale sia la parte degli Angeli e dei Santi nella vita cristiana. Ciò rende opportuno essere anche loro devoti. In merito a ciò diremo delle devozioni più importanti, cominciando dal Primo dei Santi, Giuseppe, al cui celeste patrocinio mai si ricorre senza essere delusi.

NATURA DELLA DEVOZIONE A SAN GIUSEPPE

Essa è ben compresa attraverso le invocazioni litaniche dedicate al Gran Patriarca. San Giuseppe entra nella Storia della Salvezza perché è Vero Sposo di Maria SS. (Mt 1, 16). Ma è vero Sposo di Lei perché è Figlio e Inclita Prole di David (Mt 1, 20; Lc 2, 4), ultimo esponente della Dinastia del Re al quale Dio stesso aveva promesso di dare un erede che sarebbe stato il Messia. Il titolo davidico è adoperato dall’Angelo stesso che Giuseppe sogna quando deve decidere se assumere la Paternità di Gesù.

Giuseppe è vero Sposo, né poteva essere altrimenti. Maria SS., sebbene forse collateralmente imparentata col Casato di David, non poteva garantire la discendenza legale al Figlio Suo, perciò doveva andare in sposa ad un discendente del Re. Giuseppe, anche lui vergine per voto e partecipe dell’ideale del matrimonio verginale, era lo sposo ideale di Maria SS. Il loro matrimonio fu reale, perché realizzò lo scopo primario di ogni unione, la stabile unità dei coniugi nella vita spirituale, morale e materiale, e non mortificò il mezzo ordinario di tale unione, la vita sessuale, perché entrambi gli sposi decisero di offrire a Dio la loro castità perpetua, proteggendo l’Uno con l’Altra la loro ferma risoluzione. A tale risoluzione, evidentemente privata, Dio concesse anche il suggello di una Prole divina. Il loro connubio fu il più meraviglioso possibile: Maria SS. e san Giuseppe si scelsero prima ancora che Dio irrompesse nelle loro vite con la Nascita di Gesù; si scelsero spontaneamente e per la vocazione più alta, un matrimonio verginale. Condivisero il più alto e difficile ideale, e si amarono con una purezza, con una intensità, con una profondità, con una completezza e con una carità che, tutte insieme, danno l’amore umano, sponsale, spirituale, materiale e soprannaturale più completo e acceso che sia possibile a due esseri umani: un’unione dominata non dal desiderio (eros) ma dall’amore di condivisione gratuito (agape e carità). Per cui tale coppia fu, ad un tempo, modello sponsale e monastico, e per grazia eccezionale, verginale e feconda, nella Prole Divina concessale. I due furono veramente innamorati, e vissero la più grande, straordinaria e ardente storia d’amore di tutti i tempi. Tale amore fu figura del mistero della Chiesa, Sposa e Vergine di Cristo, evidentemente simboleggiato in Maria SS. e san Giuseppe, che capovolgono l’amore egoistico e mortifero di Adamo e Eva. Se Adamo fu traviato da Eva, Giuseppe fu santificato da Maria, ed è giustamente chiamato Custode purissimo della Vergine.

In ragione di ciò, perché Sposo di Maria SS., Sposo della Madre di Dio, san Giuseppe divenne anche Padre putativo di Cristo. Una putatività che non esclude, anzi suppone, la verità della paternità. Infatti Giuseppe fu realmente padre del Cristo in quanto Uomo, anche se in senso morale e non ontologico. In virtù di ciò, Egli entrò pienamente nell’ordine dell’Economia Ipostatica – ossia ha una stabile e reale relazione con il Verbo Incarnato e il Suo Mistero – perché esercitò una funzione ben precisa, che lo mise in relazione diretta con le Tre Auguste Persone Divine. Tale funzione è appunto quella paterna nel senso genitoriale. Lo chiamiamo spesso Nutrizio del Figlio di Dio, Aio di Gesù, Solerte Difensore di Cristo, Custode del Redentore, ma l’antichità non esitava a chiamarlo Padre di Cristo, e la stessa Vergine lo fece, nell’occasione del Ritrovamento di Gesù nel Tempio (Lc 2,48; anche 2, 22-23). Il Signore replicò dicendo che si doveva occupare delle cose del Padre Suo, sottolineando che è dalla Prima Persona Divina che Egli è generato, ma poi, al termine della vicenda, torna a Nazareth e sta sottomesso ai genitori, confermando, con la Sua condotta, la reale paternità di Giuseppe nei Suoi confronti. Giuseppe fu dunque il Capo della Sacra Famiglia, per funzione maritale e paterna.

Questa paternità non è biologica, non essendo compatibile con la Concezione verginale e con la Generazione di Spirito Santo di Gesù nel grembo della Madre Sua, ma è reale, perché è genitoriale, ossia educativa. Nato nel matrimonio casto di Maria e Giuseppe, nato senza alcun elemento sessuale, Gesù è il Nuovo Adamo, sceso dal Cielo, ma è anche la vera Prole di queste nozze verginali, alle quali si addiceva solo un Figlio concepito di Spirito Santo. Era necessario che il Nuovo Adamo, Uomo e Dio, fosse senza padre come uomo e senza madre come Dio. Inoltre una paternità umana, incompatibile con quella divina, non può peraltro mai essere verginale, in quanto la gestazione avviene fuori del corpo del maschio, esigendo la fecondazione, per cui Giuseppe non poteva in nessun modo essere padre biologico di Cristo; ma l’educazione data dal padre al figlio, che è l’essenza della paternità, fu completamente impartita dal nostro Santo a Gesù. In tutto quello in cui era necessario che Gesù Cristo fosse educato e allevato da un padre terreno, perché la Sua Umanità fosse reale e completa, Egli dipese da San Giuseppe. Questi lo curò, lo nutrì, lo protesse, gli insegnò, lo formò moralmente e spiritualmente, lo educò religiosamente, collaborando pienamente alla funzione educativa della Madre. Gesù, in quanto Uomo, ebbe dunque in Giuseppe il Suo vero padre terreno. Ma, siccome si è padre della persona del proprio figlio, anche Giuseppe fu padre della Persona del Verbo, in quanto Uomo. Egli cioè educò la Sapienza di Dio fatta Uomo. Ciò implica una santità talmente eminente, una personalità talmente equilibrata, una umanità talmente perfetta in Giuseppe, da essere inferiore solo a quella di Maria SS. e di Cristo medesimo. Il nostro Santo, sebbene concepito nella colpa originale, liberatone per i meriti del Redentore in virtù della sua fede, condusse una esistenza libera di fatto da ogni men che minima colpa e adorna di tutti i meriti. Fu lo strumento consapevole di cui Dio Padre si servì per educare il Suo Figlio fatto Uomo. Questi si compiacque di obbedirgli nella Sua crescita umana. Inoltre, siccome lo Spirito Santo, inviato dal Padre, riempiva l’Umanità di Cristo in modo assoluto e provvedeva alla Sua santificazione, secondo il beneplacito della Sua Divinità, Giuseppe fu lo strumento di cui si servì la Terza Persona della Santissima Trinità per formare pedagogicamente l’Uomo Gesù, in tutte le cose in cui gli uomini sono formati dai propri padri.

Si configura così un plesso di relazioni tra Giuseppe e le Tre Ipostasi Divine: l’Eterno Padre gli conferisce la potestà vicaria sul Figlio, Che è Suo anche in quanto Uomo, e sul Quale nessuno può comandare o esercitare influsso senza il Suo beneplacito; l’Eterno Figlio lo costituisce Suo padre genitoriale riguardo all’Umanità e vuole che il mondo lo reputi tale anche biologicamente fino alla piena rivelazione del mistero della Sua Incarnazione; l’Eterno Spirito Santo lo sceglie per istruire e santificare in modo vicario Gesù, in quanto Uomo, agendo dall’esterno dell’Ipostasi del Figlio stesso. In ragione di ciò, Giuseppe, inferiore in potestà e come modello educativo per Gesù solo alla Madre, è realmente Vicario in terra del Padre Eterno, Padre putativo dell’Eterno Figlio, Vicario in terra dell’Eterno Spirito Santo. Queste relazioni con la SS. Trinità nascono per la paternità che Giuseppe assume in quanto Sposo di Maria, ma sussistono indipendentemente da tale matrimonio, una volta avviate, e hanno come tramite immediato proprio la paternità che il Santo esercita nei confronti del Figlio di Dio, che in un certo senso parziale è anche Figlio suo.

La relazione speciale di san Giuseppe con lo Spirito Santo si estende anche a Maria SS. Costei è il Tempio vivo del Paraclito, inferiore per santità solo all’Umanità di Gesù. Giuseppe, Sposo di Maria, La custodisce e La sposa in vece dello Spirito: le nozze verginali sono un segno dell’unione strettissima tra la Madre di Dio e la Terza Persona della SS. Trinità. Perciò san Giuseppe è Vicario dello Spirito Santo anche in relazione alla potestà maritale verso Maria SS. Anzi, essendo Cristo e Maria templi vivi del Paraclito, Giuseppe è custode, è levita di entrambi: a lui sono affidati i tesori più preziosi di Dio. Egli realmente lo ha costituito Amministratore di tutti i Suoi beni. Egli è colui che nella Casa di Dio occupa il posto maggiore, il Maggiordomo della SS. Trinità. In tale ottica, egli fu il vero e naturale Capo della Sacra Famiglia, segno, simbolo e germe dell’Umanità rinnovata, della Chiesa. La sua potestà non è solo naturale, ma soprannaturale, sia perché comandò al Figlio di Dio e a Sua Madre, sia perché esercitò un influsso reale su di loro. In ragione di ciò, egli è autentico Patriarca e Patrono della Chiesa. Patriarca, perché capo dell’Umanità nuova e del Nuovo Israele, da lui scampato dalla distruzione di Erode e condotto in Egitto: fu perciò compimento profetico di Adamo, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe e dello stesso Giuseppe del Genesi, anzi ne fu la Luce, perché li illuminò in profezia. Patrono, perché continua a proteggere la Chiesa Universale come protesse Gesù e Maria, che di Essa sono il fondamento ontologico. Tale patronato si estende anche alla Chiesa espiante in Purgatorio e a quella Celeste, che gli fa corona.

La santità di Giuseppe, come ho detto, è particolarmente eminente, in ragione del compito a cui è chiamato: egli è chiamato icasticamente giusto (Mt 1, 19). E’ questo il più alto complimento che la Bibbia può fare: il Giusto per eccellenza è Cristo; i giusti dell’AT – da Abele in poi – sono Sue figure profetiche. Giuseppe diventa così figura e antecedente immediato del Figlio, il vero Giusto. Le virtù del Santo sono attestate direttamente dalla Bibbia. Perciò lo chiamiamo giustissimo, castissimo, prudentissimo, fortissimo, obbedientissimo, fedelissimo, specchio di sapienza, amante della povertà, esempio per i lavoratori, pieno di fede, speranza e carità. Le circostanze virtuose della Sua vita ne fanno il sostegno delle famiglie e la speranza degli infermi – essendo stato assistito da Gesù e Maria ! Egli è modello di ogni virtù. Nell’ombra di questa virtù – che incute un sommo terrore ai demoni, inferiore solo a quello incusso da Maria SS. – visse Gesù Cristo fino al momento della Sua manifestazione. Allora Giuseppe era appena morto, né poteva sopravviverle. Infatti Giuseppe era il Figlio di David, l’erede al trono di Giuda e Israele; solo quando lui morì tale titolo potè passare pienamente a Gesù, Che coonestò il prestigio di tale dignità con la Maestà Sua propria di Figlio di Dio, portando la famiglia del biblico Re a un fastigio che nessun uomo poteva ottenere. La Sua morte, il Suo transito sereno, confortato da Maria e Gesù, ne fanno il Patrono dei moribondi. Il glorioso Patriarca è sepolto – secondo la Tradizione – accanto alla Vergine (1). La mancata identificazione delle sue spoglie potrebbe dare adito ad una teoria teologica sulla sua fine: qualcuno ha parlato di una assunzione del patriarca, ma forse il suo corpo è stato portato in regioni sconosciute, come quello di Enoc o di Mosè. In un certo senso, Giuseppe, come Melchisedec, non è mai morto, perché la Scrittura non attesta in nessun luogo il suo decesso. Anche in questo è come gli antichi eroi dei cicli patriarcali, uomini famosi, che vedevano Dio faccia a faccia. Possiamo veramente concludere dicendo che Giuseppe è il Primo di tutti i Santi.

STORIA E FORME DELLA DEVOZIONE GIOSEFOLOGICA

Gli elementi della devozione a Giuseppe, uniti a quelli mariani, sono nella Bibbia inseriti nel discorso cristologico. Nella letteratura apocrifa essi si sviluppano specularmente a quelli mariani, con la Storia di Giuseppe il Falegname del IV sec., contraltare del Protovangelo di Giacomo, del II sec. Tuttavia nella Patristica non vi è mai una trattazione, nemmeno omiletica, incentrata direttamente sul Santo, nonostante la costante esaltazione del Suo ruolo e delle Sue virtù (2). Nonostante la devozione popolare, discreta ma presente (3), lo stesso avviene tra i Dottori medievali, sino a Pietro d’Ailly (†1420), a Giovanni Gerson (†1429) e a San Bernardino da Siena (†1444). Somme di questioni giosefologiche si hanno con Isidoro de Isolani (†1528) e altri autori minori dello stesso secolo. Solo due voci si odono nel dibattito teologico sistematico su Giuseppe nel XVII sec., quelle di Schenk e di Trombelli. In compenso, nell’età dei Lumi, la predicazione spirituale sul Santo ha campioni illustri come San Leonardo da Porto Maurizio (†1751), Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (†1787) e il Padre Giuseppe Antonio Patrignani (†1733). Bisogna attendere il XIX sec. per una fioritura della sistematica giosefologica, complementare alla trattatistica mariologica, che si prolunga nel XX sec. Nel primo ricordiamo studiosi come il Bucceroni e il Tamar, nel secondo il Lépicier e il Davis. Dal 1953 inizia una rivista teologica, i Cahiers de joséphologie.

Il culto giuseppino ha le sue radici in Palestina, dove a Nazareth esistevano, sin dal I sec., luoghi di culto costruiti rispettivamente sulla Casa di Maria e quella di Giuseppe, attestate come chiese nel VIII sec. In Egitto nasce la Storia di Giuseppe a cui ho fatto cenno. A partire dai secoli VIII-IX Giuseppe è menzionato nel Martirologio occidentale e nei Calendari orientali. Nel medioevo sorgono santuari attorno a sue reliquie (Joinville custodisce la sua cintura in Francia, portatavi dopo le ultime crociate, quelle di Luigi IX [1226-1270]; Notre Dame di Parigi, Semur, Perugia e Siena che ne conservano anelli; Firenze, che ne detiene un bastone; Roma, dove si conserva un mantello). Nel 1479 Sisto IV (1471-1484) inserisce nel Breviario e nel Messale la festa di San Giuseppe del 19 marzo. Gregorio XV (1621-1623) la rese di precetto. Urbano VIII (1623-1644) la estese a tutta la Chiesa. Il Beato Pio IX (1846-1878) proclamò San Giuseppe patrono della Chiesa Universale l’8 dicembre 1870. Il culto del Santo in effetti ha una amplificazione dal 1865, da quando si cominciano a chiedere il Patronato sulla Chiesa Universale – concesso da Papa Mastai- il culto della Protodulia e l’inserimento del nome del Santo nel Canone della Messa. Il Beato Giovanni XXIII (1958-1963) esaudì l’ultima richiesta. La Protodulia non è stata ancora formalmente riconosciuta, ma è certamente attribuibile a Giuseppe, anche perché il magistero papale ha sottolineato la sovraeminenza spirituale del Santo, con Benedetto XV (1914-1922) e il motu proprio Bonum Sane (1920), fino al Beato Giovanni Paolo II (1978-2005) con la esortazione apostolica Redemptoris Custos (1989). In genere il magistero è costante nell’esaltare la funzione di Giuseppe e ad esortare alla devozione verso di lui (Leone XIII, enc. Quamquam pluries 1889; Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI). Leone XIII (1878-1903) compose la famosa preghiera A Te o Beato Giuseppe (1889) in appendice alla citata enciclica. Il venerabile Pio XII (1939-1878) istituì la festa di San Giuseppe Lavoratore il 1 maggio per cristianizzare la giornata del lavoro internazionale. Giovanni XXIII lo proclamò patrono del Vaticano II. Se nel Post-Concilio questa devozione incontrò i problemi di tutte le devozioni, vi sono motivi per ritenerla sempre valida e la sua pratica si è rinnovata e radicata. Molti Santi, in tutte le epoche, furono particolarmente devoti del Patriarca (4).

Sebbene ovviamente minore di quello di Maria, il culto giuseppino si sostanzia anch’esso di istituti, confraternite, santuari, devozioni, consacrazioni, incoronazioni, pubblicazioni, pietà popolare, congressi, società cultuali, iconografia ecc. Una menzione particolare merita la Pia Unione del Transito di San Giuseppe, ubicata in Roma nella chiesa di San Giuseppe in Via Trionfale, voluta da San Luigi Guanella (1842-1915) sotto gli auspici di San Pio X (1903-1914), consacrata al culto del Santo e al Suffragio, vitalissima, con milioni di iscritti e centomila preti, ricca di benefici spirituali. Eventi miracolosi celebri – come la restituzione della vista ad una cieca ormai priva di pupille il 19 marzo 1959 – favorirono la devozione e la fiducia.

Le pratiche più importanti sono, oltre alle due feste liturgiche, il Mese di Marzo, approvato da Leone XIII; il giorno del Mercoledi; il Sacro Manto di preghiere da recitare per un mese, possibilmente quello a Lui consacrato; le Litanie approvate da Pio X; la Novena e il Triduo alla Solennità del 19 marzo; la preghiera A Te o Beato Giuseppe.

PRINCEPS SPIRITUUM
Elementi di teologia devozionale micaelica

“Fin dove si estendono qui i sassi,
lì sono rimessi i peccati”

(San Michele Arcangelo sul Gargano)

Dopo aver enunciato i principi della devozione al Primo dei Santi, indichiamo quelli della devozione al Primo degli Spiriti Celesti, che ogni buon cristiano deve venerare. Sarà utile seguire la falsariga delle Sue Litanie per spiegarne le prerogative.

NATURA DELLA DEVOZIONE A SAN MICHELE ARCANGELO

Chi è come Dio? Chiaramente nessuno. Il primo a porre in modo chiaro questo principio nella storia degli esseri senzienti - spiriti e uomini - fu l’Arcangelo Michele. La piena consapevolezza della radicale differenza tra Dio e le Sue creature, dello scarto ontologico tra l’Essere per Essenza- Che deve esistere per necessità -e gli esseri per analogia -che esistono per Suo volere- dell’abisso incolmabile tra la Perfezione vivente e le perfezioni limitate degli altri enti, non è stata una forma di umiliazione e frustrazione per colui che la enunciò ai suoi astanti, angeli e demoni, ma fu anzi la chiave della sua piena realizzazione. L’Arcangelo infatti, affermando con chiarezza quel concetto la cui profonda comprensione è la caratteristica stessa della sua natura, elevò la condizione creaturale al suo più alto compimento: l’umiltà glorificata. Solo la piena consapevolezza della sua nullità dinanzi a Dio permette alla creatura anzitutto di riconoscere tutto quello che ha gratuitamente ricevuto, e poi di ricevere la pienezza di tutti quegli altri doni che il Signore dà a chi ha l’umiltà di volerli ricevere. E Dio si mostra più che munificente: l’umiltà porta alla fiducia, alla fede, alla carità, alla perfezione, alla santità, alla gioia, alla gloria. Il Santo Arcangelo assunse il nome di Micael: ossia la consapevolezza dell’ineguagliabilità di Dio- che esige e ottiene la nostra sottomissione amorosa, e la ricambia con larghezza- divenne il distintivo della sua persona, l’impronta della sua identità. E ancora oggi risuona in Terra e in Cielo con amore – e agli Inferi con terrore – il nome glorioso e magniloquente di Michele, l’Arcangelo. Egli divenne perciò il Capo dell’Esercito del Signore, l’Arcistratego delle Milizie Celesti, il Duce degli Angeli: per primo e con maggior forza combattè contro i nemici di Dio, per primo vinse e ancora oggi le lotte spirituali in terra e in cielo sono sotto la sua guida.

Per tale lotta e per divina bontà la sua natura angelica si adornò di ogni pregio: la sua sottomissione a Dio fece di lui il primo modello di umiltà – superato in seguito solo da quella di Maria SS. e di Cristo stesso, Che si umiliò fino alla morte di croce – e l’esempio di mansuetudine per eccellenza- in contrasto con la riottosità satanica – destinato ad essere superato solo e ancora da Maria SS. e Gesù, nel Mistero della Redenzione e della Corredenzione. L’Arcangelo fu la prima fiamma di ardentissimo zelo, accesa dal desiderio di servire il Signore contro la propaganda diabolica tra gli Spiriti. Ancora bisognerà aspettare il Cristo – divorato dallo zelo per la Casa del Signore – e la Madre Sua per un grado più perfetto di virtù. In effetti, tutte le opere primordiali di Michele e dei suoi Angeli sono in vista e come preludio della Redenzione. Dio aveva infatti predestinato Michele a sconfiggere satana in Cielo, ma era Cristo Che doveva annientarlo in ogni luogo. Perciò l’opera arcangelica, sebbene né Michele né gli altri Spiriti avessero bisogno di essere redenti, poteva aver completamento solo in Cristo, dovendo questi liberare l’uomo caduto in balia di satana. Tale opera poteva essere compiuta solo dal Sangue di un Dio fatto Uomo. Esso solo avrebbe restaurato in tutta la Creazione la Signoria assoluta di Dio. Solo in vista di ciò era stato fatto il mondo, e la stessa santità angelica era modellata su quella perfettissima del Verbo, Che sarebbe diventato Uomo.

Il potentissimo San Michele, oltre alle mansioni proprie del suo Coro angelico e a quelle, ancor più elette, del Collegio dei Sette Spiriti Messaggeri dei quali egli fa parte – e di cui abbiamo detto – in seguito all’amore di cui fece mostra per il Signore Dio, potè assurgere al rango dei Serafini, non tanto mutando la sua natura angelica, ma bruciando lui stesso di una carità analoga a quella di quei nobilissimi Spiriti, dei quali divenne il Principe, ossia il più ardente. Perciò lo veneriamo quale sole splendidissimo di carità. Del suo amore è illuminato tutto il Paradiso. Ne vengono rischiarati tutti gli altri Spiriti, che anzi da lui la ricevono. Inoltre, sempre conformemente alla natura angelica, che trasmette la Grazia Divina di grado in grado, egli è divenuto la più chiara stella dell’ordine angelico: tutti i Cori celesti ricevono i doni tramite lui che li riceve, dopo l’Ascensione di Gesù, dalla Sua Umanità glorificata. La Gerarchia angelica trova nella persona dell’Arcangelo il suo vertice.

In aggiunta, dal momento della vittoria sul dragone, Dio stesso volle servirsi solo di Michele per gli incarichi e le missioni più delicate, gli annunci e le azioni più nobili, mettendolo alla testa del Suo Popolo Eletto – così da svolgere la funzione di Principato, che ancora gli tocca, verso gli Ebrei – per cui egli è venerato quale Ambasciatore del Signore Dio di Israele. A tale nobilissimo titolo in terra corrisponde una funzione altrettanto alta in Cielo, dove molteplici sono le mansioni che egli svolge in Nome di Dio, a vantaggio di questo mondo, del Purgatorio e del Cielo, per cui lo chiamiamo anche Assessore della SS. Trinità. In virtù di questo titolo comprendiamo e lodiamo le relazioni strette che lo legano alle Tre Divine Persone. Il Padre lo ha reso partecipe della Sua Potenza, permettendogli di rovesciare satana dall’alto dei cieli e di sprofondarlo nell’abisso – ossia di spossessarlo delle caratteristiche angeliche e di precipitarlo nel baratro dell’impurità e della dannazione, per cui il Santo anticipò il Giudizio finale sul reprobo e la sua legione, in Nome dell’Altissimo. Da ciò l’appellativo di vincitore e terrore dei demoni. Il Figlio, Verbo Eterno, lo rese partecipe della Nozione Divina, che egli infatti per primo potè scrutare in profondità, per cui si riempì di Essa, svuotandosi di sé, perché consapevole che nessuno è come Dio. Il Verbo inoltre lo fece Sua mimesi, in attesa dell’Incarnazione, quando lo mise alla testa del Suo Popolo, in attesa della Sua stessa discesa in terra e dell’innesto in Lui delle membra mistiche del Suo Corpo. Lo Spirito Santo lo riempì del Suo ardente amore di carità, non solo verso l’Essenza Trinitaria, ma anche verso tutte le creature. In questo triplice rapporto coi Divini Tre si comprende il senso profondo, etimologico del termine “Assessore”, cioè “Colui che siede accanto”. Il nostro potente Santo è stato il primo Angelo a santificarsi pienamente e compiutamente, quello che lo ha fatto più perfettamente; in ragione di ciò, a lui è stato concesso di essere sempre vicino a Dio, più di qualunque altro angelo, più di qualunque altro essere vivente.

Dal trono di gloria concessogli il Principe degli Angeli segue e compie tutte le mansioni affidategli. Molte hanno preparato quelle del Redentore, Che si assise poi alla Destra del Padre, in quanto Figlio anche secondo la Natura Umana, e quindi superiore agli Angeli e fonte di Grazia per loro anche come Uomo. Altre ancora quelle di Maria SS., che si assise alla Destra del Figlio in seno alla SS. Trinità in quanto Madre del Verbo. Infine ancora altre hanno preluso a quelle di Giuseppe, padre genitoriale del Verbo e seduto accanto alla Madre di Dio. Tutte le altre funzioni continuano tutt’ora, e Michele Arcangelo rimane e rimarrà seduto accanto a tutta la Santissima Trinità. In virtù di queste alte funzioni, egli è chiamato Mediatore delle Divine Grazie. Infatti il Santo Arcangelo - fino a quando durò l’economia salvifica provvisoria della Vecchia Legge, data per mezzo di Angeli - svolse, in testa a tutta la Milizia Celeste, una funzione mediativa. Tale mediazione angelica avveniva in vista dei meriti di Cristo, in quanto solo per essi l’uomo accedeva a Dio, sia pure tramite gli Angeli, e solo per essi gli Angeli, a Nome di Dio, potevano contattare gli uomini. Quando poi il Cristo redense l’uomo e divenne Lui Mediatore Universale e Unico, cominciò a suscitare mediazioni subordinate. Tra di esse, sotto quella Universale della Madre Sua, vi è anche quella di Michele, che conservò le sue funzioni strumentali anche nella Nuova Alleanza, estendendo a tutto il Popolo cristiano il potente suo patrocinio. L’Arcangelo intercede attivamente per tutti noi e in tutti i campi della sua vasta azione applica, secondo i voleri di Cristo e poi di Maria SS., le grazie ottenute. Non saremmo lontani dal vero nel dire che Michele, Ministro della Divina Clemenza, abbia parte attiva in ogni azione di grazia svolta nei confronti di tutti noi, anche quando sia ottenuta da meriti più alti dei suoi, per riguardo alla sua antica mediazione angelica precristiana.

In ragione di ciò, nella Gerarchia della Santità, dopo il Cristo Uomo Dio, vi è Sua Madre, e dopo Lei vi sono Giuseppe, su tutti i Santi, e Michele, su tutti gli Angeli. San Michele è infatti il più Santo degli Angeli e il più Santo delle creature ad eccezione di quelle che ebbero una relazione ontologica diretta con l’Economia Ipostatica, ossia Maria SS. e San Giuseppe. Perciò gli spetta di sicuro la protodulia angelica e dopo il Patriarca di Nazareth dev’essere universalmente venerato ed esaltato.

La grande funzione che Michele compie nei confronti della Chiesa, Mistico Corpo, è triplice. Verso la Terrestre è Protettore e Patrono: egli la cinge e la riveste esattamente come un tempo cinse e rivestì il Popolo di Israele. Egli, che non è membro diretto del Corpo di Cristo ma pure è innestato sulla Fonte della Grazia, il Verbo Incarnato, e tramite Lui è in contatto con le Sue membra, in Nome di Gesù difende, guida, sostiene, santifica, protegge tutti e ciascuno i membri della Chiesa stessa. Infatti è a lui che Dio ha affidato le anime di coloro che un giorno occuperanno le sedi celesti. Quando poi questi membri entrano via via nell’Eternità, è Michele che sovrintende alla trasformazione di stato, introducendole nel Purgatorio o in Cielo, secondo il volere di Cristo Giudice. Ossia l’Arcangelo è Psicopompo, Traghettatore di Anime, assieme ad altri Spiriti eletti. Fu lui con Gabriele a trasferire il Corpo purissimo di Maria SS. in Cielo. Il patrocinio micaelico si estende alle anime purganti con la potenza di suffragio e l’ardore di purificazione nella carità loro comunicata, mentre sta a lui dirigere e governare la vita dei Beati in Cielo, per cui lo chiamiamo Preposito del Paradiso.

La pietà cristiana riconosce inoltre all’Arcangelo una serie di patrocini morali unici, cause efficienti di grazie particolari. Egli è il duce fortissimo, sotto le cui ali si vince ogni buona battaglia. E’ il consolatore degli sfiduciati, che rincuorò dai tempi dell’ingresso degli Ebrei in Canaan, ai tempi di Giosuè. Lo si invoca consolatore dei malati, perché ha sempre generosamente guarito coloro che lo invocano. E’ chiamato guida degli erranti, perché condusse Israele nel deserto per quarant’anni. Lo invochiamo sostegno di coloro che sperano, perché egli per primo sperò nella Grazia di Dio contro satana e si aspettò la ricompensa divina per bontà. E’ appellato quale custode di chi ha fede, perché egli per primo ne ebbe, e tanta da rovesciare satana nell’abisso. Lo chiamiamo dispensatore generoso perché riceve e dona con larghezza tantissimi doni. In particolare è appellato rifugio dei poveri e sollievo degli oppressi, perché dona ogni grazia a chi ha bisogno e libera gli schiavi del diavolo dalla sua tirannia. E’ la nostra fortezza, egli che per primo si ornò di tale virtù; è il nostro rifugio, egli dietro le cui ali si compattarono le milizie che vollero resistere all’urto del seduttore depravato; è il nostro difensore, egli che schiaccia il nemico immancabilmente sotto i suoi piedi. Egli sostiene i perseguitati per la fede nella dura lotta fino all’ultimo sangue, avendo per primo esposto la sua integrità al rischio della lotta contro il famelico drago: perciò lo chiamiamo sollievo dei Martiri e letizia dei Confessori. Lo onoriamo quale Angelo di Pace, perché, dopo aver combattuto la Buona Battaglia, ha restituito al mondo angelico la tranquillità e preparato il trionfo di Cristo, Che porta il cosmo nel Riposo del Padre. Lo scorgiamo custode dei Vergini, perché costoro imitano nel corpo la purezza asessuata degli Spiriti. Infine lo invochiamo onore di tutti i Santi per la sua sovraeminente virtù. Egli è degno di ammirazione, di lode, di venerazione. La sua potente intercessione ci protegge sempre e ovunque, ci libera da ogni male e ci conduce alla vita eterna.

STORIA E FORME DELLA DEVOZIONE MICAELICA

Il culto dell'arcangelo Michele è orientale. Costantino I (306-337) a partire dal 313 gli dedicò il Micaelion, a Costantinopoli. La prima basilica dedicata all'arcangelo in Occidente è quella della Via Salaria; il giorno della sua dedica, il 29 settembre, è rimasto fino ad oggi quello della festa liturgica del Santo. In Oriente san Michele è venerato con il titolo di "archistratega", che corrisponde al titolo latino di princeps militiae caelestis. Alla fine del V secolo il culto si diffuse rapidamente in tutta Europa, in seguito alle apparizioni dell'Arcangelo sul Gargano in Puglia.

Nel 490 un certo Elvio Emanuele, ricco signore del Gargano, che aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, lo ritrovò casualmente dentro una caverna inaccessibile. Nell'impossibilità di accedere nell'antro per recuperarlo, decise di ucciderlo scagliandogli una freccia con il suo arco; ma la freccia invertì la traiettoria e colpì il signorotto ferendolo. Elvio si recò da San Lorenzo Maiorano vescovo di Siponto, per raccontare l'accaduto. Dopo averlo ascoltato, il vescovo indisse tre giorni di preghiera e di penitenza al termine dei quali san Michele Arcangelo gli apparve in sogno (8 maggio) dicendo: "Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini [...] Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la Grotta al culto cristiano". Il vescovo non diede seguito alla richiesta dell'Arcangelo perché sul monte persisteva il culto pagano. Due anni dopo, nel 492, Siponto si trovò sotto assedio da parte del re Odoacre (434-493). Allo stremo delle forze, il vescovo di Siponto ottenne dal nemico una tregua di tre giorni durante i quali si riunì insieme al popolo in preghiera. Qui riapparve l'Arcangelo promettendo loro la vittoria. Gli assediati uscirono dalla città dando battaglia accompagnati da una tempesta di sabbia e grandine che si rovesciò sugli invasori. Questi, spaventati, fuggirono. In segno di riconoscenza tutta la popolazione di Siponto salì sul monte in processione. Però il vescovo non osò entrare nella grotta. Nell'anno 493, il vescovo Lorenzo Maiorano, intenzionato ad eseguire l'ordine dell'Arcangelo, si recò a Roma da Papa San Gelasio I (492-496) il quale espresse parere positivo ordinandogli di entrare nella grotta e consacrarla insieme ai vescovi della Puglia dopo un digiuno di penitenza. Il vescovo eseguì l'ordine. Ma l'Arcangelo gli apparve per la terza volta annunciando che la cerimonia di consacrazione non sarebbe stata necessaria poiché egli stesso aveva consacrato la grotta con la sua presenza (5). Il vescovo ordinò allora la costruzione di una chiesa dinnanzi all'ingresso della grotta che venne dedicata all'Arcangelo Michele il 29 settembre 493. La sacra grotta rimane fino ai giorni nostri come un luogo di culto mai consacrato da mano umana e ricevette nel corso dei secoli il titolo di "Celeste Basilica". Diverse sono le testimonianze scritte di questi fatti; il documento che però ha più di altri ricostruito in maniera più precisa e suggestiva l'insieme dei fatti miracolosi che danno origine al culto dell'Arcangelo Michele sul Gargano è il Liber de apparitione santi Micaelis in Monte Gargano, la cui stesura risale all'VIII secolo.

Il popolo germanico nutrì una particolare venerazione per l'Arcangelo San Michele; già a partire dal VII secolo i Longobardi considerarono il santuario garganico come nazionale. Dall'epicentro garganico il culto fu diffuso da re Grimoaldo (662-671) che nel 651 era divenuto duca di Benevento. L'Historia Langobardorum di Paolo Diacono (720-799) annota una visione nella quale l'arcangelo, insieme a san Giovanni Battista e a san Pietro, apparve a un eremita al quale si era rivolto l'imperatore bizantino Costante II (630-668) e gli consigliava di desistere dal suo tentativo, poiché la grande devozione manifestata dai Longobardi garantiva loro l'appoggio divino; Costante fu infatti sconfitto da Grimoaldo l’8 maggio del 663.

Il Santuario fu uno dei tre maggiori luoghi di culto europei intitolati a San Michele, insieme alla Sacra di San Michele in val di Susa e a Mont Saint-Michel in Normandia(6) . Del santuario di San Michele Arcangelo si presero cura prima i Normanni, poi gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi. Nel corso dei secoli, milioni di pellegrini si sono recati in visita a questo luogo di culto così antico (7). Nel 1656 avvenne la Quarta apparizione di San Michele. Tutta l'Italia meridionale era infestata dalla peste. L'arcivescovo Alfonso Puccinelli decise allora di rivolgersi a san Michele con preghiere e digiuni. All'alba del 22 settembre, assorto in preghiera, avvertì come un terremoto e subito dopo San Michele gli apparve ordinandogli di benedire i sassi della sua grotta scolpendo su di essi il segno della croce e le lettere M. A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste (8). L'Arcivescovo eseguì l'ordine dell'Arcangelo e la città fu subito libera dalla peste. A ricordo e per eterna gratitudine del miracolo, l'Arcivescovo fece innalzare un monumento al santo nella piazza della città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone della stanza dove tradizione vuole sia avvenuta l'apparizione. La cura pastorale del santuario è affidata dal 13 luglio 1996 alla Congregazione di San Michele Arcangelo.

San Gregorio I (590-604) durante una tremenda pestilenza, al termine di una processione con il canto delle litanie, vide apparire su Castel Sant'Angelo San Michele che deponeva la spada nel fodero, segno che le preghiere erano state ascoltate e che l’epidemia sarebbe cessata. Sul monumento fu eretta una statua raffigurante l'arcangelo.

Si racconta che l'8 maggio dell'842 i Saraceni, attratti da Cerveteri, tentarono un'incursione, ma dopo aver fatto pochi metri furono gradualmente avvolti in una fittissima nebbia. I Saraceni comunque non si arrestavano, poiché erano guidati dal suono della campana che avvisava i cittadini del pericolo. Ad un certo punto, però, le campane si fermarono improvvisamente, lasciando sbigottito lo stesso campanaro, e così i saraceni furono costretti a tornare alle loro navi, avendo perso l'ultima speranza di orientamento. Non vi furono dubbi sulla causa: il massimo difensore della fede non aveva permesso che venisse profanato un luogo a lui caro, dato che lasciò anche le sue impronte sulla campana.

San Michele è molto caro ai russi assieme all'arcangelo San Gabriele e oggetto di diverse icone. Un monastero del XII secolo a lui dedicato, costruito sulla foce della Dvina, ha dato il nome all'intera città di Arcangelo, nel nord della Russia.

La devozione a San Michele contraddistingue a fondo il popolo cristiano. Egli stesso insegnò la Corona Angelica in onore suo e degli Spiriti Celesti alla Serva di Dio Antonia de Astonaco nel XVIII sec. (9)- e recitata con tanto zelo da Suor Maria Angela Colomba di Vetralla (1685-1751) - promettendo che chi l’avrebbe recitata prima della Comunione sarebbe stato accompagnato all’Eucarestia da uno Spirito di ciascuno dei Nove Cori, mentre chi l’avesse recitata ogni giorno avrebbe avuto la Sua speciale protezione e quella degli Spiriti tutti in vita e in morte, in terra e in Purgatorio. La pratica fu approvata da Pio IX (1846-1878) nel 1851 e lo stesso Papa lo proclamò Patrono della Chiesa Universale.

Papa Leone XIII (1878-1903) ordinò di recitare la Preghiera a San Michele da lui composta in ginocchio davanti all'altare al termine di tutte le Messe, escluse quelle solenni. Lo stesso pontefice stabilì un rito esorcistico in cui, nella prima parte, viene invocato come "Principe gloriosissimo delle milizie celesti", come "custode e patrono della Santa Chiesa", San Michele Arcangelo, affinché venga in difesa dei Cristiani contro il demonio. Queste preghiere, le Litanie e la Consacrazione, oltre al pellegrinaggio garganico, sono le pratiche di devozione più importanti all’Arcangelo.

DE CULTU ANGELORUM
Elementi di devozione angelologica

“Ecco, Io mando il Mio angelo innanzi a te.
Non contristare la sua presenza.”

(Il Signore Dio nell’Esodo)

Oltre questo mondo sensibile, in cui le sostanze sono tutte composte, vi è un mondo sovrasensibile, svincolato dalle leggi generalissime dell’universo come noi lo conosciamo, oltre le sue frontiere di spazio-tempo e di energia convertibile in materia. E’ il mondo in cui le sostanze sono semplici, ossia hanno solo forme, e quindi sono solo razionali, sia perché intellegibili – per chi le ha fatte e tra loro – sia perché intelligenti – in quanto vive : è il mondo degli Angeli. Esso, in quanto immateriale, è anche immortale e incorruttibile. La devozione per questi esseri, superiori ai Santi, è parte distintiva del Cristianesimo.

NATURA DELLA DEVOZIONE ANGELICA

Tali creature sono le più alte che Dio ha voluto. La loro natura è immortale, come dicevamo, ma anche dotata di alcune caratteristiche fondamentali che la rendono profondamente diversa dalla nostra. Innanzitutto ha una volontà immutabile, in quanto essa non dipende dai sensi e dalle loro instabili percezioni, ma vuole una cosa per quella che è, per cui, una volta voluta, non smette mai di volerla; indi ha un’intelligenza separata da ogni percezione, quindi non bisognosa di astrazioni e conseguenzialmente capace di cogliere l’essenza logica e ontologica di ogni cosa alla sua portata; poi ha un sentimento stabile, conforme a ciò che è conosciuto e voluto, mai volubile; inoltre non è vincolata da leggi spaziali e può muoversi ovunque con assoluta rapidità e immediatezza; infine non occupa luoghi, in quanto, pur essendo anch’essa limitata rispetto all’Immensità Divina, non è materiale e quindi non sta da nessuna parte, perché Dio l’ha creata fuori di ogni spazio. In virtù della saldezza di volontà e sentimento, nonché della sua aspazialità, la natura angelica ha un tempo completamente diverso dal nostro: esso ha avuto inizio, ma non avrà mai fine.

Tale natura angelica è propria di una miriade incalcolabile di esseri celesti o puri Spiriti, disposti in un ordine gerarchico di perfezioni sempre maggiori, di essenze sempre più concettualmente estese, di volontà sempre più forti, di intelligenze sempre più profonde, di sentimenti sempre più ardenti. Tra loro non vi sono differenze accidentali ma solo sostanziali: non esiste infatti uno spirito che sia uguale all’altro così come gli uomini possono essere simili parzialmente tra loro. Come nel mondo materiale vi è una gerarchia di esseri che sono più o meno partecipi della Perfezione divina, così in quello celeste una scala altissima vede disporsi gli Spiriti in una somiglianza sempre maggiore, ma mai completa, con la Divina Essenza . Come nel mondo la Chiesa è retta da una Gerarchia sacra che rispecchia, per gradi, i voleri divini e li fa eseguire, così il Mondo metafisico è retto da una Gerarchia celeste che governa l’Universo riflettendo ed eseguendo gli stessi voleri . Come in terra le conoscenze si riflettono, da una intelligenza all’altra, in una cognizione sempre più perfetta, così in cielo – il luogo metaforico eppure reale dove sono gli Spiriti puri – la Luce Divina si rispecchia in modi più perfetti da un angelo all’altro e ognuno di essi passa a quello inferiore la conoscenza più alta che gli è concessa, come in una serie di lenti che filtrano la Luminosità primaria. In tal maniera, gli Spiriti puri più perfetti esercitano la carità verso i meno perfetti. Gli Spiriti, creati da Dio in stato di innocenza originaria, hanno una santità naturale superiore a quella dell’uomo. In seguito alla libera adesione che la maggioranza di loro fece a Dio, Egli li ricolmò della Grazia Santificante, facendo di essi le creature più sante dell’Universo, inferiori oggi solo al Verbo Incarnato, alla Vergine SS. e a San Giuseppe. Essi perciò sono degni della nostra venerazione e li chiamiamo, giustamente, Santi. Gli Spiriti godono di una visione beatifica intuitiva dell’Essenza Divina, per sempre.

La loro natura non potrà mai essere per noi completamente comprensibile. Infatti noi conosciamo gli Spiriti non per cosa sono, ma per cosa fanno, in base al quale hanno nomi diversi e si dispongono in Nove Cori o Ordini, raggruppati in Tre Gerarchie. Essi sono, dal basso verso l’alto: Angeli, Arcangeli, Principati; Potestà, Virtù, Dominazioni; Troni, Cherubini, Serafini. Vediamo di ognuno di essi.

Gli Angeli sono i messaggeri di Dio, ossia ricevono da Lui una missione particolare, specie in relazione agli esseri inferiori. Numerose volte nella Bibbia la Volontà di Dio è comunicata dall’Angelo del Signore, nel quale opera Dio stesso; fu per esempio un anonimo Angelo a dare a San Giuseppe gli ordini divini descritti nel Vangelo di Matteo. Una missione particolare ricevono quegli Angeli a cui Dio affida le Anime degli uomini. Essi sono infatti chiamati Angeli Custodi, perché appunto illuminano, custodiscono, reggono e governano il loro protetto, anche se non possono in alcun modo violentarne la volontà, i sentimenti e l’intelligenza. In poche parole ogni grazia che ognuno di noi riceve da Dio passa, strumentalmente, tramite il nostro Angelo, sebbene sia impetrata da altri Santi. Non stupisca questo né lo si intenda in modo banale. Non è che un Angelo, essere superiore, sia al nostro servizio; è invece che a tali creature elevate Dio ha chiesto di compiere l’ufficio di carità verso entità inferiori, appunto come noi. A tale ufficio il nostro Angelo, che prega per noi e si occupa ordinariamente di ogni nostra necessità, si dedica per tutta la nostra vita, se glielo permettiamo assecondandone l’azione. In tal maniera, tramite la mediazione di uno Spirito dell’ultimo Coro dell’ultima Gerarchia, giunge a ognuno di noi il raggio di Luce Divina che la Provvidenza ci ha destinato, così che la natura umana e quella celeste entrano in contatto in una sola connessione gerarchica. L’esistenza dei nostri Custodi è sanzionata solennemente da Gesù stesso, Che la dà per scontata (Mt 18, 10). Per ciò che concerne la loro funzione per la vita spirituale cristiana, tutti gli Angeli possono custodirci nella vita presente e poi ottenerci la Gloria del Cielo.

Gli Arcangeli sono i Capi degli Angeli. Essi svolgono le stesse mansioni angeliche, ma in relazione a persone e cose particolarmente importanti o alla stessa Chiesa Terrestre. In relazione ad essa vegliano sulla Fede e sul Culto. Tra di essi, Sette Spiriti vanno e vengono innanzi al Trono Divino, contemplati anche da Giacobbe nel sogno della Scala Celeste, avuto in Betel e descritto nella Genesi (28, 10 ss.). Essi sono coloro ai quali Dio ha affidato le incombenze più importanti in vista della Redenzione dell’Uomo; ancora le conservano, sebbene subordinati al Verbo Incarnato e a Sua Madre. Di tali Sette Spiriti conosciamo per rivelazione solo Tre Nomi: Michele, Gabriele e Raffaele. Di Michele, protettore di Israele e della Chiesa, Principe e Arcistratego delle Milizie Celesti, Traghettatore delle Anime da questo mondo all’altro, Guaritore dei Malati, abbiamo detto. Egli compare più volte nella Bibbia e parlò, tra gli altri, a Giosuè (Gs 5, 2 ss.). Il suo nome ebraico, Micael, significa: Chi è come Dio? Esso indica la sua completa sottomissione al Signore, Che perciò lo ha esaltato su tutti i Cori Angelici. Egli infatti sconfisse satana. L’estensione del suo spirito copre ampiamente l’Universo creato. Gabriele invece portò l’Annuncio dell’Incarnazione del Verbo a Maria SS. – oltre che quello della nascita del Battista. Il suo nome ebraico, Gabriel, vuol dire Forza di Dio. Infatti egli annunzia sempre i portenti più grandiosi del Dio Altissimo. Già nell’AT spiegò svariate cose al profeta Daniele. E’ anche venerato come Traghettatore di Anime. Raffaele è deuteragonista del Libro di Tobia. Accompagna il suo pupillo in un periglioso viaggio, lo difende, lo libera dai demoni, benedice le sue nozze guidandolo alla sposa, guarisce suo padre dalla cecità. Il suo nome ebraico, Rafael, vuol dire Medicina di Dio. Infatti è oggetto di culto iatrico. In ordine alla nostra vita interiore, tutti gli Arcangeli possono ottenerci di essere perseveranti nella Fede e nelle opere buone.

I Principati sono i Custodi delle Nazioni. Fino a quando il Verbo non si incarnò, essi guidarono i popoli secondo la Provvidenza in una economia provvisoria. Essi pure operano ancora, ma subordinati a Cristo, nel Quale tutti i popoli sono incorporati. La loro funzione cesserà alla Fine del Mondo, quando il Cristo Totale non avrà bisogno di alcuna guida intermedia, essendo gli eletti incorporati stabilmente al loro Capo. Per la nostra vita spirituale, tutti i Principati possono ottenerci una vera obbedienza alla Volontà Divina, della quale sono ministri.

Le Potestà contribuiscono a mantenere l’ordine del Cosmo secondo il Divino Volere, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono sia per cause naturali che per il peccato diabolico e umano. Anch’essi sono stati, in questa funzione, subordinati a Cristo e anche la loro funzione cesserà con la Fine del Mondo, quando ogni ostacolo cesserà con l’annientamento di tutti i nemici di Dio. Per i fedeli, tutte le Potestà possono ottenere la protezione dalle insidie e tentazioni diaboliche, essendo esse capaci di contenerne gli influssi devastanti.

Le Virtù o Potenze comunicano al Cosmo il movimento, in tutte le sue forme (sostanziale, locale, ecc.). Sovrintendono cioè alle trasformazioni proprie degli enti creati. Anche loro sono oggi sottoposti a Cristo e cesseranno tale funzione alla Fine dei Tempi, perché allora l’Universo sarà trasformato e sottoposto direttamente al Pleroma. Alle anime devote le Virtù possono ottenere di non cadere in tentazione e di essere liberati dal male, conformemente al loro incarico di continua stimolazione del Cosmo.

Le Dominazioni distribuiscono gli incarichi agli altri Spiriti e li coordinano dirigendoli. La glorificazione del Risorto li ha sottomessi al Suo Potere Universale; quando il mondo finirà, cessando le mansioni angeliche verso di esso, cesserà anche il potere delle Dominazioni sugli altri Spiriti. E’ in rapporto a questi Cori angelici e alle loro funzioni che San Paolo dice che Cristo regnerà dopo aver ridotto a nulla il loro potere. Non è una valutazione negativa. E’ la fine di una economia provvisoria che non sarà più necessaria perché gli Eletti saranno pienamente inseriti nel Cristo Totale e il loro mondo sarà trasformato, comprese le funzioni angeliche svolte in esso. Alle anime devote le Dominazioni possono ottenere il controllo dei sensi e la correzione delle cattive passioni, conformemente alla loro capacità di dominio.

I Troni sono coloro tramite i quali Dio emana i decreti con cui governa il Cosmo. Ora è Cristo Che governa tramite loro, così come il Padre governa, nello Spirito Santo, tramite Lui. Sui Troni Dio si asside esattamente come su di un trono materiale, quando opera tramite essi. Per le anime fedeli i Troni possono ottenere una sincera e profonda umiltà, l’unica virtù compatibile con il Regno di Dio in se stessi, sia per gli Spiriti che per gli uomini.

I Cherubini sono coloro mediante cui Dio costituisce e mantiene l’ordine cosmico. Non a caso furono i Cherubini a cacciare Adamo con Eva dall’Eden, in cui erano ormai indegni di stare. Anche sui Cherubini, come attesta il Salmo, Dio Si asside e rifulge. Siamo al massimo livello di mansioni che un essere creato può svolgere nei confronti di Dio. Vi è superiore solo l’Economia Salvifica inaugurata e mediata da Cristo, a cui è incorporata la Vergine SS., San Giuseppe, gli Apostoli. Fino a tale Economia, le Leggi provvisorie (l’alleanza con Noè, quella con Abramo, la stessa Legge del Sinai) furono date per ministero angelico: l’uomo non era degno ancora di trattare direttamente con Dio, perché Cristo non era ancora morto. I Cherubini possono ottenere alle anime la conversione totale e il progresso verso la perfezione, perché essi sono i custodi dell’ideale stesso della perfezione comunicata al Creato.

I Serafini sono più alti di tutti gli altri Spiriti. A loro Dio ha concesso l’invidiabile destino di contemplarne la Perfetta Essenza di Carità, di riamarla perfettamente per quanto loro possibile e di rifrangere nel mondo inferiore la Luce e la Fiamma dell’Amore Divino. Ora essi la ricevono da Cristo, tramite Maria SS. Il loro nome infatti indica l’atto del bruciare. Essi intercedono per le anime la grande grazia della carità perfetta, nella quale sono stabilmente costituiti. Essi, più degli altri Spiriti, sovrintendono al cammino delle Anime verso la perfezione mistica.

Questi Cori sublimi sono tutti intenti a celebrare, godendo infinitamente, la Liturgia celeste. Essa completa e continua quella terrestre. Infatti essi, sebbene non abbiano mai peccato e siano quindi dotati di Grazia indipendentemente dalla Morte di Cristo, sono a Lui sottomessi quale causa fontale, efficiente e finale della Grazia stessa, per cui gli tributano un culto del tutto simile al nostro. Al Padre infatti piacque che al Figlio Suo, Che anche come Uomo, nella Sua Unica Persona, è superiore agli Angeli, e Che Lo amò di un amore più perfetto di quello angelico attraverso la Sua Umanità, perché diede la Sua stessa Vita, fossero sottomesse tutte le cose, compresi gli Spiriti, anche nella loro santificazione e beatitudine. Essi dunque lo adorano con timore e tremore e lo acclamano come noi, secondo ciò che udì Isaia: Santo Santo Santo è il Signore Dio dell’Universo. E’ tramite le mani dell’Angelo Santo che l’Offerta della Chiesa, Cristo stesso, è portata dalla Terra al Padre. I Serafini e i Cherubini non cessano di adorare il Cristo Che si rende presente nella Santa Messa e rimane tale nell’Eucarestia. Le nostre chiese, spesso vuote di uomini, sono sempre colme di Angeli!

Ad essi è dovuta la nostra devozione, il nostro culto . Essi esercitano la loro benevola potenza verso di noi, secondo il Volere Divino. Come dicevo, non possono mutare la nostra volontà – solo Dio può – ma possono inclinarla al Bene. La loro presenza esercita un influsso positivo, benefico sul nostro spirito e all’occorrenza anche sul corpo. Essi infatti possono chiarire l’intelligenza, fortificare il volere, infiammare l’amore. Possono altresì influenzare le facoltà sensibili, acquietando le cattive inclinazioni e rafforzando quelle buone. Infine possono influenzare positivamente la fantasia e l’immaginazione, ispirando immagini e pensieri positivi. Il loro soccorso si estende anche al Purgatorio. Più volte si sono mostrati agli uomini e si mostrano ancora. Sebbene immateriali, essi assumono forme concettuali che s’imprimono nei nostri sensi per azione preternaturale o sovrannaturale, senza le quali non potremmo visualizzare alcunchè. Esse sono le forme estetiche che Dio ha fissato per rendere percepibile l’invisibile. Non sono attributi delle sostanze separate, ma forme epifaniche fisse (angelofanie).


1. La tomba di Giuseppe fu alla destra di quella di Assalonne nella Valle di Giosafat accanto a quella di Simeone sino al 1484; nel 1534 fu spostata nella chiesa di Santa Maria di Giosafat, dov’è il sepolcro – vuoto – della Vergine, vicino a quelli di Sant’Anna e san Gioacchino. Vi è una tradizione minore a Nazareth per la localizzazione del sepolcro.

2. Con Agostino, Girolamo, Ignazio, Crisostomo, Basilio, Ireneo e molti altri.

3. La poetessa Ava d’Austria, i benedettini di Saint-Laurent di Liegi e il loro ufficio di Giuseppe, San Bonaventura, il Beato Hermann Joseph che lavora per la diffusione della festa, Santa Margherita da Cortona e la pratica dei Cento Pater per il Nutrizio di Gesù e dei Cento Pater per l’obbedienza di Gesù nei Suoi confronti.

4. Citando in ordine sparso elenco la venerabile Margherita del Santissimo Sacramento, la Beata Petra de San Josè, Santa Teresa di Lisieux, Giambattista Gauchon, il venerabile Aurelio Bacciarini, San Giovanni Gabriele Perboire, Sant’Ignazio di Loyola, il Beato Giovanni XXIII, il venerabile Leone Dehon, la Beata Maria Caterina di Sant’Agostino, San Pio da Pietrelcina, San Leonardo Murialdo, Santa Teresa d’Avila.

5. “Non è necessario che voi mi dedichiate questa chiesa che Io stesso ho consacrato con la mia presenza. Entra e con il mio aiuto innalza preghiere e celebra il Sacrificio. Io Ti mostrerò come Io stesso ho consacrato questo luogo”.

6. Qui, secondo la leggenda, l'arcangelo Michele apparve nel 709 a sant'Uberto, vescovo di Avranches, chiedendo che gli fosse costruita una chiesa sulla roccia. Il vescovo ignorò tuttavia per due volte la richiesta finché san Michele non gli bruciò il cranio con un foro rotondo provocato dal tocco del suo dito, lasciandolo tuttavia in vita. Il cranio di sant'Uberto con il foro è conservato nella cattedrale di Avranches. Il culto micaelico fu caro anche a San Colombano ed ai monaci colombaniani di Bobbio, lo stesso santo monaco missionario irlandese fondò numerose chiese dedicati al santo nella sua opera evangelizzatrice in Europa ed eresse nel 615 l'Eremo di San Michele di Coli poco distante da Bobbio e dalla sua abbazia.

7. Tra di essi numerosi papi (Gelasio I, Leone IX, Urbano II, Alessandro III, Gregorio X, Celestino V, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II) e sovrani (Ludovico II, Ottone III, Enrico II, Matilde di Canossa, Carlo d'Angiò, Alfonso d'Aragona, Ferdinando il Cattolico). Anche San Francesco d'Assisi si è recato in visita a san Michele Arcangelo, ma non sentendosi degno di entrare nella grotta, si è fermato in preghiera e raccoglimento all'ingresso, baciando la terra e incidendo su una pietra il segno di croce in forma di "T" (Tau)

8. “Io sono l'Arcangelo Michele .Chiunque utilizzi la pietra di questa grotta sarà guarito dalla peste. Benedici le pietre e scolpiscivi il segno della Croce e le iniziali del mio nome”.

9. Di lei si sa ben poco.


Theorèin - Giugno 2013