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DE SAMUELIS LIBRIS Breve esposizione sui Libri di Samuele In questa esposizione andiamo a descrivere i Libri biblici che la Tradizione giudaica e in parte quella cristiana attribuiscono al grande giudice e profeta Samuele. Sono i Libri dei Giudici, di Rut e i Due Libri di Samuele. Il primo e gli ultimi due sono ascritti ai Profeti Anteriori ebraici. Il secondo ai Rotoli. Samuele è, dopo Mosè e Giosuè, la terza grande figura dell’Ebraismo antico. Nei suoi libri compare poi la quarta, ossia quella del re David. Vediamo dunque la sua eredità spirituale. IL LIBRO DEI GIUDICI IL NOME Il Libro dei Giudici prende il nome dai suoi protagonisti principali, le guide politico-militari e a volte anche religiose del periodo successivo all’insediamento di Israele in Canaan, fino alle soglie della Monarchia. CONTENUTO E STRUTTURA Il Libro dei Giudici comprende, narrativamente, una introduzione, una parte centrale e due appendici. L’introduzione consta di due sezioni, di cui la prima (1,1-2,5) ci presenta lo stato politico di Israele dopo la morte di Giosuè in relazione ai Cananei, mentre la seconda (2,6-3,6) ci descrive le condizioni religiose del popolo non sempre fedele a Dio. La parte centrale del Libro (3,7-16,31) ci narra la storia dei Giudici: Otniel (3,7-11) che libera Israele da Cusan-Risataim, re dell’Aram; Eud (3,12-30) che caccia Eglon re di Moab; Samgar (3,31) che uccide seicento Filistei; Barac, che agli ordini di Debora, libera Neftali e Zabulon dai Cananei (4) e alla cui storia segue il Cantico di Debora (5); Gedeone (6-8) che caccia i Madianiti da Israele e a cui seguono i fatti di Abimelech suo figlio (9); Tola e Iair (10, 1-5), che reggono Israele per ventitrè e ventidue anni; Iefte (10,6-12,7) che libera le Tribù transgiordane cacciando gli Ammoniti; Ibsan il betlemita, Elon di Zabulon, Abdon di Piraton (12,8-15); Sansone, che infligge varie perdite ai Filistei (13-16). La prima appendice (17-18) narra dell’idolo di Mica, dell’emigrazione dei Daniti a Nord e della fondazione del santuario di Dan. La seconda appendice (19-21) descrive la violenza subita a Gabaa dalla moglie del levita e la guerra di sterminio che ne seguì. ANALISI FILOLOGICA La tradizione ebraica attribuisce a Samuele la stesura del Libro dei Giudici e i critici che si attengono a questa attibuzione ne pongono la data nel 1025 ca., quando Saul è ormai re e Samuele svolge un ruolo politico secondario. In genere però oggi si segue ben altra analisi, che qui riportiamo. Il Libro dei Giudici, come dicevamo, comprende tre parti diseguali: l’introduzione (1,1-3,6), il corpo del libro (3,7-16,31), due appendici sulla migrazione di Dan e la fondazione del santuario tribale (17-18) e la guerra contro Beniamino per punire il crimine di Gabaa (19-21). Si ritiene che l’introduzione non appartenga alla stesura originale del Libro. Delle due sezioni che la compongono, la prima (1,1-2,5) sembra di epoca monarchica (1, 21), mentre la seconda (2,6-3,6) è un tutt’uno col corpo del libro. Tuttavia non è esatto che la prima sezione dia un quadro differente dell’esito della Conquista di Giosuè, in quanto il Libro del Condottiero indica dei territori ancora da invadere. L’esito della Conquista descritto dai Giudici di solito è considerato il punto di vista di Giuda. L’inserzione di questa introduzione ha comportato la ripetizione delle notizie sulla morte di Giosuè, date nel suo libro in 24,29-31. Il che rivela la volontà di proseguire quella narrazione. La storia dei Giudici è narrata, come spiegavo, nella parte centrale, dove costituisce un tutt’uno (come prova il disegno didattico che l’autore si è proposto e ha rimarcato con le formule ricorrenti, che attestano la colpa [2,11; 3.7.12; 4,1; 8, 33; 10,6; 13, 1], la preghiera ascoltata [3,9.15; 4,3; 6,7; 10,10] e la pace ottenuta [3,11.30; 5,31; 8, 28]), anche se visibilmente con l’assemblaggio di fonti differenti. Abbiamo sei Giudici Maggiori e sei Minori, ma a buon vedere non tutte le azioni dei primi sono raccontate con dovizia di particolari, mentre i secondi sono sempre oggetto di un breve accenno. I Giudici Maggiori sono Otniel, Eud, Barac (nella cui storia è importante, come segnalavo, anche Debora), Gedeone, Iefte e Sansone; i Minori sono Samgar, Tola, Iair, Ibzan, Elon e Abdon. In realtà la divisione rispecchia il ruolo differente che i Giudici svolsero, ossia quello di liberatori o di uomini di governo. I Giudici Maggiori sono liberatori che combatterono per affrancare Israele o parte di esso dal dominio straniero. Sono molto diversi ma hanno lo stesso carisma e sono stati scelti sempre e direttamente da Dio. Le loro storie sono state tramandate dapprima oralmente, sotto varie forme, e si sono arricchiti di elementi eterogenei, per poi confluire in un Libro dei Liberatori composto nel Regno del Nord nella prima metà dell’epoca monarchica. Conteneva le storie di Eud, di Barac e Debora, quella di Gedeone – a cui fu aggiunta quella di Abimelech- quella di Iefte completata dalla vicenda della figlia. Il Libro accolse il Cantico di Debora (5), che si affianca al racconto del c. 4, e l’apologo di Iotam (9,7-15). Alla critica di un tempo appariva evidente che le storie di Sansone e Barac fossero state scritte in prossimità degli eventi; tale verosimiglianza a mio avviso si può attribuire anche alla storia di Iefte. Nel caso di Sansone in effetti il racconto è molto arcaico e al confine tra religiosità e superstizione; in quello di Barac la patina degli eventi è anch’essa assai remota; nel caso di Iefte la presenza di un sacrificio umano senza alcuna riprovazione esplicita è segno di una composizione testuale assai antica. Si può dunque immaginare, a mio parere, che prima ancora del Libro dei Liberatori, ammesso che sia mai esistito, ci fossero racconti o sfusi o combinati in testi più antichi che il prodotto finito non ha potuto emendare dei suoi elementi più imbarazzanti. I Giudici Minori verrebbero invece da una diversa tradizione. Di essi schematicamente si danno origine, famiglia, sepoltura e anni di giudicatura. Conformemente agli usi di Mari nel XVIII sec. e di Ugarit nel XIII, ma anche a quelli dei Fenici e dei Cartaginesi, questi Giudici, secondo il verbo shâfat, erano veri e propri governanti, sia pure sulle rispettive Tribù. Secondo la critica imperante, l’errore di considerarli Giudici di tutto Israele fece si che essi fossero messi in ordine cronologico. La loro funzione, intermedia tra la gerontocrazia tribale e la monarchia, trova in Iefte il ponte che la collega a quella dei Liberatori, in quanto quegli fu l’uno e l’altro – e infatti la sua storia è narrata tra i Giudici Minori pur essendo lunga – e questi invece verosimilmente non furono Giudici governanti, tranne forse Debora. Venne poi aggiunto Sansone, che tecnicamente non fu né Giudice né Liberatore, ma che era un eroe di Giuda (13-16); indi si sommarono Otniel, risalente all’età della Conquista (1, 12-15) e Samgar, che non sarebbe neppure israelita (3,31), raggiungendo il numero di dodici, simbolico per tutte le Tribù. Anche le due appendici sono considerate di epoca monarchica, come del resto esplicitamente indicato in esse, facendo riferimento al fatto che esse sono ambientate in un età senza Re (17,6; 18,1; 19,1; 21,25). Ma la narrazione è a mio avviso antica: molti particolari imbarazzanti, come l’idolatria, non sono riprovati con l’energia dell’ebraismo classico, mentre altri, come la tentata sodomia e lo stupro omicida di gruppo dei Beniaminiti e la guerra fratricida, sono enunciati senza specifiche riprovazioni. Se i critici di un tempo ravvisavano nei Giudici la prosecuzione delle fonti del Pentateuco, tanto da far parlare alcuni di essi di un Eptateuco comprensivo della Torah, di Giosuè e del nostro Libro, e se altri ancora ritenevano che l’assemblaggio definitivo delle parti che lo costituiscono fosse avvenuto non molto tempo dopo la Caduta di Samaria, i moderni inclinano a considerarlo parte integrante della storia deuteronomista, di cui ha i tratti e condivide la storia letteraria, nelle edizioni di cui parlavamo in precedenza. Essi, accettando la communis opinio dell’Esodo nel XIII sec. e della Conquista tra XIII e XII, ritengono pressoché simboliche le cifre degli anni di giudicatura e di pace conseguenti ai vari personaggi, considerando quaranta e ottanta e venti come rimandi alla durata di una, due o mezza generazione. L’intento sarebbe di saturare il tempo dei quattrocentottant’anni che il Primo Libro dei Re interpone tra la costruzione del Tempio e l’Esodo, mentre l’età dei Giudici coprirebbe solo due secoli e mezzo (1200-1050). CARATTERISTICHE DEL PERIODO In questa età dei Giudici le caratteristiche salienti sono le seguenti. Le Tribu’ si costituiscono nel loro numero canonico sin dal Soggiorno in Egitto e non lo modificano più, anche quando alcune di esse perdono di vigore. La tribù di Simeone infatti è progressivamente assorbita in quella di Giuda, mentre la tribù di Levi, priva di un suo territorio, è surrogata dalla scissione di quella di Giuseppe nelle due intitolate ai suoi figli Manasse ed Efraim. La parità tra le Tribù rimane anche dopo i cambiamenti politici che occorrono tra di esse: Ruben e Simeone erano in decadenza sin da quando uscirono dall’Egitto, sebbene discendenti dalla prima moglie di Giacobbe, Lia; il primo ben presto perse le sue terre ad opera di Moab; Neftali e Dan invece erano in ascesa e da esse uscirono capi importanti, nonostante siano figli di Bala, ancella di Rachele; Giuda, Efraim e Manasse rimasero invece sempre molto importanti e svolsero un gran ruolo nella Conquista; le tribù di Gad e di Efraim si mescolarono nella regione detta di Galaad; Manasse, sebbene divisa in due dal Giordano, contò sempre per una. Questa parità è fondata sul diritto genealogico, di cui parlavamo a proposito del Libro di Giosuè, tipico degli Stati nazionali in formazione nel periodo; il numero dodici è importante anche negli altri popoli semiti: altrettante sono le tribù di Edom, figlio di Isacco, di Ismaele, figlio di Abramo, di Aram, suo cugino. Le Dodici Tribù possono dividersi in tre gruppi: la Casa di Giuda, composta da questa con Ruben e Simeone; la Casa di Giuseppe, formata da Manasse ed Efraim con Beniamino, Dan e Gad; le tribù del Nord, ossia Aser, Zabulon, Issacar, Neftali. Da ciò si evince che avvennero coagulazioni statali su base etnica prima in area locale (da qui il termine “Casa”) e poi su scala nazionale. Le Dodici Tribù si collegarono tra loro con un vincolo assai blando, meno che confederale, chiamato con un grecismo anfizionia e di fatto avviato da Giosuè; alcuni studiosi, proprio per l’inconsistenza dei legami, sono inclini a negare di fatto l’esistenza di tale Lega, e in questo una volta tanto sono d’accordo con loro. L’unica congiunzione tra le Tribù sarebbe stato il santuario dell’Arca, che nell’ultima fase dell’età dei Giudici era a Silo; non mancavano tuttavia altri santuari, come Sichem, Galgala (che ospitò l’Arca nei primi tempi), Gabaon, Betel, Ebron e Rama, alcuni molto antichi e altri più recenti. Nelle Tribù la giustizia era amministrata dagli Anziani, ma erano i Nasi’, i Principi, che le rappresentavano nelle adunanze presso il santuario, sia per presenziare al culto sia per regolare le questioni comuni. Ognuno di essi, con una turnazione mensile, presiedeva al culto del santuario nazionale. Il Re di Israele era Dio stesso, direttamente. Egli aveva un trono visibile, l’Arca, che nei tempi più remoti continuò ad essere sotto una tenda, il tabernacolo del Deserto, per poi essere ospitata in una costruzione più solida. Il culto era esercitato dai Leviti e dai sacerdoti aroniti guidati dal Sommo Sacerdote, ma non era rara la cooptazione tra di essi di chierici nati in altre tribù. Come ho accennato introducendo il Pentateuco, le norme cultuali date già nel Deserto e poi culminate nella regolamentazione templare ebbero in questo periodo un loro significativo adattamento alla condizione stanziale e fecero da prodromo alle riforme davidiche e salomoniche. Nella fase stanziale il culto si arricchì, prendendo ad esempio le forme artistiche, liturgiche e linguistiche dei Cananei, non senza essere a volte contaminato da usanze incompatibili con la Legge mosaica intesa in modo puro, come l’uso di immagini o il sacrificio umano, che però furono sempre alla fine respinte. In svariati momenti gli Israeliti indulsero al politeismo e ai culti licenziosi di Canaan, suscitando la riprovazione divina. In ogni caso la Legge di Dio rimane l’unico punto di riferimento giuridico per Israele e alcuni critici datano al periodo dei Giudici il Codice dell’Alleanza, o almeno un suo ampliamento. I rapporti tra le Tribu’ sono piuttosto semplici e spesso inefficienti. Un nemico comune esige una lotta unitaria, ma non esiste un mezzo di reclutamento centrale ed efficiente, per cui spesso non avviene e le guerre sono sovente solo locali. Non mancano altresì lotte intestine tra le Tribù, e nei casi più eclatanti tutte si riuniscono contro quella di esse che ha minacciato le altre, sino a contemplare, senza fortunatamente realizzarla mai, l’ipotesi dello sterminio totale. E’ il caso della Guerra contro Beniamino. In genere però le divisioni territoriali sono rispettate, e i Daniti emigrano molto lontano senza contendere le terre alle tribù vicine più piccole. E’ un’epoca di forti lotte: i Cananei sono ancora esistenti e hanno metropoli importanti; i popoli limitrofi spesso sono minacciosi (Aramei, Madianiti, Moabiti, Filistei); la Palestina è sotto la dominazione egiziana fino all’invasione dei Popoli del Mare, e dal 1170 subisce la pressione degli Aramei e dei Neo-Hittiti. ULTERIORI ELEMENTI PER L’ESAME STORICO DEL LIBRO DEI GIUDICI La questione storica, e quindi quella filologica, trova le sue soluzioni correnti grazie al presupposto che il periodo in questione si snodi tra 1200 e 1050, anno in cui all’incirca si colloca la fioritura di Samuele. Ciò ha un senso ponendo l’Esodo nel XIII sec. Ma trattando sia del Pentateuco che del Libro di Giosuè ho mostrato come esistano ben altre datazioni degli eventi fondativi di Israele. Allacciandomi a quella cronologia interna alla Bibbia che attraversa anche il Libro dei Giudici, posso proporre una ben più lunga articolazione della loro epoca, fedele ai dati riportati nel libro, che non hanno più bisogno di essere letti in modo simbolico. La cronologia in questione ha il pregio di giungere ad una data, il 1030 ca., che gli storici sono concordi nel considerare quella della fioritura di Saul. Segno che la ricostruzione dei moderni sulla base dei dati certi e la storia biblica conservata dagli scrittori deuteronomisti coincidono. Ma bisogna sgomberare la mente dal pregiudizio che i Giudici servano a fare da zeppa tra la Conquista e la Monarchia, perché il Libro inizia da molto prima e l’età dei Giudici dura molto ancora dopo, oltre i confini narrativi del testo. All’inizio vi è infatti la generazione degli Anziani che aveva conosciuto Giosuè e che resse Israele dopo la sua morte; nel corso di essa gli Ebrei rimasero fedeli a Dio. Può durare sino a quaranta anni. Segue la dominazione di Paddan-Aram per otto anni. Essa è abbattuta da Otniel, che giudica Israele per quaranta anni. Alla sua morte, Israele è dominato da Moab per diciotto anni, che si espande fino a Gerico, facendone la sua capitale. Eud libera Israele e gli garantisce l’indipendenza per ottant’anni. Subentra la dominazione dei Cananei di Cazor, per vent’anni. Il re di Cazor è uno Iabin, distinto dall’omonimo del Libro di Giosuè. Debora e Barac restituiscono l’indipendenza al Popolo per quarant’anni. Per sette anni poi Israele è oppressa da Madian. Gedeone lo libera e lo giudica per quarant’anni. Alla sua morte il figlio Abimelech tenta di farsi re e governa per tre anni, ma contro il volere di Dio. Dopo l’usurpazione, Samir giudica Israele per ventitrè anni. Dopo di lui Iair lo fa per ventidue. Segue la dominazione degli Ammoniti e dei Filistei per diciotto anni. Iefte libera Israele dagli Ammoniti e lo giudica per sei anni. Ibsan è poi giudice per sette anni. Gli succede Abdon, per venti. Dopo di lui i Filistei dominano Israele per quarant’anni. Sansone li combatte per venti. L’età dei Giudici continua con Eli, di cui il Primo Libro di Samuele dice che giudicò Israele per quarant’anni. La sua giudicatura finisce con la vittoria dei Filistei, che distruggono Silo, trattengono l’Arca per sette mesi e opprimono Israele per vent’anni. E’ dopo questo ventennio che Samuele, il quale aveva iniziato a fare il giudice sin dagli ultimi anni di Eli, chiama gli Israeliti alla riscossa. Egli libera il paese intorno al 1070 e lo regge ancora per vent’anni, fino al 1030 ca., quando Saul è da lui consacrato re. Ammettendo che Samuele fosse giudice anche negli ultimi dieci anni di Eli, avremmo un cinquantennio di giudicatura e un’età di circa settant’anni per il Profeta che cede il passo alla monarchia e le sopravvive di una decina, morendo all’età, storica e non mitica, di ottanta anni circa. I due episodi dell’appendice potrebbero essere tra i più antichi della storia del periodo. Avulsi da ogni cronologia, non hanno elementi che ne permettono la fissazione, ma certo appaiono di difficile collocazione in una età di maggiore consapevolezza dell’unità nazionale. La migrazione dei Daniti è spesso messa in rapporto all’invasione dei Filistei, ma essi non sono nominati. Potremmo dunque ascriverla al periodo tra il XV e il XIV sec. a.C. In esso andrebbe bene anche quella della Guerra di sterminio, poi abortita, contro Beniamino. Fissando delle date, abbiamo quanto segue: Questa cronologia si addice coi dati storici che conosciamo. Thuthmosis II (1493-1478) combattè contro gli Shosu, della cui possibile identificazione con gli Ebrei si è detto. Thuthmosis III (1458-1425) assediò Meghiddo e pure combattè gli Shosu. Amenhotep II (1425-1401) combatte contro Retenu e cattura tremilaseicento mercenari Habiru, ossia Ebrei. Questi sono attestati nelle Tavolette di Amarna (XIV sec.) Ancora Sethi I (1294-1279) combatte contro gli Habiru, e la Tribù di Abu-Rahm è nominata nella sua Stele del 1289. Ramses II (1279-1213) si misura con gli Shosu, con Moab, con Edom e con Ammon; i frammenti dell’Iscrizione che gli si attribuisce – e che avrebbe ripreso da Amenhotep II – citerebbero il Popolo di Israele. Merneptah (1224-1210) nella sua stele del 1220 menziona la sua guerra contro Israele a sua volta nemico di Gezer (Canaan) suo vassallo. Chiaramente a questa data nessuno dubita che Israele fosse già in Palestina. Il fatto che in questi documenti Israele risulti nomade non deve meravigliare: la mobilità del Popolo è in relazione al fatto che le grandi città sono ancora cananee. Anche queste grandi città sono distrutte sin dal XVI sec. e quindi attestano la presenza degli Ebrei in Terra Santa da molto prima del XIII sec. Molte di loro – come Cazor – non caddero evidentemente definitivamente in mano agli Ebrei, per cui poterono essere nuovamente distrutte nel XIII sec. Ai – nella sua collocazione comune – divenne insediamento ebraico nel 1200. Bethel fu distrutta nel XIII sec.; Debir nuovamente devastata in quel secolo; Hebron di sicuro abitata dagli Ebrei nello stesso periodo; Eglon fu distrutta nel 1200; anche Cazor e Meghiddo subirono una delle loro innumerevoli distruzioni nel XIII sec. e con loro Afek. Queste distruzioni possono essere imputate agli Israeliti, segno che nel periodo dei Giudici la lotta per la Palestina continuava, al netto delle azioni belliche imputabili ai Popoli del Mare. Nel periodo in cui Thuthmosis II combatteva contro gli Shosu dev’esserci stata una temporanea espansione di una potenza del Nord, chiamata Paddan Aram ma che letteralmente è il Paese dei Due Fiumi, ossia la Mesopotamia. Alcuni identificano quel Paese con Edom per un errore di scrittura, ma i due fiumi sono indicativi. Il testo biblico parla di Paddan Aram, forse per un anacronismo, in quanto esso fu scritto dopo che gli Aramei cominciarono a premere sulla Siria e la Mesopotamia (ossia dopo il 1170), ma all’epoca in quella regione vi era l’Impero Mitanni, che in effetti esercitò un condominio sulla Siria Palestina con gli Egizi dal 1550 al 1370, cadendo dieci anni dopo. Kusain re dell’Aram, sconfitto da Otniel, potrebbe essere dunque uno dei Gran Re mitanni, dei quali in questo periodo non conosciamo i nomi. Dal 1370 al 1190 si costituì il condominio egizio-hittita sulla Siria Palestina. La XVIII Dinastia fondò un vasto impero e ben tre province egizie sorgevano in Palestina: Canaan, Amurru e Ube. Thuthmosis III se ne impadronì con la Battaglia di Meghiddo; poi si spinse fino in Siria e indi fino all’Eufrate. La dominazione egiziana non è mai citata nel Libro dei Giudici, ma non deve meravigliare. I vincoli tra il Faraone e le città stato cananee erano parafeudali, e non imbrigliavano i popoli recentemente sedentarizzatisi. Inoltre il Faraone non aveva una burocrazia nelle province ma solo qualche guarnigione e uno staff di esattori che percorrevano le città per i tributi; non imponevano la loro religione ed esercitavano una influenza discreta. Tra il 1350 e il 1200 danno alla regione grande stabilità. Sethi I e Ramses II si espandono verso Qadesh e Amurru, ma nella Battaglia della stessa Qadesh proprio Ramses, nonostante le versioni celebrative delle sue iscrizioni, deve ripiegare innanzi agli Hittiti. Ebbene durante questo dominio, i Re cananei sono tenuti ad essere fedeli al Faraone, ma questi non ha obblighi verso i vassalli, che sono anche liberi di combattersi tra loro. Nulla di anormale dunque se i popoli di Palestina, compresi gli Ebrei, si combattessero reciprocamente e che gli Ebrei stessi non considerassero la remota dominazione egizia come una minaccia, diversamente da quanto accadeva con quella dei paesi viciniori, rei peraltro di contaminare la fede monoteista con la loro religione pagana e semitica, certo più pervasiva di quella camitica e teocratica del Nilo. Perciò non solo Israele combatte contro Moab, Madian, Cazor, ecc., ma anche Amurru, Ugarit e Biblo combattono tra loro e città come Sichem e Gerusalemme seguono una politica di espansione. Anche le forme di dominio degli Hittiti e dei Mitanni sono blande. Quando poi il dominio egizio si erode, arrivano in Palestina i Popoli del Mare, e tra essi i Filistei, nella loro pentapoli (Ascalon, Gat, Ekron, Gaza, Asdod), sono i piu’ progrediti e i più agguerriti. Giungono nel XII sec. (e sono attestati dai tempi di Ramses III [1183-1152]), e proprio da esso iniziano le dominazioni filistee sugli Ebrei, grazie anche al monopolio della metallurgia del ferro. Sempre da questo periodo sono attestati gli Ammoniti, ma di sicuro sono più antichi. Fino al XIII sec. la Transgiordania non aveva fortificazioni, ma dal secolo successivo – ossia l’età di Iefte – esse compaiono e il loro nomadismo si attenua. Ammon, come del resto Moab, erano paesi più ricchi di quanto si può credere: alle numerose greggi vanno uniti i proventi derivanti dal fatto di essere attraversati dalle vie carovaniere che dalla Siria conducono allo Yemen; strade che peraltro attraversavano anche Madian. Anche Edom, sebbene più povero, è dotato di buone risorse: sono le miniere di rame e di ferro, sono le carovane che percorrono le strade fino al Mar Rosso. Ha inoltre il vantaggio di stare tra Giuda e l’Egitto, così da potersi barcamenare politicamente. Il quadro politico locale risulta quindi confacente alla descrizione del Libro dei Giudici. In quanto poi all’ultima potenza citata nel Libro, gli Aramei, sebbene l’identificazione di Paddan Aram con Mitanni sia a mio avviso più logica, bisogna dire a loro proposito che, quando ancora erano chiamati Sutei ed erano nomadi, ossia dal XIV sec. e fino al XIII, sono attestati in Siria; nel XII sec. si sedentarizzano e dal 1170 fino al 720 esercitano una pressione su Israele e la Siria, mentre questa è contesa loro dall’Impero Hittita, nello stesso periodo. Questi Aramei, spesso confusi cogli Amorrei comparsi dal XX sec. e che ebbero un loro regno in Siria sino al XIV sec., erano contigui ai Cananei ed avevano, come dicevamo, una forma gentilizia di Stato simile a quella di Israele, mentre dal 1000 sono stanziati lungo il Medio Eufrate. Tale quadro storico e politico coincide perfettamente col contesto delineato dal Libro dei Giudici. Per cui non c’è alcun motivo di considerare mitologico il periodo dei Giudici che la Bibbia fa durare mezzo millennio. Ovviamente però questo implica un ripensamento della teoria sull’origine del Libro che parla di loro. UNA TEORIA OLISTICA SULLA COMPOSIZIONE DEL LIBRO DEI GIUDICI Il Libro dei Giudici copre un lasso di tempo di circa quattro secoli e mezzo. Non è pensabile che per mezzo millennio scarso le vicende del Popolo fossero solo tramandate oralmente. La storia dei Grandi Giudici liberatori potè essere scritta presto, subito dopo le loro gesta, forse sussistendo in tante narrazioni, forse venendo continuata, forse venendo poi assemblata in un’epoca relativamente tarda, sotto la giudicatura di Eli. I santuari nazionali come Galgala e Silo poterono essere i centri di scrittura di questa storia anonima, forse scritta persino in una lingua diversa dall’ebraico dell’epoca e poi tradotta. Non vi sono dubbi sull’antichità ancestrale di alcune di quelle storie, come abbiamo segnalato. Tuttavia la tradizione aveva delle falle, come per esempio per la storia di Otniel, che pure era il Giudice più antico, o forse proprio per questo. Le sue gesta, presumibilmente mandate a voce, dovevano essere complesse e mirabolanti, perché stando alla cronologia interna dei Libri di Giosuè e dei Giudici, l’eroe doveva avere più di cent’anni quando morì. Ma stranamente sono andate perdute. A questa fonte va avvicinata quella sui Giudici minori non liberatori, dei quali la tradizione tramandava poco e nulla, anche qui per ragioni ignote. Era uno schema cronologico. Tuttavia i dotti sapevano o credevano di sapere come collegare la cronologia dell’una e dell’altra fonte. Altri episodi storici, come quelli delle appendici del Libro, erano tramandati diversamente, forse anche per iscritto, ma in modo erratico. Di certo non c’era una storia unitaria ed esauriente del periodo. E alla fine di esso nessuno era in grado di scriverla. Alla fine dell’età dei Giudici, quando già era re Saul, Samuele decise di scriverne la storia. Prese i due Libri, l’uno sui Giudici Maggiori e l’altro, sui Minori, e li combinò in una sola narrazione. Vi aggiunse una introduzione che collegava la storia della Conquista a quella dei Giudici. Scrisse avendo come modello il Pentateuco e il Libro di Giosuè, per cui i Giudici ne echeggiano le tradizioni (J, E, P, D) da un punto di vista stilistico e teologico, tanto da permettere che si potesse parlare di un Eptateuco. Samuele è, a mio avviso, l’autore di un ammodernamento letterario dei sei libri biblici già esistenti all’epoca. Egli concepì il Libro sui Giudici come una storia che arrivasse sino ai tempi suoi, cosa attestata dalla tradizione che gli attribuisce anche il Primo Libro che porta il suo nome. La narrazione continuava senza soluzione di continuità fino ai tempi di Saul. Infatti la storia di Sansone, con cui i Giudici terminano prima delle appendici, non è una vera conclusione. Forse il Profeta mirava ad arrivare fino ai tempi suoi, ma la morte deve aver impedito questo progetto. In ogni caso la differenza stilistica si vede tra i Giudici e i primi capitoli del Primo Libro di Samuele: la ricchezza di documentazione è tutta a vantaggio dei secondi; lo stile più curato, non avendo l’autore un testo preesistente da custodire e rispettare per quanto possibile. Ai tempi di David il Libro subì una trasformazione importante. Il Re staccò dalla storia dei Giudici quella di Samuele e di Saul, considerandole prodromi di quella sua personale, essendo lui stato unto dal primo; ordinò altresì la prosecuzione dell’opera samuelica fino ai tempi suoi. La storia dei Giudici divenne così libro autonomo e quella successiva dette luogo ai due Libri di Samuele, che pure subirono altre trasformazioni che però non ci interessano. Nel quadro del restyling stilistico indicato dal Re si colloca l’inserzione delle due appendici, di chiara età monarchica, che narravano due episodi della storia dei Giudici di difficile collocazione ma atti a mostrare la superiorità dell’ordinamento regio su quello anfizionico. Le mani che continuarono il Primo Libro di Samuele furono le stesse che aggiunsero tali appendici. Dopo lo scisma monarchico, il Libro dei Giudici deve aver avuto fortuna nel Regno del Nord, nel IX sec. Esso infatti attestava sia la possibilità di un culto liturgico non accentrato in Gerusalemme, sia l’esistenza di un clero non strettamente aronitico, sia di una leadership politica non solo davidica. Perciò dev’essere stato aggiornato linguisticamente in Bethel. Caduta Samaria e avviata la riedizione sia del Quinto Libro del Pentateuco che dei libri storici seguenti scritti fino a quella data, anche i Giudici subirono gli adattamenti che permettono di inserire questo testo nella storia deuteronomistica. E con questo ennesimo restauro teologico e letterario termina la storia del Libro dei Giudici. PECULIARITA’ TEOLOGICHE Il Libro dei Giudici, la cui autorità in quanto ispirato è indiscussa sia nella Scrittura (Sir 46, 11-12; At 13, 20; Ebr 11, 32), ha un insegnamento dottrinale semplice e profondo: il peccato aliena l’amicizia di Dio, attira i Suoi castighi, ha bisogno di redenzione per le sue conseguenze; la preghiera e il pentimento tuttavia possono indurre Dio a soccorrere i miseri, mentre la Sua Misericordia è senza limiti. In questo schema noi ravvisiamo la condizione umana: rovinata per la colpa, assoggettata a satana, bisognosa di riscatto realizzato da Dio, sia nella vita dei singoli che dei popoli. Perciò ogni Giudice è figura simbolica di Cristo, vero ed unico Redentore, la Cui opera non deve esser più ripresa da alcuno. Nel Libro abbiamo anche due figure tipiche di Maria SS.: Debora, che esorta Barac alla lotta, come la Madre sostenne il Figlio nel Sacrificio; Jael, che nella tenda uccide – insospettata- il generale Sisara, simbolo di satana, per cui all’eroina si applica una eulogia – Benedetta Jael tra le donne – che si compie in quella di Elisabetta sulla Vergine in visita a casa sua. Come dicevamo, molte cose nel Libro risentono dello stato arcaico della Rivelazione e soprattutto delle condizioni di infedeltà in cui Israele viveva la Fede, assediato dai popoli pagani. Nella stesura definitiva il biasimo per azioni come il sacrificio umano di Iefte o la lussuria di Sansone si evince non da una riprovazione esplicita, ma dalle conseguenze delle azioni stesse. In altri casi, come l’efod di Gedeone, che è culto sconveniente, l’autore ha inserito una esplicita condanna del peccato commesso. Nelle azioni scandalose delle appendici il biasimo si ravvisa proprio dalla loro natura riprovevole. IL LIBRO DI RUT IL TITOLO Il Libro di Rut prende il nome dalla sua protagonista, la moabita Rut che continuò a vivere con la suocera Noemi dopo la morte del marito fino a che non contrasse matrimonio con Booz, diventando così ava di David. L’ARGOMENTO Elimelec, a causa della carestia, da Betlemme emigra in Moab con la moglie Noemi e i figli Maalon e Kilion, che alla morte del padre sposano due indigene, Orfa e Rut. Dopo dieci anni, morti anche i figli, Noemi decide di tornare in Giudea ed è seguita da Rut, che non vuole abbandonarla, mentre Orfa torna a casa sua. A Betlemme, Rut su consiglio di Noemi va a spigolare da Booz, parente di Elimelec, sperando che in virtù della legge del levirato quegli la sposasse. Ciò avviene e dal matrimonio nacque Obed, padre di Iesse e nonno di David. ANALISI FILOLOGICA Composto da soli quattro capitoli, fu considerata la terza appendice del Libro dei Giudici dai LXX e dalla Vulgata (che lo posero come libro immediatamente successivo ad essi), nonché da Origene, Melitone di Sardi, Atanasio di Alessandra e Girolamo. Nella Bibbia ebraica fa parte degli Agiografi ed è uno dei Cinque Rotoli, letto per la Pentecoste. Il Libro di Rut non è stato inserito nella storia deuteronomista. Alcuni hanno messo in discussione l’autenticità del brano genealogico finale (4,17-22), ma è riscontrato da 4,12 in rapporto a 1 Sam 22, 3-4 e 1 Cron 2,4-15. L’autore del Libro, per il Talmud babilonese (Baba Bathra 14 c) e per la Tradizione cristiana, è Samuele, cosa perfettamente plausibile e ritenuta per vera fino a non molto tempo fa da parecchi critici. Vi sono in effetti molte ragioni per ascriverlo almeno a quell’epoca e le motivazioni per datarlo addirittura a dopo l’Esilio sono inconsistenti: le prime parole del Libro (1,1) possono essere state scritte dal regno di Saul in poi; la necessità di spiegare alcune usanze in 4,7 e alcune particolarità linguistiche possono addebitarsi a dei parziali rifacimenti; l’idea che la retribuzione, di universalità della Fede e della benignità di Dio siano concetti successivi è solo un pregiudizio teologico, in quanto sono confacenti all’età di Samuele e di Eli; vi sono altresì riscontri per una datazione alta nella struttura interna, nella lingua, nei costumi, nella dottrina. Altre date proposte sono tutte le epoche da David fino a Neemia. A mio avviso, la data della composizione definitiva è quella del regno di David (1010-970), il quale aveva interesse a presentare una storia edificante ambientata nella sua famiglia e quindi fece aggiungere la genealogia finale. Ciò prova che il testo esisteva anche da prima. David tuttavia non si fa intitolare Re, per cui l’aggiunta potrebbe anche risalire al periodo in cui era vassallo dei Filistei o non era riconosciuto da tutte le tribu’. In tal caso la composizione originale potrebbe essere di Samuele, che avrebbe avuto tutto l’interesse non solo a tramandare questo racconto edificante ma anche a vantare la famiglia dell’eroe che lui stesso aveva unto in contrapposizione a Saul. Il Libro è tecnicamente un idillio amoroso, scritto con semplicità, naturalezza, delicatezza e maestria. Ai più è sembrato un capolavoro. STORICITA’ E’ ambientato nell’età dei Giudici, presumibilmente ai tempi di Eli. Il racconto è senz’altro autentico, anche se le ragioni del suo ingresso nella Scrittura sono solo ipotizzabili e riconducibili alla glorificazione del re David, sia pure in un modo anomalo quale è quello che esalta la fede di una donna non circoncisa e l’ingresso di essa nella schiatta del sovrano. INSEGNAMENTO Il rapporto tra Rut e la genealogia davidica e quindi di Cristo è fondamentale ed è ripresa anche in Mt 1,5. Il suo amore per i congiunti, i sacrifici che ne derivano, l’integrità dei costumi fanno di Rut un modello morale. La fiducia in Dio appare qui ricompensata ed è paradigmatica, tanto più che la protagonista è una straniera. Vi è dunque un chiaro insegnamento provvidenzialista e universalista. PRIMO E SECONDO LIBRO DI SAMUELE IL NOME I Libri altro non sono che i due rotoli su cui è scritta una sola opera, attribuita a Samuele, che infatti narrano la storia che lo precede e lo accompagna sino all’instaurazione della monarchia e alla sua morte. Continuando però fino a tutto il regno di David dopo quello di Saul, i Libri sono stati considerati anche le prime due parti di una storia della monarchia, per cui nella LXX e nella Vulgata sono chiamati Primo e Secondo Libro dei Re, dandosi ai due che seguono, ordinariamente chiamati essi con questi due nomi, i numerali ordinali di Terzo e Quarto. L’ARGOMENTO I Libri comprendono la storia degli inizi della Monarchia fino al regno di David come dicevo. Non sono da considerarsi storici nel senso tucidideo, perché non raccontano tutto quello che accadde né connettono sempre logicamente i vari episodi. Hanno un intento teologico e quindi seguono l’impostazione religiosa dell’autore. Al termine dell’età dei Giudici, sotto Eli, la crisi sistemica causata dai Filistei, che solo a fatica furono respinti da Samuele dopo un drammatico ventennio di loro dominazione su Israele, fece si che il Popolo chiedesse a gran voce un Re che continuasse in modo stabile l’iniziativa degli ultimi Giudici, riconosciuti su tutto il territorio. Questo primo Re fu Saul (1030-1010) della Tribù di Beniamino. Tuttavia egli non riuscì a sconfiggere il nemico in modo definitivo, anzi entrò in contrasto con lo stesso Samuele che, finchè visse, fu la guida morale del Paese. Saul inoltre vide battere in breccia il suo potere, fondato sul prestigio militare, dalla fama e dalla prodezza di un suo giovane guerriero, David, della Tribù di Giuda. Inviso il Re in carica a Samuele per la sua indipendenza di azione nei fatti religiosi, questi consacrò lo stesso David sovrano, ma in segreto, per significare che la sostituzione del sovrano, che poi accadde per forza di cose, era voluta da Dio e inserita in un progetto salvifico, messianico e profetico. Si narra dunque la lotta tra Saul e David, che pure evitò di muovere mai guerra al suo sovrano. Caduto Saul in battaglia contro i Filistei, il Regno fu diviso in due e David (1010-970) regnò solo su Giuda, mentre Is-Baal, figlio del sovrano deceduto, fu riconosciuto nel Nord. Emancipatosi David dal vassallaggio verso i Filistei e morto Is-Baal per le lotte intestine di potere della sua corte, dopo sette anni il Nord e il Sud furono riunificati sotto lo scettro del contendente superstite, senza che però si superasse una dicotomia Giuda-Israele che era retaggio già dell’ultima età dei Giudici. David sottomise i Filistei e i popoli vicini, aureolandosi di prestigio militare e politico, mentre osservo’ con zelo la Legge di Dio e centralizzò il culto nella nuova prestigiosa capitale, finalmente conquistata definitivamente, ossia Gerusalemme. Ci si aspetterebbe che i due Libri terminassero con la morte del Re, ma così non accade. La vecchiaia di David e la successione – drammaticamente ingarbugliata e anticipata dalla Congiura di Assalonne descritta nei nostri testi – sono infatti narrati nei Libri dei Re. STRUTTURA I Libri, che appunto contenutisticamente sono la medesima cosa, sono divisibili in quattro parti e chiusi da una appendice; la prima è dedicata a Samuele ( 1 Sam 1-7); la seconda a Samuele e Saul (1 Sam 8-15); la terza a Saul e David (1 Sam 16- 2 Sam 1); la quarta a David (2 Sam 2-20); l’appendice è in 2 Sam 21-24. Prima sezione. Samuele (1 Sam 1-7). Anna, moglie di Elcana, non ha figli e, recatasi al Santuario di Silo, fa voto di consacrare al Signore il figlio che eventualmente Egli le concederà. Il Signore l’esaudisce e nasce Samuele, consacrato a Dio in Silo (1-2,11). Samuele fanciullo è al servizio nel Santuario. I figli di Eli sono riprovati da Dio per la loro empietà (2,12-3,21). I Filistei muovono guerra a Israele e lo sconfiggono: i figli di Eli sono uccisi, l’Arca dell’Alleanza è presa, il vecchio Eli muore. Il Signore flagella i rapitori dell’Arca che è lasciata libera (4,1-7,1). Samuele diviene giudice e liberatore di Israele (7,2-17). Seconda sezione. Samuele e Saul (8-15). Israele chiede un Re contro il parere di Samuele, che però lo consacra, su ordine di Dio, nella persona di Saul e lo presenta al Popolo all’assemblea di Masfa (8,1-10,27). Saul vince gli Amaleciti e Samuele abdica alla Giudicatura (11,1-12,25). Saul vince i Filistei e gli Amaleciti, ma disobbedisce agli ordini di Dio in materia cultuale e viene riprovato da Lui, Che sceglie il nuovo Re in David (13-15). Terza sezione. Saul e David (16-31). Samuele consacra David segretamente; questi è accolto alla corte di Saul per placarne gli scoppi di ira con la sua musica (16). In guerra contro i Filistei David uccide Golia e diviene popolare. Saul diviene geloso e David deve fuggire (17-18). Dimora prima a Naiot presso Samuele ma, avvertito da Gionata, figlio di Saul, delle intenzioni assassine del padre, fugge (19-20). Erra tra Nob, Gat, Odollam, Keila, En-Gaddi, dove risparmia la vita di Saul (21-24). Muore Samuele (25,1). David è irritato da Nabal e placato da Abigail che, rimasta vedova, diviene sua sposa. In Hakila David risparmia ancora Saul e si rifugia presso i Filistei in Gat, come vassallo di Achis (25,2-27). Riprende la guerra israelo-filistea. Saul consulta la pitonessa di Endor evocando Samuele che gli predice morte e sconfitta (28). David lascia Gat, abbandona l’esercito filisteo, sconfigge gli Amaleciti (29-30). Saul e Gionata sono sconfitti e uccisi sul Gelboe (31). David ne piange la morte con un’elegia (2 Sam 1). Quarta sezione. David re. (2-20). David è proclamato re di Giuda in Ebron, Is-Baal figlio di Saul re d’Israele in Hebron. La guerra civile termina con la morte di Is-Baal e di Abner (2-4). David è re di tutto Israele. Vince i Filistei. Trasporta l’Arca a Gerusalemme. Riceve la promessa messianica da Dio e compone una preghiera di ringraziamento (5-7). David estende e consolida il Regno. Commette adulterio e omicidio e si pente (8-12). La Congiura di Assalonne costringe David a fuggire; ma l’usurpatore, mentre insegue il padre oltre il Giordano, è sconfitto e ucciso da Ioab (13-19,9). David riprende il potere ma Seba si ribella nel Nord; viene tuttavia sconfitto (19,10-20). Appendice (21-24): sono altri sei brani staccati dalla narrazione. Una carestia di tre anni imperversa per colpa di Saul che aveva infranto il giuramento fatto ai Gabaoniti; David dà loro soddisfazione facendo giustiziare sette suoi discendenti (21, 1-14). Una pestilenza imperversa da Dan a Bersabea come punizione di un censimento fatto da David per vanità. Il Re erige in riparazione un altare in Ornan, dove sorgerà il Tempio (24). Fatti di armi di David e dei suoi eroi (21,15-22). Lista dei Prodi del Re (23,8-30). Salmo di ringraziamento (22). Oracolo profetico e messianico sulla discendenza di David (23,1-7). ANALISI FILOLOGICA Il Talmud – con una tesi che io condivido – attribuisce a Samuele il Primo dei suoi Libri sino a 25,1 (Baba bathra 14 b), dove è descritta la sua morte. Il resto del Primo Libro e il Secondo sarebbero stati scritti dai profeti Gad e Natan. Vari Padri della Chiesa e commentatori seguirono questa analisi, anche se la fonte dei Libri delle Cronache, a parere dei piu’, non fu, come si è creduto, l’opera samuelica. Oggi pochi però danno retta a questa attribuzione, in quanto l’esame interno dei Libri rimanda ad un’epoca posteriore ai fatti narrati: usanze e nomi spiegati come se fossero incomprensibili, riferimenti alla divisione dei due Regni, l’espressione “fino a quel giorno” in relazione a situazioni ormai mutate. L’opera fonderebbe o giustapporrebbe fonti e tradizioni diverse sugli inizi della Monarchia. Una di queste sarebbe una storia della cattività dell’Arca presso i Filistei (1 Sam 4-6), in cui Samuele non compare affatto e che sarebbe incorniciata tra il racconto della sua infanzia (1 Sam 1-3) e quello della sua liberazione di Israele (7). Chi dice questo non tiene conto della palese unità narrativa e stilistica dei capitoli in questione. Il ruolo centrale di Samuele nell’istituzione della Monarchia, descritto in 1 Sam 8-12, sarebbe la risultante di due tradizioni: i capp. 9; 10,1-16; 11, la versione filomonarchica dell’evento, costituiscono la prima; i capp. 8; 10, 17-24; 12, resoconto antimonarchico del fatto, la seconda; quest’ultima sarebbe più recente per alcuni critici. Altri sottolineano che le due fonti sono entrambe antiche e che la pretesa antimonarchicità della seconda è solo funzionale alla rivendicazione dei diritti di Dio. Anche in questo caso, l’unità stilistica e narrativa non è considerata nella critica delle fonti, a vantaggio di una vivisezione testuale che non aiuta a farsi una idea complessiva dell’origine dell’opera. Le guerre di Saul sono narrate in 13-14 e vi si distinguerebbero due versioni del rigetto del Re da parte di Dio (13, 7b-15a e 15), servendo ad introdurre la consacrazione di Davide da parte di Samuele (16,1-13). Questa sezione sembrerebbe far riemergere dalle nebbie del tempo una sorta di Annali di Saul, e in effetti potrebbero essere esistiti gli Atti di questo Re, poi perduti per la sua damnatio memoriae. I filologi distinguono anche tradizioni parallele ed antiche in relazione alle prime azioni di David e ai contrasti suoi con Saul (1 Sam 16,14- 2 Sam 1), e vi ravviserebbero diversi doppioni. La fine di questa fonte sarebbe l’unificazione del Regno sotto David (2 Sam 5, 12). Di certo vi è solo che le notizie sono assai antiche e quindi attendibili; i cosiddetti doppioni sono spesso il frutto di narrazioni di fatti simili ma non necessariamente duplicati. I capp. 6 (storia dell’Arca), 7 (profezia di Natan, antica ma rimaneggiata) e 8 (riassunto redazionale) sarebbero distinguibili dal resto del testo. Segue la storia della famiglia di David (2 Sam 9-1 Re 1-2), narrata da un testimone oculare ai tempi di Salomone. E’ spezzata da 2 Sam 21-24, che unisce racconti diversi sul Regno davidico. Stando a questa analisi, alcuni grandi racconti si sarebbero costituiti sin dai primi secoli della Monarchia: un ciclo di Samuele, due storie di David e Saul, che per coloro che le rilevano potrebbero essere nati nel 700 a.C. I Libri nel loro complesso sono quindi datati da alcuni tra lo Scisma politico e la Caduta di Samaria, che si pretende non potesse essere ignorata dall’Autore. Il lasso di tempo è tra il regno di Roboamo (930-913) e la fine del IX sec., per chi non vede nei testi tracce della redazione deuteronomistica. Per chi invece la ravvisa, la forma definitiva del testo è legata alla stesura di quella redazione, di cui abbiamo detto più volte. Tuttavia l’influsso deuteronomistico è meno marcato nei Libri di Samuele che in quello dei Giudici o dei Re. Il testo è uno dei peggio conservati dell’AT ebraico; la LXX ce ne dà una versione spesso differente, risalente ad un prototipo di cui i Rotoli di Qumran ci hanno offerto frammenti importanti. Ciò attesta l’esistenza di più recensioni ebraiche dei Libri di Samuele. UNA TEORIA OLISTICA SULLA FORMAZIONE DEI LIBRI DI SAMUELE A mio avviso, le diverse evidenze testuali e le loro contraddizioni in merito alla composizione dei Due Libri di Samuele possono essere conciliate e risolte in un certo modo. Alla base del percorso storico che porta ai Due Libri come sono oggi vi è, appunto, Samuele, autore di un Libro che arrivava fino ai tempi suoi. Questo lavoro, realizzato in paleoebraico alla luce dei modelli biblici già esistenti – Pentateuco e Giosuè- ha le striature stilistiche e teologiche di quei Libri, per cui si collega ad essi quasi come un Ottateuco. E’ lo strato redazionale primigenio. In esso i Giudici non terminavano affatto con Sansone, ma proseguivano sino a Saul. La data di composizione è intorno al 1027 a.C. Quest’opera, nella parte che ci interessa, è a mio avviso la storia di Samuele citata nelle Cronache. Samuele fu, a mio avviso, il revisore linguistico del Pentateuco e di Giosuè, per cui la sua opera storica e teologica si colloca nel quadro di un impegno sistematico. Nel Primo Libro che porta il suo nome dovettero entrare le gesta di Saul, anche se con una caratura polemica, a causa della rottura tra questi e il Giudice. Morto Samuele e assurto David al trono, i suoi intellettuali di corte – tra i quali nulla vieta di annoverare il profeta Gad e poi Natan – separarono la narrazione sui Giudici da quella del Primo Libro di Samuele. Quest’opera è il Libro citato in 1 Cr 29, 29, almeno a mio avviso. La separazione fu sancita dall’inserzione delle due appendici al Libro dei Giudici – una delle quali tra l’altro fortemente ostile alla Tribù di Beniamino da cui era uscito Saul – e i fatti di Samuele dai tempi di Eli, considerati il prodromo dell’instaurazione della monarchia e della nascita della dinastia davidica, furono inseriti in una narrazione culminante con la descrizione del regno di David. La storia di questo Re prima dell’ascesa al trono forse fu inserita nel corpo del testo o magari già Samuele l’aveva iniziata; fu descritta la morte di Samuele stesso; infine la narrazione fu proseguita sino alla fine del regno di David stesso. Probabilmente giungeva fino alla sua morte. Ma Salomone (970-930), alla sua ascesa, staccò quella parte del racconto dal Secondo Libro samuelico e lo unì a quello delle sue gesta, che rimasero a lungo separate dalla storia dei Re, redatta in seguito. L’autore fu Natan. Questa terza prosecuzione è quella menzionata in 1 Cr 29, 29. A quei tempi i Due Libri erano già simili in struttura a come li conosciamo. La sistemazione degli argomenti tra la fine di questi Libri e l’inizio dei Re si ebbe entro il regno di Roboamo. Tuttavia le versioni separate dei testi di Samuele, di Gad e Natan dovettero rimanere in circolo per diverso tempo. Una revisione storica dei Due Libri in chiave deuteronomistica si ebbe ai tempi di Giosia (639-608), ma non cessarono di circolare varianti testuali più antiche, a dimostrazione della importanza proteiforme della testimonianza letteraria di Samuele. La LXX poi assimilò i Libri a quelli dei Re in base all’argomento, usando una recensione che non sappiamo a quale strato redazionale appartenesse. Eventuali retroversioni dall’ebraico classico del VI-V sec. alle sue forme più arcaiche potrebbero dare conferma a queste tesi. VALORE STORICO A dispetto degli estremismi di certi critici, non vi è alcun motivo di dubitare del valore storico documentale dei Libri di Samuele. La centralità assoluta di alcuni luoghi e gruppi etnico-tribali e la marginalità di altri nei racconti corrisponde agli schemi della storiografia palatina dell’epoca, incentrata sulla capitale, sul Re e sul suo ambiente d’origine; il fatto che le vicende siano spesso ambientate nelle medesime regioni non significa che il potere monarchico sia stato più ridotto di quanto dichiarino i Libri di Samuele. Né la mancanza di alcuni riscontri archeologici può inficiare la credibilità della stessa narrazione. Non si può chiedere alla Bibbia una riscontrabilità maggiore di quella che si domanda a qualsiasi altra fonte antica. PECULIARITA’ TEOLOGICHE I Libri di Samuele, la cui canonicità è attestata in Mt 12, 3-4; At 13, 21-23; Rm 15, 9, hanno un valore incalcolabile da un punto di vista spirituale. Ogni fatto, ogni personaggio si presta a svariate riflessioni morali e spirituali. Il fulcro dei Libri è lo sviluppo del Messianismo: il governo dei Giudici fu soppiantato dalla più stabile forma monarchica; la promessa di Gn 49,8-12 si realizza per la Tribù di Giuda nella persona di David e nella sua discendenza; la profezia di Natan (2 Sam 7,12-17) descrive il Re come antitipo del Messia; David è il principe ideale e devoto, che gode di prerogative sacerdotali, offre sacrifici, benedice il popolo, riceve la promessa di un figlio che avrà Dio stesso per Padre, ossia Salomone, simbolo di Gesù. In questo senso David è, in quanto antenato di Cristo, Sua figura tipica. La promessa a David è dunque l’ulteriore specificazione della promessa di Dio: dal Protovangelo a Noè, da Abramo a Isacco e a Giacobbe, da Giuda a David. Inizia così la filiera teologica del Messianismo, in cui tutti i percorsi portano al Cristo. Anche Samuele, come tutti i Giudici, è figura tipica di Gesù, ma naturalmente la sua simbologia è schiacciata su quella del Re. In ogni caso l’Annunciazione ad Anna, la concezione miracolosa del Giudice, la sua presentazione ed offerta al santuario, la sua vita nello stesso, la sua locuzione con Dio in giovane età sono immagini degli eventi dell’Infanzia di Cristo, e la stessa Anna è figura di Maria SS. Costei è prefigurata nell’Arca, e gli spostamenti di questa annunziano il viaggio della Vergine da Elisabetta. Anche molti episodi della vita di David preparano quelli del Vangelo: quando il Pastorello uccide Golia, simboleggia la vittoria dell’inerme Cristo sul diavolo; le numerose persecuzioni subite preparano quelle subite dal Redentore, sia in gioventù che in vecchiaia; le sue vittorie sono immagine di quelle che Gesù riporterà sul male; la profezia sul Tempio da edificare da parte del Figlio di David è riferita pienamente solo alla Chiesa. Anche le sue vicende peccaminose sono di esempio: egli infatti commette gravi colpe ma si pente ed espia con diverse disgrazie. Theorèin - Marzo 2014 |