LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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PROPHETIA DEI PER ISRAELEM

Brevissima introduzione ai Libri Profetici

IL CANONE PROFETICO

La Bibbia Latina distingue Quattro Profeti Maggiori da Dodici Profeti Minori. Essi sono tutti scrittori e sono classificati proprio in base alla voluminosità dei loro Libri. La Bibbia ebraica raggruppa tutti questi Profeti sotto la dicitura di Profeti Posteriori, dopo il blocco dei Libri storici, che essa designa come Profeti Anteriori. La Bibbia greca colloca i Profeti dopo gli Agiografi, con un ordine diverso da quella greca, aggiungendovi le Lamentazioni e il Libro di Daniele che la Sinagoga metteva alla fine del Canone e altri libri che di questo addirittura non facevano parte, ossia il Libro di Baruc dopo quello di Geremia, la Lettera di quest’ultimo e le aggiunte al Libro di Daniele. La Vulgata, conservando questa sistemazione, ha ripreso l’ordine ebraico che pone i Profeti Maggiori prima dei Minori e unendo la Lettera di Geremia al Libro di Baruc, posto dopo le Lamentazioni.

IL PROFETISMO

Esso è un fenomeno presente in tutte le religioni antiche. E’ attestato a Biblos nell’XI sec. a.C., mentre veggenti e profeti si trovano ad Amat nell’VIII sec. e a Mari nel XVIII sec. I messaggi che essi inviavano ai propri sovrani non sono tanto diversi da quelli che i Profeti biblici mandavano ai loro Re nelle epoche più remote. Ma il Profetismo biblico ha caratteristiche peculiari e differenti dai fenomeni concomitanti dei popoli circonvicini.

La Bibbia menziona profeti dai tempi di Balaam (Nm 23-24), cita i quattrocentocinquanta profeti di Baal sconfitti da Elia (1 Re 18, 19-40), nomina i quattrocento falsi profeti di Dio consultati da Acab (1 Re 22,5-12). L’antico mosaismo ha riconosciuto come valida questa istituzione: confraternite di uomini ispirati sono citate nel Primo Libro di Samuele e sono, nel Primo Libro dei Re, coeve di Elia, mentre il Secondo di quei Libri parla di quei profeti che, uniti in gruppi, sono in relazione con Eliseo. Essi non sono più citati a partire da Amos. Si tratta di confraternite di estatici che sono mossi dalla musica, che mimano le loro profezie, che contagiano col loro stato anche persone che non appartengono alla loro cerchia. L’uso della musica e il mimo sono presenti anche in grandi Profeti, come Eliseo, Isaia, Geremia, Ezechiele. Le fasi psicologiche che i Profeti attraversano mentre compiono queste azioni possono apparire anormali e sono senz’altro tipiche delle personalità mistiche e vanno contestualizzate nella cultura di riferimento, ma non costituiscono l’essenza del profetismo canonico.

Tuttavia sia i Profeti canonici che gli anonimi estatici sono chiamati tutti nabî, con un termine che suggerisce l’essere chiamato e l’annunziare, per cui essi sono coloro che sono chiamati da Dio ad annunziare la Sua Parola. Etimologicamente la parola ebraica può derivare sia da nabâ, radice inusitata che indica appunto il parlare e l’annunziare, che dall’accadico nabû che significa chiamare. In entrambi i casi suggerisce l’idea che abbiamo espresso. Una diversa etimologia accosta la parola nabî con la radice inusitata anch’essa nabà, che significa sgorgare, bollire o spumeggiare. Essa darebbe ragione dell’esaltazione estatica dei gruppi profetici più antichi e la parola che ne sarebbe derivata avrebbe poi assunto un significato diverso. Ma come dicevamo, dispute filologiche a parte, il senso del profetismo canonico non sta nell’esaltazione ma nel ruolo di messaggero proprio dei Profeti. Infatti essi introducono le loro profezie presentandole come Parola od Oracolo del Signore. Ciò è evidente da quando Aronne viene dato da Dio a Mosè come suo “profeta”, anche se di solito la parola è resa come “interprete” o simili. I Profeti sono consapevoli di ricevere e comunicare un messaggio che non è il loro. Lo comunicano a dispetto di quanto a volte vorrebbero tacere, come Amos o Geremia. Di solito sono chiamati improvvisamente da Dio, come i due citati; il tentativo di sottrarsi all’appello è drammaticamente illustrato, con le sue conseguenze, in Giona. Sono messaggeri e segni viventi della Volontà di Dio. La vocazione profetica, che è un cardine del Profetismo con la sua assoluta gratuità da parte di Dio (Isaia era nobile, Geremia ed Ezechiele sacerdoti, Eliseo contadino, Amos pastore ecc.), è essa stessa un segno profetico. Il matrimonio infelice di Osea è un simbolo. Isaia deve passeggiare nudo per fare da presagio. Egli stesso e i suoi figli sono segni prodigiosi. Geremia è un insegnamento solo con la sua esistenza. Ezechiele è un segno quando esegue gli strani ordini di Dio.

Il messaggio di Dio giunge o in visione diurna e notturna o in audizione o per ispirazione; a volte è improvviso; altre giunge in circostanze banali. Esso è trasmesso in modi vari, con brani lirici, racconti in prosa, parabole, parole esplicite nella forma breve oracolare, scongiuri, diatribe, discorsi, processi, scritti sapienziali, salmi cultuali, canti d’amore, satire, lamenti funebri e altro ancora. Lo stato mistico di questi Profeti è evidente e perfettamente congruente con la loro condizione, fenomenologicamente simile allo stato dei mistici ancora oggi esistenti. L’atto della visione o dell’audizione è alla base di termini ancora più antichi di quello di nabî per indicare il Profeta: sono ro’eh (veggente) e hozeh (contemplante).

La profezia raramente si rivolge a un solo individuo, e quando lo fa spesso è in un contesto più ampio. Fa ovviamente eccezione il Re in quanto capo del popolo. Ma i grandi Profeti di Israele parlano a tutto il popolo. Essi trattano sempre di qualcosa che verte sul presente e sul futuro; sono mandati da Dio per esprimere la Sua volontà; le loro predizioni vengono a confermare quanto predicano. Spesso non intendono pienamente il senso di quanto vanno vaticinando, anche perché esso è altrettanto frequentemente polisemico. In ogni caso proprio dalla predizione viene il termine Profeta, dal greco pro-faino, che appunto significa predico.

Il messaggio profetico è ad un tempo severo e consolante. Il peccato ostacola i piani di Dio, ma Questi non disarma e non chiude mai le porte alla salvezza. Il Profeta poi, pur mandato ad Israele, ha orizzonti universali. Egli, sicuro di parlare a nome di Dio, ha come credenziali l’adempimento di quanto profetizza e la conformità del suo insegnamento con la dottrina mosaica. L’istituzione profetica era del resto riconosciuta dalla religione ufficiale. Essa considerava il Profeta quale uomo che ha avuto e ha una esperienza immediata di Dio, che ha ricevuto la Rivelazione della Sua santità e della Sua volontà, che giudica il presente e vede l’avvenire alla luce di Dio e che è mandato da Lui per ricordare agli uomini le Sue esigenze e ricondurli nella via del Suo amore e della Sua obbedienza.

IL MOVIMENTO PROFETICO

In conseguenza di tale definizione, il primo profeta è Mosè e l’ultimo è Gesù Cristo, preannunziato come simile a sé da Mosè medesimo. Con Mosè il profetismo ha per così dire il suo stato giuridico: viene distinto il Profeta vero da quello falso, dall’indovino, dal profeta degli idoli. Sebbene prima di Mosè esistesse profezia (Noè fu profeta, come i Patriarchi, e tra essi Abramo ebbe una vita che fu essa stessa profezia), con lui nasce la consapevolezza del Profetismo. Mosè è senz’altro il più grande della schiera allargata dei Profeti. Sono suoi coevi la sorella Maria e i Settanta Anziani. Nella successione vengono Giosuè, Debora, il Profeta anonimo di Gdc 6,8, quello di 1 Sam 3, 20 e Samuele. Dai suoi tempi compaiono le compagnie e poi le confraternite dei Profeti, destinate a scomparire, anche se gruppi anonimi di essi sono attestati anche dopo l’Esilio. Vi sono poi, riprendendo l’ordine cronologico, Gad e Natan alla corte di David e Salomone, Semaia ai tempi di Roboamo, Iddo sotto di lui e sotto Abia, Ahia ai tempi di Geroboamo, Azaria sotto Asa, Ieu ai tempi di Baasa, Elia ed Eliseo ai tempi di Acab e dei suoi successori, Giona sotto Geroboamo II, Oded sotto Acaz, Culda la profetessa ai tempi di Giosia, Uria sotto Ioiakìm e altri anonimi.

Elia è il campione della vera fede, il Profeta solitario, colui che vede Dio faccia a faccia sull’Oreb, come Mosè; egli è tolto vivo dal mondo, come Enoc. La sua figura rappresenta la profezia nel complesso. Egli torna in Giovanni il Battista per annunziare Cristo. Egli compare accanto a Lui nella Trasfigurazione. Egli visita Roma, con Enoc, nelle persone di Pietro e Paolo. Eliseo, discepolo di lui, è invece inserito pienamente nel mondo circostante. E’ coinvolto nella politica. E’ consultato dagli stranieri. Ha relazioni con altri profeti. Ed è, come il maestro, grande taumaturgo. Sappiamo ovviamente di più dei Profeti scrittori. Di essi diremo trattandoli uno ad uno, escluso Geremia il cui Libro è esposto insieme alle altre opere attribuitegli. In genere essi intervengono nei momenti gravi della storia ebraica. Il primo Profeta scrittore è Amos, che opera nella metà dell’VIII sec., cinquant’anni dopo Eliseo. Per due secoli fino all’Esilio i Profeti scrittori troneggeranno nella storia sacra, a cominciare da Isaia e Geremia, passando per Osea, Michea, Nahum, Sofonia e Abacuc. Alla fine del ministero di Geremia sorge Ezechiele, che già preannunzia l’apocalittica con meno spontaneità e fuoco ma più minuziosità nelle grandiose visioni, con tensione escatologica e grande complessità immaginifica. A quest’epoca si attribuisce anche il Deutero Isaia, ammesso che sia mai esistito. E’ il periodo dell’Esilio. I profeti del Ritorno sono invece Aggeo e Zaccaria, incentrati sulla restaurazione del Tempio. Dopo di loro Malachia sferza la comunità per i suoi difetti. Vi è anche Abdia. Giona poi usa il midrash per estrarre da antiche Scritture insegnamenti nuovi. In Gioele e nel Deutero Zaccaria – dando per ammessa la sua esistenza – riaffiora l’apocalittica. Essa raggiunge l’apogeo nel profeta Daniele, tutto proiettato escatologicamente. E’ l’epoca in cui si esaurisce la profezia, in attesa del ritorno dello Spirito Santo previsto da Gioele e che si realizza, dopo la missione preparatoria di Giovanni Battista, in Cristo attraverso la Pentecoste, in cui la profezia si estende a tutti i fedeli.

LA DOTTRINA PROFETICA

Attraverso i Profeti Dio ha fatto moltissime rivelazioni. Ogni profeta ha dato il suo apporto personale e irripetibile, ma tutti convergono su alcuni punti fondamentali. Il primo è il monoteismo. Si ritiene di solito che per molto tempo gli Ebrei fossero inclini a credere che accanto al Signore ci fossero gli altri dei, quelli degli altri popoli, ma che adorassero solo Lui, Che tra essi era il più potente e reclamava un culto esclusivo. Questo principio è tutto sommato l’applicazione buona della consapevolezza di Israele di vivere in un mondo politeista, le cui tentazioni aveva cominciato a subire sin dall’Esodo e che ad un certo punto lo avevano talmente indebolito da far prosperare paganesimo e idolatria anche tra le sue Tribù. Ebbene Amos, primo tra i Profeti, presentando Dio come il Signore delle forze della natura, della storia e degli uomini, richiama la verità antica dell’onnipotenza divina che, per forza di cose, non ammette pari accanto a sé, nemmeno in funzione subordinata. Questo Dio può minacciare coloro che attentano alla Sua Maestà, e – cosa più pericolosa – può punire. Dio dirige anche i destini degli altri popoli, giudica i piccoli Stati e i grandi Imperi, dà loro la potenza e la toglie, li prende come strumenti delle sue vendette, li ferma quando vuole. Il Signore ha scelto la Terra Santa e il Tempio, ma può rigettarli, come ad un certo punto fa. Questo Dio dunque non lascia spazio per altri dei. Quando la catastrofe nazionale sembra dare la stura al dubbio sulla potenza di Dio, allora inizia la polemica contro l’idolatria e il politeismo, condotta con acribia, che mostra l’insussistenza dell’idea che gli dei sono tanti e la forza della nozione per cui Dio sia uno solo. Ciò che accade non mostra la debolezza di Dio o la Sua inesistenza, ma piuttosto la Sua volontà sovrana e l’indirizzo che Egli imprime alla storia. Questa consapevolezza, che risale al Deuteronomio, è particolarmente forte nella Lettera di quel Geremia che forse fu l’ultimo revisore del Quinto Libro del Pentateuco. Naturalmente questo Dio è assolutamente trascendente, per cui è infinitamente Santo; aspetto, questo, su cui insistette molto Isaia. La Sua vicinanza è solo frutto della Sua bontà.

Il secondo punto è il moralismo. Alla santità di Dio si oppone la contaminazione dell’uomo. I Profeti hanno una coscienza acutissima, persino ossessiva del peccato. Riprendono una antica esigenza enunciata già nel Decalogo e mantenuta viva dai Profeti non scrittori, come Nathan o Elia. Ma i Profeti scrittori vi tornano costantemente: il peccato separa l’uomo da Dio; il peccato ne offende la giustizia (Amos) e l’amore (Osea) e la santità (Isaia); il peccato può appestare l’intero popolo e rendere pressochè impossibile la conversione chiamando a gran voce il castigo di Dio che avviene nel Giorno da Lui fissato (Geremia); il peccato deve essere punito e, data la sua sovrabbondanza, dove c’è profezia c’è annunzio di castigo (Geremia). Questo monoteismo etico non è la negazione della Legge, anzi ne è la conferma: proprio perché vi è una Legge trasgredita, vi è colpa. Basta tornare alla Legge per non avere il peccato. Per tornare alla Legge ci vuole l’umiltà, che ci fa obbedire ai precetti divini e cercare il Signore (Sofonia, ma anche Isaia, Amos, Osea, Michea).

Il terzo punto è l’attesa della salvezza. Il castigo di Dio non è lo scopo di Dio, ma è il mezzo di cui Egli si serve per salvare, volendo adempiere le Sue promesse. Egli salverà un “Resto”, come promette già per bocca di Amos, e come enuncerà chiaramente mediante Isaia. Il “Resto” è il gruppo sopravvissuto in Israele all’invasione assira e in Giuda a quella babilonese (che è, simbolicamente, l’insieme di coloro che sfuggono all’assalto devastante di Satana); è l’insieme degli esiliati di Babilonia (ossia coloro che si mantengono fedeli nella generale corruzione o che si affaticano sulla strada della penitenza); è la comunità di coloro che tornano dall’Esilio in Terra Santa (ossia coloro che si convertono); è un germoglio, un ceppo santo da cui nasce un popolo nuovo a cui è promesso l’avvenire (ossia coloro che sono innestati in Cristo e in Lui rimangono). Nell’epoca della salvezza i dispersi di Giuda e di Israele torneranno nella Terra Santa che sarà tanto prospera (ossia in figura i popoli che non conoscono Dio entreranno nella Chiesa e poi in Cielo); il Popolo di Dio si vendicherà dei suoi nemici (ossia tutti i pagani diventeranno Popolo di Dio e saranno annullati nella loro negatività); vi sarà giustizia e santità, conversione e perdono, conoscenza di Dio, pace e gioia. Questi elementi spirituali già preparavano alla comprensione simbolica delle profezie di salvezza che ancora si esprimevano, come vediamo, in termini materiali e sembravano esaurirsi in fatti politici. Quando il Suo Regno si stabilirà sulla terra, Dio governerà tramite un Suo Unto, il Suo Messia (ossia Gesù Cristo). Nathan fu il primo ad annunziare a David che un Suo discendente avrebbe regnato per sempre, aprendo il messianismo regale presente in tanti salmi. Questo messianismo tuttavia non si identifica né con la perennità della dinastia davidica, né con la nascita di un impero terrestre, né con un primato spirituale della casa di Davide (cose in cui credevano ad esempio i nazorei o gli zeloti o i giudeo-cristiani nel I sec.). Anzi i fatti, dal 587 a.C. al 135 d.C., lo smentirono continuamente. Questo messianismo si identifica con un Discendente che vivrà per sempre, un Salvatore della stirpe di Davide, nato da Vergine, in Betlemme, pieno di Spirito Santo, Dio e Uomo, sempre con i Suoi fedeli e loro giustificazione. Costui, vaticinato da Isaia, Geremia, Michea e altri, sarà Gesù Cristo. Di Lui sono figure quei principi che i Profeti credevano potessero essere Re di Israele, come Zorobabele (Aggeo e Zaccaria); Ezechiele dall’Esilio lo chiama Principe e non Re, per mostrarne la funzione mediativa tra Dio e Popolo e la funzione pastorale (e Cristo è Mediatore e Buon Pastore); Zaccaria lo preconizza Re umile e pacifico; anche i grandi Re pagani di cui Dio si serve, come Ciro di Persia, sono immagine del Messia (Isaia). E’ sempre Isaia che accanto al Messia Re vaticina il Servo del Signore, Che soffrirà per il Suo Popolo, morirà, risorgerà e avrà come bottino genti infinite. Esattamente come farà Gesù, discendente di David e Messia sofferente. Infine, Daniele vede venire sulle nubi del Cielo un Figlio di Uomo, che riceve da Dio l’impero universale. E’ un essere sovrumano, il cui dominio non finirà mai. E’ colui con il quale Cristo si identifica dinanzi a Caifa, andando a morte per conseguenza. E’ il Messia ad un tempo uomo e al di là dell’uomo. Alle tante figure che si ispireranno ad essa nel tentativo di identificarla nel Giudaismo precristiano e postesilico – Enoc, Melchisedec, Elia ecc.- Gesù sostituirà la propria, di discendente di David e di Messia sofferente, mostrando come tutte le profezie si riunivano insieme. Egli è la sintesi vivente, l’unica possibile, di un messianismo eterogeneo che diversamente si sarebbe frantumato nelle tante attese delle sette di Israele all’inizio dell’era cristiana, da quelle del Messia davidico a quelle del Messia sovrumano, da quelle del Messia unico a quelle di più Messia, da quelle di un Messia Re a quelle di un Messia Sacerdote. Cristo infatti è Re e Sacerdote, della stirpe di Davide, Sofferente, Salvatore Universale, Uomo e Dio.

I LIBRI PROFETICI

  • Nei Libri profetici riscontriamo sempre tre elementi. I detti profetici, ossia gli oracoli in cui parla Dio o il Profeta in Suo Nome, magari mediante brani poetici con insegnamenti, annunzi, minacce, promesse. I racconti in prima persona, in cui il Profeta parla di sé e della sua vocazione. I racconti in terza persona, in cui il Profeta parla di eventi della sua vita e circostanze del suo ministero. I tre elementi sono soliti combinarsi. I passi in terza persona possono indicare un redattore diverso dal Profeta. Ciò è attestato esplicitamente in Geremia e può supporsi per altri Profeti. In genere i Profeti possono aver scritto essi stessi una parte dei loro Libri, mentre altre cose possono essere state dettate a terzi o raccolte da questi sulla base di fonti perdute o preesistenti, sia scritte che orali, in tempi anche molto rapidi. Questi terzi spesso sono discepoli del Profeta. Tali fonti così unificate hanno creato spesso ampie sezioni confluite nell’opera intitolata al Profeta di riferimento. I Quattro Profeti Maggiori sono messi in ordine cronologico. I Minori no.

    IL COMPIMENTO DELLE PROFEZIE

    Come ho detto, l’autenticità delle profezie si riscontra nel loro compimento. Nei Libri dei Re l’autore, per esempio, si premura di registrare che le varie profezie si sono compiute puntualmente. L’esigenza di vederle realizzate si fa pressante dopo l’Esilio. Il Ritorno sotto Zorobabele non corrispondeva alla descrizione fattane dai Profeti, tanto umile era questo e gloriosa quella. Si cominciò quindi non solo a chiedere a Dio che le profezie si adempissero (Sir 36,14) – evidentemente identificandone il compimento con il senso attribuito loro dai lettori, senza sapere se esso fosse esatto – ma anche a calcolare gli anni che separavano il presente dalla realizzazione delle Promesse. Tipico il caso delle Settanta Settimane di anni di Daniele, che avvia l’apocalittica, e sul cui valore si interrogarono Padri e commentatori sino al XIX sec. Del resto, già nell’epoca veterotestamentaria nacquero i Pesharim, ossia i commentari profetici che mostrano il compimento dei vaticini. Fioriti a Qumran per mostrare come i Profeti avessero preconizzato la scuola essena, servirono molto anche ai Cristiani come modello teologico-letterario. Nel NT infatti troviamo che Gesù è morto e risorto dopo tre giorni secondo le Scritture, ossia com’era stato previsto. I Libri del NT contengono molte puntuali indicazioni della realizzazione delle profezie. Questo avviene soprattutto nei racconti della Passione. Matteo insisterà molto sull’adempimento delle Scritture, usando in alcuni casi un genere simile al midrash. Luca attribuirà più volte a Gesù una interpretazione delle profezie che riguarda Lui stesso. Paolo affermerà che il velo delle profezie si leva solo con la Fede in Cristo. In ogni caso l’argomentazione profetica è fondamentale nel rapporto tra Chiesa e Sinagoga, e la polemica spesso è presente nella letteratura patristica, che rinfaccia agli Ebrei il compimento delle profezie. L’esegesi moderna sembra più voler contestualizzare la profezia che vederne il compimento, ma è un dato di fatto che il VT si comprende solo alla luce del NT e che già gli autori di questo cercavano in quello i segni anticipatori di Cristo. Da questo punto di vista è un dato obiettivo che tutte le profezie messianiche, che già la Sinagoga aveva individuato nella Bibbia e che ancora poi considerò valide almeno fino al X sec. d.C., si siano pienamente realizzate in Cristo. Vi sono novantasette profezie messianiche nei Profeti, e tutte si sono realizzate nel Vangelo. Senza contare i passi biblici storici e sapienziali, pure di caratura profetica, che si sono realizzate anch’esse. Von Rad ha messo in evidenza che il VT è il libro della speranza che cresce e che quindi dinamicamente va verso un compimento. Per questo la profezia per la Chiesa ha avuto una importanza maggiore di quanto avesse avuto per la stessa Sinagoga, più incline a valorizzare la Legge.

    CRONOLOGIA SOMMARIA DEI PROFETI SCRITTORI

  • 750 ca.- Amos. Osea.
  • 740- Vocazione di Isaia.
  • 740-736 (Regno di Iotam in Giuda)- Inizi di Michea.
  • 716-687 (Regno di Ezechia in Giuda)- Ministero di Isaia.
  • 630 ca.- Sofonia.
  • 627- Vocazione di Geremia.
  • 612 ca.-Nahum.
  • 600 ca.-Abacuc.
  • 597-589 – Ezechiele predice la caduta di Gerusalemme.
  • 587/586- Geremia è condotto in Egitto.
  • 573- Ezechiele vede il Tempio futuro.
  • 520-515- Aggeo e Zaccaria.
  • 498-399- Abdia.
  • 486-423 (Imperi di Serse I e Artaserse I) – Malachia.
  • 350 ca.-Gioele.
  • 300 ca.- Giona.
  • 164 ca.-Libro di Daniele.

    IN ISAIAM PROPHETAM

    Breve introduzione al Libro del Profeta Isaia

    IL PROFETA

    Isaia nacque verso il 765 a.C. in Gerusalemme. Era figlio di Amos, che forse era fratello del re Amazia (787-789) o almeno di nobile lignaggio. Il suo nome vuol dire “Salvezza del Signore” o “Salvi il Signore” (Iesha ‘iahu o Iesha ‘iah). Non è il primo profeta ma il più importante di sicuro tra gli scrittori. Isaia crebbe nella capitale. Ebbe alta cultura, grande ingegno e altolocate frequentazioni intellettuali. Nel 740, alla morte del re Ozia, ricevette nel Tempio la chiamata profetica, con la missione di annunziare la rovina di Giuda e Israele quale punizione dei peccati del popolo (6,1-13). Profetò per quarant’anni. Si sposò ed ebbe almeno due figli, ai quali impose nomi simbolici per ordine di Dio: Sear-Iasub e Maher-Shalal-Hash-Baz (7,3; 8,3). Nel suo quarantennio distinguiamo quattro periodi a cui ascriviamo i diversi oracoli. I primi si situano tra la sua vocazione e l’ascesa al trono del re Acaz nel 736. Sono dominati dalla preoccupazione per la corruzione morale e si situano soprattutto nei cc. 1-5. I secondi afferiscono al periodo in cui il re di Damasco Rezin (..-732) e il re di Israele Pekach (737-732) tentarono di coinvolgere Acaz in una coalizione antiassira, contro Tiglat Pileser III (745-727). Acaz rifiutò, fu attaccato da Rezin e Pekach e chiese aiuto a Tiglat Pileser. Isaia si oppose a questa politica meramente umana. Di questo periodo sono il Libro dell’Emmanuele (7,1-11,9), i cc. 5,26-29; 17,1-6; 28,1-4. Non essendo riuscito a persuadere il Re, Isaia si ritira dalla vita pubblica (8,16-18). Gli oracoli del terzo gruppo cadono nel periodo in cui Giuda cade sotto la tutela dell’Assiria, in seguito alla richiesta di aiuto di Acaz. Nel 734 Giuda è mutilato territorialmente dall’Assiria e nel 721 cade Samaria. Nel frattempo Ezechia (716-687) successe ad Acaz e cercò, nonostante la sua fede in Dio, l’appoggio dell’Egitto contro l’Assiria. Isaia profetò contro ogni alleanza e per la mera fede in Dio. Abbiamo dunque 14,28-32; 18; 20; 28,7-22; 29,1-14; 30,8-17. Dopo che Sargon II (721-705) ebbe represso la rivolta e presa Asdod, Isaia si richiuse nel silenzio (c.20). Il quarto periodo coincide con la rivolta di Ezechia nel 705 contro Sennacherib (704-681). Questi devastò la Palestina. Al Re che volle difendere Gerusalemme Isaia promise l’aiuto di Dio, che puntualmente arrivò. La città fu liberata miracolosamente. Abbiamo dunque 1,4-9; 10,5-15.27b-32; 14,24-27; 28-32 non riferiti al terzo periodo. Su Ezechia Isaia esercitò forte influsso, profetizzando per lui durante la malattia, durante l’ambasceria assira e durante l’assedio dell’esercito imperiale a Gerusalemme.

    Dopo il 700 non conosciamo bene ciò che accadde ad Isaia. Ovviamente la sua attività profetica fu ben più ampia di quella letteraria e solo una parte delle sue predicazioni furono scritte. Si ipotizzava, quando si attribuiva ad Isaia tutto il suo libro, che i capitoli 38-66 non fossero predicati al popolo e venissero messi per iscritto dopo il definitivo ritiro del Profeta dalla scena pubblica. Sappiamo però che il re Manasse (687-642), irritato dalla sua testimonianza di fede, ordinò di martirizzarlo facendolo dividere in due con una sega di legno. Egli profetò soprattutto sulla punizione di Sion e sulla sua Redenzione; vaticinò sul Messia e sul Suo Regno, in modo più consono ad un Evangelista che a un Profeta, come disse San Girolamo. Lo stile semplice e sublime, la varietà di immagini, la profondità di concetti, l’eleganza e la purezza della lingua fanno del Libro di Isaia uno dei più grandi capolavori di tutte le letterature e sicuramente il più grande di quella profetica.

    STRUTTURA

    Così com’è, ossia considerandolo come un tutto unitario al netto di quanto diremo sulla sua origine, il Libro di Isaia si compone di sessantasei capitoli, divisi in due parti, l’una detta del Libro dei Giudizi di Dio (1-39), l’altra del Libro delle Consolazioni (40-66), connesse dal tema della Salvezza mediante l’Espiazione (1-27).

    Il Libro dei Giudizi di Dio comprende:

    1. Oracoli su Giuda e Gerusalemme (1-12). Non seguono un ordine cronologico. Si datano agli ultimi anni di Iotam (738-736) e ai primi di Acaz, agli anni della Guerra siro-efraimita.
    2. Il Libro dell’Emmanuele (7-12), di forte contenuto messianico.
    3. Oracoli contro le Nazioni (13-23). D’incerta e varia datazione. Iniziano con una profezia apocalittica contro Babilonia; proseguono contro l’Assiria, i Filistei, i Moabiti, Damasco, l’Egitto, l’Idumea, Tiro.
    4. Oracoli contro Gerusalemme (22,1-14 contro la città; 22,15-24 contro Sobna, ministro di Ezechia superbo e intrigante, che sarà sostituito da Eliacim. I due oracoli separano il c.23 dagli altri oracoli contro le nazioni.
    5. Oracoli escatologici o “Apocalisse di Isaia” (24-27). Si descrive un grande evento storico che è legato al Giudizio Universale e che preluderà all’instaurazione del Regno di Dio. Gli oracoli sono intervallati da canti di gioia e azioni di grazie posti sulle labbra del popolo di Giuda.
    6. I Sei Guai (28-33), con altrettante minacce verso quei popoli e quei cortigiani che tentano di distogliere il Re dalla fiducia in Dio Che solo può liberare dalla minaccaia assira.
    7. Capp. 34-35 di genere apocalittico. L’uno annunzia la distruzione di Edom, tipo dei nemici del Popolo di Dio, e degli altri avversari; l’altro il Nuovo Israele.
    8. Appendice storica (36-37) che descrive l’invasione di Sennacherib e la sua sconfitta.

    Il Libro delle Consolazioni comprende:

    1. Introduzione storica (38-39): la malattia di Ezechia e la sua guarigione; l’ambasciata di Merodac-Baladan; il preannunzio dell’Esilio Babilonese (cfr. 2 Re 8,13-20,21).
    2. Oracoli sulla liberazione del Popolo Eletto dalla schiavitù babilonese (40-48). Una voce annunzia il Ritorno degli Esuli, poiché Dio suscita un liberatore, Ciro di Persia. Fine di Babilonia.
    3. Oracoli sulla liberazione messianica (49-55). Il Servo del Signore è eletto da Dio per la salvezza di Israele e delle Genti. Ne descrivono la virtù e le sofferenze. Esse espiano le colpe di tutti. Invito a Sion perché si prepari alla Redenzione. Felicità e splendore della Nuova Gerusalemme.
    4. Oracoli sulle prerogative del Regno messianico (56-66). Santità dei membri del Nuovo Regno. Il perdono concesso a chi si pente. La Nuova Gerusalemme centro di tutte le genti. Inno di ringraziamento per la misericordia del Signore. Sorte finale dei credenti e degli increduli. Culto e Sacerdozio nel Nuovo Regno.

    DISAMINA CONTENUTISTICA, FILOLOGICA E LETTERARIA

    La partecipazione di Isaia alle vicende del suo popolo fa di lui un eroe nazionale. Poeta di genio, come dicevamo è il gran classico della Bibbia, dotato di forza concisa, di maestà e di armonia mai eguagliate. La sua idea di Dio è quella del Santo, del Potente, del Forte, del Sovrano; è un’idea terrificante, trionfale, grandiosa. L’uomo è contaminato dal peccato e Dio esige riparazione; esige altresì giustizia nelle relazioni sociali e sincerità nel culto; chiede fedeltà. Isaia esorta la sua nazione ad avere fede solo in Dio per aver salvezza. Sa che la prova sarà severa ma anche che un Resto sarà risparmiato. Di esso sarà Re il Messia. In effetti Isaia è il maggiore dei profeti messianici, il capofila degli assertori del messianismo davidico. Il suo Messia, discendente di David, farà regnare sulla terra la giustizia e la pace e diffonderà la conoscenza di Dio (2,1-5; 7,10-17; 9,1-6; 11,1-9; 28,16-17).

    L’opinione corrente è che Isaia abbia avuto discepoli che continuarono la sua opera. Le sue parole furono conservate e arricchite. Si ritiene che il Libro che porta il suo nome sia stato realizzato attraverso un percorso di difficile ricostruzione integrale. Si pensa sia nato da parecchie raccolte. Una buona parte di esse è ascritta senza dubbi a Isaia stesso. I discepoli, sia immediati che lontani, avrebbero realizzato altri blocchi glossando il maestro o facendo aggiunte. Si ritiene che gli Oracoli contro le Nazioni abbiano accolto brani posteriori, come quello contro Babilonia (13-14), datato all’Esilio. Ma l’ambasciata di quel Paese potè essere un’ottima occasione per profetare contro di esso. L’Apocalisse di Isaia (24-27) è considerato, per dottrina e genere letterario, non più recente del V sec. Ma Isaia potrebbe benissimo aver aperto la fila degli apocalittici ed essere stato tra i primi a scrivere secondo quei canoni che di lì a breve Ezechiele avrebbe tracciato con maestria. Anche la liturgia profetica del c. 33 e la Piccola Apocalisse dei cc. 34-35 sono considerate aggiunte e la seconda è avvicinata al cosiddetto Deutero Isaia, di cui diremo. L’appendice storica non è considerata opera dello stesso Isaia, perché la si giudica ispirata al Secondo Libro dei Re, e il Salmo di Ezechia (38,9-20) è datato al periodo postesilico. Ma la somiglianza col Secondo Libro dei Re potrebbe anche essere il frutto di una influenza di Isaia su di esso, o l’uso di una fonte comune, così come il Profeta potrebbe aver parlato di sé in terza persona. Il Salmo potrebbe anticipare, in scampato pericolo e per ispirazione profetica, temi dell’ambiente postesilico.

    La tradizione ebraico-cristiana ha sempre considerato Isaia autore di tutto il Libro che porta il suo nome e su questa scia si muovono il Siracide, la LXX e i rotoli qumranici di cui diremo. Lo stesso si riscontra nel NT. Tuttavia la critica indipendente, a cominciare dal XVIII sec., non tenendo conto del dubbio di alcuni rabbini nel XII sec., volle dividere il testo isaiano prima in due e poi in tre parti.

    E così, i capp. 40-55 non sono considerati, nella communis opinio attuale, opera di Isaia, perché il suo nome non è mai menzionato e il quadro storico è posteriore di due secoli, rimandando alla Caduta di Gerusalemme e all’Esilio babilonese. Ciro il Grande è già in azione e sarà lo strumento della liberazione. Sebbene non si neghi a Dio il potere di trasferire il Profeta in un avvenire lontano e modificare i suoi pensieri, si constata che questo non ha eguali nella Bibbia ed è diverso dal senso comune della Profezia. Si parla dunque di un continuatore anonimo di Isaia, grande e anonimo, chiamato appunto Deutero-Isaia, che predicò in Babilonia, tra il 550 e il 538, ossia quando le prime vittorie di Ciro lasciavano presagire la distruzione di Babilonia. Questa raccolta di Oracoli, chiamata appunto Libro della Consolazione, nella parte ascritta al Deutero Isaia è divisibile in un racconto di vocazione profetica (40,1-11), un corpo oracolare e una conclusione (55,6-13); il nome lo deve alle sue prime parole: Consolate, consolate il mio popolo; ha una unità stilistico-tematica maggiore dei capitoli del Proto-Isaia. Il Giudizio, in questa sezione, si è compiuto e il tempo della Restaurazione è vicino. Sarà un completo rinnovamento attestato dal fatto che Dio è presentato ad un tempo come Salvatore e Creatore. Il Ritorno sarà un meraviglioso Nuovo Esodo e Gerusalemme sarà più bella di prima. La distinzione tra le cose passate e le cose future inaugura l’escatologia. Il pensiero appare quindi meglio costruito e il monoteismo affermato dottrinalmente, mentre la falsità degli altri dei è attestata dalla loro impotenza. La sapienza e la provvidenza sono messe in risalto e compare per la prima volta l’universalismo religioso. In questo corpo deuteroisaiano sono inseriti i Canti del Servo del Signore, quattro brani lirici che presentano un Servo perfetto di Dio, adunatore del popolo, luce delle nazioni, annunziatore della vera fede, espiatore con la morte dei peccati di tutti e glorificato da Dio. Sono 42,1-4 (5-9); 49,1-6; 50,4-9 (10-11); 52,13-53,12. Essi sono tra i più studiati dell’AT. Sono attribuiti verosimilmente al Deutero Isaia ma il Quarto potrebbe essere di un discepolo. Alcuni vi vedono un simbolo del Popolo, ma le caratteristiche del Servo sono troppo personali e gli esegeti in maggioranza vi scorgono un personaggio storico, più del futuro che del passato o del presente. In profezia è il Cristo, Che vi si identificò pienamente. Storicamente qualcuno ha pensato al Profeta stesso. Il Quarto canto sarebbe stato aggiunto alla sua morte. Qualcuno combina l’interpretazione personale con quella collettiva, assorbendo la seconda nella prima. In ogni caso si tratta di testi messianici, riconosciuti come tali già da una parte della tradizione giudaica.

    L’ultima parte del Libro, i cc. 56-66, sono considerati comunemente opera di un altro Profeta ancora, il Trito Isaia. Trattasi evidentemente di una raccolta composita. Il Salmo di 63,7-64,11 sembra preesilico. L’oracolo di 66,1-4 sembra contemporaneo della riedificazione del Tempio. I cc.60-62 sono simili al Deutero Isaia. I cc. 56 -59 possono datarsi al V sec. I cc. 65-66 sono datati all’epoca greca per il sapore apocalittico, esclusi 6, 1-4, ma potrebbero essere immediatamente postesilici. Nel suo complesso questa ultima parte, la cui datazione è basata su presupposti contenutistici che possono facilmente rovesciarsi per cui nulla vieta che sia più antica, è l’ultima continuazione della tradizione di Isaia.

    A questa tripartizione si opponevano, anche se oggi non trovano udienza, argomenti che rimangono tuttavia degni di considerazione. Anzitutto, che non si può trattare della profezia ignorando il fatto che essa sia un fenomeno mistico e soprannaturale. Negandola per principio ogni opera profetica è possibile solo in o post eventu. Né si può ignorare lo stato mentale che spesso accompagna la profezia, con distacco dagli eventi coevi. Poi non bisogna ignorare che non solo Isaia, ma anche Geremia (29,10 ss.) ed Ezechiele (35-38) predicono eventi assai lontani nel tempo, il che è una buona risposta a chi nega l’unità del Libro di Isaia partendo dal presupposto che gli oracoli sull’Esilio e sul Ritorno nell’VIII sec. sarebbero stati incomprensibili e inutili. E’ inoltre attestabile che il Deutero e il Trito Isaia fossero conosciuti da Geremia e questo bilancerebbe il fatto che essi sarebbero invece sconosciuti ai Profeti del VII e del VI sec. Questo sarebbe possibile anche per una parziale secretazione delle profezie isaiane più impressionanti, per cui il Profeta le avrebbe scritte ma non predicate. Cosa, questa, avvenuta in altri luoghi della letteratura profetica extrabiblica sino ai giorni nostri. Le differenze stilistiche e letterarie tra tre le tre parti di Isaia, come il maggior sviluppo di idee, sarebbero poi spiegabili con la inevitabile maturazione che ogni autore ha nella sua vita, e che in Isaia avrebbero avuto una maturazione di cinquant’anni. Del resto, esiste una connessione dottrinale stretta tra le tre parti di Isaia. Infine, si obiettava che, se la composizione del Deutero Isaia e del Trito Isaia scende rispettivamente sino al VI-V/V-IV sec., come mai la LXX e le altre versioni anche recentemente scoperte non hanno conservato il nome degli autori, data la loro eccezionale valenza profetica e letteraria? La pseudoepigrafia sarebbe piuttosto singolare, con una duplicazione della lunghezza del testo originale piuttosto che con la stesura di un Secondo e Terzo Libro ascritti al Profeta. All’ipotesi della Scuola Isaiana si opponeva come argomento una notevole difficoltà nello spiegare come dei discepoli lontani nel tempo avessero potuto penetrare tanto bene il pensiero del Maestro. Su questa scia si mosse, nelle sue risposte orientative ai quesiti sull’argomento, anche la Pontificia Commissione Biblica nel 1908, con un intervento magisteriale che, se non è oggi avvertito più come vincolante, è tuttavia fino ad ora il solo sull’argomento.

    In Qumran si è trovato un manoscritto completo di Isaia (1QIs), databile al II sec. a.C., diverso dal Testo Masoretico per ortografia e alcune varianti. Esse sono utili per stabilire il testo.

    IPOTESI OLISTICA SULL’ORIGINE DEL LIBRO DEL PROFETA ISAIA

    Alla luce di tutto ciò, possiamo considerare una ipotesi che cerchi di mettere insieme tutti i dati della questione. Inserendo Isaia nell’ambito di tutta la letteratura profetica, compresa quella seguente e non ispirata, non possiamo ignorare il fatto che i Profeti non solo vaticinano eventi remoti nel futuro, ma che spesso essi stessi non ne comprendono il senso. Altrettanto significativi sono i casi di profezie messe sotto sigillo, il cui annunzio è differito anche di diversi decenni. Alla luce di ciò, e considerata la stranezza del fatto che la ipotetica scuola isaiana avrebbe avuto il suo Maestro nell’VIII sec. e due grandi epigoni verso la fine dell’Esilio e dopo di esso, ma non durante l’Esilio stesso, personalmente credo che il Libro di Isaia sia pressoché tutto del Profeta e che egli abbia scritto gli oracoli del Libro della Consolazione quasi integralmente, anche se non li abbia predicati.

    Questi oracoli sarebbero il primo caso scritto di profezie con largo anticipo sugli eventi e messe sotto sigillo, con una scelta che sarebbe diventato topico nell’apocalittica. Essi sarebbero poi stati ripresi e predicati nell’Esilio, ma erano probabilmente noti a Geremia e ad Ezechiele per lettura. Colui che predicò sulla base dei vaticini isaiani potè vivere anche prima di Ciro, e dovette essere quello che chiamiamo il Deutero Isaia. Sui suoi testi si misero glosse e aggiunte, in verità secondarie, che aiutarono ad identificare persone e cose a cui Isaia si era riferito, come ad esempio Ciro il Grande. Una terza grande predicazione degli oracoli isaiani avvenne nel Postesilio, da quello che chiamiamo il Trito Isaia, ma che come abbiamo visto più che un Profeta sembra essere un centonatore di testi di eterogenea provenienza, che – evidentemente anch’essi di matrice isaiana ma in parte integrati – poterono essere utilizzati nel contesto storico in cui sembravano essersi realizzati.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    L’immenso patrimonio profetico di Isaia trova la sua sola e piena realizzazione nel Nuovo Testamento. 1,6 ef in Lc 10,34; 1,9 in Rm 9,29; 2,3 fg in Gv 4,22 e Lc 24,47; 2,1-5 descrive la Pace messianica e la conversione di tutti i popoli; 2,10 in 2 Ts 1,9; 4,2-6 descrive il Germoglio e la comunità messianica; 4,6 in Ap 7,15-16; 5,1 ss in Mt 21, 18-19 e 33-34, in Lc 20,9, in Gv 15,1-2; 5,8 in Lc 6,24-26 e in Mt 23; 5,19 in 2 Pt 3,4; 5,20 in Mt 23,13; 6,1 in Ap 4,2. Il Libro dell’Emmanuele è tutto su Gesù. 2,1-5 la Chiesa è il centro del Regno Messianico; 2,11-17 Giudizio universale; 2,18-22 fine dell’idolatria; 5,1-24 riprovazione degli Ebrei; 6,1-13 descrive la vocazione del Cristo Verbo Incarnato e la consultazione nella Trinità che prelude all’Incarnazione stessa; 6, 3 in Ap 4,8; 6,5 in Gv 12,41; 6,9 in Mt 13,14-15 p, At 28,26-27; 6,10 in Gv 12, 40. 7,10-16 profetizza la Concezione Verginale. 7,14 in Mt 1,23 (Concezione Verginale); 8,6 in Gv 9,7; 8,7 in Ap 12,15; 8,9-15 annunzia il Salvatore come pietra di scandalo. 8,12 in 1Pt 3,14; 8,14 in Rm 9,33, 1 Pt 3,14; in 8,14 in Rm 9,33, 1 Pt 2,8; 8,18 in Eb 2,13; 9,1-6 la Nascita di Cristo; 9,1 in Gv 8,12; 9,1 in Mt 4,13-16; 9, 1-6 descrive la Nascita di Cristo. 9,7 in Lc 2,14 e 1,32 -33; 10,15 in Rm 9,20-21; 10, 22 in Rm 9,27; 10,23 in Rm 5,20-21; nel 11 la Discesa dello Spirito Santo. 11,1-9 i caratteri del Messia e del Suo Regno; 11,10-16 la restaurazione del genere umano nell’unità; 11,1 in Rm 15,12 e Ap 22, 16, Mt 3,16, 1Pt 4,14; 11, 4 in Ap 19,11.15 2 Ts 2,8; 11,10 in Rm 15,12, Ap 22,16; 12,1-6 i Redenti. 12, 3 in Gv 4, 1; 12,6 l’Incarnazione del Verbo. 13, 1 in Ap 17-18; 14,4 in Ap 8,10-9,1; 12, 9 in Gv 12,31; 14, 13 in Lc 10,15; 18,5 in Gv 15,2; 18,7 in At 8,27 s.; 21 in Ap 17-18; 21,3 in Ap 3,7, Mt 16,19; 22,15-24 il sacerdozio cristiano subentra all’aronitico. 23, 8 in Ap 18,23; 22,21-22 il Papato. 24 devastazione universale e giudizio finale; 24, 23 in Ap 4,4.10-11; 25 cantico dei redenti. 25,6 in Mt 8,11 e Gv 6,51-54; 25,8 in Ap 21,4, 1 Cor 15,26, Ap 7,17; 26 cantico degli eletti. 26,20 in Mt 6,6; 26,21 in Ap 3,10 e 6,10; 27 redenzione del popolo; 27,1 sconfitta di satana; 28,11 in 1 Cor 14,21; 28, 16 in Mt 21,42 e 16, 18, Ef 2,20 1Pt 2,6; 29,1 in Lc 19,43; 29,9-16 accecamento degli Ebrei e loro conversione in 29,17-24; 29,10 in Rm 11,8; 29,13 in Mt 15,8-9; 29,13-14 in Col 2,22 e 1 Cor 1,19; 29,16 in Rm 9,20-21; 32,1-8 regno di Cristo; 32,15-20 profetizza la Pentecoste. 33,18 in 1 Cor 1,20; 34,4 in Ap 6,14; 34,9 in Ap 14,10-11; 34,12 in Ap 18,2; 34,15 in Mt 24,28; 35 Israele simbolo della Chiesa. 35,5 in Mt 11,5; 35,6 in At 3,8; 35,6 in Gv 4,1; 38,12 in 2Cor 5,1-4, 2 Pt 1,13-14; 40.1-11 missione del Battista; 40,3 in Mt 3,3p, Lc 1,76. 3,4-6; 40,5 in Gv 1,14; 40,7 in Gc 1,10-11, 1 Pt 1,24-25, Mt 24,35, Gv 1,1; 40,11 in Lc 15,5; 40,13 in Rm 11,34, 1Cor 2,16; 41, 28 in Rm 11,34; 41,1-10 Ciro figura di Cristo. 41,9 in Gc 2,23; 41,16 in Mt 3,12; 41, 1-20 parla del Messia. 42,1-9 prefigurazione del Messia. 42,1-9 è il Primo Canto e verte sul Messia in partic. Mt 12,18-21; 42,1 in Gv 1,32-34, Mt 3,16; 42,3 in Gv 8,45 e 14,6; 42,6 in Gv 8,12 e 14,7, Lc 7,22, Gv 9 e 8,32, Lc 1,79; 42,10 in Ap 5,9; 42,19 in Mt 13,9-15; 43,2 c in 1 Cor 3,15; 43,10 in Gv 15,16 e 8,24.28; 43,11 in At 4,12; 43,19 in 2 Cor 5,17; 43,21 in 1Pt 2,9; 44,24-28 ancora Ciro figura di Cristo; 44,36 in Gv 7,38-39; 44,6 in Ap 1.8.17.21,6.22,13; 44,25 in 1 Cor 1,20; 45 verte sul Messia. 45,1-8 Ciro figura di Cristo per la terza volta; 45,14-25 conversione di tutto il mondo. 46,23 in Rm 14,11, Fil 2,10-11; 47,8 in Ap 18,7-8; 47,12 in Ap 18,23; 48,13 in Rm 4,17; 48,20 in Ap 18,4; 49,1 in Gal 1,15, Eb 4,12, Ap 1,16.19,15. 49 è il Secondo Canto: il Cristo è Signore del mondo e conduce tutti a Dio; 49,3 in Mt 3,17; 49,5 in Fil 2,8-11, Gv 17,5; 49,6 in At 13,47, Lc 2,32; 49,8 in 2 Cor 6,2; 49,10 in Ap 7,16, Gv 4,1; 49,234 in Lc 11,21-22p; 49,26 in Ap 16,16; 50,4-11 alla Sinagoga subentra il Messia e va ascoltato. 50,4 in Gv 3,11; 50,6 in Mt 26,67 e 27,30p; 50,8 in Rm 8,31-33; 50,4-11 è il Terzo Canto e preannunzia la Passione. 51,1 in Mt 5,6 e 6,33; 51,3 in Ap 2,7; 51, 4-8 appello messianico a tutti i popoli. 51,6 in Mt 24,35 p, Ap 20,11, 2 Pt 3,7-12; 51,9-11 profetizza la Resurrezione. 52, 1 in Ap 21,27; 52,6 in Rm 2,24; 52,7 in Rm 10,15, Mc 16,15-16; 52,11 in 2 Cor 6,17, Ap 18,4; 52,13-53,12 è il Quarto Canto e profetizza la Passione, con riprese in Gv 12,32, Fil 2,9, Ef 1,20-21, Rm 15,21, Gv 12,38, Rm 10,16, Mt 8,17, Eb 2,10, 2 Cor 5,21 Gal 3,13 Rm 4,25, 1 Pt 2,24 e 2,25, 2 Cor 5,21, Mt 26,63. 1 Pt 2,23 At 8,32-33, Gv 1,29, Mt 27, 38 p e 27,60, 1 Pt 2,22, Rm 3,26, Col 2,15, Mc 15,28, Lc 22,37, Rm 4,25. 54 fecondità della Chiesa. 54,1 in Gal 4,27; 54,10 in Rm 11,29; 54,11 in Ap 21,2.10-27; 54,13 in Gv 6,45; 55,1 in Gv 4,1, Ap 21,6; 55,2 in Gv 6,35; 55 la Chiesa è estesa a tutti i popoli; 55,4 in At 13,34 e Ap 1,5; 55,7 in Lc 15,20; 55, 2 in Gv 6,35; 55,4 in At 13,34 e Ap 1,5; 55,7 in Lc 15,20; 55,10 in 2 Cor 9,10, Gv 1,1; 56,5 in Ap 2,17 e 3,5; 56 il Messia chiama tutti. 56,7 in Mt 21,13 p; 57,19 in Ef 2,17; 58,3 in Mt 6,18; 58,6 in Mt 25,34-40; 58,10 in Gv 8,12; 58,11 in Gv 4,14; 59,5 in Mt 3,7; 59,7 in Rm 3,15-17; 59,9 in Gv 8,12; 59,17 in Ef 6,14-17, 1 Ts 5,8; 59,20 in Rm 11, 26; 59,21 in Rm 11,27; 60 Gloria della Nuova Gerusalemme figura della Chiesa poi trionfante in Cielo. 60,1 in Ap 21, 9-27; 60,3 in Ap 21,4; 60,6 in Mt 2,11; 60,11 in Ap 21,25-26; 60,14 in Ap 3,9; 60,13 in Ap 21,23 e 22,5; 61 Cristo annuncia la Grazia e il Suo Regno; Gloria della Chiesa. 61,1-9 profetizza la Missione di Cristo. 61,1 in Lc 4,18-19, Mt 3,16, Lc 7,22; 61,3 in Mt 5,5; 61,6 in Ap 1; 61,10 in Lc 1,46 e Ap 21,2 e 19,8; 62,11 in Mt 21,5; 63,1 in Ap 19,13; 63,3 in Ap 19,15 e 14,19-20; 63,10 in Ef 4,30; 63,19 in Ap 19,11; 64,3 in 1 Cor 2,9; 65,1-2 in Rm 10,20-21; 65, 13 in 6,20-26; 65,13-25 separazione dei buoni dai cattivi. 65,16 in Ap 2,17 e 3,12; 65,17 in Ap 21,1; 65,19 in Ap 21,4; 66,1 in Mt 5,34 e At 7,49-55; 66,6 in Ap 16,17; 66,7 in Ap 12,5; 66,7-17 la Chiesa Nuova Gerusalemme; 66,14 in Gv 16,22; 66,18 in Mt 24,31 e 25,32; 66,18-20 conversione universale; 66,21-24 nuovo sacerdozio reclutato anche tra i pagani; 66,24 in Mc 9,48: eternità dell’Inferno.

    IN EZECHIELEM PROPHETAM

    Breve introduzione al Libro del Profeta Ezechiele

    IL PROFETA

    Ezechiele era di stirpe sacerdotale. Fu condotto in Babilonia col re Joiachin nel 597. La moglie gli morì colà nove anni dopo. Ezechiele si stabilì a Tel Abib, sul Chebar, presso il Narukabiru, ossia il Canal Grande che univa forse il Tigri e l’Eufrate. Dopo cinque anni (593), a circa trent’anni, come Cristo iniziò il suo ministero profetico con la Visione del Carro Divino, Per ventidue anni circa (29,17 parla del ventisettesimo anno del suo esilio) fu la guida morale dei deportati. Gli anziani si radunavano nella sua casa perché egli era sacerdote e profeta. Morì in esilio, forse per mano di un principe giudeo divenuto idolatra e che non sopportava i rimproveri del Profeta. Egli, vissuto in anni drammatici, con grandezza di spirito, fermo carattere, efficace eloquenza annunzia il compimento delle divine minacce e profetizza la fine dell’Esilio, il Ritorno e il Regno del Messia. Prima della definitiva Caduta di Gerusalemme Ezechiele esorta al pentimento, alla fiducia in Dio, a rompere con l’Egitto e annunzia il trionfo di Babilonia con la fine del Regno di Giuda; dopo consola con le prospettive di restaurazione ed escatologiche che ho illustrato.

    STRUTTURA

    Il Libro si divide in due parti. La prima parte (1,1-32,32), dopo il prologo (1,1-2,10) annunzia i tremendi castighi di Dio contro il Popolo - descrivendo la Caduta di Gerusalemme in simboli e parole e additandone le cause - (3,1.24,27) e contro le nazioni idolatre – Ammon, Moab, Edom, Filistei, Tiro e l’Egitto - (25,1-32,32). La seconda parte (33,1-48,35), dopo un altro prologo (33,1-33), rinnova la consacrazione del Profeta, rende pubblica la notizia della Caduta definitiva di Gerusalemme e passa alle profezie di consolazione. Vi sono quelle della Restaurazione e della Gloria di Israele (34,1-39,29); poi vi sono quelle sul Regno Messianico (40,1-48,35).

    DISAMINA CONTENUTISTICA, FILOLOGICA E LETTERARIA

    Dopo un’introduzione (1-3) in cui il Profeta riceve da Dio la sua missione, il Libro si divide in quattro parti: la prima è costituita dai cc. 4-24 che contengono quasi solamente rimproveri e minacce contro gli Israeliti prima dell’assedio di Gerusalemme; la seconda è costituita dai cc. 25-32, in cui ci sono oracoli contro le nazioni; la terza unisce i cc.33-39, ambientati durante e dopo l’assedio, in cui Ezechiele consola il suo popolo promettendo un avvenire migliore; la quarta comprende i cc. 40-48, in cui si delinea lo statuto politico e religioso della comunità futura, restaurata in Palestina. All’interno di questa composizione armonica notiamo però delle disarmonie. Numerosi doppioni – che potrebbero addebitarsi a predicazioni di cose simili ripetute – e gli oracoli interposti al mutismo di Ezechiele causatogli da Dio; la visione del Carro Divino interrotta da quella del Libro, ecc. Le sviste sembrano attribuibili al fatto che i discepoli di Ezechiele abbiano combinato e completato i ricordi e gli scritti del Maestro. Il Libro di Ezechiele sarebbe dunque stato composto come quello di Isaia e di Geremia. Ma lo stile e la dottrina uniformi assicurano che il pensiero e le parole del Profeta sono stati conservati. Ezechiele ha esercitato il ministero profetico in Babilonia tra gli Esiliati tra il 593 e il 571 (1,2 e 29,17). Ma dagli oracoli che costituiscono la parte iniziale del Libro si può dedurre che Ezechiele sia stato Profeta anche in Gerusalemme (11,13). Avremmo un doppio ministero: quello palestinese, durato sino al 587, sarebbe stato inaugurato dalla Visione del Rotolo (2,1-3,9); quello babilonese da quella del Carro Divino (1,4-28 e 3,10-15). La Visione del Carro Divino, posta impropriamente all’inizio del Libro, avrebbe creato confusione tra i ministeri palestinese e babilonese. A questa ipotesi possono opporsi alcuni argomenti: che il testo sia stato pesantemente rimaneggiato; che durante il ministero palestinese Ezechiele vivesse fuori da Gerusalemme nella quale si dice “trasportato” (8,3); che Ezechiele ignorasse, almeno letterariamente, Geremia e viceversa. Invece se collocassimo il ministero di Ezechiele solo in Babilonia, intenderemmo gli oracoli contro Gerusalemme solo come tipici e quando il Profeta si dice nella Capitale dovremmo intendere in visione (8,3 e 11,24). In effetti pochi sostengono oggi il doppio ministero.

    Ezechiele è un sacerdote e come tale ha al centro della sua visione il Tempio, sia presente che futuro. Del presente abomina le contaminazioni che lo rendono impuro (8) mentre deve assistere all’abbandono che ne fa la Gloria del Signore (10). Del futuro descrive minutamente il disegno (40-42) e in esso vede tornare Dio (43). Ezechiele traccia una storia delle infedeltà di Israele e spesso rimprovera la profanazione del sabato (20). Condanna le impurità legali (4,14) e separa il sacro dal profano (45,1-6). Regola casi di diritto e morale forte del suo ruolo sacerdotale, con uno stile casuistico (18). Il pensiero e il vocabolario di Ezechiele somigliano a quelli della Legge di Santità del Levitico (17-26). Egli dunque si inserisce nella cosiddetta corrente sacerdotale, tanto quanto Geremia in quella deuteronomista.

    Il Profeta, più di ogni altro, ha moltiplicato i gesti simbolici. Si distingue per la potenza e il nitore delle sue visioni. Il Libro ne contiene quattro, di centralità assoluta nella storia della Profezia. Il Carro Divino (1-3); la profanazione del Tempio (8-11); la Pianura delle ossa che risorgono (37); il Tempio futuro progettato, da cui scorre un gran fiume in una geografia perfetta (40-48). Vi sono poi i quadri allegorici, anch’essi sensazionali: le sorelle Oolà e Oolibà (23); il naufragio di Tiro (27); il Faraone coccodrillo (29; 32); l’albero gigante (31); la Discesa agli Inferi (32).

    Lo stile di Ezechiele, a paragone di Isaia e Geremia, appare monotono, grigio, freddo, diluito se non indigente; ma egli sfiora il sublime per le dimensioni e il rilievo che creano orrore sacro innanzi al Divino misterioso. Ama il simbolismo complicato, le allegorie estese ed oscure; le immagini ardite e complesse. Trasforma l’arte profetica da oratoria e storica in enigma e cifratura. Egli sembra rompere col passato dell’Alleanza mosaica, che cita poche volte; preferisce attribuire alla Gloria del Nome di Dio (20) la volontà salvifica da Lui mostrata verso il Popolo, contaminato dalla nascita (16,3 s), più che metterlo in capo alla fedeltà alle Promesse. Dio sostituirà all’Antica una Nuova ed Eterna Alleanza (16,60; 37,26 s), ma non per il ritorno di Israele alla Legge, ma per grazia preveniente, che essa sola potrà convertire (16,62-63). Ezechiele attende, in forma tenue, un Messia davidico, ma che sarà pastore (34,23; 37,24) e principe (24,24) del Popolo, non Re, visto che Dio restaurerà la teocrazia (45,7 s). Anche il Cristo, per inciso, si presenterà come Pastore delle pecore e come Regno di Dio vivente. Il Profeta inoltre afferma il principio della retribuzione individuale contro quella collettiva (18; 33), in attesa di una chiara rivelazione della retribuzione oltretombale. Tutta la dottrina di Ezechiele si incentra sul rinnovamento interiore, dal quale non si può prescindere nemmeno con una perfetta applicazione delle norme del culto. Dio darà un cuore e uno spirito nuovi (11,19; 36, 26) perché solo la Sua Grazia salva. Questa linea teologica sarà ripresa nel NT da Paolo e Giovanni.

    La spiritualizzazione della vita religiosa è la grande novità di Ezechiele. Egli non è il padre del Fariseismo, ma di quella corrente interiore che sfocia nel NT, tanto quanto quella inaugurata da Geremia. Peraltro, al netto di quanto dicevamo per Isaia, è Ezechiele il vero padre dell’apocalittica, le cui visioni in Daniele e nell’Apocalisse tanto devono a quelle del nostro Profeta, che anche stilisticamente annunzia l’avvento del nuovo genere a cui tante opere si ascrivono anche fuori dal canone biblico e che perdura tuttora.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    Ezechiele è un profeta escatologico e i suoi rimandi sono soprattutto all’Apocalisse. 1,6 in Ap 4,6-8; 1,19 in Ap 4,8; 1,22 in Ap 4,6; 1,26 in Ap 4,2-3; 1,28 in Ap 1,17; 2,9 in Ap 5,1; 3,1 in Ap 10, 8-11; 3,6 in Mt 12,38-42; 3,12 in Lc 2,13-14; 3,20 in 2Pt 2,21; 4,14 in At 10,14; 7,6 in Ap 8,13 e 9,12 e 11,14; 7,15 in Mt 24,16-18; 9,4 in Ap 7,2-3; 9,6 in Ap 9,4; 10,1 in Ap 4,3; 10,2 in Ap 8,5; 12,23 in 2Pt 3,3-4; 12,28 in Ap 10,6; 16,2 in Mt 22,2-14 e 25,1-13, Gv 3,29, Ef 5,25-33, Ap 17; 16,37 in Ap 17,5-6; 16,38 in Ap 17,16; 17,23 in Mt 13,32; 17,24 in Lc 11,51-53 e 23,31; 18,7 in Mt 25,35 ss.; 18,21 in Rm 2,6; 18,23 in Lc 15,7.10.32, Gv 8,11, Rm 11,32, 2Pt 3,9; 18,30 in Mt 16,27; 18,32 in Mt 3,2; 21,31 in Mt 23,12; 26,13 in Ap 18,22; 26,17 in Ap 18,9-19; 26,21 in Ap 18,21; 27,30 in Ap 18,19; 27,32 in Ap 18,18; 27,33 in Ap 18,19; 32,7 in Mt 24,29; 33,11 in Lc 15,7.10.32; 33,31 in Mt 7,26, Lc 8,21; 33,32 in Lc 7,32; 34,1 ss in Mt 18,12-14, Lc 15,4-7, Gv 10, 1-18, 1 Pt 5,2-4; 34,5 in Mt 9,36; 34,13 in Mt 24,31; 34,16 in Lc 15,4-7; 34,7 in Mt 25,32-34; 35,6 in Ap 16,6; 36,20 in Rm 2,24; 36,25 in Gv 3,5; 36,28 in 1 Gv 3,23-24, Gal 5,22-25; 37,10 in Ap 11,11 e 20,4, Rm 8,11; 38 in Ap 20,7-10; 39,17 in Ap 19,17-18; 40,2 in Ap 21,10; 40,3 in Ap 11,1 e 21,15; 43,6 in Ap 21,3; 44,9 in At 21,28-29; 45,13 in Mt 23,23; 47,1 in Ap 22,1 ss., Gv 4,1, 19,34; 47,7 e 47,12 in Ap 22,2; 48,16 in Ap 21,15-17; 48,30 in Ap 21,12-13.

    Alcuni brani anticipano il NT. 1,10 i Quattro Esseri Viventi sono i Quattro Evangelisti; 3 descrive la missione del Cristo; 3,32 ss. la Sua Passione; 11,14 ss. la Nuova Alleanza; 17,22 ss. è una promessa del Messia; 18,26-28 il Mistero della Giustificazione e del Perdono per cui nel Peccatore muoiono i meriti e nel Perdonato rivivono; 28, 30, 31 e 32 la caduta di satana; 33 la responsabilità del Profeta; 34,11 ss. è il Pastore fedele figura del Messia; 34,23 ss. il Pastore Unico è figura del Messia; 36,25 la Giustificazione per grazia; 37 Resurrezione della Carne; 37,15 ss. promesse di restaurazione messianica e riunificazione di Giuda e Israele; 38-39 la Fine del Mondo; 40,1-48,35 descrive il Regno Messianico; 40,2 la Chiesa; 44,2 annunzia la Verginità Perpetua di Maria; 47 il Fiume rappresenta la Grazia e gli alberi i Giusti; 48,35 la Chiesa e l’Eucarestia.

    IN DANIELEM PROPHETAM

    Breve introduzione al Libro del profeta Daniele

    IL PROFETA

    Daniele (il cui nome significa “Giudice è Dio”) fu deportato a Babilonia nel 597-596, ai tempi di Ioiachin, detronizzato in quell’anno da Nabucodonosor II (604-562) e tradotto anch’egli nella capitale caldea. Il futuro profeta doveva avere una età compresa tra i dodici e i quindici anni ed appartenere, proprio in ragione della sua stessa deportazione, al ceto aristocratico ebraico. Introdotto ed educato negli ambienti di corte, assieme ad Anania, Misaele ed Azaria, vide mutare il suo nome in Baltassar, mentre ai suoi amici toccarono quelli di Sidrac, Misac ed Abdenego. Fedele alla Legge anche in quest’ambiente ostile, fu veggente e profeta alla corte di Nabucodonosor, del vicerè Baldassarre (547-539) e di Ciro III il Grande (559-528), oltre che del misterioso Dario il Medo, di cui diremo. Se avesse avuto dodici anni nell’anno della Deportazione, all’epoca dell’ultima sua visione, il terzo anno di Ciro, avrebbe avuto settantaquattro anni. Patì diverse persecuzioni sotto Nabucodonosor e sotto Dario il Medo, ma uscì sempre illeso da almeno tre tentativi di martirio, una volta in una fornace ardente e altre due in una fossa coi leoni. Fu molto attivo nella lotta contro l’idolatria. Se sia sopravvissuto, come alcuni ipotizzano, fino al regno di Dario di Istaspe (521-486), avrebbe varcato la soglia dei novant’anni, cosa possibile. Il profeta è citato da Ez 14,14-20 e 28,3, ma anche in 1 Mac 2,59-60. Non va confuso con l’eroe di Ugarit omonimo, personaggio di leggendaria sapienza, tramandatoci dai documenti di Ras Shamra, risalenti sino al XIV sec. a.C. Il fatto che portino il medesimo nome e che entrambi siano sapienti non è motivo sufficiente, come molti fanno, per dubitare dell’esistenza del nostro profeta.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro, nella Bibbia ebraica, si divide armonicamente in due parti. La Prima comprende Sei Fatti (1-6), la seconda Quattro Visioni Profetiche (7-12). Nella Vulgata latina vi è un’appendice che aggiunge gli episodi presenti separatamente nella LXX: quello di Susanna (13) e i racconti di Bel (14,1-22) e del Dragone (14,23-42).

    I Sei Fatti (1-6).

    1. Daniele è condotto alla corte di Nabucodonosor, vi è educato e vi manifesta le sue doti superiori di virtù e veggenza (1).
    2. Daniele indovina e interpreta il sogno di Nabucodonosor, che prevede l’avvento di quattro regni universali fino alla comparsa di quello del Messia (2).
    3. Daniele e i suoi compagni rifiutano l’idolatria della statua del Re e vengono gettati nella fornace di fuoco, ma un angelo li salva e Nabucodonosor li grazia (3).
    4. Nabucodonosor è mutato in bestia fino a quando non confessa la maestà di Dio (4).
    5. Durante il banchetto sacrilego di Baldassarre una mano traccia scritte misteriose sul muro della sala, lette e interpretate da Daniele; esse annunciano la caduta dell’Impero Caldeo e l’instaurazione di quello Persiano. Ciò si avvera immediatamente (5).
    6. I nemici di Daniele lo accusano presso Dario il Medo di aver disobbedito alle leggi sovrane che interdicevano la preghiera. Perciò il Profeta è gettato in una fossa di leoni in cui però rimane illeso. Dario lo libera e dà onore a Dio (6).

    Le Quattro Visioni (7-12).

    1. La Prima Visione è nell’anno primo di Baldassarre (548-547). Davanti alla Corte celeste presieduta dall’Antico di Giorni, ossia Dio, salgono dal gran mare quattro bestie per essere giudicate: un leone, un orso, una pantera e una indescrivibile (2,31-45). Sarà tolto loro il potere e dato ad uno simile ad un Figlio di Uomo. Daniele chiede la spiegazione della Visione. Le quattro bestie simboleggiano quattro regni (babilonese, medo-persiano, macedone, seleucide oppure babilonese, medo, persiano, greco o ancora – più esattamente – babilonese, medo-persiano, greco e romano), dopo cui il popolo santo di Dio riceverà in eterno il potere (7).
    2. La Seconda Visione è nell’anno terzo di Baldassarre (546-545). Daniele è trasportato in ispirito a Susa sul fiume Ulai e vede un montone con due corna (Medi e Persiani) che, nella lotta, è vinto da un capro (i Macedoni), dal cui corno (Alessandro Magno) ne spuntano quattro (i Diadochi) e da uno di essi, il più piccolo (la Siria), ne spunta un altro (Antioco Epifane) che diviene potente e infierisce contro il Popolo di Dio, ne distrugge il culto, ne profana il Tempio ma viene in breve tempo tolto di mezzo (8).
    3. La Terza Visione avviene nel primo anno di Dario il Medo (tra il 538 e il 536, come vedremo dopo). Mentre Daniele medita sulla profezia di Geremia che attribuisce settant’anni all’Esilio babilonese allora prossimo venturo, prega e supplica perdono per il popolo. Appare l’Arcangelo Gabriele che rivela che la piena remissione avverrà dopo settanta settimane di anni. Allora verrà il Regno di Dio (9).
    4. La Quarta Visione cade nel terzo anno di Ciro (535-534). Attraverso le figure innominate di re e principi Daniele sulle rive del Tigri ha da un Angelo la rivelazione dei fatti relativi ai regni di Serse, di Alessandro Magno e delle lotte tra Seleucidi e Lagidi (Regno del Nord e del Sud), fino alla persecuzione violenta e finale di Antioco IV (10-12).

    Appendice (13-14).

    1. Susanna è ingiustamente accusata di adulterio da due giudici corrotti ma è salvata da Daniele (13). L’ambientazione è nei primi anni di deportazione.
    2. Daniele sgomina l’idolatria di Bel e del Dragone in Babilonia (14,1-22 e 23-42). L’ambientazione è dal 539 in poi.

    DISAMINA LETTERARIA E FILOLOGICA

    L’unità d’autore è mostrata dall’unità di idee. Tuttavia il testo protocanonico presenta molte difficoltà. I capp. 1-2,4a e 8-12 sono in ebraico, mentre 2,4h -7,28 sono in aramaico. Il c.7 ha uno stile uguale a quello dei cc.8-12, nonostante siano in due lingue diverse. Si è supposto che il testo originario fosse tutto in ebraico e le parti aramaiche ne avrebbero integrato quelle smarrite. Altri ritengono che la versione originaria fosse aramaica e che il testo originale sia stato tradotto in ebraico per essere introdotto nel canone. Entrambe le lingue è possibile che siano originarie. L’ebraico di Daniele presenta affinità con quello delle Cronache, la cui composizione potrebbe dunque essere un terminus a quo per datare il testo del Profeta, purchè tutti fossero d’accordo con la datazione delle Cronache, che a mio avviso sono del V sec. In ogni caso la presenza di voci persiane attesta una stesura postesilica e quella di voci greche una in età ellenistica. Anche la presenza di puntuali riferimenti all’età ellenistica (IV-II sec.) e di dottrine teologiche note dal IV sec. in poi suggeriscono una redazione in questo lasso di tempo. Il testo è andato soggetto a varie e tormentate vicende, rispecchiate anche nelle diverse versioni greche non sempre concordi tra loro. Teodozione è infatti diverso dalla LXX e simile al Testo Masoretico. Ciò ovviamente motiva alcune incertezze di carattere linguistico e storico nell’interpretazione testuale. Le parti deuterocanoniche sono presenti solo in lingua greca, sebbene si suppone siano state tradotte da un originale ebraico andato perduto. A riscontro, abbiamo 3,24-90, che si adatta perfettamente al posto in cui è inserito nel testo semitico. Anche i racconti di Susanna e di Bel e del Dragone poterono essere stesi in ebraico: il secondo e il terzo hanno parallelismo con il c.8 – a cui forse erano uniti – mentre il primo è avulso dal contesto. I vari elementi arcaici riscontrabili nelle due parti del Libro – fatti e visioni – attestano che prima del Libro così come lo conosciamo esistevano delle fonti relative a Daniele già nell’Esilio, che appunto il redattore/autore avrebbe raccolto o per la prima volta o nuovamente in una forma unitaria. Ne sarebbero risultate le due sezioni di cui sopra, ordinate e disposte in modo cronologicamente indipendente. Ciò potrebbe essere accaduto non più tardi del 300 a.C. Alcuni ritocchi giustificherebbero, nell’età dei Maccabei, i richiami ai fatti di quell’epoca. Una ulteriore ipotesi è quella per cui le due sezioni del Libro, scritte magari in tempi differenti, esistessero dapprima separate ma più o meno come sono oggi, per poi essere combinate. In effetti, i Fatti sono raccontati in terza persona e le visioni in prima, ma la prima visione (7) è inquadrata da una introduzione e da una conclusione in terza persona, segno che l’autore ultimo ha inserito le visioni in un preciso quadro narrativo, pur nel rispetto della fonte preesistente. Vi è, appunto, dualità di lingua, senza che però questi infici quella di narrazione. Il c.7 infatti è commentato dal c.8 ma è parallelo al c.2; esso è il legame delle due parti del Libro e ne assicura l’unità narrativa. Essa non è interrotta nemmeno dal passaggio dalla terza alla prima persona. Il procedimento letterario e il modo di pensare sono identici dall’inizio alla fine e quindi attestano l’unità compositiva. Tuttavia molti considerano post eventu i riferimenti alle guerre tra Lagidi e Seleucidi del c.11, sia per la dovizia di particolari sia per il fatto che tale stile profetico non ha eguali nel VT, per cui si pensa che il Libro di Daniele sia stato scritto – nella forma attuale – ai tempi di Antioco Epifane e prima sia della sua morte che della vittoria dei Maccabei, quindi tra il 167 e il 164. In effetti da 11,40 la profezia riprende ad essere vaga, annunziando la Fine in modo simile agli altri Profeti. A sostegno di questa datazione bassa sono addotti gli errori storici – che vedremo tra breve ma che possono essere contestualizzati e non necessariamente implicano una datazione bassa del Libro – e l’uso già menzionato di parole persiane e greche, che però può essere anche più antico, purchè corrispondente agli estremi iniziali del dominio ellenistico. In ogni caso, il Libro di Daniele faceva parte di un più ampio ciclo a lui dedicato, del quale vari frammenti sono stati rinvenuti a Qumran (come la Preghiera di Nabonide che richiama 3,31-4,34 ma sostituisce questo nome a quello di Nabucodonosor). Non si può negare che il Libro sia stato molto utile per i fedeli perseguitati da Antioco Epifane, in quanto Daniele e i suoi amici furono sottoposti a prove simili a quelle imposte dal persecutore, e le superarono brillantemente facendo trionfare la causa di Dio. Il persecutore è descritto nelle forme più nere, ma quando la collera di Dio sarà soddisfatta, allora egli sarà spazzato via; inizierà il Tempo della Fine e verrà il Regno dei Santi, retto dal Figlio dell’Uomo. Quest’attesa escatologica e questa speranza attraversano il Libro, in quanto Dio le realizzerà al momento opportuno. Da questo punto di vista Daniele è un profeta il cui sguardo arriva sino alla Fine del Mondo.

    La stesura definitiva del Libro di Daniele non è più mera profezia, ma apocalittica nella parte visionaria e sapienziale in quella narrativa, avendo come modelli la storia di Giuseppe e di Tobia.

    DISAMINA STORICA

    Il Libro di Daniele riferisce i fatti storici in modi a tratti sconcertanti, per cui appare difficile credere che l’Autore fosse tanto ignorante quanto piuttosto desideroso di mimetizzare il racconto per ragioni ignote. Innanzitutto Baldassarre non era re di Babilonia né figlio di Nabucodonosor. Questi ebbe a successore Evilmerodach (562-560), assassinato da Neriglissar (560-556), a cui successe Labashimarduk (556), a sua volta ucciso da Nabonide (556-539). A Nabonide, trasferitosi nel deserto, venne l’idea di associarsi il figlio Baldassarre. La figliolanza di questi con Nabucodonosor può tuttavia intendersi in senso morale e legale. La successione nell’arco di una notte tra Baldassarre e Dario il Medo può ritenersi storicamente valida se identifichiamo quest’ultimo con Gubaru, che uccise il vicerè in Babilonia mentre il padre Nabonide già era prigioniero di Ciro il Grande. Cruciale è l’identificazione di Dario il Medo, sconosciuto alla storia.

    Se consideriamo questo personaggio come storico e non come simbolico come alcuni ritengono, possiamo valutare quattro possibili identificazioni. La prima è con Astyage (585-550), ultimo re dei Medi e nonno di Ciro il Grande, che lo depose e regnò al suo posto sui Medi e i Persiani. Egli non fu ucciso e forse ebbe una regalità simbolica fino alla morte. Ma ebbe soggiorno coatto in Partia, per cui, sebbene sia citato esplicitamente in 14,1, è difficile credere che possa essere identificato con quel Dario il Medo che operava a Babilonia.

    La seconda identificazione è tra Dario e Ciro il Grande, nonostante questi sia noto all’autore del Libro ed esplicitamente nominato. L’identificazione fu proposta da Donald Wiseman nel 1957. A favore di questa ipotesi sta il fatto che Ciro realmente Babilonia; che egli fosse di madre meda e avesse sposato una meda; che successe al nonno Astyage sul trono medo; che l’appellativo “Medo” fosse verosimile per una identità etnica e politica dei popoli medo e persiano; che portasse il titolo di Gran Re dei Persiani e dei Medi. Una analisi di una variante degli antichi testi, specie della LXX, rivela che il nome "Darius" (דריוש DRYWS in ebraico) e "Cyrus" (כורש KWRS) sono confusi in 11:1, e potrebbero essere stati confusi anche altrove. Anche Dn 6,28 potrebbe tradursi: Così Daniele prosperò durante il regno di Dario, che è quello di Ciro il Persiano”, piuttosto che, come avviene di solito, “durante il regno di Dario e il regno di Ciro il Persiano”. Il limite dell’identificazione sta nel fatto che di Dario si dice che abbia appunto preso il regno di Babilonia nella notte in cui Baldassarre fu ucciso, cosa non vera. Sta di fatto poi che Dario porta il titolo di Re del Regno dei Caldei, mentre Ciro porta il titolo di Re di Persia. Se alla prima obiezione si può ribattere in senso figurato, per cui di fatto Ciro divenne re di Babilonia alla morte di Baldassarre, avendo conquistato già buona parte dei suoi domini, sebbene arrivasse a Babilonia solo due settimane dopo, alla seconda si può opporre con maggior forza che Ciro si considerò e fu a tutti gli effetti successore dei Re babilonesi, anche se non ne portò il titolo fino al 538.

    La terza identificazione si basa proprio su questo dettaglio. Se prendiamo per buono il titolo di Re dei Caldei di Dario, questi non è Ciro, ma un sovrano vassallo che tenne Babilonia a suo nome per un anno. Questi potrebbe essere stato Gubaru, il generale di Ciro che materialmente prese Babilonia. A lui il Gran Re avrebbe potuto affidare il governatorato della capitale espugnata e del suo territorio. Il problema è che lo stesso Gubaru è di difficile identificazione e le fonti distinguono lui da un altro generale, Ugbaru. L’uno e l’altro potrebbero aver governato Babilonia, ma Ugbaru dovrebbe essere precedente. Unificando i due personaggi come alcuni fanno – e il loro equivalente greco Gobryas, di cui parla Senofonte, avremmo un candidato ideale per l’identificazione di Dario il Medo: re di Babilonia, presente in città quando essa fu presa, ricevette il regno a nome di Ciro. Una simile intelaiatura concettuale reggerebbe anche se identificassimo solo Dario con Gubaru e lo mantenessimo distinto da Ugbaru. In ogni caso, se questa identificazione fosse esatta, data la brevità del governo di Dario su Babilonia, gli eventi ascritti al suo regno nel Libro sarebbero accaduti in una settimana. Il che è possibile. Questa identificazione è la più plausibile. Se identifichiamo Dario con Ciro, la datazione della Terza Visione scende sino al 537-536, mentre se lo identifichiamo con Gubaru/Ugbaru, ci si può fermare al 538.

    La quarta identificazione è tra Dario il Medo e Dario di Istaspe (522-486), secondo successore di Ciro. Sebbene Dario abbia riconquistato Babilonia nel 522 e abbia organizzato l’Impero – come dice Daniele – questa identificazione è impossibile perché non vi è iato temporale tra Baldassarre e Dario il Medo. In linea di principio Daniele potè tuttavia sopravvivere sino al suo regno e alcune cose volute da Dario di Istaspe potrebbero essere state erroneamente retrodatate all’epoca di Ciro, non senza alcune sviste – le satrapie da venti diventano centoventi.

    Della vita di Nabucodonosor sappiamo poco, quindi non possiamo ne’ confermare né smentire la costruzione della statua, il ruolo di Daniele e di altri giudei alla sua corte, la sua trasmutazione in bestia – probabilmente una malattia mentale - né quantificare di preciso la durata di questo stato patologico; analogamente non possiamo smentire o confermare documenti imperiali che in qualche modo onorassero il Dio dei Giudei. Al netto tuttavia delle possibili amplificazioni avvenute nel testo durante le varie traduzioni, non vi è motivo di dubitare della storicità sostanziale degli eventi in questione. La lotta contro l’idolatria di Daniele sotto Ciro è storicamente plausibile – sebbene il Gran Re fosse mazdeo – perché Bel era un dio mesopotamico; non sono attestate invece forme di zoolatria in Babilonia, ma non possiamo escludere un culto sporadico ai tempi di Daniele.

    Di un decreto persiano contro ogni preghiera che non sia al Re non abbiamo simili, ma non possiamo escludere una qualche legge varata da Dario il Medo subornato dai Babilonesi, atta a colpire i Giudei. Analogamente non c’è motivo di dubitare della possibile ascesa di Daniele alla corte di Ciro, anche se non sappiamo in quale forma precisa.

    TEORIA OLISTICA SULLA FORMAZIONE DEL LIBRO DI DANIELE

    Alla luce di quanto detto sia in campo letterario-filologico che in campo storico, possiamo fissare alcuni punti. Premesso che, come dicevamo, non si deve dubitare dell’esistenza storica di Daniele, possiamo ritenere che egli stesso scrivesse le sue Visioni e persino i suoi Fatti, sia pure in forma sciolta. Ciò potè avvenire sia in aramaico che in ebraico, volendo il Profeta sia divulgare che canonizzare i suoi scritti. Al massimo, i suoi Fatti poterono essere scritti da un discepolo. Queste fonti poterono avere una storia testuale difficile, e molte parti poterono andare perdute nelle lingue originali. Ma la redazione di un solo testo in più lingue, data l’unità di stile, non è tanto indizio di perdita di sezioni intere, quanto della volontà dell’autore ultimo di diversificare in base ad un criterio che ci sfugge. Diversamente, conoscendo sia ebraico che aramaico, avrebbe riscritto tutto in un solo idioma tra questi. Tale riscrittura potè avvenire intorno al 300, utilizzando persianismi e grecismi, allo scopo di fissare una tradizione danielica che evidentemente lasciata a se stessa correva il rischio di perdersi. Una parte di essa in effetti riaffiora nelle parti deuterocanoniche da originali ebraici perduti. Una certa confusione potè nascere dal fatto che il Profeta, fondatamente o meno, era protagonista anche di altri racconti che però non furono tutti considerati ispirati, o almeno non concordemente. All’epoca di Antioco Epifane molti poterono vedere nelle profezie di Daniele una anticipazione dei fatti che andavano accadendo. Il Libro dovette godere di ampio successo e forse fu ampliato con qualche riferimento ai fatti presenti.

    PECULIARITA’ TEOLOGICHE

    Il Libro di Daniele è uno dei più importanti dottrinalmente nel VT. Sintesi di teologia della storia, mostra il punto di arrivo dell’intervento di Dio in essa e preannunzia quello futuro, annunziando l’avvento del Regno messianico e identificando il Messia col Figlio dell’Uomo, un Essere umano e divino che giudicherà i vivi e i morti. La Resurrezione dei Corpi, il Giudizio finale, il Premio e il Castigo eterni sono esplicitamente insegnati in questo Libro enigmatico e misterioso. Il ruolo degli Angeli vi è descritto esplicitamente come in Tobia ed Ezechiele.

    L’idea dominante del Libro è l’idea della trascendenza di Dio, unico, vero, onnisciente, onnipotente, sovrano dominatore delle umane vicende. Le potenze sono a Lui soggette e può adoperarle come strumento di punizione e di purificazione del popolo. Gli Imperi sono passeggeri ma il Suo Regno dura in eterno.

    Il Libro di Daniele è catalogato nella Bibbia ebraica tra i Kethubim o Agiografi, dopo Ester e prima di Neemia, contenendo solo la parte protocanonica (1-12). Nella Bibbia greca è il quarto dei Profeti Maggiori dopo Ezechiele. Nel Codice di Teodozione il Libro è aperto dall’episodio di Susanna, deuterocanonico, che invece è in appendice nella Vulgata . Termina invece con l’episodio di Bel e del Drago, anch’esso deuterocanonico. La catalogazione tra i Profeti nella LXX e nelle altre versioni greche lascia intendere ad alcuni che il Libro di Daniele fosse tra i Nebiim o Profeti anche nella Bibbia ebraica e che solo dopo sia stato spostato, per la sua anomalia, tra gli Agiografi. Chi invece crede nella composizione recente, trova proprio nella collocazione fuori del canone profetico già fissato una prova in tal senso.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    Daniele è un profeta escatologico, per cui molte sue visioni sono destinate a realizzarsi in senso tipico alla Fine del Mondo. Non a caso il grosso dei rimandi che troveremo è all’Apocalisse. 2,20 in Ap 5,12; 2,21 in At 1,7 e Rm 13,1; 2,28 in 1 Cor 2,10-11 e Ap 1,1.19 e 4,1; 2,44 in Lc 1,33; 2,45 in Mt 21,42-44p; 3,27 in Ap 16,7 e 19,2; 3,35 in Gc 2,23; 4,9 in Mt 13,31-32; 7 in Ap 13; 7,8 in At 13,5; 7,9 in Ap 20,4 e 1,14; 7,10 in Ap 5,11, Gv 5,22, Ap 20,12; 7,11 in Ap 19,20; 7,13 in Mt 24,30 e 26,64p, At 1,7 e 14,14, Mt 8,20; 7,14 in Mt 4,17; questi due versetti sono quelli che Gesù stesso applica a Se’, identificandosi col Figlio dell’Uomo Che viene con le nubi del Cielo per giudicare i vivi e i morti. Questa identificazione è la risposta che Egli diede a Caifa quando questi Gli chiese se Egli fosse il Cristo, il Figlio di Dio. In ragione di ciò e del suo significato, ossia della Duplice Natura, Umana e Divina, del Messia Cristo, Questi fu condannato a morte. 7,18 in At 9,13; 7,22 in Ap 11,7 e 13,7 e 20,4 e Mc 1,15; 7,24 in Ap 17,12; 7,25 in Ap 12,14; 8,10 in Ap 12,4; 8,13 in Ap 6,10; 8,17 in Lc 1,19-26 e Ap 1,17; 8,26 in Ap 19,9.21,5.22,6.10,4; 8,13 in Gv 8,31 e 1Gv 3,19; 9,24 in Rm 3,24-26 e At 10,38; 9,25 in Mt 3,16; 9,27 in Mt 24,15p; 10,6 in Ap 1,13-15; 10,7 in At 9,7; 10,10 in At 1,17; 10,13 in Ap 12; 11,36 in 2 Ts 2,4 Ap 13,5; 12,1 in Mt 24,21p; 12,2 in Gv 5,28-29; 12,3 in Mt 13,43 e 1Cor 15,41-42; 12,4 in Ap 10,4; 12,7 in Ap 10,5-6; 12,10 in Ap 22,11.

    In quanto poi all’interpretazione di alcuni passi profetici assai importanti, date per acquisite alcune decodificazioni già fornite per le visioni nella disamina contenutistica, qui puntualizziamo il significato del Sogno di Nabucodonosor e l’interpretazione delle Settanta Settimane di anni. Il primo rappresenta i Regni Universali che precedono l’avvento di Cristo nelle varie parti di diverso metallo della statua sognata dall’Imperatore. La parte aurea è il II Impero Babilonese; quella argentea l’Impero Persiano; quella bronzea l’Impero di Alessandro; quella mista di ferro e creta è l’Impero Romano, che fu diviso in due tronconi, orientale e occidentale, delle quali la seconda durò poco. Il sassolino che si stacca dal monte è il Cristo Che viene da Israele. La Sua Chiesa si ingrandisce, frantuma il paganesimo di quei Regni e instaura il Regno messianico sotto forma di un monte che copre tutta la terra.

    La seconda è la seguente. Com’è noto, l’arcangelo Gabriele annunzia che, dal momento della visione sino all’avvento del Messia e al compimento della Sua opera trascorreranno Settanta Settimane di anni, ossia quattrocentonovanta anni. Vengono da lui distinti tre gruppi di settimane di anni: dall’emanazione del decreto di ricostruzione di Gerusalemme sino all’avvento del Consacrato Principe, le prime sette settimane (quarantanove anni); da questo Principe fino alla Morte ingiusta del Messia, avendo in mezzo la ricostruzione di Gerusalemme, sessantadue settimane di anni (quattrocentotrentaquattro); dopo la Morte del Messia, la distruzione di Gerusalemme per mano di un principe futuro, nell’arco di una settimana di anni (sette). I razionalisti leggono la profezia post eventu e la collegano alla lotta contro Antioco Epifane. Gli esegeti credenti hanno tentato di conciliare l’interpretazione storica con quella messianica. L’ultima settimana sarebbe stata quella dei Maccabei, mentre il Principe Consacrato sarebbe Ciro il Grande e il Consacrato trucidato sarebbe Onia III, ucciso nel 171. In tal caso però il calcolo perde ogni riferimento storico, in quanto la Profezia dovrebbe partire da decreto di ricostruzione del Tempio o da quello di Ritorno a Gerusalemme e i punti di arrivo tutti sballati e incompatibili con l’esegesi razionalista. In effetti non vi è alcuna data da cui si possa partire per far terminare le Settimane in epoca maccabea. Né i dettagli storici sarebbero precisi, nonostante si tratti di una profezia post eventu. In ogni caso, da sempre la Sinagoga legge messianicamente il brano di Daniele. Gli Esseni calcolarono, sulla scorta di essa, che il Messia sarebbe nato tra il 10 e il 2 a.C. – Gesù nacque tra l’8 e il 4 a.C. Lo stesso Gesù si identificò col Messia di Daniele, come abbiamo visto, considerando scaduti i tempi delle Settanta Settimane di anni. Per l’interpretazione messianica le possibilità di calcolo sono diverse, ma ovviamente una sola è giusta. Anzitutto, bisogna puntualizzare che gli anni sono biblicamente di trecentosessanta giorni. Poi, considerare che il Decreto di ricostruzione – da intendersi in senso morale – non è quello di Ciro il Grande che permetteva il Ritorno o la ricostruzione del Tempio, ne’ quello di Dario che ribadiva il permesso di riedificarlo, ma quello di Artaserse II del 458 che dava ad Esdra il permesso di tornare in Gerusalemme e restaurare il culto. Da qui arriviamo al 34 d.C. Questo potrebbe già essere sufficiente. Ma siccome la Morte del Messia non avviene dopo Settanta Settimane ma dopo Sessantanove, altri preferiscono far decorrere le Settimane dal decreto di Artaserse II del 445 per Neemia e giungendo al 32 d.C. Nella Prima Settimana di anni – 445-397- avremmo il ministero di Esdra se lo collocassimo nel 397 seguendo una cronologia bassa. Nell’ultima settimana di anni, discontinua rispetto alle Sessantanove, avremmo la Guerra Giudaica, tra il 67 e il 74 d.C. In effetti il testo di Daniele non dice che il Messia sarà ucciso nella Settantesima Settimana ma dopo la Sessantanovesima. In breve, i quattrocentonovant’anni arrivano alla Morte di Cristo e alla Distruzione di Gerusalemme, ma alcuni dettagli sfuggono.

    IN DODEKAPROFĒTŌN

    Breve introduzione ai Libri dei Profeti Minori

    Il Canone ebraico, così come considera un solo libro i Profeti Maggiori – senza Daniele – annovera, dopo di essi, in un solo volume i Profeti Minori. La LXX li chiama i XII Profeti e la Chiesa li appella Minori non per sminuirne l’importanza ma in ragione della brevità dei loro scritti che, uniti, arrivano si e no alla grandezza del Libro di Isaia. Proprio per la loro brevità si temette che si smarrissero e già dai tempi di Neemia (2Mac 2,13) si raccolsero i loro Libri, che il Siracide conosce in una sola collezione (49,10). L’ordine cambia nei canoni: l’ebraico, seguito dalla Vulgata, ha Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona e Michea; la LXX ha Osea, Amos, Michea, Gioele, Abdia e Giona; per i rimanenti l’ordine è comune: Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Noi seguiremo l’ordine della Vulgata. Merita una menzione speciale la notizia del ritrovamento, nel 1952, di un rotolo contenente il testo greco dei XII Profeti Minori, avvenuta in una grotta del Nahal Hever presso Qumran. Negli anni seguenti altri frammenti di quel rotolo furono rinvenuti nella limitrofa “Grotta degli Orrori”. Il testo è stato datato alla metà del I sec., anche se alcuni lo fanno antico di un secolo, ed è siglato 8HevXIIgr.

    IL LIBRO DEL PROFETA OSEA

    IL PROFETA

    Il nome Osea vuol dire liberazione, salvezza. Figlio di Beeri, iniziò il suo ministero sotto Ozia (783-742) re di Giuda e Geroboamo II (786-746) re di Israele, e lo proseguì fino alla Distruzione di Samaria (722). Sotto Geroboamo II sposò Gomer, una prostituta (4,13-14) da cui ebbe tre figli a cui impose nomi simbolici; poi sposò un’altra peccatrice con cui, superata la prova impostale, visse poi con amore (3). Si ritiene che i fatti siano realmente accaduti e assurti a livello simbolico; altri ritengono siano una finzione letteraria. Non è nemmeno chiaro se i due matrimoni siano consecutivi o se le nozze siano uniche e narrate due volte diversamente. I nomi dei figli sono Iezrael, Dio dà la salvezza – toponimo di una pianura del Nord dove si attuarono parecchi giudizi punitori di Dio – Loruhamah, Non avrà compassione – che contiene il presagio della punizione definitiva su Israele; Loammi, Non più mio popolo, in cui si annuncia la chiamata di un altro popolo. Come Gomer è stata infedele al Profeta così Israele è stato infedele a Dio. L’amore di Osea per Gomer simboleggia l’amore di Dio per il Suo popolo; come la moglie di Osea tornò pentita a lui così Israele tornerà pentito a Dio.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro di Osea si divide in due parti: la prima comprende i cc.1,1-3,5; la seconda i cc.4,1-14,10. Nei primi capitoli viene rilevata la continua infedeltà di Israele a Dio (4,1-5,7) e viene mostrata la necessità di una punizione e la vigilanza amorosa di Dio sul Suo popolo (6,1-3; 12-14). Nei cc.1-3 l’infedeltà di Israele e la longanimità dell’amore di Dio sono descritti mediante il rapporto di Osea con l’adultera. Nei cc. 4-14 distinguiamo queste sezioni.

    4,1-6,3 – condizioni di peccato di tutto il popolo. Sia la massa (4) che i capi (5) sono nella colpa. Esortazioni al pentimento (6,1-3).

    6,4-10,15. Gravi punizioni per i peccati. La penitenza a metà non è gradita a Dio (6,4-11). La vita indegna dei potenti Gli è manifesta (7,1-7). La ricerca di aiuto alle potenze pagane sarà punita (7,8-16). L’idolatria e lo scisma di Israele chiamano l’invasore (8,1-14). Infedeltà di Israele e sua punizione (9,1-10,8). Israele raccoglierà ciò che semina (10,9-15).

    11-13. Tenerezza e rimproveri per Israele. L’amore di Dio è l’amore del Padre per i figli (11,1-11). Israele dopo aver tentato di far da sé si volge a Dio abbandonando gli alleati politici (12,1-6). Efraim sarà punito da Dio (12,7-15). Condanna dell’idolatria efraimita (13).

    14. Esortazione al pentimento. Promessa di perdono e benedizioni.

    DISAMINA LETTERARIA E FILOLOGICA

    Contemporaneo di Amos, considerato il Profeta scrittore più antico, Osea ha una audacia soprendente e una passione sconvolgente in un animo delicato e violento, che ben si addicono alla lettura simbolica del matrimonio che visse con l’adultera in chiave mistica. La collezione dei suoi oracoli fu scritta in Israele, probabilmente da lui stesso, ma fu forse rivista in Giuda un paio di volte, durante l’Esilio e subito dopo. Lo stato del testo è pessimo in ebraico. In ogni caso Osea divenne un classico ed influì su autori più grandi di lui, come Geremia.

    PECULIARITA’ TEOLOGICHE

    Osea è il profeta dell’amore di Dio. Il popolo di Israele esiste per un atto di amore di Dio ed è l’amore che trionferà sul peccato. Esso è causato da ignoranza; la conoscenza di Dio implica infatti un cambiamento interiore ed esteriore. La penitenza è il ritorno a Dio e alla Verità obliata. Il Signore è il Dio di Israele e anche l’Unico Dio. Il Suo rapporto con Israele è simboleggiato nel matrimonio. Quest’ultima immagine divenne patrimonio di tutta la letteratura profetica successiva (Geremia, Ezechiele, Isaia) fino al NT, che Osea remotamente prepara per la dottrina dell’amore indefettibile di Dio. Le mistiche nozze di Dio con il Popolo sono diventate poi quelle di Cristo con la Chiesa e con ogni anima fedele.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    2,1 in Rm 9,27 e 26, Gv 1,12; 2,9 in Lc 15,17-18; 2,12 in Gv 10,29; 2,25 in Rm 9,25 e 1Pt 2,10; 5,6 in Gv 7,34 e 8,21; 6,6 in Mt 9,13 e 12,7; 7,9 in Ap 3,17; 8,7 in Gal 6,7; 9,7 in Gv 10,20; 9,14 in Lc 23,29; 9,16 in Mt 21,9p; 10,5 in Ap 18,14; 10,8 in Lc 23,30 e Ap 6,16; 10,11 in Mt 11,29-30; 11,1 in Mt 2,15 (il Ritorno di Gesù dall’Egitto); 12,9 in Lc 12,16-21 e Ap 3,17-18; 13,14 in 1Cor 15,55; 14,9 in 2 Cor 6,16.

    IL LIBRO DEL PROFETA GIOELE

    IL PROFETA

    Gioele significa “YHWH è Dio”. Egli era figlio di Fatuel e probabilmente predicò in Gerusalemme e nel Regno di Giuda. Nell’VIII sec. a.C. era tradizionalmente posto il suo ministero, oggi invece lo si data in età postesilica, alla metà del IV sec.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro si divide in due parti: 1,11-2,17 e 2,18-4,21. La Prima parte comprende due discorsi: il primo in 1,1-20 sulla piaga delle cavallette – abbattutesi sul paese ai tempi del Profeta - e sull’esortazione alla penitenza; il secondo in 2,1-17 che spiega la prima parte annunziando che il Giorno del Signore è prossimo e un popolo forte e numeroso eseguirà i Giudizi Divini, ferma restando la possibilità sempre di pentirsi. La Seconda parte si divide in due sezioni: in 2,18-27 si mostrano i frutti della penitenza, mentre in 3,1-4,21 si annuncia la liberazione che seguirà alla penitenza e che annunzia una completa futura redenzione.

    DISAMINA FILOLOGICA E STORICA

    Il v. 3,2 sembra alludere all’Esilio come ad un fatto remoto. Vi sono poi allusioni a Isaia, Ezechiele, Amos, Sofonia, che ovviamente implicano o una zelante ripresa del nostro da parte di questi o piuttosto e più verosimilmente il contrario. Accanto a questi indizi la mancanza di riferimenti ad un Re, le allusioni al Tempio ricostruito e i riferimenti al Deuteronomio confermano la datazione di cui dicevamo, al massimo retrodatandola al 400 a.C. Non vi è possibilità di attribuire alle due parti del Libro autori ed epoche differenti. Tuttavia, se accettiamo la datazione bassa, rimane incomprensibile la profezia di una invasione futura, che non ha equivalenti negli altri autori del periodo. Perciò o Gioele è un profeta dell’VIII sec. che si riferisce ai Caldei, o è un profeta del V-IV sec. che usa l’invasione come immagine letteraria che dilata quella reale delle cavallette e rimanda al futuro escatologico, o profetizza l’avvento dei Romani. Cosa che però nessuno ha mai ravvisato. Per alcuni il Libro di Gioele è fatto solo per essere letto, e perciò maggiormente si colloca verso la fine del movimento profetico. Peraltro, i riferimenti al Deuteronomio sono possibili almeno dal regno di Giosia, e i temi che Gioele apparentemente deve a Isaia e Geremia e Sofonia potrebbero essere stati ripresi da questi a partire da lui. I riferimenti al Tempio possono essere in ragione del fatto che esso era stato riformato da Giosia e non ancora distrutto. La mancanza della menzione del Re può essere dovuta all’ispirazione profetica che, nella sua brevità, non trattò nessun tema che lo riguardasse. In ragione di ciò, forse la collocazione definitiva di Gioele nella cronologia profetica ancora non c’è. Una data plausibile a mio avviso potrebbe essere proprio il VII sec.

    PECULIARITA’ TEOLOGICHE

    Al cap.2,28-32 vi è la profezia della Pentecoste, da cui San Pietro trasse il suo primo discorso in At 2,16-21. Infatti lo Spirito Santo, nell’età messianica, è effuso su tutti, specie attraverso i Sacramenti. 4,2.12 menziona la Valle di Giosafat, che nella Tradizione sarà il luogo del Giudizio Universale, fedele al suo nome che significa appunto: Dio giudica. Gioele parla del Giudizio di Dio sui popoli pagani nemici di Israele, non del Giudizio Universale, ma implicitamente si riferisce anche ad esso. Oggi non si localizza più il Giudizio in un luogo, ma si considera il toponimo in questione come simbolico.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    Oltre a quanto detto nelle peculiarità teologiche, citiamo 4,18-21 che si riferisce all’avvento del Messia e del Suo Regno. 1,7 in Ap 9,8; 2,2 in Gv 8,12; 2,4 in Ap 9,7-9; 2,11 in Ap 6,17; 3,1 in At 2,17-21; 3,4 in Ap 6,12; 3,5 in Rm 10,13; 3,5 in Ap 14,1; 4,2 in Ap 16,13-16; 4,13 in Mc 4,29 e Ap 14,14-20; 4,17 in Ap 21,27; 4,18 in Gv 4,1.

    IL LIBRO DEL PROFETA AMOS

    IL PROFETA

    Amos è il primo dei Profeti scrittori in ordine cronologico, nonostante sia il secondo nel canone dei LXX e il terzo in quello ebraico e della Vulgata. Egli nacque in Tekoa, a otto chilometri da Betlemme (1,1). Era un pastore e incisore di sicomori. Non apparteneva al gruppo dei Profeti ne’ era Profeta suo padre, ma il Signore lo chiamò improvvisamente (7,14). Ha uno stile rude e campagnolo che rende particolarmente potente ed efficace la sua profezia. Nonostante le sue origini, egli profetizzò soprattutto in Israele sotto Geroboamo II, in Betel e forse Samaria, mentre in Giuda regnava Ozia. Amos profetò poco e iniziò a farlo dal 750, dopo un grande terremoto che ha lasciato anche segni archeologici. Dopo l’espulsione dal Regno del Nord si chiuse nel silenzio e tornò a fare il pastore.

    STRUTTURA

    Il Libro di Amos si divide in tre parti. La Prima (1,3-2,16) descrive l’irrevocabile Giudizio di Dio sui popoli vicini: Damasco, Gaza, Tiro, Edom, Ammon, Moab e poi su Giuda e Israele; i primi saranno giudicati per aver violato le leggi più elementari del diritto naturale, specie in guerra; i secondi per aver preferito l’idolatria e la corruzione all’Alleanza con Dio. La Seconda (3,1-6,14) contiene avvertimenti e minacce contro Israele per la sua corruzione, idolatria e sensualità; Samaria cadrà per questo motivo; il castigo di Dio verrà e sarà irrevocabile e duro. La Terza (7,1-9,15) contiene visioni simboliche: cavallette, siccità, livella, cesta di frutti maturi, caduta del Santuario; esse sono intervallate dall’alterco del Profeta con Amasia e da altri annunzi di castighi. Il Libro termina con la prospettiva della restaurazione generale e il ritorno ad una felicità simile a quella del Paradiso Terrestre.

    DISAMINA LETTERARIA E FILOLOGICA

    In Amos troviamo gli argomenti classici del profetismo. Il regno di Geroboamo II è prospero e pacifico, mentre i ricchi praticano un culto esterno ipocrita mentre opprimono i miseri per accrescere ulteriormente la propria ricchezza. Contro di loro Amos lancia tremende profezie che si concretizzarono drammaticamente con l’invasione di Tiglat Pileser (745-727). Il Giorno del Signore viene descritto come tenebra. Il Popolo, nonostante sia Eletto, non sarà risparmiato né potrà nascondersi in alcun luogo. Nulla sfugge alla Potenza e alla Sapienza di Dio. Il culto esterno non serve a nulla, solo la pratica della Giustizia è gradita a Dio. La punizione divina arriverà tramite gli elementi naturali: la pioggia non cadrà al momento del bisogno e il Sole non darà la sua luce. Chi cercherà il Signore vivrà e un Resto scamperà, cosicchè la Tenda di David sarà rialzata e le città desolate saranno ricostruite. La dottrina su Dio Signore Universale e Onnipotente, Difensore della Giustizia, è enunciata con sicurezza assoluta e senza nessuna intenzione di innovare quanto già evidentemente si sapeva, se non nel reclamare le esigenze del puro mosaismo.

    L’autenticità del venerando Libro di Amos non è da mettersi in discussione; i dubbi su 9,8-15, ascritto al tempo dell’Esilio e considerato l’esito di una edizione deuteronomista del testo, non hanno solide pezze di appoggio (pur distinguendo tra 9,8b-10 e 9,11-15, considerato più sospetto), né la medesima origine ipotizzata per 4,13; 5,8-9; 9,5-6. Anche degli oracoli contro Tiro, Edom (1,9-12) e Giuda (2,4-5) sono anch’essi oggetto di dubbi poco convincenti. A parte i dubbi esistenti sulla stessa stesura della storiografia deuteronomistica, è la stessa idea di un profetismo databile alla luce dei fatti compiuti che è fuorviante. I Profeti possono predire l’Esilio anche molto tempo prima. Diversamente, non ha senso considerarli nemmeno Profeti e non si capirebbe la loro influenza religiosa.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    3,6 in Ap 10,3; 4,5 in Mt 6,2 e 23,5p; 5,15 in Gv 3,9; 5,18 in Gv 8,12; 5,25 in At 7,42-43; 6,1 in Lc 6,24; 6,7 in Ap 18,14; 8,2 in Ap 14,15-18; 8,11 in Mt 5,6; 9,9 in Lc 22,31; 9,11 in At 15,16-17.

    IL LIBRO DEL PROFETA ABDIA

    IL PROFETA

    Abdia significa “Servo di YHWH”. Di lui non sappiamo assolutamente nulla. L’iscrizione del Libro accenna solo all’oggetto del vaticinio, ossia l’Idumea. Da ciò si è dedotto che egli fosse giudeo. Non conoscendo il criterio con cui nei canoni veterotestamentari i Profeti erano ordinati, possiamo solo ipotizzare la sua collocazione storica, posta tra il 498 e il 399, ma che forse andrebbe retrodatata.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro di Abdia è il più breve di tutto l’AT. E’ composto di ventuno versetti e si divide in tre parti. La Prima (1-9) annunzia che l’Idumea, a dispetto delle sue fortificazioni, di cui è tanto orgogliosa, sarà distrutta per ordine di Dio. La Seconda (10-16) spiega il motivo di questa sentenza, ossia l’odio degli Idumei verso i Giudei nonostante la parentela e la loro gioia per la Presa di Gerusalemme. La Terza (17-21) annuncia che il Nuovo Israele si impossesserà non solo dei suoi vecchi territori ma anche dell’Idumea stessa e allora il Regno di Dio si instaurerà.

    DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA

    La collocazione di Abdia ha oscillato tra il IX e il II sec. a.C. Ciò dipende dalla stretta relazione tra Abd 2-10 e Ger 49,7-22. Se ipotizziamo che l’uno o l’altro siano posteriori cambia la collocazione; l’ipotesi più radicale è che entrambi dipendano da un Proto-Abdia, composto in età monarchica, o sotto Ioram di Israele (853-842) o sotto il suo omonimo di Giuda (849-842). La punizione di Edom e il trionfo di Gerusalemme sono però concepibili solo dopo l’Esilio e hanno addentellati nei Salmi, in Ezechiele e nelle Lamentazioni. Inoltre vi è sviluppo logico nella profezia, per cui una stratificazione compositiva non ha pezze di appoggio.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    Non vi è ripresa tecnica di versetti di Abdia nel NT. Ma la descrizione dell’Israele futuro in 19-21 e il dominio di esso su Edom non solo preconizzano simbolicamente la Chiesa e l’età messianica, ma annunziano la condizione politica di Israele ai tempi della nascita di Gesù, quando l’insediamento ebraico comprendeva anche l’Idumea.

    IL LIBRO DEL PROFETA GIONA

    IL PROFETA

    Giona significa “colombo”. Della vita del Profeta sappiamo dal Libro stesso: inviato da Dio a profetizzare la distruzione di Ninive, fugge per paura degli Assiri e di Dio stesso. S’imbarca per Tarsis ma è colto da tempesta. Individuato dai marinai, gettando la sorte, come causa di quell’improvvisa sciagura, ammette di esserne la ragione per aver irritato Dio e si fa buttare in mare per scongiurare il flagello. I marinai obbediscono e la tempesta cessa. Mentre l’equipaggio si converte a Dio, Giona è inghiottito vivo da un pesce nel cui ventre sta tre giorni e tre notti. Da lì il Profeta prega e supplica Dio, e viene perciò vomitato su di una spiaggia. Da qui parte per Ninive, secondo il reiterato comando di Dio. Alla grande capitale annuncia che entro quaranta giorni sarà distrutta. A tale profezia il Gran Re e i cittadini si convertono vestendosi di sacco e coprendosi il capo di cenere. Il Profeta, deluso del fallimento del suo vaticinio, si allontana dalla città invocando la morte. Protesta con Dio dicendo che sapeva che Egli avrebbe perdonato e per questo non voleva andare a profetizzare. Lungo il viaggio di ritorno a causa della calura Giona si ripara sotto una pianta di ricino cresciuta all’improvviso e miracolosamente. Il giorno dopo però un verme rode la pianta e questa si secca. Giona allora protesta con Dio e Questi lo rimprovera, facendogli capire che se lui si affliggeva per sé e per una pianta, a maggior ragione Lui doveva avere compassione della grande popolazione di Ninive, a cominciare dai bambini e dagli animali.

    STRUTTURA

    Il Libro si divide in due parti. La Prima (1-2) narra le vicende del Profeta fino a quando il pesce non lo getta sulla spiaggia. La Seconda (3-4) si dilunga sino al termine della vicenda narrata nel paragrafo precedente.

    DISAMINA FILOLOGICA, STORICA E LETTERARIA

    Il vero grande problema del Libro di Giona è il genere letterario. Premesso che le parti profetiche sono inesistenti, ci si è domandati sempre se si trattasse di storia o di midrash. Si è praticamente concordi sulla seconda. Altra questione è se il personaggio protagonista sia reale o inventato. La tradizione giudaica e patristica propende per la prima soluzione, identificando il Giona del Libro con quell’omonimo figlio di Amittai di Ghitta Efer, villaggio del Regno del Nord, che profetizzò a Geroboamo II che avrebbe ristabilito i confini di Israele (2Re 14,25). In tal caso il Profeta – non il Libro- sarebbe dell’VIII sec. Ma non tutti i Padri sono d’accordo, né si tratta qui di questione dogmatica ma storica e letteraria. Peraltro l’omonimia, anche se unica in tutta la Bibbia, sembrerebbe argomento di scarso valore. Il racconto, che alcuni ritenevano storico, è una composizione didattica in cui il prodigioso è al servizio di quanto il Profeta vuole inculcare. In questo senso Profeta sarebbe l’autore del Libro non il protagonista. In ogni caso le proporzioni degli eventi – i numerosi miracoli susseguentisi, la conversione degli Assiri – non permettono di asserirne la storicità. Anche l’uso profetico che il Signore Gesù fece del Libro, condannando l’incredulità dei Suoi contemporanei a confronto di quella degli Assiri nonostante Egli fosse più di Giona, e indicando la prigionia di Giona nel ventre del pesce per tre giorni come simbolo della Sua Morte e Resurrezione, non attesta tanto la storicità del testo ma appunto il suo senso profetico simbolico anche molto complesso. Lo stesso senso religioso è qui molto sviluppato: il Profeta è un ribelle e ha l’animo meschino, mentre i pagani si convertono. Il Libro riprende dunque temi classici – di Rut, di Giobbe, della Genesi e di altri Profeti – ma in modo nuovo. La situazione storica è quella postesilica con addentellati in Neemia, Esdra, Zaccaria, Malachia. Il genere è dunque midrashico e molto particolare. I modelli sono da cercarsi in Geremia. Qualcuno pensa che l’inno di (2,2-10) che Giona innalza dal ventre del pesce a Dio sia una aggiunta posteriore. Vi sono aramaismi e costrutti tipici dell’ebraico della decadenza, per cui la data di composizione è del V sec., massimo del IV, alla fine dell’età persiana e agli inizi della greca. A mio personale avviso, Giona figlio di Amittai potè predicare in Ninive; questo Libro sarebbe il midrash della sua antica predicazione, sviluppata secondo un senso profetico simbolico. L’inno potrebbe essere l’unica composizione di Giona e il midrash potrebbe essersi sviluppato proprio attorno a questo testo.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    Come dicevamo, la Conversione dei Niniviti (3) è usata polemicamente da Gesù in Lc 11,30-32 e in Mt 12,41, mentre il soggiorno nel ventre del pesce (2) profetizza la Morte, la Sepoltura e la Resurrezione di Cristo, il Quale dà appunto il Segno di Giona profeta per mostrare la Sua Divinità. Nel testo, che è profezia in simboli, ravvisiamo: 1,5 in At 27,18; 1,6 in Mt 8,24-25p; 4,1 in Lc 15,28. L’inno allude alla Resurrezione.

    IL LIBRO DEL PROFETA MICHEA

    IL PROFETA

    Michea nacque a Moreset, a ottanta chilometri da Gerusalemme. Nulla sappiamo della sua vocazione né della sua vita. Profetò sotto Iotam (742-735), Acaz (735-715) ed Ezechia (715-687). Fu contemporaneo di Isaia, Osea e Amos. Vide la Presa di Samaria (721) e forse l’invasione di Sennacherib (701).

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro è diviso in tre parti, ognuna introdotta dalla parola “Ascoltate”. La Prima (1,1-2,13) verte sulle profezie del Giudizio di Dio. Vi saranno su Samaria e Giuda (1,1-16). Rovina e prigionia del popolo di Giuda (2,1-11). Ripresa del popolo mediante la salvezza di un piccolo resto (2,12-13). La Seconda (3,1-5,14) contiene rampogne e l’annuncio della salvezza. La Terza (6,1-7,29) è una disputa tra Dio e il popolo. E’ possibile dividere anche in questo modo: 1-3 minacce; 4-5,9 promesse; 5,10-7,6 minacce; 7,7-20 promesse. Infine vi è una terza divisione: 1,2-3,12 processo ad Israele; 4,1-5,14 promesse a Sion, 6,1-7,7 nuovo processo ad Israele, 7,8-20 speranze.

    DISAMINA CONTENUTISTICA, FILOLOGICA, LETTERARIA.

    In 6,8 Michea sintetizza la dottrina profetica contemporanea: pratica la giustizia (Amos), ama la misericordia (Osea), vive umilmente (Isaia). Profeta degli umili e dei poveri, annunziò l’avvento del Messia in Betlemme, la più piccola delle città capoluogo di Giuda (5,1). Combatte il formalismo e chiede una religione etica (6,6-8). Di origine campagnola, Michea fu simile ad Amos nell’avversione alle grandi città, nel linguaggio concreto e a volte brutale, nel gusto delle immagini rapide e dei giochi di parole. Secondo alcuni che seguono la terza delle divisioni proposte, vi è troppo contrasto tra le promesse e le minacce in cui si ascrivono; perciò essi pensano che il bilanciamento sia opera degli editori del Libro. Ma è difficile determinare l’estensione dei rimaneggiamenti del testo di Michea. Anche qui si suppone che alcuni passi (7,8-20; 2,12-13) siano esilici e che la raccolta, di passi autentici, dei cc.4-5 sia esilica o postesilica, mentre sono considerati autografi di Michea 4,1-5 e 5,1-5 perché simili a quanto predicava Isaia. In realtà questa valutazione non tiene conto delle specificità del profetismo considerandolo solo un genere letterario. Non vi sono seri motivi per dubitare che tutto il Libro sia stato scritto da Michea stesso e risalga all’epoca sua propria. Egli aveva una chiara consapevolezza della sua ispirazione, per cui annunzia con sicurezza la sventura per distinguersi dai falsi profeti; allo stesso modo fustiga i peccati del popolo e annunzia il castigo senza esitazioni. La sua speranza è ovviamente quella messianica. Il suo oracolo su Betlemme come luogo nativo del Cristo è fondamentale per il NT. Michea influenzò Geremia, che cita (26,18) un suo oracolo contro Gerusalemme.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    5,1-4 profetizza la Nascita di Cristo in Betlemme (cfr. Mt 2,6; Gv 7,42). 2,12-13 annunzia la Redenzione di Israele e la riunificazione messianica. 7,6 in Mt 10,35-36; 7,8 in Gv 8,12; 7,20 in Lc 1,73.

    IL LIBRO DEL PROFETA NAHUM

    IL PROFETA

    Nahum vuol dire “consolatore”; egli nacque ad Elcos, villaggio della Galilea o della Giudea. Profetizzò in Giudea. Parla della distruzione di Tebe per mano assira (663 a.C.) e della caduta di Ninive (612 a.C.), che sono gli estremi del suo ministero.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro si apre con un salmo alfabetico che descrive una teofania di Dio che debella gli avversari e difende i fedeli (1,1-2,3). Segue la viva descrizione del Distruttore in marcia su Ninive (2,4-9). Descrive la devastazione e il saccheggio a cui la capitale assira è destinata e addita nei peccati da essa commessi la causa della punizione (2,10-3,7). La paragona a Tebe e annuncia il suo annientamento con l’immagine di uno sciame di cavallette che passa senza lasciar traccia (3,8-19).

    DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA

    Nahum è l’unico profeta che si rivolge esclusivamente ai pagani, gli Assiri in questo caso, tralasciando Israele. Non eguaglia la religiosità di altri Profeti, ma ha una viva coscienza di Dio quale vindice delle azioni umane e difensore di coloro che Lo amano. Ha uno stile vigoroso e ricco di immagini nitide ed essenziali. La sua potenza evocativa fa di lui uno dei poeti maggiori di Israele. La forza con cui si prevede la distruzione di Ninive è alimentata dalla consapevolezza che così la grande città che ha oppresso il mondo intero sarà finalmente punita.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    1,5 in Ap 6,17; 3,4 in Ap 17-18.

    IL LIBRO DEL PROFETA ABACUC

    IL PROFETA

    Su questo Profeta non sappiamo nulla. Se collochiamo il suo ministero tra il 605 e il 597 allora lo facciamo contemporaneo di Geremia, Nahum e Sofonia. Sebbene di solito lo si distingua dall’Abacuc che, sotto Ciro il Grande, è trasportato in bilocazione dalla Giudea alla Fossa dei Leoni di Babilonia dov’è prigioniero Daniele, non è impossibile la loro identificazione. Infatti, se il Profeta avesse iniziato la sua attività sui vent’anni nel 595, nle 538 avrebbe avuto un’ottantina di anni e poteva essere ancora vivo.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro si divide in tre parti. La Prima (1,1-11) contiene un dialogo tra il Profeta e Dio. Il primo si lamenta per le iniquità e le ingiustizie che gravano sul suo popolo: la Legge è violata e i giusti sono oppressi (1,1-4). Dio risponde annunziando il prossimo arrivo dei Caldei, come Suo strumento di vendetta e giustizia (1,5-11). La Seconda (1,12-2,20) contiene un altro angoscioso lamento del Profeta con Dio. L’invasore ha infatti reso più gravi i mali morali con le sue vessazioni. Anche se Giuda è colpevole, come può Dio punirlo per mezzo di un popolo che la nazione non ha offeso ed è per giunta empio, idolatra e fa della sua forza un Dio? Com’è possibile che Dio, Che detesta vedere il male, permetta il trionfo della tirannia a danno dei giusti? Dio, Che guida le sorti dei popoli, deve rispondere a questi angosciosi interrogativi del Suo Profeta, il quale si pone in ascolto come una sentinella e attende. L’oracolo divino risponde con una sentenza i cui termini generali contengono una sentenza universale: Ecco, colui che non ha l’animo retto soccombe, mentre il giusto vivrà della sua fede. Questo è il punto nodale della profezia. La Terza parte (3,1-19) è costituita da un’ardente supplica in forma di salmo, rivolta a Dio perché intervenga a fare giustizia dei nemici del Suo popolo; segue una lirica descrizione della Teofania e un atto di fede e abbandono completo in Dio salvatore.

    DISAMINA STORICA, LETTERARIA E FILOLOGICA

    Un riferimento storico ci aiuta a stabilire con una certa approssimazione il tempo e la data delle profezie di Abacuc. Egli dice (1,5-6) che il Signore sta per compiere una cosa incredibile in mezzo alle nazioni e che essa si realizzerà ai tempi di chi ascolta. Questo riferimento è ai Caldei, avidi impetuosi crudeli. Con la disfatta egiziana a Carkemish (605) iniziano le loro incursioni in Giudea e Nabucodonosor II nel 597 prende Gerusalemme per la prima volta. Il silenzio sulla Caduta della capitale lascia intendere che il ministero profetico di Abacuc si sia svolto appunto tra queste date, come dicevamo nel paragrafo sul Profeta. In effetti, Abacuc ha argomento affine ai Profeti suoi contemporanei dei quali abbiamo parlato. Qualcuno ha ipotizzato che Abacuc profetizzasse riferendosi agli Assiri, il che lo renderebbe più antico, anteriore alla Caduta di Ninive nel 612, ma è assai meno convincente. L’idea poi che l’oppressore sia il re Ioiakim (609-597) è addirittura farneticante.

    Il Libro è composto con molta finezza. Le indicazioni musicali accompagnano il salmo che evidentemente era usato per la celebrazione liturgica. Questo tuttavia non basta per fare di Abacuc un profeta cultuale o un membro del personale templare.

    La dottrina di Abacuc è innovativa. Per la prima volta un Profeta osa domandare a Dio conto del governo del mondo. Alla domanda, assai moderna e nello stesso tempo antica, di Abacuc, Dio dà una risposta: per vie paradossali Egli prepara la vittoria finale del diritto e il “Giusto vivrà per la sua fede”.

    Il testo ebraico è giunto purtroppo a noi corrotto in vari punti. A Qumran è stato ritrovato il pesher di Abacuc- 1Qp Hab- datato tra il II sec. a.C. e il 40-70 d.C. Commentario ai primi due cc. del Libro del Profeta, segue un testo diverso dal masoretico e privo del terzo capitolo. Nonostante ciò, il salmo del capitolo mancante era presente sia nella versione della LXX sia nella raccolta dei XII Profeti Minori citata nel Siracide, a cui non si potevano fare aggiunte. Il c.3 è dunque anch’esso di Abacuc.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    La sentenza: “il Giusto vivrà per la sua fede” è un passo di capitale importanza per la Rivelazione. Tesi centrale della soteriologia, è applicata e commentata in Rm 1,17, Gal 3,11, Ebr 10,37-38. 1,5 in At 13,41; 2,2 in Ap 1,19; 2,3 in 2 Pt 3,4-10; 2,4, come dicevo, in Rm Gal e Ebr. 2,6 def in Lc 6,24-26; 6,11 in Lc 19,40; 2,20 in Ap 8,1; 3,5 in Ap 6,8; 3,18 in Lc 1,47.

    IL LIBRO DEL PROFETA SOFONIA

    IL PROFETA

    Sofonia significa “Il Signore protegge”. Il Profeta era di discendenza regale (1,1). Non è menzionato altrove nel VT. Egli profetizzò tra il 638 e il 608 ai tempi di Giosia in Giuda; siccome questi fu artefice di una radicale riforma e il Profeta chiede la conversione, c’è da dedurre che il suo ministero si debba collocare prima di tale intervento regio, avvenuto nel 622, e quindi tra 640 e 630, durante la minore età del Re.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro, invito a convertirsi, si divide in quattro parti. La Prima è un insieme di minacce contro Giuda e Gerusalemme (1,1-2,3). Contiene una prima descrizione del Giorno di Dio (1,2-11); poi una seconda descrizione (1,12-18), cui si ispirò anche l’autore del Dies Irae. Infine c’è un invito al pentimento (2,1-3). La Seconda è una serie di minacce contro le nazioni (2,4-15). La Terza è una requisitoria contro Gerusalemme e le nazioni (3,1-8). La Quarta è un insieme di promesse (3,9-20), ossia la conversione delle nazioni (9-10), il Resto di Israele (11-13), seguito da un canto di gioia (14-18), fino al ritorno dell’Esilio (19-20).

    DISAMINA CONTENUTISTICA, FILOLOGICA E LETTERARIA

    Il messaggio di Sofonia è che il Giorno del Signore sarà una catastrofe universale. Il popolo superstite nella fedeltà a Dio sarà un popolo glorioso (3,12-13). Il suo Libro ha avuto alcune aggiunte e qualche ritocco, almeno secondo alcuni critici. Gli annunzi della conversione dei pagani (2,11 e 3,9-10) sono infatti considerati estranei al contesto e ispirati al Deutero-Isaia; anche i piccoli salmi di 3,14-15 e 16-18a sono oggetto di discussione e gli ultimi versetti sono considerati esilici (3,18b-20). A mio avviso tuttavia, data anche la dubbia esistenza del Deutero Isaia e la cattiva prassi di dubitare dello spirito profetico, queste parti possono essere benissimo autentiche. Sofonia ha una concezione severa del peccato, che offende Dio. Il castigo sui pagani è un avvertimento per Giuda e la salvezza messianica sarà per il Resto. Sofonia ha influenzato Gioele nella descrizione del Giorno di Dio.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    3,9-15 è una serie di promesse messianiche per la conversione dei pagani. 1,7 in Ap 8,1; 3,13 in Ap 14,5; 3,14-18a rappresenta in profezia l’Annunciazione e l’Incarnazione, mentre 3,18bc rappresenta l’Immacolata Concezione. Sofonia è ripreso anche in Mt 13,41.

    IL LIBRO DEL PROFETA AGGEO

    IL PROFETA

    Aggeo, in ebraico Haggay, vuol dire “festivo”, “solenne”. Decimo dei Profeti Minori sia nel canone palestinese che in quello alessandrino, esercitò il ministero nel secondo anno di Dario I d’Istaspe (522-486), ossia nel 520 (1,1), da fine agosto a metà dicembre. Esortò a ricostruire il Tempio (Esd 5,1; 6,14). Assieme a Zaccaria è il Profeta della restaurazione. La funzione di Aggeo fu molto importante: per diversi mesi egli esortò il popolo a riprendere l’opera che già Ciro il Grande (559-528) aveva autorizzato e che era stata interrotta per gli intrighi dei Samaritani.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro di Aggeo consta di quattro oracoli, tutti datati al secondo regno di Dario. Il Primo (1,1-15) attacca l’indolenza dei Giudei nella ricostruzione del Tempio; ciò causa i cattivi raccolti; dunque il Profeta esorta Zorobabele e il sommo sacerdote Giosuè a riprendere il lavoro. E’ il primo giorno del sesto mese. Il Secondo (2,1-9) contiene la consolazione del Signore ai ricostruttori. E’ il ventuno del settimo mese. Il Terzo (2,10-19) è un rimprovero ai sacerdoti che non rispettano le prescrizioni rituali offrendo cose impure; esorta ai lavori onde ottenere raccolti buoni. E’ il ventiquattro del nono mese. Il Quarto (2,20-23) assicura al davidico Zorobabele, dalla cui stirpe nascerà il Messia, la protezione di Dio. E’ sempre il ventiquattro del nono mese.

    DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA.

    Il Libro è ritenuto autentico da quasi tutti i critici. Alcuni di essi sostengono che una parte del ministero di Aggeo non sia stata messa per iscritto. Egli è appunto il Profeta della Restaurazione, in cui la parola d’ordine è ormai questa, distinta dalla consolazione dell’Esilio e dalla penitenza anteriore. Grazie ad Aggeo inizia una feconda attesa del Messia legata alla Casa di Davide e al Santuario. Zaccaria dopo di lui la esprimerà meglio.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    La profezia di 2,20 ss rivolta a Zorobabele è messianica e in essa il Principe è figura del Cristo nel Quale si adempirà. 2,6 in Eb 12,26.

    IL LIBRO DEL PROFETA ZACCARIA

    IL PROFETA

    Zaccaria vuol dire “Il Signore ricorda”. Contemporaneo di Aggeo e con lui ricordato in Esd 5,1 e 6,14, fu forse tra i primi rimpatriati assieme al nonno Addo (Ne 12,4), uno dei capi delle dodici famiglie sacerdotali. Profetò nel secondo e nel quarto anno di Dario, ossia nel 520 e nel 518, esortando alla ricostruzione del Tempio.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Libro si divide in due parti. La Prima (cc.1-8) contiene una introduzione e un invito alla penitenza (1,1-6), otto visioni concluse con un atto simbolico (1,7-6,15), un appello alla giustizia e allo zelo (7,1-8,23). La Seconda (cc.9-14) comprende il trionfo di Giuda (9,1-10,12), la distruzione della foresta del Libano (11,1-3), le due parabole dei due pastori buono e cattivo (11,4-17), la caduta di Gerusalemme come sciagura per le nazioni (12,1-14), la sua purificazione (13,1-6), il Giorno di Dio e la restaurazione messianica della città (14,1-21). Ambedue le parti, con uno stile differente, sono essenzialmente messianiche. Nella prima Zorobabele è presentato come una figura messianica, per la ricostruzione del Tempio e la riorganizzazione del culto e della Terra Santa; nella seconda il messianismo è in prospettiva futura e di Zorobabele non v’è più traccia.

    DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA

    Zaccaria mediante visioni e parabole annunzia l’invito di Dio a fare penitenza. Dopo di essa si compiranno le promesse di Dio: liberazione dagli oppressori, venuta del Messia, santificazione del popolo che sarà strumento di salvezza per tutte le genti. Le circostanze storiche sono composite. Le Otto Visioni sono dal febbraio 519 e sono seguite dall’incoronazione simbolica di Zorobabele, il cui nome fu cancellato dai revisori quando sparì la speranza di una restaurazione davidica e tutto il potere fu dato al sacerdozio. Nel novembre 518 si pose una questione sul digiuno che diede l’adito ai cc.7 e 8, l’uno sul passato nazionale e l’altro sulla salvezza messianica. Il Profeta stesso – o al massimo i suoi discepoli – poterono rivedere la struttura compatta e armonica del Libro, come attesta la presenza degli annunzi universalistici di 8,20-23 aggiunti dopo 8,18-19 che è una conclusione. La restaurazione del Tempio è legata a quella cultuale e morale e fa da battistrada all’attesa messianica, che è la chiave di volta dell’edificio concettuale di Zaccaria. Il Sacerdozio nell’età messianica sarà esaltato e la Regalità apparterrà al Germoglio, termine messianico nuovo applicato a Zorobabele. I due Unti in armonia reggeranno il Paese – essendo figura dei due Poteri del Messia. Di questo diremo nel paragrafo successivo. In ogni caso, da Zaccaria rinasce il messianismo davidico intrecciato alla sensibilità sacerdotale di Ezechiele, il cui influsso stilistico e tematico si fa sentire spesso. Questo concerne la Prima parte del Libro. Nella Seconda invece, aperta da un nuovo titolo in 9,1, abbiamo molte differenze. I brani sono senza data e anonimi. Non sono più nominati né Zaccaria, né Giosuè, né Zorobabele, né il Tempio. Lo stile come dicevo è diverso. Sono usati spesso Geremia ed Ezechiele. L’orizzonte storico è diverso e gli oppressori sono nascosti sotto i nomi di Assur e dell’Egitto. Si sostiene comunemente che tali cc. siano stati scritti ai tempi della conquista macedone, negli ultimi decenni del IV sec. Essa è scomponibile in una parte quasi tutta in versi (9-11) e una quasi tutta in prosa (12-14), ognuna introdotta da un titolo. Esse sono chiamate Deutero e Trito Zaccaria. Entrambe sono composite: la prima è composta da brani poetici preesilici applicati poi ad Alessandro; la seconda descrive le vicende della Gerusalemme escatologica, usando temi presenti anche nella Prima parte del Libro. Questa Seconda parte è fondamentale per il messianismo: prevede la rinascita della Casa di David, l’avvento di un Re umile e pacifico, la Sua Trafittura, la teocrazia guerriera e cultuale secondo il modello di Ezechiele. Tutti questi elementi si riunificano storicamente in Cristo.

    TEORIA OLISTICA SULLA FORMAZIONE DEL LIBRO DI ZACCARIA

    A mio avviso, la scomposizione del Libro in tre parti di tre distinti autori non ha senso per le stesse ragioni che valgono per l’analoga vivisezione del Libro di Isaia. Se ci fossero stati profeti diversi da Zaccaria, ne sarebbe stato conservato il nome. A maggior ragione se uno di essi, il Deutero Zaccaria, fosse stato a lui anteriore. L’uso di brani poetici preesilici non pregiudica né il compimento profetico in Alessandro Magno né che ad adoperarli sia stato lo stesso Zaccaria. La serie di oracoli messianici troppo importanti per essere di un Profeta anonimo. La mancanza di determinazioni temporali può dipendere dal fatto che siano stati raccolti dopo la morte del Profeta o che questi non volesse esporsi eccessivamente col potere imperiale persiano. La differenza di stile è senz’altro strana, ma può essere causata dall’uso di altri modelli letterari.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    Da 1,7 a 6,15 il Libro descrive il Regno del Messia. 2,12 parla in Persona di Cristo. 3,1 annunzia il Sacerdozio rinnovato. 3,8-10 profetizza il Messia, il Germoglio (nazir, da cui Nazareno). 4,1 ss è anche messianico: il v.14 presenta due figli dell’olio figura dei due poteri del Messia: il regale (Zorobabele) e il sacerdotale (Giosuè). 6,1 ss attesta la perennità di questo potere. 6,12 annunzia che il Germoglio nascerà da Zorobabele quando la Casa di Davide sarà ancor più decaduta; si può tradurre anche in un modo che allude alla Concezione Verginale di Cristo. 8,8 annunzia la conversione dei Giudei al Cristianesimo. 9,9 ss descrive il Messia: Egli entrerà in Gerusalemme su di un asinello – nella Domenica delle Palme della liturgia cristiana – e sarà un Re mite e pacifico. 11,7 si riferisce al Messia Pastore mite e buono. 12, 10 profetizza che il Messia sarà trafitto. 13,1 ss allude al Battesimo. 14 parla dell’assalto finale dei malvagi alla Chiesa. 1,4 in Lc 15,20; 1,7 in Ap 6,1-9; 6,10 in Ap 5,6; 6,12 in Ap 6,10; 2,6 in Ap 11,1 e 21,15; 2,9 in Ap 21,23 e 22,3; 3,5 in Ap 19,8 e Lc 15,22; 3,10 in Ap 5,6; 5,11 in Ap 5,6; 4,14 in Ap 11,4; 5,2 in Ap 10,9-11; 6,1 in Ap 6,2-8; 9,16 in Mt 5,9 ed Ef 4,25; 8,19 in Mt 9,14-15; 9,9 in Mt 21,5 e 11,29; 10,11 in Mt 26,28; 10,2 in Mt 9,36; 10,10 in Lc 15,17; 11, 12 in Mt 27,3-10 (tradimento di Giuda); 11,16 in Mt 12,20; 11,17 in Gv 10,12-13; 12, 10 in Gv 19,37, Ap 1,7, Gv 3,14 e 16, Col 15,18; 13,1 in Gv 7,38; 13,7 in Mt 26,31; 14,5-6 in Mt 16,27p; 14,8 in Ap 21,23 e Gv 4,1; 14,9 in Ap 11,15; 14,11 in Ap 22,3; 14,21 in Gv 2,16. Zaccaria è il Profeta a cui più si allude nel NT dopo Isaia.

    IL LIBRO DEL PROFETA MALACHIA

    IL PROFETA

    Malachia può derivare sia da Mal’akni (mio nunzio) che da Mal’akhiggah (nunzio del Signore). Ultimo dei Profeti Minori, ci è totalmente sconosciuto. Probabilmente visse ai tempi di Esdra e Neemia, quando il Tempio funzionava di nuovo.

    STRUTTURA E CONTENUTO

    Il Profeta inveisce contro gli abusi nell’esercizio del culto, la noncuranza nei sacrifici e nell’insegnamento della Legge; rimprovera i frequenti matrimoni con gli idolatri e i numerosi divorzi, come la negligenza nel pagare le decime. Ciò riscontra la riforma di Esdra e Neemia. Il Libro usa molto il dialogo. Ha un prologo (1,1-5) in cui afferma che Dio preferisce Giacobbe ad Esaù, ossia Israele a Edom. Seguono due parti. La Prima (1,6-2,9) rimprovera sacerdoti e popolo per le negligenze cultuali e le imperfezioni delle vittime. In ragione di ciò Dio abolirà il sacerdozio levitico e instaurerà un sacerdozio nuovo che anche tra i pagani offrirà una oblazione pura e santa. La Seconda (2,10-3,21) rimprovera le nozze miste e i divorzi frequenti per poi annunziare l’arrivo dell’Angelo dell’Alleanza. Vi sarà una cernita in Giuda: gli empi saranno calpestati e i giusti salvi. Nell’epilogo (3,22-24) il Profeta richiama all’osservanza della Legge e annunzia il ritorno di Elia per preparare la venuta del Signore.

    DISAMINA FILOLOGICA E LETTERARIA

    A motivo del significato del nome del Profeta si ritiene che il Libro in realtà sia anonimo, ma a mio avviso è una motivazione poco forte. Anche perché non si capirebbe come mai il vero nome sarebbe stato nascosto. Composto da sei brani strutturati su di una affermazione di Dio o del Profeta a cui segue una discussione del popolo o dei sacerdoti con un successivo sviluppo discorsivo con minacce e promesse, il Libro ha due temi principali: le colpe cultuali e quelle matrimoniali. La piena attività del Tempio data il testo a dopo il 515, mentre la proibizione dei matrimoni misti di Neemia nel 445 è ovviamente il terminus ad quem. Malachia chiede rispetto per Dio e alla luce del Deuteronomio chiede una religione interiore in Suo Nome. Nell’età messianica preconizzata da Malachia, vi sarà ordine morale e cultuale, mentre tutte le nazioni offriranno a Dio un sacrificio gradito.

    IL SENSO PROFETICO ALLA LUCE DEL NT

    L’Angelo dell’Alleanza è il Cristo; la Sua venuta è preparata da un inviato (3,1) che è Giovanni il Battista (Mt 11,10; Lc 7,27; Mc 1,2), detto anche Elia alla fine del Libro (3,22-24), come del resto lo stesso Gesù spiegherà (Mt 17,11; Mc 9,11). Sul Sacrificio Nuovo od eucaristico in 1,6-2,9. 3,20 ha un Sole di Giustizia che è Cristo. 1,2-3 in Rm 9,13; 2,7 in Mt 23,13-15; 3,15 in Mt 5,31-32 p ed Ef 5,24-32; 3,1 in Mt 11,10, At 13,24-25 e Lc 1,17-76; 3


  • Theorèin - Luglio 2014