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DE IEREMIAE LIBRIS Breve introduzione ai Libri dei Re, di Geremia, delle Lamentazioni e di Baruc In quanto segue introdurremo i Libri biblici che la tradizione giudaica e in parte anche cristiana attribuisce a Geremia profeta. Il confronto tra il Primo e Secondo Libro dei Re da una parte e il Libro del Profeta Geremia dall’altra potrà aiutare a capire se l’attribuzione ha un fondamento; la comparazione altresì tra il Libro del Profeta e le Lamentazioni servirà a capire i rapporti intercorrenti tra i due testi e tra le ultime e i Libri dei Re; l’esame del Libro di Baruc chiuderà l’analisi del corpus della tradizione geremiaca. PRIMO E SECONDO LIBRO DEI RE IL NOME I due Libri prendono il nome dal loro argomento, in quanto narrano la storia dei Re di Giuda e di Israele dalla morte di David alla Caduta di Gerusalemme nelle mani dei Babilonesi. Anticamente costituivano un solo libro, diviso in due dai LXX e dalla Vulgata che, peraltro, considerarono questi testi così divisi non il primo e il secondo, ma il terzo e il quarto dei Libri dei Re, avendo attribuito i due numerali precedenti ai due Libri di Samuele. IL CONTENUTO I Libri dei Re narrano gli eventi compresi tra il 970 e il 587 a.C. Essi prendono le mosse dalla crisi dinastica innescata dalla senescenza di David, dopo quaranta anni di regno: la corte del vecchio monarca - il cui carisma e le cui eccezionali qualità avevano permesso di tenere insieme tutte le tribù, nonostante l’opposizione strisciante tra quelle gravitanti attorno al polo Efraim-Manasse e quelle che si raggrumavano dietro Giuda, da cui proveniva la stessa famiglia reale e nella quale il sovrano attingeva per reclutare i suoi quadri amministrativi e militari – è un focolaio di intrighi in cui solo la decisione del Re è risolutiva: egli designa Salomone, figlio di Bethsabea, e lo mette in condizione di trionfare di tutti i suoi nemici interni. Il grande prestigio del padre scomparso permise al giovane ed energico successore di insediarsi sul suo trono venendo riconosciuto da tutte le tribù; sovrano pacifico, si diede all’attività amministrativa, ai commerci, alla riorganizzazione religiosa con la centralizzazione del culto in Gerusalemme, al patrocinio delle lettere e delle arti, in particolare quelle architettoniche, eternate nella Reggia e nel Tempio. Pose fine all’attività espansionistica paterna, pago dei domini che andavano dal Fiume d’Egitto fino a Palmira, ma continuò a favorire i Giudei e gravò il Paese di imposte a causa delle spese di corte e mecenatistiche. Ciò creò malcontento che affiorò in sporadiche rivolte, peraltro subito represse. Ma alla morte del Re dopo quattro decenni di potere le tribù del Nord chiesero radicali riforme che il giovane Roboamo non volle concedere, causando così uno scisma politico da cui nacque il Regno di Israele in contrapposizione a quello di Giuda - su cui continuò a regnare la Dinastia davidica - e dal quale derivò ben presto uno religioso, volendo il nuovo re Geroboamo evitare che i suoi sudditi mantenessero legami spirituali col Tempio di Gerusalemme e inaugurando così il culto del Vitello di Bethel che surrogava quello dell’Arca di Sion. Avvertito come uno strappo nella tradizione mosaica, questo culto non ebbe il sostegno dei Leviti, che si ritirarono tutti nel Regno di Giuda. Si configurò quindi questa situazione: Giuda, Beniamino, Simeone e Levi nel Regno di Giuda; Manasse, Efraim, Gad, Aser, Dan, Neftali, Issacar, Zabulon, Ruben nel Regno di Israele. Mentre della storia di Salomone i Libri dei Re danno una versione dettagliata ed erudita, di quella dei Re successivi, del Nord e del Sud, danno una narrazione stereotipata nelle sue parti spesso stringata, giungendo sino alla distruzione del primo con la Presa di Samaria nel 721 per mano di Salmanasar V di Assiria (726-722) e all’abbattimento del secondo con la Conquista di Gerusalemme per opera di Nabucodonosor II di Babilonia (605-562) nel 587, il quale ordinò due deportazioni successive di Giudei. Com’è noto, dalla deportazione di Israele nell’Impero Assiro non torno’ quasi nessuno; da quelle in Babilonia – che causarono il famoso Esilio - invece vi fu il ritorno da cui nacque il Giudaismo, che però non è oggetto di narrazione di questi libri. Essi sono storicamente attendibili, indipendentemente dalla loro prospettiva teologica, di cui diremo: l’autore ha usato fonti documentali – di cui diremo- e quanto narra concorda coi dati extrabiblici, quali ad esempio la spedizione del faraone Sheshonq I (945-924) in Palestina – in cui le città conquistate sono riportate nella Lista del Tempio di Karnak – o i resoconti della Conquista di Gerusalemme negli Annali babilonesi o gli ostraka di Samaria o la testimonianza sulla grandezza del re Acab di Israele in una iscrizione di Salmanasar III di Assiria (858-824) e il tributo del re Jeu allo stesso Re assiro o l’Iscrizione del Canale di Siloe di Ezechia, eternato nel suo Obelisco commemorativo, o ancora la Stele di Mesha re di Moab. Inoltre l’autore è imparziale anche nella narrazione delle vicende dei suoi eroi, come Salomone o Ezechia. La cronologia dei Re – pienamente storica, con un margine di oscillazione di dieci anni per gli eventi più antichi – è la seguente per i Re di Giuda, tutti della Dinastia davidica e tutti in successione patrilineare eccettuati gli ultimi quattro:
Questa invece è la successione dei Re di Israele:
Nel 722-721 avviene la Distruzione di Samaria e la Deportazione in Assiria di Israele. LA STRUTTURA I Libri dei Re, considerati come un tutt’uno, possono dividersi in tre parti.
DISAMINA LETTERARIA E FILOLOGICA I Libri seguono immediatamente il racconto di quelli di Samuele: infatti 1 Re 1-2 contengono la conclusione della storia davidica di 2 Sam 9-20; segue un’ampia sezione che altro non è che una storia salomonica (1 Re 3-11). I Libri dei Re fanno ampio uso di fonti storiche antecedenti alla loro stesura e li menzionano in alcuni casi: diciassette volte il Libro degli Annali dei Re di Israele e quindici quello degli Annali dei Re di Giuda; altre, come le vite di Elia (1 Re 17-2 Re 1), Eliseo (2 Re 2-13), Geroboamo (1 Re 11,26-14,20), Acab (1 Re 16, 23. 20,1-22,39), Jeu (2 Re 9,1-10,36), sono facilmente riconoscibili per una differenza di stile, per ricchezza maggiore di particolari e perspicuità narrativa; esse erano dunque già precedentemente scritte. La storia di Elia risale alla fine del IX sec., quella di Eliseo è di poco posteriore; i brani della storia di Ezechia in cui è presente Isaia risalgono ai discepoli di quel profeta (2 Re 18,17-20,19), operante dal 740 al regno di Manasse. In ogni caso queste fonti sono unite in un racconto letterariamente e stilisticamente unitario, come si evince dalla presenza di formule standard, atte a sincronizzare le cronologie dei Re di Israele e Giuda, a narrarne la fine e a rimandare alle fonti utilizzate per completare il quadro informativo, nonché per fulminare la condanna morale e religiosa su tutti i Re di Israele e su quasi tutti quelli di Giuda eccettuati otto (Asa, Giosafat, Gioas, Amasia, Azaria, Jotam, Ezechia e Giosia), dei quali solo solo gli ultimi due meritano una approvazione piena – in quanto estirparono anche il culto delle alture. Gli ultimi sei Re di Giuda sono poi riprovati esattamente come quelli di Israele. Il peccato dei Re di Israele è quello di Geroboamo e del Vitello; molti di essi e i Re di Giuda del periodo finale sono rei di politeismo idolatra. L’idea forza di questa narrazione è il binomio obbedienza e ribellione cui corrisponde quello di premio e castigo; l’autore esalta la centralità del culto templare di Gerusalemme, lo descrive, ne narra le vicende e mostra come esso sia voluto da Dio. Egli altresì sottolinea la necessità di obbedire ai Profeti di Dio e ne esemplifica ruolo e virtù con le storie meravigliose di Elia ed Eliseo. In ragione di ciò la storia dei Re è una interpretazione teologica dei fatti degli uomini, del loro modo di vivere la vera Fede; così molti eventi rilevanti ma profani sono del tutto o parzialmente bypassati (quelli dei re di Israele Acab e Geroboamo II che pure furono assai rilevanti) e altri invece sono descritti con estrema minuzia (la costruzione del Tempio, lo scisma, le vite di Elia ed Eliseo, la loro lotta contro l’apostasia di Acab e il culto di Baal, Atalia e Gioas, l’empio operato di Acaz, le riforme di Ezechia e Giosia). Ciò per dimostrare che l’infedeltà a Dio ha portato Israele e Giuda alla rovina, mentre la conversione può salvare. Questa interpretazione si ispira evidentemente alla legge del Deuteronomio, la cui riscoperta sotto Giosia rappresenta il cuore della storia dei Re. La tesi cardine, sul rapporto tra salvezza e conversione come tra rovina e punizione, è del Deuteronomio ed è enunciata in 1 Re 8 e 2 Re 17. Perciò dipendono da quel testo e dalla riscoperta del suo pensiero. L’AUTORE E LA DATA I Libri devono avere avuto almeno due stesure con conseguenti ampliamenti. Tra il 621 e il 586 l’autore deve aver posto mano allo scritto, incoraggiato dalle riforme di Giosia, per mostrare che le sciagure del passato erano state causate dall’infedeltà alla Legge. La lode di Giosia (2 Re 23, 25 eccettuate le ultime parole) è la chiusura della prima edizione, anteriore alla morte del sovrano a Meghiddo. Dopo il 562, a seguito della Distruzione di Gerusalemme, nell’Esilio, i Libri furono completati con il racconto della Caduta della città e con l’aggiunta di due appendici, sul governatore Godolia (2 Re 25,22-26) e su Joachin (2 Re 25, 27-30). Una edizione intermedia potrebbe esserci stata prima del 562 e sarebbe terminata con la Seconda Deportazione (2 Re 25,21). Aggiunte più o meno marginali poterono aversi durante e dopo l’Esilio. La tradizione talmudica, accettata da molti illustri esegeti classici come Lapide, Vigoroux, Cornely ecc., attribuisce i Libri al profeta Geremia, operante tra il 627 e il 586, ai cui scritti in effetti somigliano per ideologia e linguaggio. Io aderisco a questa identificazione, pur sottolineando che per molti si può affermare solo che l’autore sia stato del circolo spirituale del Profeta. E tuttavia il dato tradizionale è a mio avviso sufficientemente corroborato dalle somiglianze di stile. TEORIA OLISTICA SULLA FORMAZIONE DEI LIBRI DEI RE In relazione a ciò, debbo notare che i Libri dei Re echeggiano dottrinalmente il Deuteronomio che a sua volta ha una parentela stilistica con il Libro di Geremia, per cui appare a mio avviso evidente che sia quest’ultimo che i Libri dei Re siano usciti dalla medesima mano. Questa mano è quella di Geremia. A mio avviso, come ho avuto modo di scrivere introducendo il Pentateuco, il Libro di Giosuè e quelli attribuiti a Samuele, i Libri dei Re hanno avuto una gestazione complessa il cui punto d’arrivo coincide con quella degli altri testi citati. Anzitutto abbiamo la stesura della storia di Salomone, ad opera del profeta Nathan. Questi, per ordine del suo Re, scorporò dalla storia di David la narrazione della morte del sovrano e la inserì negli esordi di quella di Salomone. Tale storia, presumibilmente completata alla morte dello stesso Re, fu un’opera letteraria autonoma, contenente una descrizione originale del Tempio. Parallela a questa si sviluppò la storia dei Re di Giuda, sotto forma di Annali, che ebbe un corrispettivo in quelli dei Re di Israele. Nelle date precedentemente indicate furono presumibilmente scritte le Vite di Elia ed Eliseo (ma potrebbero essere più antiche e redatte dai discepoli dello stesso Eliseo), presto fuse in un solo racconto. Questi testi dovettero (o poterono) confluire, in tutto o in parte, in una storia della monarchia, magari redatta da Isaia, per dar ragione a quegli studiosi che considerano questo profeta uno dei redattori deuteronomisti o di una storia palatina anteriore a quella deuteronomista. Sulla base di questo lavoro Geremia potè redigere i Libri dei Re. L’input gli venne dalla riscoperta del Deuteronomio – ossia dei testi originali di questo libro custoditi nel Tempio, risalenti all’epoca di Samuele o di David – e resi subito nell’ebraico dell’epoca. Fu Geremia stesso ad essere incaricato di tale ammodernamento linguistico? E’ a mio avviso assai probabile, data la somiglianza tra lo stile dell’ultimo libro del Pentateuco e quello del Profeta. Questi poi, assecondando il fervore riformatore del suo Re, pose mano all’ammodernamento linguistico del resto del Pentateuco, dei Libri di Giosuè, dei Giudici e dei Libri di Samuele. Proprio come completamento della Grande Storia così ricostruita Geremia scrisse i Libri dei Re. Ne curò personalmente le due edizioni. La fine improvvisa del testo, con l’appendice di Godolia e quella di Joachin, si deve evidentemente alle vicende personali del profeta, costretto alla fuga in Egitto se non addirittura morto, qualora in esilio avesse voluto continuare il lavoro, che però appare chiaramente incompleto. DISAMINA STORICA Non vi è motivo per dubitare della storicità dei fatti dei Re, in cui tra l’altro il soprannaturale compare relativamente di rado. Mi soffermerò in particolare a confutare qualche opinione erronea circolante in certi ambienti. Sebbene i testi si riferiscano anche ad eventi di secoli anteriori, si riallacciano ad una solida tradizione storiografica precedente e quindi sono fededegni. I cicli di Elia e di Eliseo, pur avendo molti prodigi e miracoli, sono credibili perché i fenomeni mistici e paranormali sono relativamente comuni nelle personalità religiose. Alcuni aspetti favolosi e favolistici dei loro racconti non sono segno di leggendarietà ma forme specifiche del genere letterario a cui essi si ascrivono. Non vi è motivo di dubitare dell’estensione del Regno di Salomone identificandolo con quella della satrapia Transeufratena, perché i Libri dei Re furono scritti più di un secolo prima della dominazione persiana. La centralità assoluta di Giuda e Gerusalemme nella storia del Regno salomonico non significa che le altre tribu’ di Israele, come invece insinuano critici radicali, non facessero parte del suo dominio, ma solo che la sua storia ebbe uno svolgimento e una elaborazione storiografica sostanzialmente accentrato e palatina. La datazione tradizionale dei siti archeologici di Meghiddo V A-IV B e Hasor X, attribuiti al periodo salomonico, non dev’essere necessariamente messa in discussione con il Finkelstein che li data all’epoca degli Omridi, per cui il Regno salomonico ha, nel suo splendore, i giusti riscontri archeologici. Anche Meghiddo V B, Hasor e Ghezer con le loro stalle possono essere di età salomonica, come si credeva un tempo, mentre oggi si preferisce datarle al IX sec. Non vi è motivo di ritenere che l’impianto tradizionale del Tempio non risalga all’età salomonica, anzi non avrebbe senso attribuirlo ad un Re che alla fine della vita tollerò il politeismo. Il fatto che il porto di Ezion Gheber non abbia strati d’età salomonica non inficia la possibilità che sia realmente esistito. La rete commerciale salomonica è assolutamente attendibile storicamente, in quanto è essenzialmente terrestre e ha i punti essenziali di appoggio per il traffico marittimo. I contatti con il Paese di Saba – ossia lo Yemen- sono perfettamente plausibili. La presenza di funzionari a corte figli di quelli di David è la prova di una ereditarietà dei ruoli; le doti tipiche della regalità salomonica, con ampi paralleli in quelli di altri sovrani del X sec., lungi dall’essere stereotipe, traggono da queste la loro attendibilità storica. L’impero salomonico, nella sua estensione, si addice bene al X sec. a.C., in cui l’Impero Medio Assiro, Babilonia e l’Elam erano in una profonda crisi per cui nulla poteva ostacolare l’espansione ebraica verso l’Eufrate. L’alleanza con l’Egitto non è messa in discussione da nessuno, ma la dote della principessa egizia, ossia una città a trenta chilometri da Gerusalemme, non attesta tanto la presunta piccolezza del Regno salomonico, ma la sopravvivenza di teste di ponte egiziane. Il fervore culturale e letterario del Regno di Salomone, attestato anche in altri libri biblici, non può essere messo in discussione. Non c’è motivo nemmeno di dubitare dell’estensione del Regno di Israele ai tempi di Geroboamo, sebbene esso abbia al suo centro la Casa di Giuseppe: valgono a tale proposito le affermazioni sul Regno di Salomone e l’importanza in esso di Giuda; del resto l’usurpatore Zimri è di Issacar, segno che le Tribu’ del Nord facevano parte del Regno. Tirza, capitale di Geroboamo, è archeologicamente attestata nel periodo in questione. Non si può negare l’esistenza di una lotta tra mosaismo e politeismo, specie come culto di Baal. Questo culto è posteriore, non parallelo, perché già ai tempi di Saul e David il Signore era il Dio nazionale, senza risalire poi all’età di Samuele. Il fatto che il baalismo sia convissuto con il mosaismo in ampi strati della popolazione israelita non inficia il problema religioso che ciò costituì per coloro che si mantennero fedeli a Dio e che poi scrissero la storia del periodo. Il contrasto tra Dio e Baal non è una invenzione a posteriori, ma la conseguenza del fatto che il secondo non era originariamente israelita. La presenza di nomi yahwisti tra baalisti attesta paradossalmente l’antichità maggiore del culto mosaico. La presenza di forme sincretiche di culto yahwista – come l’attestazione di un paredro femmina – non significa che tale culto fosse originariamente simile a quelli pagani circostanti, ma piuttosto che esso fosse degenerato. Analogamente non vi è prova alcuna che nel Tempio il Re esercitasse il ruolo di un dio morto e sepolto e poi risorto o che celebrasse delle nozze sacre. Non è infine suffragata da nessuna prova l’idea che la Dinastia di David si sia interrotta con Atalia e che Ioas fosse un finto discendente del Re manovrato dai sacerdoti. Vi sono invece valide ragioni per ritenere che i lealisti si sforzassero di preservare almeno un esponente della Casa regnante dal massacro della regina PECULIARITA’ TEOLOGICHE I Libri dei Re insegnano che gli eventi sono tutti sottoposti al volere di Dio; Egli a dispetto dell’infedeltà umana persegue e realizza il Suo disegno di salvezza. Il Divino Volere si manifesta uniformemente nella Legge e nel Culto, accentrato nel Tempio; Esso è quasi sempre – ma inutilmente – ostacolato dall’infedeltà dei sovrani, che portano i loro sudditi alla perdizione e attirano su di essi i castighi divini. Lo stesso racconto si chiude con un barlume di speranza per i contemporanei: la liberazione del re Joachin. Un altro tema dei Libri è quello del messianismo regale e giudaico, almeno implicito in buona parte del racconto: Dio custodisce integra la Fede solo in Giuda; nonostante l’indegnità di molti Re Egli mantiene la Dinastia di David. I sovrani fedeli, in Giuda come in Israele, sono immagini e figure del Cristo, come Ezechia e Giosia (che muore per difendere il suo popolo); Salomone rappresenta la Sapienza, ossia il Verbo del Padre. Il grande profeta Elia – che come Eliseo compie prodigi simili a quelli di Gesù – rappresenta il Cristo nella origine misteriosa, nell’ascesa al Santo Monte e nel modo miracoloso in cui fu tolto dal mondo; Gesù in persona lo considerò l’antesignano di Giovanni il Battista. Il Profeta è, in ogni caso, la più grande figura del Profetismo biblico e l’ispiratore di una spiritualità e di una teologia che arriva fino al I sec. d. C. Il tema della Sapienza incarnata in Salomone permette la lettura di altri simbolismi: il Tempio rappresenta la Chiesa; al suo interno il Santo dei Santi simboleggia il Paradiso, il Santo la Chiesa terrestre, le porte il Battesimo, il cortile i catecumeni, le colonne di bronzo rappresentano l’Eucaristia e l’Immacolata, il mare di bronzo ancora il Battesimo e i Sacramenti di guarigione, i piccoli bacili la possibilità di riceverli più volte, i mobili e gli arredi quelli della liturgia cristiana; l’ingresso dell’Arca nel Tempio simboleggia l’Assunzione della Vergine Maria; i sacrifici di dedicazione anticipano il Sacrificio di Cristo che abilita al culto; la Reggia di Salomone rappresenta la Vergine Maria, perché fatta di legni incorruttibili; la ricchezza del Re simboleggia la pienezza della Sapienza del Verbo; la sua potenza l’estensione della Chiesa ovunque; la scoperta della Legge nel Tempio simboleggia il Ritrovamento di Gesù nel Tempio. Le guerre contro i nemici di Israele e Giuda (Aramei, Assiri, Babilonesi) simboleggiano la lotta eterna tra la Chiesa e Satana (nei settant’anni in Babilonia si vede l’esilio avignonese del Papato); la rovina politica è simbolo di quella spirituale; la divisione tra i Regni è segno degli scismi e delle eresie nella Chiesa; il massacro degli apostati simboleggia la morte eterna. Importante anche la forte presenza degli Angeli nella storia dei Re, a dimostrazione della loro attività nelle cose degli uomini al servizio di Dio. IL QUADRO COMPLESSIVO DELLA STORIA DEUTERONOMISTICA Con i Libri dei Re termina la cosiddetta storia deuteronomistica, alla quale abbiamo fatto più volte riferimento. Essa è solo l’ultima di una serie di storie che nel tempo Israele aveva radunato sui propri eventi: quella mosaica del Pentateuco, quella giosuana dell’Esateuco, quella samuelica dell’Ottateuco, quella davidica che la completò, quella salomonica e infine quella appunto deuteronomistica. Il quadro tradizionale delle ipotesi su questa storia, indipendentemente da quelle sposate da chi scrive, è quel che segue, a cui faremo aggiunte di commenti e valutazioni rapide. Per il Masius (1514-1573) il compilatore ultimo di Gs, Gdc, Sm, Re fu Esdra. Questa tesi appare utile da tenere presente qualora, individuandosi in questi Libri delle aggiunte postesiliche, si voglia individuare un nome di prestigio sufficiente per porre mano ad una simile impresa. Spinoza (1632-1677) propose che il Dt ed i Primi profeti formassero una sola unità (Gs Gdc Sm e Re) e che il Dt offrisse la base teologica per interpretare la storia posteriore. Questa tesi ha l’equilibrio di conservare il primato cronologico del Dt sugli altri testi. Voltaire (1694-1778) sostenne che il Dt fu composto durante il Regno di Giosia e che non ha relazione coi libri precedenti, opinione seguita anche da W. M. L. De Wette (1780-1849). Ciò è stato ripreso, come vedremo, in tempi recenti. Heinrich Ewald (1803-1875) separò l’Esateuco da Gdc-Rut-Sm-Re e sostenne che la seconda collezione ebbe due redazioni, di cui durante il regno di Giosia (ca. 620) e l’altra durante l’esilio babilonese (ca.560). Colse così una discontinuità tra l’Esateuco e gli altri Libri, imputabile alla fase più arcaica della redazione del primo. Martin Noth nel 1943 sostenne alcune tesi di capitale importanza. Prima tra tutte che la storia deuteronomistica fu opera di un solo autore, non di una scuola. Ciò viene dimostrato dal linguaggio e dalle idee, dall’uso di discorsi nei momenti principali (Gs 1; 23; 1 Sm 12; 1 Re 8), dalle riflessioni storico-teologiche (Gs 12; Gdc 2,11ss; 2 Re 17,7-20), dalla cronologia (480 anni dall’uscita dall’Egitto fino al Tempio). Questa tesi, anche se messa in discussione, è a mio avviso inoppugnabilmente vera. La seconda tesi era che l’autore visse ai tempi dell'esilio, scrivendo la sua opera nella provincia di Samaria, vicino a Masfa e Betel, non in Babilonia, come pensavano altri commentatori. A mio avviso, di certo chi scrisse la raccolta viveva in Palestina. Le due tesi concorrono ad identificare l’autore con Geremia. La terza tesi è che la storia deuteronomistica rappresentò il primo tentativo serio di storiografia in Israele. Con essa Secondo il Noth lo storico deuteronomista presenta la storia di Israele divisa nelle seguenti tappe: Deuteronomio, Giosuè, Giudici, Samuele (1 Sam 1-12), Monarchia unita (1 Sam 13 - 1 Re 11), Monarchia divisa (1 Re 12 - 2 Re 25). Su questa sono in disaccordo, in quanto come ho detto a mio parere Mosè scrisse il Pentateuco, Giosuè lo rivide e scrisse il Libro che porta il suo nome; Samuele rivide questi Libri e scrisse i Giudici e il Primo Libro che porta il suo nome; Davide fece completare quel Libro e aggiunse il Secondo; Salomone fece redigere la sua storia. Sono tutti tentativi riusciti di fare storia, poi confluiti nella cosiddetta storia deuteronomistica. Lo confermano le stratificazioni linguistiche e i riferimenti ad epoche assai remote nei vari Libri. Di questo ho del resto detto introducendo ognuno di essi. Hölscher, Eissfeldt, von Rad, Westermann, Würtwein, Eynikel, Knauf, Rösel, Noll respinsero le tesi di Noth con le seguenti argomentazioni: vi è sproporzione delle parti (essendo privilegiati i fatti più antichi), vi sono duplicati narrativi, vi sono differenze teologiche (nei Giudici si usa un schema ciclico della storia – peccato, punizione, conversione, salvezza - che non si trova in Samuele e nei Re; i Libri di Samuele non subiscono il marcato influsso deuteronomista di Giosuè, Giudici e Re). Queste argomentazioni dimostrano l’indipendenza letteraria originale dei vari testi poi confluiti nella storia deuteronomistica e la loro maggiore antichità. K. L. Noll, sottolinea il caos nello studio del Deuteronomismo e afferma che i Primi Profeti non rappresentano un’ideologia deuteronomistica, ma un dibattito col Deuteronomio, nel quale ogni testo dà una risposta diversa agli interrogativi suscitati dal Libro, spesso negativa; che altresì non intesero creare delle opere canoniche perché non scrissero per le masse. Alla luce di ciò Noll afferma che il deuteronomismo, come indirizzo storiografico, non esiste. I quattro libri furono scritti separatamente tra il VII e il VI sec., per poi essere uniti in epoca ellenistica con un rivestimento letterario comune, che dà l’impressione del deuteronomismo. In realtà il deuteronomismo esiste in funzione della revisione ultima dei testi, che però non ha alterato le caratteristiche originarie di ciascuno di essi. Questa stratificazione crea l’equivoco sulla destinazione dei testi stessi, che invece furono concepiti per un pubblico assai ampio. In ogni caso la datazione della stesura della raccolta proposta da Noll è insostenibilmente bassa, smentita dal fatto che i racconti deuteronomistici non si prolungano nemmeno fino alla fine dell’Esilio. Ulteriori elaborazioni sull’argomento sono occorse in seguito. Cross sostenne l’esistenza di due edizioni: una del tempo di Giosia, che promuove la riforma religiosa e politica, invitando alla conversione; un'altra dell'esilio che completa l'anteriore e giustifica la punizione divina. Sono le due edizioni dei Re di Geremia, che potrebbe in quelle due occasioni aver completato la revisione dei Libri precedenti. Smend e la sua scuola sostengono che la storia deuteronomistica è frutto del lavoro di tre autori: un Deuteronomista Storico (DtrH), un Dtr Profetico (DtrP) e un Dtr Nomista (DtrN). Questo lo accennavamo quando parlavamo del Libro di Giosuè. DtrH, basandosi su diverse fonti, scrisse una storia che incominciava con Dt 1,1 e finiva con 2 Re 25,30. Essa presuppone la liberazione di Ioiachìm, e non potè sorgere prima di quell’evento (550). DtrP introdusse nei libri di Samuele e Re una serie di narrazioni profetiche e strutturò il corso della storia con lo schema di "vaticinio - compimento". DtrN commentò entrambe le redazioni, ispirato alle leggi deuteronomiche. Il risultato è ciò che possiamo chiamare "Opera storica dtr". A mio avviso non vi è motivo di separare in altrettante funzioni i compiti di storico, di profeta e di nomista dell’autore dei Re e della storia deuteronomistica. Egli è essenzialmente un profeta, che si nutre della legge del Deuteronomio e che in funzione di ciò scrive di storia. Ci sono stati poi intenti di conciliare queste teorie da parte di Norbert Lohfink ed Enzo Cortese. R. F. Person ha sostenuto che la redazione della storia deuteronomistica non finì nell'Esilio ma continuò durante l'epoca persiana; mise in evidenza non l’autore, come faceva Noth e continuarono a fare altri, bensì la scuola, simile ad altre esistenti nell'Antico Oriente. Essa sorse tra gli scribi esiliati in Babilonia. Lì nacque la prima redazione della storia deuteronomistica, che raccontava la storia di Israele fino all'Esilio. Per questo utilizzò fonti scritte provenienti dalla burocrazia amministrativa della monarchia scomparsa. La scuola ritornò dall'Esilio con Zorobabele e stette al servizio dell'amministrazione persiana. Il suo lavoro consistette nella revisione dei testi antichi e la creazione di nuovi. All’interno dei membri della scuola bisognerebbe distinguere i meri copisti e gli scribi con capacità di alterare i testi, oltre a quelli che potevano crearne altri nuovi. Ma tutti lavorarono in una società orale, e perfino il lavoro letterario di copiare e rivedere testi lo realizzarono per la trasmissione orale del sapere. Essi favorirono la ricostruzione del Tempio e la restaurazione del culto e probabilmente speravano che Zorobabele riuscisse a diventare re. Non essendo ciò accaduto, si rifugiarono nell'escatologia, fino a che la missione di Esdra fece perdere loro il favore dell'autorità persiana e li fece sparire. Questa suggestiva ricostruzione non tiene conto di alcuni fatti. Primo, che abbiamo una raccolta con una palese unità stilistica e concettuale che, se da un lato non nasconde redazioni precedenti delle opere che racchiude in sé, dall’altra non postula l’esistenza di più curatori ma piuttosto di uno solo. Secondo, che non esiste alcuna prova dell’esistenza di una scuola deuteronomistica e conseguenzialmente di suoi spostamenti e di sue prese di posizioni politiche. Terzo, che i testi della raccolta erano, in quanto preesistenti ad essa, già circondati di sacralità e non modificabili a piacimento. Quarto, che le informazioni sul periodo postesilico noi le abbiamo da altri libri storici e dai libri profetici non riconducibili allo spirito deuteronomistico. Römer ha realizzato una sorta di introduzione alla Storia deuteronomistica, proponendone una redazione in tre tappe. Ai tempi di Giosia ammette un'attività letteraria il cui prodotto è una serie di collezioni indipendenti: Dt 12-25; Gs 5-11; le Cronache dei Re di Israele e Giuda. Così sorsero due documenti: una prima edizione di Samuele-Re che sottolineava la legittimità di Giosia, presentandolo come vero successore di Davide; un documento scritto con lo stile dei racconti assiri di conquista (Deuteronomio-Giosuè) che giustificava la politica di Giosia rispetto al dominio della terra. L'unione delle due opere ebbe luogo nell'Esilio, per giustificare la crisi in atto. La storia viene interpretata mediante le leggi deuteronomiche. L’epoca dei Giudici viene narrata in modo inattendibile utilizando un documento del Nord e aggiungendo Otniel; viene immaginata la monarchia unita, mai esistita per tale critico. L'opera soffrì revisioni durante l'epoca persiana, con tre temi principali: il segregazionismo in Dt e Gs; il monoteismo; la diaspora. Römer non parla di autore deuteronomistico, ma di scuola. Una critica della posizione di Römer venne da Nelson (scuola di Cross) e McKenzie (difensore moderato di Noth). Queste posizioni sono battute in breccia da alcune argomentazioni. Se ai tempi di Giosia vi fu senz’altro attività letteraria, le fonti citate sono senz’altro più antiche. Conseguenzialmente il loro assemblaggio, se pur vi fu nelle maniere qui prospettate, fu anch’esso più antico. Non vi è ragione particolare di credere nella necessità di una autolegittimazione davidica di Giosia, a meno che non si dubiti dell’esistenza storica della monarchia unitaria dello stesso David, cosa per la quale non vi è alcun riscontro se non il diallelo su cui si regge tale teoria. Analogamente si può ragionare per l’ipotesi di autolegittimazione della conquista della Palestina da parte del Re. Vi sono anzi, come sappiamo, riscontri precisi della Conquista di Giosuè e della Monarchia davidica pan israelita. L’unione dei due testi, se veramente voleva incoraggiare il popolo in funzione monarchica, non poteva avvenire in un momento peggiore dell’Esilio, mentre in età persiana perdeva la sua stessa ragion d’essere, essendo tramontata ogni velleità di indipendenza. Essa avvenne senz’altro prima. Negare la storicità del periodo dei Giudici è, come per l’esistenza della monarchia unita, un atto arbitrario. Il segregazionismo è un tema che si avverte in tutta la storia di Israele a fasi alterne ed è più forte nei tempi di dominazione straniera. Il monoteismo è una condizione palesemente originaria del mosaismo, anche se soggetto a crisi ricorrenti. Wolff ha sostenuto che lo schema di tutta la Storia deuteronomistica è lo stesso che troviamo frequentemente nel libro dei Giudici, coi suoi cicli di peccato- punizione-conversione- salvezza. Da qui ne inferisce l’unità. Tutta l'epoca monarchica, da Saul fino a Sedecia, costituisce il primo passo (peccato) di un nuovo ciclo; la distruzione di Gerusalemme e l'esilio è il secondo (punizione). L'autore pretende che i suoi contemporanei diano ora il terzo passo (conversione), affinché Dio realizzi il quarto (salvazione). Che il Libro dei Giudici abbia fornito una euristica della storia in chiave teologica all’autore del Libro dei Re è perfettamente logico. Ma questo tuttavia non implica che prima della stesura deuteronomistica i singoli libri più antichi non potessero esistere separatamente. Tra i più recenti, Geoghegan propende per la teoria del Cross, mentre Hutton accetta la teoria di Campbell di un grande documento pre-deuteronomistico (1 Sm 1 – 2 Re 10), redatto, al più tardi, agli inizi del secolo VIII. A mio avviso, rimangono i seguenti punti fermi: che i Libri dei Re siano stati scritti alla luce del Deuteronomio; che in conseguenza di ciò siano successivi al suo ritrovamento; che colui che curò la revisione linguistica del Deuteronomio si fece carico anche della redazione dei Libri dei Re; che la revisione e la redazione furono ordine del re Giosia; che in conseguenza alla redazione dei Libri dei Re secondo la teologia del Deuteronomio si pose mano alla revisione linguistica anche dei Libri storici precedenti; che tale revisione avvenne prima dell’Esilio; che qualche ulteriore ritocco potè essere dato a tutti i Libri storici – per ragioni teologiche, linguistiche, storiche e culturali – anche durante l’Esilio e forse immediatamente dopo; che al momento della revisione deuteronomistica Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Giosuè, Giudici e i Due Libri di Samuele erano conservati nella forma letteraria data loro ai tempi di Salomone mentre il Deuteronomio era rimasto dimenticato nella forma ricevuta ai tempi di Samuele; che prima della stesura dei Libri dei Re esistevano una Storia di Salomone, gli Annali di Giuda e di Israele e i Cicli di Elia ed Eliseo; che questi testi presumibilmente furono per la prima volta unificati in una sola narrazione forse ai tempi di Ezechia, che funse da base per il lavoro dell’autore dei Libri dei Re; che originariamente la Storia di David comprendeva anche la sua morte che fu unita da Salomone alla storia sua propria, che continuava quindi i Due Libri di Samuele; che prima della revisione di Salomone il Pentateuco e Giosuè erano stati rivisti da Samuele, che aveva scritto il Libro dei Giudici e il Primo Libro che porta il suo nome fino alla sua morte, in paleoebraico, e che era stato continuato da Gad e Nathan che avevano scritto anche il Secondo Libro di Samuele fino alla morte di David; che ancora precedentemente in protoebraico Giosuè aveva fatto rivedere il Pentateuco e scritto il Libro che porta il suo nome; che ancor prima Mosè aveva redatto in egiziano il Pentateuco; che quindi i progetti di fondazione storiografica di Israele sono sei da Mosè al Deuteronomista; che l’autore dei Libri dei Re e della revisione deuteronomistica è senza dubbio Geremia. Cosa che si evince anche dalla comparazione contenutistica e stilistica tra i Libri dei Re, il Deuteronomio e il Libro del profeta. Forse quindi più che di una storia deuteronomistica, si dovrebbe parlare di un Enneateuco (Gn-Es-Lv-Nm-Dt-Gdc-1/2Sam-1/2 Re). IL LIBRO DEL PROFETA GEREMIA IL PROFETA Geremia proveniva da una famiglia sacerdotale che abitava nei pressi di Gerusalemme, in Anatot, città levitica, tra il 650 e il 645. Suo padre Elkia forse discendeva dal sommo sacerdote Abiatar, deposto da Salomone e sostituito da Sadoc. Il suo nome significa “Il Signore innalza” (Jirmeiahu o Jirmeiah). Egli parla di sé in terza persona più di ogni altro Profeta nel suo Libro, in passi che secondo quest’ordine ricostruiscono la sua vita: 19,1-20,6; 26; 36; 45; 28-29; 51, 59-64; 34,8-22; 37-44. Sempre da Geremia provengono quei brani del Libro comunemente chiamati “Confessioni”: 11,18-12,6; 15,10-21; 17,14-18; 18,18-23; 20,7-18. Essi non sono autobiografici ma testimoniano, nello stile salmodico di lamento, gli stati e i conflitti interiori del Profeta. Geremia fu chiamato da Dio nel 626 alla missione profetica, nel tredicesimo anno di Giosia (1,2), a circa vent’anni, quand’era ancora un na’ar, un ragazzo; visse le speranze legate a questo sovrano e le delusioni che le infransero; assistette poi al declino del Regno. Per ordine di Dio rimase celibe. La sua vocazione profetica all’inizio non ebbe molta fama e Giosia preferì consultare la profetessa Culda dopo il ritrovamento del Deuteronomio, piuttosto che lui. Alla morte del Re compose elegie funebri andate perdute (2 Cr 35, 25). Dal 605 iniziò la dominazione babilonese in Palestina, a cui Giuda tentò di opporsi trescando con l’Egitto. Geremia si oppose all’Alleanza ed entrò in contrasto con il re Ioiakim, insediato da Necao II (610-595) al posto di Ioacaz. Profetando contro l’alleanza con il Faraone e predicendo la vittoria di Babilonia, Geremia a stento potè salvare la vita (20,1-3; 26,7-4). Ma i vaticini di Geremia si realizzarono e, mentre Nabucodonosor inseguiva Necao verso l’Egitto e rendeva il Regno di Giuda suo vassallo, aggiunse la profezia dei settanta anni di Esilio. Ripiegato Nabucodonosor su Babilonia in seguito alla morte del padre Nabopolassar (625-605), Ioiakim ebbe allora l’audacia di ribellarsi ai Babilonesi. In reazione all’infedeltà di Gerusalemme Nabucodonosor, dopo aver inviato predoni siri, ammoniti, moabiti e caldei contro di lei, l’assediò e la conquistò nel 597, deportando una parte dei suoi abitanti in Babilonia; Ioiakim era morto durante l’assedio ed era stato seppellito come un asino (22,19; 36,30). Il successore Ioiakin si era subito arreso. Nabucodonosor lo deportò e lo rimpiazzo’ con lo zio Sedecia. Questi stimava Geremia e chiedeva i suoi consigli, ma trescò con Psammetico II. Ribellatisi quindi nuovamente i Giudei ai Babilonesi, la loro terra fu nuovamente invasa e la capitale definitivamente distrutta col Tempio nel 587, mentre il resto della popolazione fu deportato una seconda volta. Geremia, che in quegli anni predicò esortando e minacciando incessantemente, durante l’assedio del 587 sostenne la necessità della resa e fu perciò imprigionato, gettato in una cisterna fangosa e poi di nuovo in prigione. Simbolicamente acquistò, mentre era ancora in prigione, un campo presso Anatot, con un gesto che doveva dare speranza per il futuro e adombrava l’acquisto del Campo del Vasaio da parte del Sinedrio quando Giuda Iscariota avrebbe restituito i trenta denari avuti per tradire Gesù. Geremia descrisse con modi raccapriccianti l’assedio e la distruzione di Gerusalemme e la drammatica sorte di Sedecia (c.39). Liberato e trattato con riguardo dai Babilonesi, dopo la catastrofe rimase in Palestina, a Masfa (dove il Noth ambienta la composizione dei Libri dei Re e della Storia deuteronomistica), sebbene additasse negli esiliati la sola speranza per il futuro, presso Godolia designato governatore. Assassinato quest’ultimo, Geremia fu portato in Egitto da un gruppo di Giudei colà fuggito per sfuggire alle rappresaglie dei Babilonesi; il Profeta morì presumibilmente in quel paese, forse lapidato, per la sua predicazione contro l’idolatria in cui erano caduti i Giudei a Tafne. La tradizione dei Libri dei Maccabei vuole che Geremia mettesse in salvo l’Arca dell’Alleanza prima della distruzione del Tempio in un luogo che rimarrà segreto sino alla Fine del Mondo. In questo si è vista una figura dell’Assunzione della Vergine. LA STRUTTURA Possiamo sommariamente distinguere nel Libro
Vediamone le caratteristiche. DISAMINA CONTENUTISTICA E LETTERARIO-FILOLOGICA L’animo di Geremia vive in prima persona il dramma della nazione e del suo stesso ruolo nei suoi confronti: egli è delicato e incline all’amore tenero, ma deve sdradicare, demolire, distruggere, abbattere (1,10), deve predire sventure (20,8); ama la pace, ma deve lottare sempre contro tutti, dal Re ai suoi stessi amici, dai sacerdoti ai falsi profeti, fino a tutto il popolo: per questo i suoi dialoghi interiori con Dio sono intessuti di grida di dolore, fino alla maledizione retorica del giorno natio (20,14 ss.). La sofferenza purifica la sua anima e la apre al contatto con Dio. Vive una religione interiore e del cuore, che anticipa la predicazione della Nuova Alleanza che egli stesso farà in 31,31-34, e che lo rende assai vicino alla sensibilità moderna. Egli approfondisce la religiosità tradizionale disegnando un Dio Che scruta i cuori, Che rende a ciascuno secondo i suoi atti, Che è respinto dai cuori malvagi i quali rifiutano la sua amicizia col peccato. In questo aspetto affettivo Geremia è simile ad Osea che l’ha influenzato, mentre l’interiorizzazione della Legge, la funzione del cuore nei rapporti con Dio e la preoccupazione per l’individuo rivelano l’ispirazione deuteronomistica. In effetti Geremia patì cocente delusione dal fallimento della riforma di Giosia ispirata a quel Libro. Per la sua dottrina della Nuova Alleanza, fondata sulla religione del cuore, Geremia è stato il padre del Giudaismo nella sua linea più spirituale, mentre influenzò Ezechiele e, se è esistito, il Deutero Isaia e diversi Salmi. All’epoca dei Maccabei era considerato uno dei protettori del Popolo. Ha preparato la Nuova Alleanza cristiana e le sue sofferenze ne fanno una figura del Cristo, oltre che forse un modello per il Servo del Signore di Isaia 53. Ha profetizzato che il Piccolo Gregge sopravvissuto alla catastrofe avrebbe avuto come pastore Dio stesso, Che avrebbe ricondotto le pecore disperse, le avrebbe purificate e le avrebbe affidate ad una guida proveniente dalla Casa di David che sarebbe stato anche loro Principe. Non è difficile in queste profezie riconoscere ciò che Dio avrebbe fatto in Cristo. Nella composizione del suo libro si riflette l’azione di una corrente spirituale; esso infatti non sembra essere opera di getto, in quanto contiene oracoli, racconti biografici, discorsi in prosa in stile simile a quello del Deuteronomio. Alcuni hanno posto in discussione la loro autenticità attribuendoli a fantomatici redattori deuteronomistici, dallo stile che ricorderebbe la prosa giudaica dei sec. VII e VI e la cui teologia sarebbe comune al Profeta stesso e al Deuteronomio. Si parla perciò di una tradizione di Geremia raccolta dagli uditori. In realtà non vi è motivo di dubitare della paternità geremiaca di questi discorsi: i redattori deuteronomistici sono solo ipotizzabili, lo stile è quello coevo al Profeta che potrebbe benissimo essere un prosatore e la teologia può essergli benissimo messa in capo. Peraltro questa redazione di testi in prosa da parte del Profeta permette di affermare sia che egli rivide il Deuteronomio a cui sono simili sia che scrisse i Libri dei Re coi quali pure il Libro di Geremia ha tratti stilistici e contenutistici comuni. La versione greca del testo del Libro di Geremia è più corta di un ottavo di quella del Testo Masoretico, da cui spesso diverge nei dettagli; i Rotoli di Qumran attestano che entrambe le recensioni esistevano in ebraico. Anche l’ordine del testo greco è diverso da quello del testo ebraico masoretico, che rimanda alla fine del Libro gli Oracoli contro le Nazioni. Di essi si è sospettato che non siano di Geremia: quelli contro Edom e Moab sarebbero stati rielaborati; quello contro Babilonia sarebbe della fine dell’Esilio; ma non vi è alcun motivo per dubitare, a mio avviso, che entrambi siano usciti così come sono dalla penna del Profeta. Importante il capitolo 52, appendice storica parallela a 2 Re 24, 18-25, 30, considerato per questo non geremiaco ma che in realtà costituisce una prova del fatto che il Libro del Profeta e quelli dei Re ebbero lo stesso autore. Si pensa a piccole aggiunte nel corso del libro come segno della stima e dell’uso del testo da parte della comunità ebraica in Babilonia e dopo l’esilio, ma in effetti proprio l’aura di sacralità che lo circondava dovrebbe dissuadere dal credere che esso possa essere stato integrato. Si ravvisano nel Libro di Geremia abbondanti doppioni che suggerirebbero un lungo lavoro redazionale, ma che possono benissimo essere testi simili per linguaggio e argomento ripetuti da un Profeta che ebbe modo di scrivere e parlare di uno stesso argomento più volte. Le indicazioni cronologiche appaiono non ordinate, ma questo non necessariamente suppone un lungo lavoro di redazione, spiegandosi anche con una serie di riferimenti estemporanei e immediati. Il capitolo 36 dà indicazioni sulla composizione dell’opera: Geremia dettò nel 605 gli oracoli giovanili al suo segretario il profeta Baruc, ossia quelli pronunziati dal 626 in poi, che evidentemente aveva precedentemente raccolto lui stesso; il rotolo fu bruciato da Ioiakim e poi riscritto e completato. Questo testo originario era forse introdotto da 25, 1-12, raggruppava gli oracoli di 1-18, conteneva gli oracoli antichi contro le nazioni di 36, 2 e 25, 13-38; nelle stesse sezioni Geremia vi aggiunse complementi posteriori al 605 e altri oracoli contro le nazioni. Poi vi legò le Confessioni. Vi unì due piccoli testi forse già indipendenti: sui Re (21,11-23,8) e sui Profeti (23,9-40). Si costituirono così due parti del libro: le minacce contro Giuda e Gerusalemme (1,1-25,13) e le profezie contro le nazioni (25,13-38 e 46-51). Nella terza parte vi sono oracoli più ottimisti che non appaiono avere un ordine preciso, tratti forse da una biografia di Geremia scritta da Baruc (o forse a lui dettata), che aveva raccolto quelle profezie diligentemente stenografandole. Nei capp. 30-31 Geremia scrive un libretto di consolazione; in 36-44 scrive in prosa la parte finale della sua biografia, riguardante gli anni della fine di Gerusalemme. In 45, 1-5 vi è la firma del curatore ultimo del Libro, appunto Baruc. Si vede dunque come il Libro sia stato costruito non secondo un ordine preciso, come già notava San Girolamo, ma come un work in progress. In effetti i criteri seguiti da Geremia nell’ordinare i suoi oracoli ci sfuggono. Egli ha uno stile semplice, spontaneo e naturale; può essere modello di narrazione per tutte le letterature; è il Profeta del cuore. IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT Nel Libro del profeta Geremia il senso può essere compreso pienamente in ogni versetto solo alla luce del Vangelo. A scopo esemplificativo e senza pretesa di esaustività indico una serie di rimandi tra il testo geremiaco e versetti neotestamentari, nonché alcuni temi evangelici che il Profeta vide in figura. 1,5 anticipa Lc 1,15, Gal 1,15, Rm 8,29; 1,4-10 è la profezia della missione del Cristo; 2,11 anticipa Rm 1,23; 2,13 anticipa Gv 4,1; 2,20 Mt 11,28-30 e allude alla caduta di Lucifero; 2,1-37 descrive l’apostasia di Israele ai tempi di Gesù; 3,14-18 è una profezia sulla Chiesa e sul Sacerdozio, nonché implicitamente sull’Eucarestia; 4,3 allude a Mt 13,22 e passi paralleli; il cap. 31 profetizza sulla Desolata; 5,5 anticipa Mt 11,28-30; 5,21 Mt 13,13; 5,20-31 profetizza il rifiuto degli Ebrei di convertirsi a Cristo; 4,5-5,31 e il c.6 preannunziano la distruzione del Tempio e di Gerusalemme nel 70 e nel 130 d.C.; 6,18 preconizza Mt 11, 29; 7,11 Mt 21, 13; 7,1-15 annuncia il rigetto definitivo del Tempio; 8,8 annunzia Mt 23; 8,13 Lc 13,6-9 e Mt 21,18-22; 8,17 Gv 3,14-15; 9,15 precede Ap 8,11; 9,22 1 Cor 1,31, 2 Cor 10,17, Gc 1,9; 9,24 Rm 2,25; 10,7 anticipa Ap 15,4; 11,20 precede At 1,24, Ap 2,23; 12,7-13 annuncia la definitiva rovina di Israele per il rifiuto di Cristo e i capp.14-17 la salvezza dei popoli vicini che entreranno nella Chiesa; 13,23 anticipa Mt 7,16-19; 15,2 Ap 13,10; 15, 10 Lc 2,34; il c. 16 presenta la vita del Profeta come figura del Cristo Redentore; 16,18 annunzia Ap 18,6; 16,19-21 annunzia la conversione dei pagani al Cristianesimo; 17,10 annuncia Mc 7,21 e Mt 16,27; 17,13 annuncia la Divinità di Cristo in modo implicito; 20, 7 ss. profetizzano la vocazione del Cristo e del Cristiano; 23, 1-8 sono oracoli messianici; 23,18 profetizza 1 Cor 2,16; il c.24 Mt 21, 18-19; 24,7 1 Gv 5,20; 25,10 Ap 18,22; 25,15 Ap 16; il c. 25 contiene profezie sulla fine del mondo; il c. 26 è sul martirio di Cristo e sul castigo degli Ebrei; annunzia altresì Mt 24; 26, 59-66; 27, 24-25; Lc 19, 41-44; 27, 6 anticipa Lc 4,5-6, Ap 13, 2-4, Rm 13, 1; i capp. 30-33 vertono sulla Redenzione; 31, 9-10 anticipano 2 Cor 6, 18, Gv 10,16; 31, 11 Lc 11, 21-22; 31,13 Gv 16,22; 31, 15 Mt 2, 18; 31, 20 Ap 3,19; 31,31-34 annunciano la Nuova ed Eterna Alleanza, formula ripresa da Gesù in Persona nell’Ultima Cena e sono echeggiati in Eb 8,8-12, 10,16-17, Lc 22,20, 2 Cor 3,3, 1 Gv 2,27; 31,40 Ap 22,3; 32,27 Lc 1,37; 33,18 1 Pt 2,5-6; il c.42 profetizza la Fuga in Egitto di Gesù; 46,27-28 annunzia la Redenzione; gli oracoli contro le nazioni si applicano agli infedeli (46-51); il c.50 annunzia Ap 18; 50, 6 Mt 9,36; 50, 8 Ap 18,4; 50,39 Ap 18,2; 51,6 Ap 18,4; 51,7 Ap 18,3; 51,8 Ap 18,2; 51,13 Ap 17,1-15; 51,48 Ap 18,20; 51,64 Ap 18, 21. LE LAMENTAZIONI IL TITOLO La Lamentazione su una città caduta è un genere tipico dell’Antico Oriente: varie sono quelle babilonesi e sumere, risalenti quest’ultime al XXI sec. a.C. Le Lamentazioni geremiache, che hanno profonde differenze di contenuto con quelle mesopotamiche e altrettante somiglianze stilistiche, sono state scritte per piangere la Caduta di Gerusalemme e di Giuda. Il nome viene dalla Vulgata e corrisponde all’ebraico qinoth, termine con cui la composizione è indicata nella letteratura talmudica; nella Bibbia ebraica sono chiamate ekhah, “come”, dalla parola iniziale del Libro; la LXX le chiama threnoi, pianti. IL CONTENUTO E LO STILE Le Lamentazioni sono cinque. La Prima, la Seconda e la Quarta sono lamenti funebri, la Terza Lamentazione è redatta in prima persona e per un soggetto singolo, la Quinta è per un soggetto collettiva. Di esse le prime Quattro sono alfabetiche e la Quinta ha tanti versetti quante lettere dell’alfabeto ebraico, ossia ventidue. Il metro è tipico dei canti funebri: un emistichio con tre accenti è seguito da uno con due. Al centro di esse vi è il concetto di peccato (1,8), in quanto le colpe del Re, del popolo, dei sacerdoti e dei profeti – con le loro visioni ingannevoli – hanno reso impossibile l’unione con Dio (2,14) Che si è avvolto in una nube perché la preghiera non gli giungesse (3,44), ha abbandonato Gerusalemme (4,16) rendendola come una vedova e facendo orfani i suoi figli perché lo Sposo si è allontanato da lei. La sventura è servita a dare coscienza della colpa e ad aprire al pentimento (5,16.21). Ogni male dunque, sia materiale che morale, deve servire a ricondurre a Dio, a convertirsi, a cercare la luce e il perdono del Signore. Le Lamentazioni sono grondanti di dolore ma sottese di fiducia e pentimento La Lamentazione sumera – come quella sulla caduta di Ur del 2080 a.C. – ha un ritmo descrittivo mentre quella biblica è drammatica, tutta volta a spiegare le ragioni della catastrofe, che invece nel modello antico erano imperscrutabili, per cui l’autore invocava solo, e litanicamente, la ricostruzione della città distrutta. Gli Ebrei recitano le Lamentazioni nei digiuni commemorativi della Distruzione del Tempio e la Chiesa li usa nella Settimana Santa per la Passione del Signore L’AUTORE Le Lamentazioni sono tra i megillot della Bibbia ebraica, mentre la greca e la Vulgata le mettono dopo il Libro di Geremia, attribuendogliene la composizione, come attestato da 2 Cr 35, 25 e suffragato dal contenuto dei poemi, confacenti all’epoca di Geremia. Fino al XVIII sec. tutti assegnavano le Lamentazioni a Geremia, sia tra i cristiani che tra i giudei. Il testimone in tal senso più antico è Giuseppe Flavio. Affermano la paternità geremiaca delle Lamentazioni anche Melitone di Sardi e Origene. San Girolamo faceva notare che le Lamentazioni sono tra gli Agiografi ebraici, staccati dal Libro di Geremia e senza iscrizione, ma ciò non osta di per sé all’identificazione della paternità del profeta. Il Talmud infatti la sostiene esplicitamente. Lo stesso fanno Rabano Mauro e San Tommaso d’Aquino. Il primo a mettere in discussione l’attribuzione a Geremia delle Lamentazioni fu Von Der Hardt nel 1712. Alcuni vollero conservare la paternità geremiaca per la Seconda e la Quarta, dubitando sulla Terza e negandola per la Quinta, attribuita ad un anonimo sacerdote a scopo liturgico. Oggi pochi accettano che Geremia abbia scritto le Lamentazioni. Molte obiezioni sono state mosse a questa epigrafia, a mio parere imprudentemente. Si obietta che l’ispirazione profetica non poteva essere definita da Geremia esaurita (2,9), ma in questo verso egli voleva solo dire che molti profeti si erano ingannati su quanto realmente sarebbe successo – ossia che erano falsi profeti; si dice che Geremia non possa aver lodato Sedecia (4,20), ma in tale verso il Profeta descrive il Re nel suo ruolo istituzionale e le speranze del popolo riposte in lui ma non necessariamente condivise dall’autore; si dice che non poteva sperare nel soccorso egiziano (4,17), ma in realtà Geremia in questo verso denuncia la vanità dell’aspettativa di un aiuto da parte di chi non poteva intervenire. In realtà Geremia scrive immedesimandosi in Gerusalemme e nel popolo. A chi obietta che il genio spontaneo di Geremia non si riscontra nello stile erudito delle Lamentazioni si può rispondere che l’autore poteva benissimo adattarsi ad un genere letterario differente, come spesso accade per i grandi autori, che le Lamentazioni sono esse stesse opere profetiche oltre che corali e che la profezia è, di per sé, mai completamente corrispondente ad un genere scrittorio, per cui è difficile discutere la paternità delle Lamentazioni confrontandole col Libro del Profeta, il quale per definizione è diverso da qualsiasi altro testo di argomento simile. Peraltro la descrizione della distruzione di Gerusalemme sia nelle Lamentazioni che nel Libro di Geremia è sostanzialmente simile nei dettagli scelti. Inoltre lo spirito del Profeta era senz’altro presente all’autore. Per cui si può affermare che le Lamentazioni furono scritte da Geremia nel 587. IL SENSO PROFETICO DEL LIBRO ALLA LUCE DEL NT La prima Lamentazione raffigura l’Addolorata (1,12 anticipa Mt 24,21); la seconda l’Addolorata al Calvario; la terza il Redentore (3,30 anticipa Mt 5,39 e 3,45 1 Cor 4,14); la quarta profetizza sul Redentore, l’Addolorata e i discepoli dispersi; lo stesso argomento nella quinta. COMPLEMENTO: IL LIBRO DEL PROFETA BARUC IL PROFETA Baruc, il cui nome significa Benedetto, fu discepolo e segretario di Geremia, fratello di un alto dignitario della corte di Sedecia, Seraia (Ger 32, 12.16; 36,4; 51, 59). Lesse gli oracoli di Geremia al re Ioiakim che ordinò di bruciarli; il profeta li riscrisse su dettatura di Geremia (Ger 36). Fu arrestato con il suo maestro da Sedecia. Liberato dopo la Caduta di Gerusalemme dai Babilonesi, fu condotto a forza in Egitto con Geremia dopo l’assassinio di Godolia (Ger 43). Tornò a Gerusalemme coi proventi di una colletta per i superstiti ivi residenti, per portare una parte dei vasi sacri asportati dal Tempio e per far leggere il suo scritto nella Festa dei Tabernacoli (1,6-14). A margine annoto che al prestigio del Profeta si ricondusse una apocalisse apocrifa del 96 a.C., conservata in siriaco, assai prolissa e apparentata ad un altro apocrifo, i Paralipomeni di Geremia, giuntici in greco. LA STRUTTURA Il Libro si divide in:
ANALISI LETTERARIA E FILOLOGICA Libro deuterocanonico, quello del Profeta segretario di Geremia è assente dalla Bibbia ebraica, è posto dalla LXX tra il Libro di Geremia e le Lamentazioni e dalla Vulgata dopo queste ultime. Ci è giunto anche nella versione siriaca, nella siro-esaplare e nella Vetus Latina. Letterariamente è composto da una preghiera di confessione e di speranza, un poema sapienziale che identifica la Sapienza con la Legge (tema implicito nei Libri dei Re) e un brano profetico dove Gerusalemme personificata si rivolge agli esiliati e il Profeta la incoraggia con la speranza nel Messia Si sostiene che l’introduzione sia stata scritta direttamente in greco, ma questo non impedisce di ritenere che la notizia sull’autore in essa contenuta sia falsa, mentre abbiamo la certezza dell’esistenza di originali ebraici per la preghiera e la fondata opinione che essi ci fossero anche per il poema e il brano profetico. L’origine ebraica del Libro è provata altresì da numerosi semitismi, dalle sviste interpretative del traduttore greco che si correggono in ebraico e dai parallelismi dei brani poetici, tipici della poesia ebraica. La preghiera inoltre, invece di essere considerata debitrice al più tardivo passo di Dn 9,4-19, può esserne essa stessa il modello. Il Libro contiene la Lettera di Geremia che la LXX conserva a parte. Nella Vulgata essa è il cap.6. E’ una dissertazione apologetica antiidolatrica di settantadue versetti, che sviluppa i temi di Ger 10,1-16 e Is 44,9-20, in modo meno originale, e che si accanisce sui culti tardivi di Babilonia. E’ una satira pungente sulla vanità del culto idolatrico. La Lettera è stata scritta in ebraico (come attestano gli ebraismi e le sviste della versione greca correggibili solo con retroversione) ma ci è giunta solo in greco; viene datata al periodo ellenistico, ma la sua congiunzione al Libro di Baruc e l’attribuzione epigrafica legano la sorte della sua datazione a quella del testo profetico di cui andiamo parlando. Essa è attestata paleograficamente a Qumran in greco nel 100 a.C. e ad essa fa allusione 2 Mac 2,1-3, laddove parla di Geremia. L’AUTORE Il libro è stato scritto da Baruc (1,1-14) in Babilonia dopo la Deportazione e poi spedito a Gerusalemme per la liturgia. . L’opinione comune rigetta l’attribuzione a Baruc del Libro e lo data al I sec. a.C., verso la metà. Altri critici lo datavano tra il III e il II sec. a.C. Alcuni, senza fondamento, datano la II e la III parte al I sec. d.C. Tuttavia le obiezioni all’attribuzione tradizionale non sono necessariamente valide. I temi sono, per unanime ammissione, tipici della Diaspora e di Geremia, per cui la creazione di una pseudoepigrafe in tempi peraltro tanto tardivi non appare molto sensato. Le Costituzioni Apostoliche (IV sec.), il Canone Alessandrino, le versioni copta e armena, i Padri che accolgono il Libro tra le Scritture ispirate (Atenagora, Ireneo, Clemente di Alessandria) almeno implicitamente attestano l’autenticità della paternità di Baruc nei confronti del Libro che porta il suo nome, sebbene il riconoscimento dell’origine divina non sia di per sé garanzia dell’identità dell’autore. Alcuni in modo compromissorio attribuiscono a Baruc solo alcune parti. Se Baruc fu l’autore del suo Libro, nulla vieta che Geremia abbia scritto l’Epistola. L’allusione di 2 Mac 2,1-3 è ulteriore indizio della autentica paternità della Lettera stessa. Tuttavia oggi pochi accettano l’epigrafe della Lettera e la pongono al III sec. a.C. IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT Ogni profezia ha il suo compimento nel NT. A scopo esemplificativo cito 3,9-4,4 che annuncia l’Incarnazione della Sapienza, specie in 3,38; mentre il c.5 annunzia la Redenzione e la Chiesa. IN ESDRAE LIBROS Breve introduzione ai Libri delle Cronache e di Esdra I Libri delle Cronache e di Esdra continuano la storia dell’Enneateuco e sono essi stessi parte di un solo progetto editoriale, come attesta la ripetizione in Esd 1 della fine di 2 Cr 36. La tradizione li attribuisce a Esdra. Vediamone le caratteristiche principali. PRIMO E SECONDO LIBRO DELLE CRONACHE O PARALIPOMENI IL NOME Nella Bibbia ebraica sono chiamati Libri delle Cronache perché sono di argomento storico che va dalle origini del mondo sino alla Caduta di Gerusalemme. Nella LXX e nella Vulgata, data la natura spesso complementare delle notizie riportate, atte a integrare quelle dei Libri di Samuele e soprattutto dei Re, sono chiamate dei Paralipomeni, che in greco significa “notizie omesse”. Originariamente erano un solo Libro. Forse erano un tutt’uno anche con i Libri di Esdra, a loro volta uniti. L’AUTORE I Libri sono senz’altro da ascriversi all’ambiente del Giudaismo postesilico. Sembra supporre una fioritura dell’autonomia ierocratica di cui godeva Giuda nell’Impero Persiano, uno sviluppo della letteratura sapienziale, un forte spirito legalista, una consapevolezza della tradizione passata e una fede nel ministero profetico. Si collocano dunque in un contesto di maturità del Giudaismo. Il Talmud attribuisce ad Esdra le genealogie delle Cronache, mentre Niccolò Lirano (1270-1349) estese la paternità di Esdra a tutto il Libro. Attualmente si considera plausibile che i Libri siano stati scritti da un levita di Gerusalemme pieno di zelo per il Tempio e per il clero. Per questo anonimo levita, che scriverebbe molto dopo Esdra e Neemia perché combina a suo piacimento le fonti che li concernono, si pongono come termini a quo il il 400 a.C. e ad quem il 300. La menzione del darico come moneta corrente anche ai tempi di David potrebbe essere un segno della dimenticanza delle usanze dell’Impero Persiano, come anche la qualifica di Re persiano per Ciro e Dario, quasi l’autore vivesse sotto un altro potere. Ma le due cose potrebbero spiegarsi come una proiezione del presente sul passato e su una sorta di atemporalità dell’autore. Henri Cazelles evidenzia che l’autore è di fatto un discepolo di Esdra, che scrive per completare l’opera del maestro che ai suoi tempi era in crisi; scorge nel testo la prova del primato della classe sacerdotale di Joiarib, cui appartengono i Maccabei e ne deduce che l’opera non fu scritta molto prima della loro epoca, ponendola al III sec. a.C. E’ comunque opinione comune che l’opera si sia leggermente accresciuta nel tempo: i partigiani di David (1 Cr 12), il suo personale (23,3-27,34), le liste sacerdotali e levitiche (1 Cr 15). Tali complementi fanno parte della scuola di pensiero dell’autore. Personalmente credo che le Cronache siano state scritte da Esdra, che aveva il prestigio necessario per avviare una stesura completamente nuova della storia di Israele e per progettare una edizione di testi in tal senso, utilizzando anche fonti fino a quel momento intonse. Poi, dopo di lui, sia nella pienezza dell’età persiana che agli esordi di quella ellenistica, fino al risorgimento maccabaico, l’orgoglio nazionale ebraico sentì il bisogno di ammodernare linguisticamente e contenutisticamente i Libri del venerato maestro, dando loro nuove parziali edizioni come era successo per i Libri di Mosè, di Giosuè e di Samuele. LA STRUTTURA I Libri delle Cronache si dividono in quattro parti:
IL CONTENUTO Esdra e i continuatori della sua opera sono assai attenti al Tempio; il clero è preminente nella loro attenzione; la santificazione dei laici è evidenziata dalla prassi dei sacrifici di comunione. Ancora l’autore – evidentemente Esdra in epoca ancora remota – spera nella riunione dei dispersi figli di Israele delle XII Tribù, sotto un solo Re – o forse è un concetto desunto dalle sue stesse fonti. Il modello di monarca è appunto David, che regna in Nome di Dio. Gli stessi pagani non sono esclusi dalla preghiera del Tempio. Il contesto storico in effetti è il contrario di quanto vagheggiato: l’indipendenza è perduta, l’apostasia ha rovinato Israele e danneggiato Giuda, lo scisma ha minacciato la Fede e il Tempio solo faticosamente è stato ricostruito. Dalla storia passata i fedeli devono trarre insegnamenti per la vita futura, onde evitare nuovi peccati che attirassero nuovi castighi: tra questi primo tra tutti da esecrare era l’idolatria. La centralità della Dinastia davidica in questo racconto è tale da far chiaramente intendere che ai Libri delle Cronache è sotteso un messianismo regale che attende l’arrivo di un Nuovo Re che rinnoverà definitivamente il culto e restaurerà la potenza di Giuda, a sua volta la maggiore tribù. Questo Re nel NT sarà Gesù Cristo, inauguratore della Nuova Alleanza, Redentore del mondo, Figlio di David, della Tribù di Giuda e imparentato tramite Madre alla Tribù di Levi. DISAMINA LETTERARIA I Libri sono affini al genere del Midrash, in quanto, pur narrando i fatti storici, ne sviluppano, ne estrinsecano, ne esplicitano il senso spirituale, onde mostrare che tutto è soggetto al Volere di Dio. Sono cioè concepiti secondo una storiografia teologica. Ecco perché le liste genealogiche convergono dapprima sulla Tribù di Giuda e poi sulla Casa di David, avendo a corona la discendenza levitica e la popolazione di Gerusalemme. Ecco anche il motivo che spinge ad omettere i contrasti con Saul, il peccato con Bethsabea, i drammi familiari e le rivolte nella vita di David: non solo perché già raccontate, ma perché soverchie per la stilizzazione del Re perfetto, che deve questo alla sua devozione che è a sua volta Grazia di Dio e Sua scelta; infatti ampio spazio è dato alla profezia di Natan (c.7), alla traslazione dell’Arca in Gerusalemme e all’organizzazione in essa del culto (13; 15-16) e alla predisposizione della costruzione del Tempio che Salomone dovrà solo applicare, avendo Dio vietato a David di procedere (21-29). Ecco il motivo per cui nella storia di Salomone la consacrazione del Tempio, la sua preghiera e la risposta di Dio sono centrali: il Re è lo strumento per il coronamento dell’Alleanza e il suo rinnovamento nell’ambito della tradizione mosaica. Infine, ecco la ragione per cui la storia del Regno di Israele, scismatico, è omessa, mentre i Re sono giudicati sulla base della somiglianza a David e le loro riforme sono dettagliatamente narrate; ad esse seguono apostasie e a queste punizioni; ma alla catastrofe del 587/597 segue l’Editto di Ciro che autorizza la ricostruzione del Tempio e il ritorno dall’Esilio. DISAMINA STORICA Esdra e i suoi epigoni si sono serviti, senza citarli, dei Numeri e della Genesi, di Samuele e dei Re, dell’Esodo e di Giosuè e di Rut, liberamente scegliendo i dati, integrandoli o riducendoli. Cita altresì gli Annali dei Re di Giuda e Israele – che quindi aveva a disposizione – un midrash ai Libri dei Re – che quindi già erano considerati scrittura ispirata – e vari testi profetici. Questi testi ci sono ignoti, come le reciproche relazioni, anche se supponiamo che essi avessero una impostazione simile a quella dei Libri delle Cronache – almeno quelli profetici e il midrash. Sul vario modo di citare le fonti profane e profetiche si innestano diverse questioni. A mio avviso il Libro dei Re di Israele e di Giuda è lo stesso Libro dei Re di Giuda e Israele; esso unirebbe il Libro dei Re di Israele – esplicitamente citato- con una fonte su Giuda. Tale Libro e la connessa fonte sarebbero gli Annali dei Re dell’uno e dell’altro Stato, forse già usati per qualche trattato di storia profana. In quanto alle fonti profetiche, a mio avviso gli Atti di Samuele, quelli di Gad e quelli di Nathan sono il Primo e il Secondo Libro di Samuele e il Primo dei Re nella parte su Salomone, che forse Esdra poteva ancora consultare in una edizione indipendente. Perdute la Profezia di Ahia, la Visione, gli Atti e il midrash di Addo, mentre abbiamo sia testi canonici che apocrifi attribuiti ad Isaia. Forse ci furono fonti orali. Non c’è motivo di dubitare del valore storico dei racconti delle Cronache. Spesso gli studi hanno clamorosamente confermato ciò che sembrava sospetto. Vi sono tuttavia discrepanza tra i Libri di Samuele e dei Re da un lato e quelli delle Cronache dall’altro. Premesso che Esdra e i suoi continuatori conoscevano i primi, tali differenze si devono o ad una volontariamente diversa presentazione dei fatti in chiave teologica o in una evidente diversa disponibilità di materiale. Il caso più eclatante è l’attribuzione a David dell’ordinamento templare di Salomone. La logica vorrebbe fosse un procedimento per esaltare il Re, ma potrebbe darsi che questi davvero avesse predisposto tutto o molto prima che Dio gli vietasse di costruire il Tempio, e che il sovrano avesse poi lasciato i progetti al figlio. PECULIARITA’ TEOLOGICHE Esdra e i suoi epigoni ricordano al Popolo che il suo benessere spirituale e materiale dipende dalla fedeltà alla Legge e dalla regolarità del culto. Essi vogliono che Israele sia nazione santa e stirpe di sacerdoti, onde si possano realizzare in essa le promesse di Dio a David. Questo impianto di pensiero sopravvive sino al I sec. d.C., quando Gesù stesso si presenta come il compimento di queste promesse. Sempre nelle Cronache rintracciamo il primato del sacro sul profano, della teocrazia sulle vicende del mondo; la sovranità di Dio vi appare universale; Egli è attento ad ogni cosa, è incommensurabile, regge coloro che sono realmente fedeli, ha pienezza di potere, è padrone di tutto, ha immensa forza, tutto quello che di buono è nell’uomo viene da Lui. Egli non è isolato ma governa il mondo secondo i Suoi fini, avendo sottoposti a Se’ tutti i regni; è il Suo volere che predetermina i fatti, permettendoli od ordinandoli – l’ostinazione di Roboamo, la guerra di Amasia. Egli punisce ogni peccato singolo e collettivo, ma è misericordioso e sempre pronto al perdono, ascolta le preghiere e le esaudisce, anche se vengono dagli empi come Manasse. E’ fedele al Patto, ha scelto David e Salomone, ha promesso eterna stabilità alla Casa di David. Ciò appunto si realizzerà nel Cristo, il Cui Regno non avrà fine. In questi Libri le figure tipiche di fatti e persone del NT già presenti in altri testi ispirati hanno ovviamente lo stesso significato. PRIMO E SECONDO LIBRO DI ESDRA IL NOME I Libri Primo e Secondo di Esdra, detti anche di Esdra e Neemia, nella Bibbia ebraica e nella LXX formavano un solo Libro; siccome la LXX conteneva anche un altro Libro di Esdra, greco, considerato apocrifo in seguito, e siccome esso precedeva i testi di cui ci occupiamo, tale apocrifo era chiamato Primo Libro di Esdra e i due Libri in questione formavano il Secondo Libro di Esdra. La Chiesa divise il Secondo Libro e ribaltò l’ordine numerico, per cui nella Vulgata abbiamo il Primo Libro di Esdra e il Secondo Libro di Esdra o di Neemia, mentre il Terzo Libro di Esdra fu espunto anche dal Canone cristiano. La designazione dei Libri canonici come Libro di Esdra e Libro di Neemia invale, dal nome dei protagonisti, nelle edizioni a stampa del Testo masoretico. La prima attestazione di quest’uso è in un manoscritto ebraico del 1448. I nomi si devono dunque ai due protagonisti della grande restaurazione che portò alla nascita del Giudaismo, ossia il sacerdote Esdra e il governatore Neemia. Vale la pena di annotare a margine che la LXX contiene anche un libro non accolto nel canone cristiano, ossia quello che essa chiama il Primo Libro di Esdra e che per la Chiesa è il Terzo. Datato al 100 a.C., contiene una sintesi della storia del Tempio di Gerusalemme. Sempre ad Esdra è attribuito pseudoepigraficamente un quarto apocrifo, ossia una apocalisse che porta il suo nome e che è di solito conosciuta come IV Libro di Esdra, nato in ambienti farisaici. Alcuni studiosi, tra testi differenti e diverse partizioni di essi, arrivano a contare altri tre libri apocrifi attribuibili ad Esdra. Segno dell’alto prestigio di cui godeva quel nome, a cui fu attribuito anche il Canone biblico classico. IL CONTENUTO I due Libri narrano gli eventi del ritorno dall’Esilio babilonese in seguito all’Editto di Ciro il Grande, Re dei Persiani e dei Medi, (559-530) del 538; narrano altresì l’opera di Esdra e le missioni di Neemia, secondo la cronologia che daremo. L’argomento è dunque sia il Ritorno – evento paragonabile solo all’Uscita dall’Egitto per importanza – sia la restaurazione della Legge e del Tempio, a dimostrazione della Provvidenza con cui Dio regge la storia. Essendo la continuazione logica delle Cronache, i Libri riprendono da dove essi si interrompono. Non parlano dell’Esilio, ma iniziano dall’Editto di Ciro; questi autorizzò i Giudei a tornare in patria e a ricostruire il Tempio e Gerusalemme; i rimpatri iniziano ben presto ma si interrompono per l’opposizione dei Samaritani. Riprendono dunque sotto Dario I (521-486), mentre il Tempio è ricostruito nel 515, dopo settantadue anni dalla Seconda Deportazione in Babilonia, come aveva predetto Geremia. Nei cinquant’anni successivi gli sforzi per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme sono ostacolati dai Samaritani (Esd 1-6). Sotto un re persiano di nome Artaserse (non si sa se il I o il II) Esdra, uno scriba di corte incaricato degli affari giudaici, arriva a Gerusalemme con altri profughi e con un rescritto che lo autorizza ad imporre come legge regia quella di Mosè. Prende misure contro i matrimoni misti (Esd 7-10) e ad un certo punto viene supportato da Neemia, coppiere dello stesso Artaserse, che si è fatto affidare la missione di rialzare le mura di Gerusalemme. La missione è compiuta nonostante l’opposizione samaritana e la città è ripopolata (Ne 1,1-7,72°). Neemia diviene governatore ed Esdra dà pubblica lettura della Legge di Mosè, celebra la Festa delle Capanne e ottiene dal popolo la confessione delle sue colpe e l’impegno all’osservanza delle norme dei padri (Ne 7,72b-10,40). Seguono liste, misure complementari e la dedicazione delle mura (11,1-13,3). Neemia rientra poi in Persia, ritorna per una seconda missione e reprime alcuni disordini già verificatisi nella comunità (Ne 13,4-31). LA STRUTTURA Distinguiamo quattro parti:
DISAMINA STORICA I due Libri di Esdra pongono diversi problemi. Il primo è relativo alla cronologia delle attività degli stessi protagonisti. Stando all’ordine del Libro di Esdra, questi arrivò a Gerusalemme nel 458 a.C., ossia nel settimo anno dell’impero di Artaserse I (465-423) [Esd 7,8]; Neemia lo raggiunse nel 445, il ventesimo anno dello stesso Gran Re (Ne 2,1). Vi rimase dodici anni, sino al 433 (Ne 13,6); rientrò in Persia e poi tornò di nuovo in Palestina, sempre sotto Artaserse I, ossia entro il 423. Il tempo in cui Neemia si trattenne in Persia potrebbe essere stato come minimo di un anno, per cui potrebbe essere tornato nel trentaduesimo anno di Artaserse I, nel 434. Molti esegeti conservano quest’ordine – che è il più probabile – ma fanno durare un solo anno la missione di Esdra, secondo quanto si legge nel Libro che porta il suo nome, facendolo partire prima che Neemia arrivasse. Altri invertono l’ordine e fanno arrivare prima Neemia, rimandando al 398, sotto Artaserse II (404-358), la missione di Esdra. Altri ancora inseriscono Esdra tra le due missioni di Neemia, correggendo Esd 7,8 e ponendo la sua missione nel trentasettesimo anno di Artaserse I, ossia nel 428. Di certo vi è solo il soggiorno di Neemia a Gerusalemme tra il 445 e il 433. L’ordine più plausibile, in quanto fondato sul testo che altrimenti andrebbe completamente stravolto, è il primo. Una seconda questione verte sull’identità di chi guidò il Ritorno dei Giudei da Babilonia: la maggior parte dei critici distingue due o più rientri e scinde le figure di Sesbassar e Zorobabele, anche se il Libro di Esdra non precisa che si tratta di due persone distinte, passando disinvoltamente dalla narrazione del rientro con l’uno a quello del rientro con l’altro. Nel primo caso Sesbassar avrebbe il secondo nome di Sealtiel e sarebbe figlio di Ioiakin, mentre Zorobabele sarebbe suo figlio; nel secondo Sesbassar / Zorobabele sarebbe il figlio di Sealtiel e questi figlio di Ioiakin. Questa appare l’ipotesi più plausibile a mio avviso, anche per salvare un minimo di coerenza testuale del Libro di Esdra. La cronologia è dunque la seguente: 538- Editto di Ciro il Grande. Sesbassar/ Zorobabele riconduce il primo gruppo di esiliati in Palestina. Viene riedificato l’altare e ricomincia il culto. 530-520- Sotto Ciro, Cambise e Dario I ostruzionismo samaritano contro la costruzione del Tempio e la restaurazione ebraica. 536-Sospensione della ricostruzione del Tempio per ordine di Ciro. 522-Se Zorobabele e Sesbassar sono due persone diverse, in questa data Zorobabele conduce un secondo gruppo di esiliati di maggiore entità in Patria. 520- Dario I autorizza la ricostruzione del Tempio. 515- Ricostruzione e dedicazione del Tempio. Celebrazione solenne della Pasqua. Serse I (486-465) vieta la ricostruzione delle Mura. 458- Rientro di Esdra in Palestina con numerosi Giudei. Sotto Artaserse I (465-423) ancora ostruzionismo antigiudaico. 445-432- Prima Missione di Neemia. 445-Ricostruzione delle mura. 444-443- Esdra legge al popolo la Legge e celebra la Festa dei Tabernacoli. Rinnovo dell’alleanza. 432-433 (?) – Rientro di Neemia in Persia. 433 (?)-423- Seconda Missione di Neemia. Il silenzio che i Libri hanno su Sesbassar/Zorobabele dipende dal fatto che i Giudei avevano coltivato speranze di restaurazione monarchica che ovviamente i Persiani – nonché Esdra e Neemia che erano al servizio degli Achemenidi – non potevano accettare e che quindi non trovarono posto nella storiografia ufficiale dei due Capi. Da altre fonti bibliche – profetiche – intuiamo una lotta tra la fazione che voleva restaurare la monarchia e quella che voleva collaborare con la Persia; quest’ultima finì per identificarsi con la parte ecclesiastica, alla quale il Gran Re affidò, mediante il Sinedrio, il governo civile del popolo giudaico. Tema altrettanto scottante e più distinguibile è quello dei rapporti coi Samaritani e cogli Ebrei mai andati via dalla Palestina. I primi per ragioni etniche e i secondi per motivi cultuali non sono accettati come partner paritari dagli Esiliati che, specie da Esdra in poi, hanno il monopolio della purezza della Legge mosaica. Gli Ebrei locali sono accolti solo a condizione di una loro purificazione legale, ai sensi del diritto mosaico. Sullo sfondo si colloca il problema dell’autonomia palestinese e giudea: Samaria era la capitale della satrapia Transeufratena, istituita da Dario. Egli con tale atto aveva posto di fatto fine ad ogni velleità di restaurazione del Regno davidico, che potè esserci dopo la traumatica successione a Cambise (530-522), ma aveva anche assoggettato i Giudei agli odiati Samaritani. Neemia ebbe il grande merito di ottenere l’autonomia per Yehud, appagando il desiderio di libertà almeno parziale del suo popolo, il cui nazionalismo fu stemperato in una costituzione teocratica. La ricostruzione storica dei Libri di Esdra e Neemia, essendo funzionale alla narrazione delle loro gesta ed essendo costruita sulle loro testimonianze, ha degli iati temporali corrispondenti ai periodi che essi non avevano occupato con le loro gesta: dal 536 al 520, dal 515 al 458, tra la prima e la seconda missione di Neemia. DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA I Libri adoperano diverse fonti preesistenti: le Memorie di Esdra (Esd 7,12-9,15), in cui egli parla in prima persona, che furono scritte ed orali e delle quali qualcosa potrebbe essersi perso all’inizio, come si potrebbe dedurre dai primi capitoli del Libro Primo, dove ci sono brevissimi e precisi documenti non ben contestualizzati; le Memorie di Neemia (Ne 1,1-7,72; 12, 27-13,31), anch’esse scritte in prima persona; il Catalogo delle famiglie sacerdotali nel Libro di Neemia, desunto dalle Cronache; il Catalogo degli esuli rimpatriati ai tempi di Ciro, ripetuto in entrambi i Libri; la relazione scritta in aramaico sulla costruzione del Tempio e delle mura di Gerusalemme (Esd 4,6-6,12), con allegate la Lettera dei Samaritani ad Artaserse (4,7-16), la risposta del Re (4,17-22), la lettera di Tattenai e Setar Bozenai a Dario del 520 (5,6-17) e la risposta del Re con l’Editto di Ciro (6,3-12); il decreto di Artaserse per Esdra (7,12-26). La sequenza con cui queste fonti è adoperata è molto complessa e suppone un intenso lavoro redazionale. La lista degli immigrati è data due volte, appunto come dicevamo (Esd 2 e Ne 7); Esd 4,6-6,18 è scritto in aramaico e gli avvenimenti accaduti sotto Dario sono raccontati dopo quelli di Serse e di Artaserse I; i testi originali, ossia quelli usciti dalla penna di Esdra e di Neemia (e scritti in prima persona) e completati presumibilmente subito dopo la loro morte o da terzi essendo essi ancora vivi, sono presumibilmente questi: per Esdra Esd 7,1-8,36, Ne 7,72 b-8,18, Esd 9,1-10,44, Ne 9,1-37; per Neemia 1-2 e 3,33-7,5 e 12, 27-13,31. Alla Memoria di Esdra originaria sono stati aggiunti (da Esdra o da chi completò il testo base) la lista dei colpevoli in Esd 10,18.20-44, la preghiera di Esd 9,6-15 e Ne 9,6-37. Tutta la Memoria è stata presumibilmente riscritta, anche se non sappiamo se da Esdra o da chi l’ha completata, che quindi avrebbe finito il lavoro dell’autore principale. Alla Memoria di Neemia è stata interpolato un documento sulla ricostruzione delle mura (3,1-32) e aggiunta la lista degli esuli (7,6-72a); anche il c. 10 è un documento d’archivio che prova quanto detto nel c. 13 sull’impegno preso dal popolo verso Dio. Il curatore definitivo ha aggiunto i capp. 11 (gli elenchi degli abitanti di Giuda e Gerusalemme) e 12 (liste di sacerdoti e leviti), o ha almeno aggiornato fino ai tempi suoi questi documenti, qualora fossero stati aggiunti in precedenza, magari da Neemia stesso o per suo ordine. Va infine notato che in Esd 1-6 il tema è la ricostruzione del Tempio sotto Dario, si parla del Ritorno, si presenta(no) Sesbassar (e) Zorobabele, si produce un dossier antisamaritano; nel resto dell’opera si mostra invece l’attività congiunta di Esdra e Neemia. La prima parte serve dunque da introduzione alla seconda. Se però realmente Sesbassar e Zorobabele furono due persone distinte, allora anche l’uso delle fonti che li riguarda è fatto in modo piuttosto maldestro, in quanto il testo non lo lascia intendere; peraltro l’autore non specifica che si tratta dei due nomi di un solo personaggio, ma lo lascia intuire. In ogni caso o Zorobabele o Sealtiel ebbero due nomi, il secondo dei quali è Sesbassar. Segno di un modo di trattare l’onomastica che molto dà per scontato nell’opinione pubblica. Conformemente all’intenzione dell’autore ultimo, i Libri di Esdra e Neemia offrono un quadro sintetico della ricostruzione ebraica, basato sul Ritorno nella Terra Promessa, sulla ripresa del culto, la ricostruzione del Tempio, la riedificazione delle mura, la convivenza nazionale, l’autogoverno e l’applicazione della Legge mosaica, il tutto con sullo sfondo la benevolenza dei Persiani, ai quali gli Ebrei sono leali e devoti. Non a caso sono sottaciuti i titoli messianici di Zorobabele/Sesbassar, pure riconosciutigli da Aggeo e Zaccaria; mentre Esdra è presentato come il fondatore del Giudaismo sui tre pilastri della Stirpe eletta, del Tempio e della Legge. Egli ha una fede ardente e per proteggere i suoi impone loro uno spirito particolaristico e severe riforme; è il modello degli Scribi e occupa un posto centrale nella Tradizione giudaica. Neemia ha le stesse idee ma è un politico; offre al suo popolo la possibilità di una vita nazionale; è sensibile, umano, prudente, riflessivo, coraggioso, pieno di fede; anche i brani da lui scritti sono più calorosi. Egli pure è entrato nella storia giudaica in modo irreversibile. In questa situazione la Parola di Dio annunziata nelle Cronache non è smentita, anzi si realizza: questa è la vera comunità teocratica, dove regna, come alle origini di Israele, Dio stesso. L’AUTORE Alla luce di quanto detto, possiamo fissare alcuni punti fermi. Rispettando la tradizione e integrandola con le acquisizioni moderne. In principio ci sono Esdra e Neemia, autori diretti delle rispettive Memorie. Per le parti non in prima persona si può supporre o che esse siano state completate sulla base delle tradizioni orali dopo la loro morte o per loro stesso mandato. Come si è visto, i due libri erano molto diversi da ora. Non è da escludere che Esdra sia stato l’autore dei capp. 1-4,5.24; 6-7 che introducono la sua memoria. Lui stesso potè aggiungere la preghiera di 9,6-15. Chi completò il testo aggiunse il c.10. Di questo complesso di testi, una sorta di Proto-Esdra, non vi è motivo di ritenere che sia stato completato molto dopo la morte dello Scriba, anzi potrebbe essere stato terminato quando egli era ancora in vita. E’ un dato obiettivo però che i primi capitoli. sono stati scritti in aramaico e gli altri in ebraico. L’aramaico d’Impero era la lingua franca e anche quella burocratica sia nel II Secondo Impero Babilonese – accanto all’accadico e al babilonese stesso- sia nell’Impero achemenide – accanto al persiano. Gli esuli ormai parlavano solo l’aramaico. Nel cap. 10 di Esdra leggiamo che gli Ebrei non capivano la Legge scritta in ebraico e avevano bisogno della traduzione, fatta proprio dallo Scriba. E’ logico quindi che Esdra, mirando ad una diffusione delle sue memorie, le abbia composte in aramaico. Potrebbe poi averle tradotte lui stesso in ebraico, nel quadro della rinascita dell’erudizione nazionale, così faticosamente conservata nell’Esilio e nella Diaspora. Per ragioni a noi ignote le due versioni non si sono conservate intere e sono state combinate così com’erano rimaste nell’epoca della redazione definitiva. Ciò potè dare una patina di erudizione, mediante l’inserzione di documenti in lingua originale, in un testo che tuttavia andava redatto nella lingua dotta degli Ebrei, in quanto ormai canonizzato. Il bilinguismo è, infatti, una costante della letteratura biblica sin dall’epoca di Mosè e fino agli Apostoli, essendo la Palestina stata sempre parte di solidi e vasti imperi e centro di attività scribali raffinate. In quanto alla Memoria di Neemia, per quanto scritto in prima e in terza persona si può immaginare anche la stessa doppia redazione in aramaico ed ebraico. Egli stesso potè inserire la preghiera in 9,6-37, il dossier sulla ricostruzione delle mura, sua cura principale nell’edilizia, e aggiungere la lista dei rimpatriati per dare colore erudito alla sua esposizione. Lo stesso dicasi per i cc. 10 e 13. E’ invece dell’epoca di Dario III Codomano (336-331) il cap. 12 (dove è citato il sommo sacerdote Iaddua suo contemporaneo) e forse l’11. Se non completamente della seconda metà del IV sec., questi capitoli potrebbero essere stati aggiornati sino a quel periodo. In esso il processo di restyling dei testi era completato. Forse proprio in quest’epoca un anonimo cronista, per ragioni a noi ignote, provvide alla ricomposizione delle memorie nei modi che abbiamo attualmente, inserendovi il dossier antisamaritano di Esd 4,6-24, in gran parte, come dicevo, in aramaico. Lo stesso ultimo curatore dei Libri di Esdra e Neemia – considerato unico a lungo come dicevo all’inizio – potè forse dare una ripulitura stilistica alle Cronache, se non completarle, qualora l’attribuzione del Lirano al solo Esdra della loro totalità fosse errata. La solidità della documentazione dei Libri in questione, a dispetto della caoticità del loro uso, tagliano le gambe a quelle teorie veramente assurde che mettono in discussione la stessa esistenza di Esdra e Neemia. PECULIARITA’ TEOLOGICHE I Libri attestano che la vera eredità di Israele non è tanto la sovranità politica sulla Terra promessa, ma la possibilità di viverci secondo la Legge di Dio. Ciò attesta il carattere eminentemente spirituale della vita della comunità e del credente, sia nel Vecchio come nel Nuovo Testamento. I rimpatriati sanno di essere il “Resto di Israele”, profetizzato, e che anticipa il numero degli Eletti del Cielo della Nuova e definitiva Alleanza. Esdra rinnova l’Alleanza di Mosè e può quindi essergli paragonato. Il Patto che egli sigla non è nuovo ma appunto riportato in vigore, per la fedeltà di Dio. In ragione di ciò nascono le istituzioni classiche del Giudaismo: il Sinedrio, le Sinagoghe, gli Scribi. La Legge diventa il centro della vita religiosa e la santità il suo fine. Inizia quel clima spirituale in cui germinerà, quattrocento anni dopo, Gesù Cristo e la Sua Chiesa. Di Lui sono figure coloro che guidano gli esuli nella loro Terra, ossia il Cielo (Sesbassar e Zorobabele), Esdra che rinnova il Patto; Neemia che rialza la difesa della Città Santa – contro il potere di Satana; Ciro il Grande che emette l’editto del Ritorno. Nel Tempio riedificato si vede la Chiesa, tempio definitivo. Il Libro è sotteso da un Messianismo discreto, tutto spirituale, che troverà in Gesù il suo compimento. IN VOLUMINA Breve introduzione ai Libri di Tobia, Ester e Giuditta Nella Bibbia abbiamo anche tre Libri dedicati a degli eroi: quelli di Tobia, di Ester e di Giuditta. Hanno caratteristiche comuni e una posizione affine. La Vulgata li mette dopo i Libri Storici, come importanti manoscritti greci, dei quali però alcuni li mettono dopo i Libri Sapienziali. Hanno alcune caratteristiche comuni: un testo mal fissato, un ingresso relativamente tardivo nel Canone scritturistico e una certa affinità di genere letterario. IL LIBRO DI TOBIA IL PROTAGONISTA Il nome del Libro viene dal suo protagonista, Tobia figlio di Tobit, che Dio beneficò particolarmente nelle sue difficili vicissitudini. IL CONTENUTO Il tema del Libro è la fiducia in Dio, Che vigila paternamente sui Suoi fedeli. Lo dimostra il racconto della vita del vecchio Tobit, uno dei deportati dagli Assiri da Israele a Ninive. Fedele a Dio dalla giovinezza, pietoso verso i connazionali, pieno di timor di Dio, sopporta pazientemente la cecità e gli insulti della moglie. Mentre lui vive le sue ambasce, in Ecbatana dei Medi Sara, figlia di Raguele, è duramente tormentata dal demone Asmodeo che le uccide i mariti uno dopo l’altro. Tobit e Sara pregano Dio di aiutarli, e Questi invia in loro soccorso l’Arcangelo San Raffaele. Questi, sotto le spoglie di Azaria, conduce in Media Tobia, figlio di Tobit, che lo ha inviato colà per riscuotere un credito dopo avergli dato molti consigli. L’Arcangelo insegna a Tobia i rimedi miracolosi per guarire la cecità e per scacciare i demoni, dopo aver miracolosamente catturato con lui un gran pesce nel fiume Tigri. Gli consiglia altresì di chiedere in moglie Sara, che viene poi liberata dallo stesso Tobia dall’infestazione diabolica, mercè l’aiuto dell’Arcangelo. Vengono dunque celebrate le nozze e Tobia recupera il denaro da Gabael. Tobia e la moglie con San Raffaele tornano da Tobit e dalla sua sposa in ansia per il figlio. Tobia guarisce il padre coi rimedi miracolosi insegnatigli dall’Arcangelo, che svela la sua identità ed esorta a lodare il Signore. Tobit allora scioglie un inno a Dio. Viene poi descritta la sua morte e il trasferimento di Tobia a Ecbatana e le sue ultime gesta. LA STRUTTURA Possiamo distinguere tre parti: una prima dedicata a Tobit e a Sara provati dal dolore (1,1-3,17); una seconda dedicata alla missione di San Raffaele presso di loro (4,1-12,22); una terza sulla gioia di Tobit (13,1-14,15). DISAMINA LETTERARIA E FILOLOGICA Il testo potrebbe essere ascrivibile a tre diversi generi: quello storico – che implica la sua veridicità – quello romanzesco – che postula la sua natura puramente edificante – e quello leggendario – in cui un nucleo storico risulterebbe abbellito letterariamente a scopo edificatorio. Non vi è alcuna indicazione magisteriale su quale tesi debba essere preferito ma appare evidente che la prima soluzione è la più logica e plausibile, essendo ancora oggi le Vite dei Santi storiche e ad un tempo ricche di fenomeni straordinari. I modelli letterari di riferimento sono le storie dei Patriarchi, mentre non mancano punti di contatto con l’apocrifo della Sapienza di Achikar, che risale al V sec. nel suo nucleo essenziale. Il Libro è in una posizione mediana tra gli influssi di Giobbe ed Ester, di Zaccaria e di Daniele. Il testo originale del Libro non ci è giunto e non sappiamo se fosse in aramaico, ebraico e greco; credo sia plausibile una composizione aramaica, onde favorirne la diffusione nella Diaspora. In ogni caso il testo greco del Codex Sinaiticus sembra essere il più conforme a quello primitivo, mentre quello latino, basato a sua volta sul greco, è conservato nella Vetus Latina e nella Vulgata. San Girolamo tuttavia potè utilizzare una versione caldea (ossia aramaica) che non ci è giunta. Il testo ebraico a noi noto è rappresentato da un codice del V sec. edito nel 1542 e da un manoscritto di Qumran; quello aramaico è contenuto in un codice del VII pubblicato nel 1878 e in quattro manoscritti di Qumran. Questi frammenti semitici di Qumran convalidano la tesi della maggiore antichità della versione sinaitica. Un’altra importante recensione è quella dei Codici Vaticano e Alessandrino. Ve ne sono poi altre due minori. L’AUTORE E LA DATA DI COMPOSIZIONE San Raffaele ordinò a Tobit e Tobia di scrivere quanto loro accaduto (12,20). La loro memoria è dunque il testo base del Libro, completato con la notizia della morte di entrambi. Una sezione del Libro, la prima, contiene una memoria in prima persona di Tobit. Il resto è narrato in terza persona. Forse Tobit iniziò il racconto ma non potè completarla e qualcuno lo fece al posto suo senza alterare la sua testimonianza originale. Si suppone anche che si potesse scrivere il Libro sulla base di più fonti, scritte e orali, ma mi sembra improponibile, data anche la brevità del testo. La data di composizione definitiva è posta tra il IV e il II sec. a.C., ma potrebbe essere anche più antica, anteriore alla Caduta di Gerusalemme. Sin da quell’epoca si poteva infatti agevolmente scrivere in aramaico. Questo potè avere più lezioni in quanto il Libro tardivamente entrò nel canone. Da una lezione scomparsa potè derivare la versione greca. PECULIARITA’ TEOLOGICHE Il Libro insegna cose importanti sull’angelologia. L’Arcangelo Raffaele è uno dei Sette Spiriti che stanno al cospetto di Dio, è immateriale, è immortale, porta i messaggi di Dio ed esegue i Suoi mandati, si cura degli uomini e ha potere sui demoni, è guaritore. Questi poteri per traslato valgono anche per gli altri Spiriti Puri. Inoltre la funzione di Raffaele preconizza quello del Cristo, vero Angelo del Gran Consiglio. Il Libro sottolinea anche l’importanza del matrimonio, la sua santità, la sacralità del suo uso, la necessità di avvicinarsi ad esso mediante una preparazione orante e il rischio dell’influenza diabolica se lo si profana. Insegna altresì agli sposi il reciproco rispetto. Infine il Libro di Tobia insegna le opere di misericordia: seppellire i morti, fare elemosine, vestire i nudi, dar da mangiare agli affamati; ciò attira la grazia di Dio. Il Libro di Tobia non venne inserito nel Canone ebraico ma la Chiesa l’ha considerato ispirato sin dall’antichità. Il Concilio di Cartagine del 397 lo mette tra i Sacri Testi. Policarpo, Erma, Clemente di Alessandria e Origene lo citano come ispirato. IL LIBRO DI ESTER LA PROTAGONISTA Il nome del Libro è tratto da quello della protagonista, la regina di Persia che potè salvare il suo popolo dallo sterminio. IL CONTENUTO Esso attesta, in 10,12, che Dio si ricordò di Israele e lo salvò in una crisi gravissima. La storia inizia col sogno che Mardocheo, giudeo membro della corte di Assuero – ossia Serse I, gran re dei Persiani e dei Medi (486-465)- ebbe come premonizione sulla drammatica sorte che incombeva sugli Ebrei e su come essa sarebbe stata sventata. Ciò accadde nel secondo anno del regno di Assuero. L’anno successivo Assuero ripudiò la regina Vasti e quattro anni dopo sposò Ester, nipote di Mardocheo. Questi scoprì un complotto contro il Re e lo informò tramite la nipote, salvandolo. In seguito Mardocheo urtò la suscettibilità del gran vizir Aman, il quale decise di sterminare tutti gli Ebrei estorcendo un decreto in tal senso con l’inganno ad Assuero. Mardocheo allora indusse la nipote ad intercedere per i suoi connazionali e lei, a spregio della vita, si presentò senza autorizzazione alla presenza del marito. Graziata da lui, chiese un banchetto con Aman, nel corso del quale lo accusò del suo tentato genocidio. Assuero allora lo condannò a morte impiccandolo su quel patibolo che il gran vizir aveva destinato a Mardocheo. Non essendo poi revocabile il decreto di sterminio, Assuero ne emanò un altro che autorizzava i Giudei alla difesa in armi. Così essi si salvarono e celebrarono questa vittoria nella festa dei Purim. LA STRUTTURA Dopo un Prologo (da 11,2-12 a 12,1-6) abbiamo una prima parte, in cui Ester diventa regina (1,1-2,18); una seconda parte in cui si fronteggiano Mardocheo e Aman (2,19-3,13; 13,1-7; 3,14-4,1-8); una terza in cui interviene Ester (15,1-17; 13,8-15,19; 5,1-8-12); una quarta sull’Editto favorevole ai Giudei (16,1-24; 8,13-17; 9,1-10,13; 11,1). DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA Come si evince dai versetti della struttura e dai suoi capitoli, la situazione testuale del Libro è tra le più complicate del VT. Abbiamo due recensioni, molto diverse: la greca e l’ebraica. La prima è più ampia con molti passi mancanti nell’altra. Ve ne sono di due tipi: la comune e la spuria della recensione lucianea. Nella Vulgata San Girolamo raccolse tutti i passi greci non presenti nella recensione ebraica e li pose alla fine di essa, traducendo tutto in latino. I passi greci sono: il Sogno di Mardocheo e la scoperta della congiura (1,1a-r; 10,3a-k); il decreto sul massacro degli Ebrei (3,13a-g); il colloquio di Mardocheo con Ester (4,1-17); la preghiera di Mardocheo e di Ester (4,17a-z); la visita di Ester ad Assuero (5,1a-f e 5,2 a-b); il decreto di Assuero per gli Ebrei (8,12a-v); l’interpretazione del sogno. E’ logico dedurre che la recensione greca riproducesse il testo originario, scritto in aramaico ed ebraico e letto nella festa di Purim. Quando la festa degenerò in forme profane il Sinedrio avrebbe compendiato il libro rendendone più agevole la lettura e conservando in dettaglio solo le parti religiose. Questo compendio sarebbe la recensione ebraica. Tuttavia San Roberto Bellarmino suggerì un percorso inverso, in cui la versione originale è quella breve che viene successivamente ampliata e poi tradotta in greco, conformemente agli sviluppi del midrash postesilico. Rimane tuttavia aperta la questione di quale sia l’origine dei racconti che ampliarono il testo base. Il racconto, fortemente esclusivista e nazionalista come reazione all’antisemitismo, ha come modelli la storia di Giuseppe nella Genesi e quella di Daniele. Il Libro sembra essere una sorta di dimostrazione di come, nonostante tutto, Ebrei e Persiani potessero collaborare con profitto. Tale impressione è più accentuata alla luce della disamina storica del testo. DISAMINA STORICA Non vi è motivo di dubitare della storicità del racconto del Libro di Ester. La topografia e la cronologia storica sono esatte, i nomi propri tipicamente persiani, puntuali sono i riferimenti agli Annali dei Re di Persia, la festa di Purim è realmente esistita e ha un nome babilonese che attesta la sua origine nel periodo a ridosso dell’Esilio – ossia prima della ripromulgazione della Legge da parte di Esdra – e l’archeologia di Susa è rispettata. Tuttavia le cifre del massacro dei persecutori degli Ebrei sono esagerate, la radicalità del decreto di sterminio degli Ebrei suscita dei dubbi e sia Vasti che Ester dovettero essere delle concubine e non le Regine vere e proprie, essendo Serse sposato ad Amestri. Non si può inoltre escludere che i Purim avessero un’origine diversa da quella descritta nel Libro, che quindi vi si collegò in seguito. Non si può tuttavia dubitare dell’antisemitismo sotto Serse, attestato anche dai documenti antisamaritani editi nel Primo Libro di Esdra e afferenti al regno di questo monarca. Il Libro di Esdra in effetti attesta una notevole ostilità agli Ebrei negli ultimi anni di Ciro e in quelli di Dario. Il quadro storico di riferimento può essere questo: sotto Serse, a torto o a ragione, il governo persiano paventa una restaurazione dell’indipendenza giudaica per gli allertamenti dei Samaritani; la minaccia appare concreta per i precedenti sotto Ciro e Dario; il partito antigiudaico della Corte concepisce un piano di annientamento dell’opposizione ebrea; quello filogiudaico, forte anche della presenza nel Palazzo di dignitari fedeli alla Legge di Mosè e di una moglie ebrea nello harem del Re, riesce a far rientrare la minaccia, dando prova di lealismo; ne segue un sanguinoso turn over nelle stanze del potere. Il Libro di Ester narrerebbe quindi le vicende del Giudaismo nella generazione precedente a quella di Esdra. Se questa intuizione è esatta la narrazione dev’essere intesa come semplificata e reticente nei punti chiave, per non dare al governo motivo di sospetti e fornirgli ulteriori prove di lealismo, oltre che scaricando le responsabilità del dissidio tra la Corte e i Giudei su uno dei partiti sconfitti nelle lotte di potere della prima, ossia quello di Aman. L’AUTORE E LA DATA Alla base del Libro vi sono le Memorie di Mardocheo. Queste furono poi riviste e letterariamente adattate da uno o più autori sconosciuti, conformemente alla pluralità di versioni. Credo che la versione greca, basata su un originale ebraico perduto, sia quella originale che parafrasa i testi di Mardocheo. Essa potè essere tradotta in aramaico per maggiore diffusione. Poi sulla scorta di un secondo testo semitico, ebraico o aramaico, più breve, si redasse la versione greca non più tardi degli anni tra il 117 e l’81 a.C., come è scritto nello stesso Libro, nell’explicit. La revisione del testo di Mardocheo e la nascita del testo ebraico perduto non credo siano più recenti di una generazione dopo quella di Assuero, il cui nome è anche nel Libro di Esdra quello usato per Serse. Il testo ebraico è attestato già dal 160 a.C., quando secondo 2 Mac 15,36 si celebravano i Purim e quindi presumibilmente si conosceva il Libro, essendo la festa chiamata Giorno di Mardocheo. In ogni caso l’opinione corrente data il Libro alla fine dell’età persiana o all’inizio di quella ellenistica. La datazione all’età persiana, il più possibile alta, è a mio avviso conseguenza del quadro storico che ho ipotizzato. Diversamente, in età ellenistica si sarebbero potute narrare con maggiore chiarezza le ambizioni autonomistiche degli Ebrei sotto gli Achemenidi. PECULIARITA’ TEOLOGICHE Accolto nel Canone ebraico nel II sec. col Sinodo di Iamnia sulla scorta della sola recensione ebraica, il Libro è stato riconosciuto come interamente ispirato dai Concili Ecumenici di Firenze e di Trento, ma già era accettato in epoca patristica e, in Occidente, a partire dal Concilio Trullano del 692. Anche gli Ebrei poi presero a commentare la recensione greca. E’ un Libro che esalta la Provvidenza salvifica di Dio. La regina Ester che salva il suo popolo è figura della Vergine, Sposa dello Spirito Santo, Regina dell’Universo, Assunta in Cielo – cosa prefigurata nell’incontro col Re che non si chiude con la morte – e Corredentrice del Genere Umano che rischia la vita per salvarlo, senza però perderla. IL LIBRO DI GIUDITTA LA PROTAGONISTA Il nome del Libro viene dalla protagonista, Giuditta, l’eroina che salva la sua città dall’assedio e dallo sterminio a cui l’avrebbe votato l’esercito di Nabucodonosor, guidato da Oloferne. IL CONTENUTO Nabucodonosor re d’Assiria, dopo aver sconfitto Arfaxad re dei Medi, si lancia alla conquista dell’Occidente. Oloferne, suo comandante in capo, deve punire i popoli che hanno rifiutato di sottomettersi. Egli attraversa la Palestina puntando sull’Egitto e assedia la città di Betulia, probabilmente nella Pianura di Esdrelon. Il popolo prega e Dio suscita Giuditta, donna religiosa e fedele, che invita i suoi concittadini ad avere fiducia in Dio profetizzando la loro liberazione tramite lei. Giuditta lascia nottetempo Betulia per il campo assiro; si presenta ad Oloferne che se ne innamora; ottiene il permesso di vivere secondo le sue usanze e ogni sera fa fuori del campo le sue abluzioni; il quarto giorno accetta di partecipare ad un banchetto dato in suo onore, dove Oloferne si ubriaca. Egli la conduce nella sua tenda e qui Giuditta, senza aver peccato con lui, mentre dorme gli mozza il capo. Esce dal campo col pretesto delle abluzioni, torna in Betulia e viene accolta in trionfo. Gli assedianti, scoperto il condottiero morto il mattino dopo, si danno alla fuga presi dal panico. LA STRUTTURA Distinguiamo le seguenti parti: la prima, sui propositi di Nabucodonosor (1,1-3,10); la resistenza giudaica e l’assedio di Betulia (4,1-7,32); l’intervento di Giuditta (8,1-12,20); il suo successo (13,1-15,25). In quest’ultima parte abbiamo anche il Cantico della protagonista (16,1-17). DISAMINA STORICA, LETTERARIA E FILOLOGICA Preso alla lettera, il Libro di Giuditta è un falso grossolano e clamorosamente evidente. Nabucodonosor non regnò mai in Assiria ma in Babilonia; nessun re di nome Arfaxad regnò mai sui Medi né guerreggiò con lui; Oloferne è un nome persiano che mal si addice a un generale in capo assiro; l’invasione del Regno di Israele da parte degli Assiri avvenne durante lo scisma religioso tra quello e Giuda, mentre Giuditta sale al Tempio di Gerusalemme per ringraziare del suo successo; infine, proprio la ricostruzione del Tempio appare incompatibile con l’età di Nabucodonosor. Il Libro tuttavia contiene in modo criptato la narrazione di un pericolo occasionale ma reale corso da Giuda durante il periodo persiano. Diodoro Siculo ci informa che Artaserse III (359-338) condusse una spedizione contro l’Egitto ribelle servendosi del generale Oloferne, coadiuvato dall’eunuco Bagoas, citato nel Libro di Giuditta. Questa spedizione passò per la Palestina e, in circostanze ignote, tentò l’assedio di Betulia. Un distaccamento deve essere stato miracolosamente distolto dal suo proposito distruttivo da Giuditta e il capo di esso dev’essere stato, per amplificazione, identificato con Oloferne. Le circostanze storiche, così decrittate, appaiono riconoscibili e plausibili. Per non urtare la suscettibilità del governo persiano si usano dei codici comuni pure nell’apocalittica e nel genere storico, anche neotestamentario. Il libro ha infatti anche punti di contatto con Daniele, Ezechiele e Gioele. Artaserse III è identificato col nemico per eccellenza, Nabucodonosor. Il suo popolo, proprio perché si capisca che la ricostruzione è fittizia, è quello assiro, altro grande nemico di Israele. Esso invase il Regno di Israele e lo distrusse, ma questa volta, sebbene Betulia sia in quelle zone, non riesce nel suo proposito. L’attacco ai Medi e ad Arfaxad, come pure il monito alle nazioni occidentali perché si sottomettano e l’attacco all’Egitto sono il riferimento neanche tanto velato al fatto che Artaserse schiacciò la rivolta dei Paesi occidentali, oltre l’Eufrate, che si erano ribellati al governo persiano, uccise i satrapi ribelli, domò la sedizione dei Cadusi, ammonì Atene a non impicciarsi nella crisi e invase l’Egitto passando per la Palestina, restaurando il dominio persiano su quel Paese. Non sappiamo quale contegno tenessero i Giudei durante queste ribellioni, ma certo il Gran Re potè temere della loro fedeltà. Tra i suoi consiglieri va menzionato quel Bagoas che non fu estraneo al suo avvelenamento. In questo contesto l’episodio di Betulia, come rappresaglia persiana, non appare inverosimile. E l’esito positivo della vicenda apparve all’autore degno di essere tramandato come segno della Divina Provvidenza. Il testo fu scritto o in aramaico o in ebraico – presumibilmente in entrambe le lingue – ma ci è giunto in tre recensioni greche su cui sono state realizzate quella latine e siriache; la Vulgata si è servita di un testo aramaico più corto, differente da quello greco in molti particolari, che forse lo parafrasava, per cui il testo di San Girolamo sarebbe una semplice revisione di precedenti versioni latine. L’AUTORE E LA DATA Credo che alla base del Libro di Giuditta ci sia la Memoria dell’eroina, scritta da lei o da Ozia. Probabilmente fu scritto in aramaico perché l’eroina non era una ecclesiastica, ma subito fu predisposta la versione ebraica per una diffusione tra i ceti colti. Potrebbe essere stato rivisto in occasione della traduzione greca, nel II sec. a.C., durante il periodo maccabeo, ma la sua composizione è d’età persiana, perché altrimenti i codici, usati per non indispettire il governo achemenide, sarebbero stati decrittati. Il mancato inserimento nel Canone potè facilitare tuttavia le modifiche testuali. PECULIARITA’ TEOLOGICHE Giuditta vive ed opera come una Matriarca. Betulia sorge presso quella Valle di Armagheddon dove l’Apocalisse ambienta il combattimento escatologico. Il Libro ha una apertura universale, essendo ambientato in Samaria e facendo rilevare la natura spirituale del conflitto dall’ammonita Achior, che poi si converte all’Ebraismo. Come dicevamo, è un Libro che inneggia alla Provvidenza che salva il Popolo mediante una povera donna. Giuditta è figura della Beata Vergine che troncò il capo di satana, schiacciandolo sotto i Suoi piedi. L’eulogia di Ozia e del popolo (13,18) profetizza infatti quello di Elisabetta nel Vangelo di Luca. Il Libro fu considerato sempre ispirato dalla Chiesa ed è citato da Clemente Romano, Clemente Alessandrino, Origene, Ambrogio e Agostino; i Concili di Ippona (393) e Cartagine (397 e 419) lo annoverano tra i Libri canonici. Theorèin - Aprile 2014 |