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VERBUM DOMINI Breve introduzione generale alla Bibbia COS’E’ LA BIBBIA La Bibbia è la raccolta dei Libri sacri degli Ebrei e dei Cristiani. Tali Libri sono nel complesso settantadue, scritti in diverse epoche e in diversi luoghi da autori che furono tutti ebrei, con l’eccezione forse di Luca. Trattando dei diversi Libri si può precisare meglio quanto concerne la cronologia scrittoria. In ogni caso l’ultimo Libro della Bibbia, l’Apocalisse di Giovanni, è stato scritto nel I sec. d.C. Dei Libri di solito si fornisce il nome con la sigla, per la citazione tecnica, essendo essi divisi in capitoli e versetti. La raccolta biblica ha avuto parecchi nomi: dapprima fu chiamata semplicemente “Libro”, Sefer; poi divenne un plurale antonomastico: Hassefarim, “i Libri”; indi essi furono detti esplicitamente “Libri Santi”. Nel Vangelo e in Paolo la raccolta è detta “la Scrittura”, “le Scritture”, “le Sacre Scritture”, “le Sacre Lettere”. Divenne poi comune l’uso delle due locuzioni indicanti le altrettante grandi sezioni bibliche: Antico (o Vecchio) Testamento (AT o VT) e Nuovo Testamento (NT). La parola latina testamentum traduce, nella Vulgata, il termine greco della LXX diathéke, che a sua volta rende l’ebraico berith, che significa “patto”. Diathéke significa altresì anche disposizione testamentaria, da cui viene l’uso equivoco del termine latino. La Palaiá Diathéke o Vetus Testamentum contiene dunque i Libri della Bibbia ebraica recepiti dalla Chiesa e vertenti sull’Alleanza tra Dio e il Popolo Ebreo. I suoi Libri sono quarantacinque, divisi in tre categorie, ossia Storici, Sapienziali e Profetici. Gli storici sono Genesi (Gn), Esodo (Es), Levitico (Lev), Numeri (Num), Deuteronomio (Dt), Giosuè (Gs), Giudici (Gdc), Rut (Rut), Primo e Secondo Libro di Samuele (1 e 2 Sam) o dei Re, Primo e Secondo o Terzo e Quarto Libro dei Re (1 e 2 Re), Primo e Secondo Libro delle Cronache o Paralipomeni (1 e 2 Cr o Par), Primo e Secondo Libro di Esdra o Esdra (Esd) e Neemia (Ne), Tobia (Tb), Giuditta (Gdt), Ester (Est), Primo e Secondo Libro dei Maccabei (1 e 2 Mac). I sapienziali sono Giobbe (Gb), Salmi (Sal), Proverbi (Prv), Ecclesiaste o Qoèlet (Eccli o Qo), Cantico dei Cantici (Ct), Sapienza (Sap), Ecclesiastico o Siracide (Eccl o Sir). I profetici sono Isaia (Is), Geremia (Ger), Lamentazioni (Lam), Baruc (Bar), Ezechiele (Ez), Daniele (Dn), Osea (Os), Gioele (Gl), Amos (Am), Abdia (Abd), Giona (Gio), Michea (Mic), Nahum (Na), Abacuc (Ab), Sofonia (Saf), Aggeo (Ag), Zaccaria (Zc), Malachia (Ml). La Kainé Diathéke o Novum Testamentum è invece l’insieme dei Libri dell’Alleanza tra Dio e i Redenti in Cristo. I suoi libri sono ventisette, divisi in tre gruppi, ossia Storici, Didattici e Profetici. Gli storici sono i Vangeli secondo Matteo (Mt), Marco (Mc), Luca (Lc) e Giovanni (Gv) e gli Atti degli Apostoli (At). I didattici sono le Lettere, divise in Lettere di Paolo e Lettere Cattoliche; le prime sono Ai Romani (Rm), Prima e Seconda ai Corinti (1 e 2 Cor), ai Galati (Gal), agli Efesini (Ef), ai Filippesi (Fil), ai Colossesi (Col), Prima e Seconda ai Tessalonicesi (1 e 2 Ts), Prima e Seconda a Timoteo (1 e 2 Tim), a Tito (Tit), a Filemone (Fil) e agli Ebrei (Eb); le seconde sono di Giacomo (Gc), Prima e Seconda di Pietro (1 e 2 Pt), Prima Seconda e Terza di Giovanni (1 e 2 e 3 Gv), di Giuda (Gd). Il libro profetico è uno solo, l’Apocalisse (Ap). In quanto poi al sostantivo “Bibbia”, altro non è che la traduzione letterale dell’espressione antonomastica tà Biblìa, “i Libri”, con cui si indicava la raccolta della LXX. Il neutro plurale greco divenne un femminile singolare latino, Bibiae. Di questi Libri, alcuni sono stati scritti in ebraico e altri in greco. Quasi tutti i Libri dell’AT sono stati scritti in ebraico, tranne due sezioni di Esdra e una di Daniele, scritte in aramaico – come un versetto di Geremia- e i Libri del Siracide, della Sapienza, di Tobia e il Secondo dei Maccabei, scritti in greco; del Primo dei Maccabei, di Baruc e di Giuditta, redatti in ebraico, c’è giunta la sola versione greca. Dei Libri del NT tutti sono stati scritti in greco. Abbiamo dunque un Libro e pluribus unum, attraverso la molteplicità di tempi, autori, luoghi e costumi, reso unitario dalla presenza costante e progressiva dell’azione di Dio nella storia. La Legge di Dio, immutabile, è il legame dei vari Libri, l’anima di ognuno di essi, la ragione per cui tutti e ciascuno hanno una medesima fisionomia. Questa piccola biblioteca è senz’altro la più importante raccolta della letteratura mondiale, per l’impatto civilizzatore, la missione particolare e sublime, il valore normativo, l’impronta divina. Nella pluralità degli stili e delle forme, essa è un capolavoro letterario assoluto e coerente, in cui alla molteplicità delle firme umane, spesso oggetto di accanite dispute identificatrici, si sostituisce l’unica mano di Dio. Nella ricchezza degli eventi e nella molteplicità delle ispirazioni si stagliano le grandi figure spirituali, tra cui primeggia quella universale di Cristo. Dall’inizio alla fine la Bibbia ha un solo unico protagonista: Dio stesso. COME LEGGERE LA BIBBIA La Bibbia è la Parola di Dio, cibo dell’anima, che va assunto nei modi giusti onde nutrire soprannaturalmente lo spirito. Le parole della Bibbia sono come la punta di una penna tenuta tra le dita (Sal 44,2): chi legge sente scorrere la punta come sulla carta e riconosce la Mano che la sostiene e la Mente che la guida. Solo chi sa che le parole lette e sentite escono dalla bocca del Creatore e Signore può intenderne il significato, esattamente come chi crede che Cristo è nell’Eucarestia può riceverlo solo con frutto. Diversamente anche il più erudito studio della Parola nelle sue forme originali sarebbe sterile. Vi sono quindi vere e false disposizioni. Queste ultime sono ovviamente dannose e da correggere, inutili e fuorvianti. Esse sono sostanzialmente tre: la diabolica, la critica, la curiosa. La prima è di chi cerca nella Parola le pezze di appoggio per i propri errori dottrinali e i propri vizi morali; tipica degli eretici, fortunatamente è rara. La seconda è quella del mero studio, magari orientato a demolire o a mettere in dubbio le verità di fede, o semplicemente atto a comprendere la formazione storica del testo, senza aprirsi al suo senso soprannaturale. E’ la conseguenza del razionalismo e il fondamento dello scetticismo. Se lo studio non è corretto da meditazione e lettura devota, esso è esiziale. Purtroppo è assai diffusa oggi, persino tra i biblisti. La curiosa è la disposizione di chi legge con levità, per divertimento, per svago, magari tralasciando quello che impressiona e senza nutrire alcuna convinzione profonda. E’ un atteggiamento sacrilego. Le disposizioni giuste sono quelle che invece permettono alla Bibbia di fruttificare in noi. Essa va letta nello spirito in cui fu scritta, come insegna l’Imitazione di Cristo. Lo spirito è ovviamente quello della Salvezza: la Bibbia è stata scritta da Dio per noi sue creature, onde potessimo tornare a Lui seguendone gli insegnamenti. Innanzi a Lui tutti coloro che leggono sono uguali, bisognosi umilmente di ammaestramento e luce, di attrazione verso le realtà celesti, di sostegno nell’aspro cammino, di amore e misericordia tra le miserie dell’esistenza fugace ed ingannevole. Perciò la Bibbia si deve leggere per sapere come andare in Cielo. Questa è la posizione generale che tutti i lettori di Bibbia devono assumere. In ragione di ciò si potranno assumere quelle tre posizioni particolari che sempre l’Imitazione di Cristo indica, nel suo primo capitolo, con questa semplice e scultorea frase: si vis profectum aurire, lege humiliter, simpliciter et fideliter. L’umiltà è la prima disposizione richiesta. Gesù dice che il Padre nasconde la Rivelazione ai sapienti e la mostra ai piccoli. Solo gli umili ricevono lo Spirito Santo, non i dotti o gli intelligenti. Perciò senza umiltà la Bibbia rimane un libro chiuso e incomprensibile, e le anime sono sterili innanzi alla sua forza fecondatrice. Ricordiamoci che leggiamo la Parola di Dio, il Signore, il Creatore, l’Assoluto; così questa disposizione sarà più facile; nessuno pensi di intendere la Bibbia con la luce del mero intelletto e con le categorie umane: si ingannerebbe e rimarrebbe privo della verità che essa contiene. La semplicità è la seconda disposizione. Essa riguarda l’intenzione. Nessuno deve leggere la Bibbia per erudizione o studio o bramosia di conoscere i divini segreti. Non serve sapere più del necessario ma quel che serve per ognuno; né va fissato il sole perché altrimenti accieca. E’ bene leggere col solo intento di conoscere la perfezione e la volontà divine, onde ispirarci e conformarci ad esse per andare verso Dio. La fedeltà è la terza, il coronamento delle altre due disposizioni. Perché chi legge deve voler mettere in pratica quanto intende. Non basta, ad esempio, che io che scrivo legga per erudire gli altri: ciò basta ad essi, ma non a me. La Bibbia si legge per sapere ciò che Dio vuole che noi facciamo. Esige raccoglimento, desiderio di distacco dalle cose del mondo, di conoscenza di Dio, di amore di Lui, proposito di perfezione; così essa santifica l’anima. In ragione di tali disposizioni, la Bibbia va letta in determinati tempi e luoghi, persino in certi atteggiamenti del corpo, che soli facilitino il raccoglimento alla presenza di Dio e mostrino all’occorrenza la nostra riverenza per Lui. La lettura biblica esige un metodo generale, atto cioè alle condizioni più comuni di chi legge, generalmente legate alla loro cultura – i casi psicologici sono talmente tanti che vanno personalizzati con una guida spirituale. Le persone comuni possono benissimo leggere direttamente i Quattro Vangeli, seguiti dalla Genesi, Tobia, Giuditta, Ester, Ruth, i Salmi e Daniele. Le persone di media cultura devono leggere ordinatamente tutta la Bibbia, onde accrescere il proprio scibile alla luce delle disposizioni di cui sopra. Potrebbero tralasciare il solo Cantico dei Cantici e rimandarlo alla maturità. In un quarto d’ora al giorno in due anni potrebbero leggere tutta la Bibbia con le note ordinarie, vedendone lo sviluppo storico-teologico. I sussidi minimi sono un atlante e una cronologia; i chierici e gli studenti dei corsi teologici sono aiutati dall’introduzione alla Scrittura studiata nei vari anni accademici. Le persone di alta cultura possono proficuamente, avendo già letto la Bibbia, rileggerla e comprenderne meglio il senso alla luce di altri libri e commenti. La lettura della Bibbia ben fatta non potrà non avere benefici effetti, così come li ebbe sugli Ebrei, i quali mantennero la propria identità grazie e soprattutto alle Sacre Scritture, che furono il loro unico sollievo. Essa ha nutrito e nutre di sé tutta la grande teologia della Chiesa, dalla patristica a quella dei dottori sino a quella contemporanea; ha alimentato gli splendori del culto e la profondità della devozione e della preghiera; ha sostenuto la vita morale; ha sollevato ad ardite speculazioni il pensiero umano; ha dato senso e significato all’esistenza degli individui; ha ispirato la riflessione etica razionale; ha nutrito e stimolato le arti le lettere e le scienze; ha motivato il diritto e la politica; ha stimolato la vita sociale e la riflessione sociologica, antropologica e psicologica; ha fecondato tutta la vita pubblica e privata. Laddove poi è giunto il Cristianesimo, esso ha portato con sé tali tesori. La Bibbia è e deve essere oggetto di devota lettura costante; in effetti essa materia di sé quotidianamente tutta la liturgia, sia eucaristica che delle Ore. Per cui ogni giorno e più volte in esso la Chiesa ascolta la Parola di Dio, la Parola di Cristo suo Sposo. In effetti non vi è vita cristiana senza almeno l’ascolto della Parola, nella Messa, o la lettura indiretta di essa attraverso libri che la citino o la parafrasino. Ma la lettura diretta è sacramento salvifico: modifica la mentalità, purifica i sentimenti, sostiene la volontà e santifica la persona. ISPIRAZIONE ED INERRANZA DELLA SCRITTURA La Bibbia ha Dio come autore, perché chi ne ha scritto i testi ha agito per opera dello Spirito Santo. Essa è stata affidata alla Chiesa proprio perché la custodisca fedelmente. Dio ha dato svariati segni di autenticità della propria ispirazione accompagnando la composizione e la narrazione dei testi con prodigi; ha confermato in più modi l’autentica natura dei testi già conservato; ha suscitato una intima armonia tra i testi stessi; ha mantenuto una costante fede nel loro valore normativo. Sia la Sinagoga che la Chiesa – e quest’ultima attraverso la voce unanime dei suoi Padri, dei suoi Pontefici, dei suoi Concili fino ad oggi – hanno proclamato la natura ispirata della Bibbia. Né potrebbe essere diversamente: se Dio non garantisse l’ispirazione delle Fonti della Rivelazione – ossia Bibbia e Tradizione- l’uomo non saprebbe nulla con sicurezza di lui; se non vi fosse tale ispirazione non avremmo il crisma dell’inerranza e quindi non avremmo guida verso il Signore. Leone XIII (1878-1903) scrisse che Dio suscitò nello scrivere ed assistette in esso gli agiografi, perché essi nella mente si facessero un concetto giusto e si formassero un proposito fedele di scrivere e poi in effetti scrivessero con veracità infallibile e apposita espressione di tutte e sole quelle cose che Egli comandava. Perciò l’ispirazione è anzitutto illuminazione e illustrazione della mente – mediante rivelazione per le verità sconosciute e mediante ragione per quelle già note- poi mozione della volontà e infine assistenza nello scrivere. Così l’agiografo capisce, vuole e scrive secondo il solo voler di Dio. Ciò è stato ribadito dal Concilio Ecumenico Vaticano II nella sua costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, la Dei Verbum. La conseguenza di ciò è che la Bibbia è inerrante. Tutto ciò che vi è scritto è garantito da Dio, Che né sbaglia né inganna. Non solo dunque la Bibbia è inerrante, ma non può non esserlo in quanto ciò che esce dalla Verità è Verità anch’essa a pena di assoluta e impossibile contraddizione. Se ci fossero apparenti contraddizioni tra la Bibbia e verità incontestabili, si possono supporre solo tre cause: sbaglio di copista, errore di traduzione o mancanza di comprensione del lettore. Ciò fu saggiamente sentenziato da Agostino, che attribuisce l’errore della Scrittura non alla sua affermazione errata ma essenzialmente alla nostra cattiva comprensione di essa. Tutto ciò che la Bibbia afferma è vero. Tuttavia la verità va intesa in modo graduale, conforme al genere letterario adottato dall’agiografo. Tale genere poi, perché rimanga sempre finalizzato al senso spirituale della Bibbia, va rapportato all’interpretazione costante che di esso la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito, vi ha dato. Sbaglierebbe dunque chi volesse fare dell’inerranza assoluta un dogma di fede, attribuendo alla Bibbia un valore scientifico e storico vincolante. Tale inerranza, che pure a volte è stata insegnata, non è indispensabile per la fede e non è quella che Dio ha garantito, sebbene sia giusto constatare, tutte le volte che si può, la perfetta compatibilità tra la Bibbia e le fonti esterne ad essa, sia nelle scienze che nelle discipline umanistiche. Peraltro la Bibbia ha dentro di sé le cognizioni, ritenute vere, delle varie epoche in cui è stata scritta e funzionali all’esposizione storico-letteraria. Esse non vincolano la fede, anche se i contenuti di essa si esprimono tramite tali cognizioni, che non possono essere cambiate, avendo Dio scelto che nella Sua Parola forma e contenuto coincidessero perfettamente. I SENSI E L’INTERPRETAZIONE DELLA SCRITTURA Nella lettura della Bibbia si distinguono quattro sensi, sebbene tutti convergano verso l’esplicazione del significato pieno dell’unica vera Parola della Scrittura, ossia il Cristo, il Quale come Logos è la Parola eterna ed unica del Padre. Il primo è quello letterale, su cui si fondano tutti gli altri e che rende appunto il significato autentico della Bibbia secondo una retta esegesi. Gli altri tre sensi sono spirituali, ossia si esprimono mediante dei segni o simboli, ovviamente interscambiabili. Abbiamo dunque un senso allegorico che ci fa leggere i fatti alla luce del Cristo e arricchisce quindi i contenuti della Fede. In tal senso Abramo, Isacco, Mosè sono figure del Cristo e l’Arca dell’Alleanza è figura di Maria. Altri esempi si faranno per i vari Libri. Il senso morale invece ci mostra ciò che è giusto fare mediante esempi e insegnamenti. Il senso anagogico nutre la speranza, decodificando eventi e realtà alla luce del loro significato eterno. Per esempio la Chiesa in terra simboleggia la Gerusalemme celeste. La retta interpretazione dei quattro sensi, preparata dallo studio dei sani esegeti, spetta in ultima analisi alla Chiesa docente, illuminata e guidata infallibilmente dallo Spirito Santo, come la stessa Bibbia attesta. Il principio riformato del Libero esame individuale non solo non è attestato nella Bibbia e nella Tradizione, ma ha prodotto una proliferazione di Chiese a dimostrazione del fatto che Dio non concede ai singoli la Sua infallibile assistenza, altrimenti tutti intenderebbero la Bibbia allo stesso modo. Prestare grande attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, leggerla nella Tradizione di tutta la Chiesa, essere attenti all’intima coesione delle verità di fede attraverso l’analogia della Fede sono tre criteri indispensabili per la corretta interpretazione della Bibbia. La necessità di una armonica lettura tra Bibbia e Tradizione è una costante dell’ermeneutica biblica. Contestata dai Riformatori protestanti in virtù del principio della sola Scrittura come fonte della Rivelazione, essa è invece biblicamente fondata e scientificamente ineludibile, essendo la Bibbia una tradizione scritta accanto alla quale scorre il fiume di quella orale. La Chiesa docente ha costantemente riservato alla interpretazione della Bibbia le sue energie ispirate. Tutto il Magistero si nutre di Bibbia e Tradizione. In tempi recenti Leone XIII, San Pio X (1903-1914), Benedetto XV (1914-1922), il venerabile Pio XII (1939-1958) hanno dedicato importanti documenti alla teologia biblica, confluiti poi nella menzionata Dei Verbum del Concilio Vaticano II (1962-1965). La XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nel 2008 sotto Benedetto XVI (2005-2013) ha illustrato ancora l’importanza della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, fornendo allo stesso Papa il materiale per l’ultimo grande documento magisteriale sulla Bibbia, l’esortazione apostolica Verbum Domini del 2010. Un ausilio fondamentale alla retta interpretazione della Bibbia è venuto dalla Pontificia Commissione Biblica, fondata da Leone XIII nel 1902. Egli e Pio X avevano concesso alla Commissione Biblica ampie competenze riguardo alle emergenti questioni e controversie bibliche, provocate dalla critica moderna. Dal 13 febbraio 1905 sino al 17 novembre 1921 la Commissione Biblica emanò 14 decreti (o decisioni) e 2 dichiarazioni in forma di risposta a quesiti o a dubbi proposti. Tali decreti sono raccolti nell’Enchiridion biblicum. Sotto Pio XI (sino al 30 aprile 1934) seguirono altri due decreti, per un totale di 18 interventi. Tali insegnamenti rimangono orientativi e vincolanti nella natura loro propria e secondo le norme della teologia fondamentale della Chiesa. Nel 1971, per volere del b. Paolo VI (1963-1978) l’organismo cessò di essere magisteriale per diventare consultivo, venendo composto di esperti e non più di Cardinali. La necessità di interpretare correttamente la Bibbia, di inserirla nel solco di una tradizione viva e ampia nonché di conservare la comprensione raggiunta sono istanze sentite già anche dalla Sinagoga. I risultati in tal senso non sono vincolanti per la Chiesa, ma senz’altro utili. E prima che lo Spirito scendesse sulla Chiesa, la Sinagoga fu senz’altro aiutata da Lui nella retta comprensione della Bibbia . PARVA IN VETUS TESTAMENTUM Breve introduzione all’Antico Testamento Sebbene noi viviamo nel regime del Nuovo Testamento, anche l’Antico è parte ineliminabile della Bibbia. Divinamente ispirati, i suoi Libri valgono perennemente. Infatti l’Antica Alleanza non è stata revocata ma ordinata a preparare la Nuova; essa contiene nei suoi Libri cose imperfette e temporanee, abolite e completate in Cristo, ma il suo insegnamento, la sua preghiera, la sua religiosità, la sua sapienza e il suo mistero salvifico rimangono validi. IL CANONE VETEROTESTAMENTARIO E LA SUA FORMAZIONE La parola canone è la traduzione italiana del termine greco kanon, corrispondente all’ebraico qaneh, e indicante la regola o la norma di qualcosa. Nel lessico tecnico biblico indica appunto gli scritti legalmente riconosciuti come ispirati e quindi come normativi. Il canone biblico cattolico è quello dei Libri indicati nel primo paragrafo di questa introduzione, ma esso ha una storia che merita di essere raccontata a sommi capi. Anzitutto va detto che i Libri canonici sono stati riconosciuti formalmente tali per distinguerli da altri testi religiosi che invece erano idiotikoi, profani, e che perciò vennero detti apocrifi, ossia da tener nascosti nel corso delle adunanze religiose. L’antica Bibbia ebraica comprendeva ventidue libri, uno per ogni lettera dell’alfabeto. Altri libri furono considerati ghenuzim o pesulim, ossia apocrifi. I criteri di accoglimento dei Libri nel canone ebraico di Palestina sono ignoti. Molto probabilmente ci si rifaceva alla tradizione e all’autorevolezza dell’attribuzione. Nell’ultima tappa della sua formazione, ossia nel Concilio rabbinico di Iamnia del 90 d.C., resosi necessario dopo la sparizione di tutte le scuole teologiche ebraiche in seguito alla Guerra Giudaica (66-73), la conferma dei testi in forse, come il Cantico dei Cantici, il Qoélet e il Libro di Ezechiele, si fece sulla base della tradizione storica mai contraddetta. La Bibbia ebraica si divide in tre parti: la Legge, i Profeti e gli Agiografi. La Legge è detta anche Torah, dal verbo yarah, che nella forma hifil vuol dire “insegnare”. E’ perciò un insegnamento imposto o, in greco, nomos, da cui l’italiano “Legge”. Essa sta a designare sia la Legge di per sé che i Libri che la contengono. Sebbene considerati un tutt’uno, essi furono per ragioni di praticità di utilizzo divisi in cinque rotoli maneggevoli, dalle cui custodie venne anche il nome di Pentateuco, adoperato per la prima volta dallo gnostico Tolomeo (150-175) e poi da Tertulliano, da Origene e dai Padri in genere. Ognuno dei rotoli ricevette un titolo corrispondente alle parole iniziali del Libro in esso contenuto. Gli ebrei di Alessandria nella versione greca della Bibbia, ossia la LXX, diedero a ciascun volume un titolo che rimandava sommariamente al contenuto. Questi sono i titoli che sono entrati nel canone cristiano, ossia Genesi per il Libro delle origini; Esodo per il Libro dell’uscita dall’Egitto; Levitico per il Libro contenente le norme cultuali da eseguirsi da parte del clero della tribù di Levi; Numeri per il Libro del censimento; Deuteronomio per il Libro in cui la Legge è ricapitolata e quindi data come una seconda volta. I Profeti o nebiim indicano i testi intitolati a personaggi storici, le cui gesta o parole sono appunto messe per iscritto. I Profeti detti Anteriori sono operanti nei Libri di Giosuè, dei Giudici, di Samuele, dei Re; i Posteriori sono quelli i cui vaticini vanno sotto i nomi di Isaia, Geremia ed Ezechiele, più quelli dei Dodici Profeti minori contati come un solo testo, ossia Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Gli Agiografi o ketubim comprendono testi di differente genere. Abbiamo i Salmi, Giobbe, i Proverbi e poi i cosiddetti Cinque Rotoli (letti in altrettante feste religiose, ossia Rut, Cantico dei Cantici, Ecclesiaste, Lamentazioni ed Ester), indi Daniele, Esdra, Neemia e i due Libri delle Cronache. La tradizione vuole che questi Libri fossero fissati in tale canone dalla Grande Sinagoga di centoventi membri fondata da Esdra nel 444 a.C. e operante fino al 200 d.C. Ma la sua esistenza è leggendaria. Di certo la Bibbia ebraica risultava composta di testi solo in madrelingua, eccettuati alcuni capitoli di Esdra e Daniele e di un versetto di Geremia, in aramaico. Sull’ingresso dei singoli Libri nel gran canone diremo per ognuno di essi. Per ora basti dire che a mio avviso ci furono canoni più antichi e che il processo di formazione potè andare per tappe. I termini Esateuco, Eptateuco, Ottateuco, Storia deuteronomista, testi di Esdra, testi di Geremia, indicano proprio queste raccolte che si ingrandirono progressivamente fino a fissarsi nel canone che abbiamo narrato. Di essi parleremo a tempo debito. Accanto tuttavia al canone palestinese esistettero altri testi, alcuni scritti prima, altri dopo la sua fissazione. Sono il Siracide, Tobia, Giuditta, i Libri dei Maccabei, la Sapienza, Baruc e la Lettera di Geremia, parti di Ester e Daniele. Essi erano destinati ad entrare in un secondo canone, quello alessandrino. La ragione del ritardo del loro ingresso nell’elenco sacro sta essenzialmente nella loro composizione tardiva e nel fatto che, per i più antichi tra essi, non si riuscì a fissare bene l’ordine della loro successione. In ogni caso la LXX recepì tutti i Libri ebraici e aggiunse altri testi. Essa si divide tra Libri Storici, Didattici e Profetici. Nei primi annoveriamo il Pentateuco ormai diviso in cinque Libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Indi Giosuè, Giudici, Rut; Primo, Secondo, Terzo e Quarto Libro dei Regni (dei quali i primi due altro non sono che il Primo e Secondo Libro di Samuele); Primo e Secondo Libro delle Cronache dette anche Paralipomeni dai traduttori – ossia “continuazioni” della storia dei Libri precedenti- Primo e Secondo Libro di Esdra (dei quali il Primo corrisponde al Terzo Libro di Esdra considerato apocrifo dalla Chiesa Cattolica), Neemia; Ester (ampliato), Giuditta, Tobia; Primo, Secondo e Terzo Libro dei Maccabei (dei quali l’ultimo la Chiesa Cattolica non riconosce ispirato). Nei Didattici abbiamo i Salmi, Giobbe, le Odi (che la Chiesa Cattolica non ha recepito nel suo canone), l’Ecclesiaste – nome greco del Qoélet- il Cantico dei Cantici, la Sapienza di Salomone, la Sapienza di Sirach (ossia il Siracide o Ecclesiastico). Tra i Profetici annoveriamo: Osea, Amos, Michea, Gioele, Abdia, Giona, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Isaia, Geremia, Baruc, Lamentazioni, Epistola di Geremia – che nel canone cattolico fa parte di Baruc- Ezechiele e Daniele – ingrandito con gli episodi di Susanna, di Bel e del Drago). Questo canone veterotestamentario è stato mantenuto dalla Chiesa Ortodossa e dalle Chiese Siriache. Esso si diffuse tra le comunità ebraiche della diaspora greco-romana. I Libri del canone palestinese, accettati da tutti, furono detti omologoumena o protocanonici; quelli del canone alessandrino deuterocanonici. La distinzione continuò a sussistere anche nel Cristianesimo. Nei primi secoli di esso Melitone di Sardi, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio di Nazianzo accettarono solo il canone di Palestina. Atanasio, Ilario, Epifanio, Rufino considerarono i deuterocanonici come meri libri edificanti. Girolamo sentenziò che tutto ciò che non c’era nel canone palestinese era apocrifo. Sulla sua scia si mossero Gregorio Magno, Ugo di San Vittore, Giovanni di Salisbury, Ugo di Saint-Cher. Niccolò di Lira, Antonino di Firenze, Alfonso Tostato, Dionigi il Certosino sostennero che i deuterocanonici erano da leggere ma non da utilizzzare nelle dispute dogmatiche. Ciò preparò il rigetto, dapprima parziale e poi totale, che dei Libri deuterocanonici avrebbero fatto i Protestanti. La medesima opinione fu ribadita dalla Bibbia Complutense nel 1545 e dal cardinal Gaetano. Tuttavia solo nel 1827 la Società Biblica inglese – tra i protestanti – espulse i Libri deuterocanonici dalle sue Bibbie, non senza suscitare grande dibattito tra i teologi. La traduzione ecumenica della Bibbia mette invece i deuterocanonici in una sezione a parte. La genuina tradizione cattolica invece, sia in Oriente che in Occidente, prima e dopo lo Scisma d’Oriente, ha riconosciuto che i deuterocanonici erano ispirati allo stesso modo dei Libri del canone palestinese. Clemente Romano, Policarpo, Clemente di Alessandria, Origene, Tertulliano, Agostino, Efrem, Afraate, Grillone e tutti gli altri, con una teoria di nomi che risale sino alle origini e non si interrompe mai, affermano la natura ispirata dei deuterocanonici; la pietà e il culto, il sentire dei fedeli hanno mantenuto la medesima opinione. La sanzione di ciò non è mai mancata: il Decretum Gelasii, che sebbene attribuito a papa Gelasio (492-496) fu promulgato da papa Damaso nel 374 nel Concilio romano da lui presieduto, sanziona il canone allargato. Nel 393 il Concilio di Cartagine ribadisce questa posizione per la Chiesa Africana. Un altro Sinodo convocato in quella città ripete la norma nel 402. Papa Innocenzo I ribadisce questo canone nel 405. Il Concilio di Trento ribadì nel modo più solenne possibile l’ispirazione di tutti i Libri del canone allargato nel 1546 . TRADIZIONE E VERSIONI DEL TESTO VETEROTESTAMENTARIO L’AT indica diverse circostanze in cui furono pubblicati certi scritti fin dall’epoca più remota. Nei racconti della conclusione dell’alleanza, Mosè e Giosuè scrivono ciò che Dio ordina loro di scrivere. Le stipulazioni della divina alleanza sono legalmente approvate e inalterabili in quanto incisi su tavole come iscrizioni lapidarie o come iscrizioni monumentali pubbliche. Le leggi promulgate sono conservate in un archetipo scritto e deposto in luogo santo. Alcuni profeti scrivono i loro oracoli per conservarli. Alcuni documenti amministrativi e giuridici devono essere conservati al sicuro di ogni cambiamento. A corte, gli scribi raccolgono ufficialmente le tradizioni sapienziali e storiche. Gli scritti, diventati così di proprietà di una comunità religiosa, formano per essa una collezione di testi sacri e canonici, ossia un canone. Bisogna peraltro distinguere tra canone da un lato e definitiva fissazione del testo degli scritti canonici, dall’altro lato. Infatti può essere pubblicata una nuova edizione di un libro canonico a causa di nuove circostanze che richiedono un adattamento di un testo biblico fino ad allora in uso. Questo libro, pur essendo canonico, avrà perciò un testo in certa misura modificabile da una legittima richiesta. La comunità ebrea si trovò in questa situazione tra il XVI e il X, tra il VII e il V, tra il III e il I sec. a. C.. Per questi ultimi secoli lo provano le correzioni degli scribi che riguardano importanti punti testuali, come per es. Dt 32,8. Tali interventi sui testi canonici si fecero solo su iniziativa autorizzato. A tali revisioni fanno riferimento quelle espressioni come Esateuco, Eptateuco, Ottateuco, storia deuteronomista, di cui diremo bene in seguito e che sono ipotizzabili e ricostruibili in parte a tavolino. L’esempio di un’edizione della Torah che già esisteva nel III sec. a.C. è il Pentateuco samaritano, la Bibbia della comunità samaritana, ossia della comunità meticcia discendenti dagli Ebrei non deportati in Babilonia stabilitisi nei territori del Regno di Israele e dai popoli ivi stanziati dagli Assiri già in precedenza. Un’ulteriore prova dell’esistenza di edizioni autorizzate o canoniche deriva dalle recensioni della versione biblica dei Settanta. La versione dei Settanta (LXX) è la prima traduzione del Pentateuco in greco (III sec. a.C.), presumibilmente in caratteri fenici. Secondo la Lettera d’Aristea a Filocrate, questa traduzione fu fatta su richiesta di Tolomeo II Filadelfo (285-246) da parte di settantadue traduttori (donde il termine di “Settanta”) sull’isola di Faro vicina ad Alessandria; il Lagide voleva infatti donare alla Biblioteca alessandrina, come richiestogli da Demetrio Falereo che la reggeva, un testo greco del Libro Sacro degli Ebrei e si era rivolto al sommo sacerdote Eleazaro che gli aveva inviato quei dotti. La rimanente parte della traduzione in greco dell’AT seguì nel II e I sec. a.C. Il manoscritto più antico di una recensione è il rotolo del Dodekapropheton trovato a Nahal Hever vicino al Mar Morto. Esso si situa intorno alla metà del I sec. I traduttori “esaplari” - così chiamati perché il loro lavoro fu raccolto da Origene nella Esapla nella prima metà del III sec. d. C. – ossia Aquila, Simmaco, Teodozione, Quinta, tra il I e il II sec. d.C., sono in realtà dei “recensori”, cioè dei redattori che riprendono la traduzione dei Settanta per adeguarla in maniera più o meno radicale al testo protomasoretico, che ai loro occhi ha un’autorità esclusiva. Esso è caratterizzato da particolarità di grafia e di forme che si ritrovano nel testo masoretico, ma che sono assenti negli altri testi. Questo testo è attestato nei manoscritti del Mar Morto, e cioè prima del 70 d. C. Pertanto occorre distinguere tra la composizione letteraria dei libri biblici e le loro edizioni successive, che hanno modificato a volte su certi punti un libro canonico. Questa pluralità delle edizioni o delle forme testuali riguarda la stessa Bibbia ebraica prima dell’inizio della nostra era. Essa. L’edizione samaritana e i manoscritti del Mar Morto talvolta sono conformi ad un testo che doveva confluire a volte in quello masoretico, appunto il protomasoretico, e altre nel testo greco della Settanta, la cui traduzione si basava su un testo ebraico identico detto Vorlage. Questo fatto dimostra che la forma testuale di certi libri della Bibbia greca non è dovuta ai traduttori greci, ma corrisponde alla base ebraica che essi avevano sotto gli occhi e traducevano fedelmente. E’ possibile individuare alcune di queste edizioni distinte di diversi libri biblici: l’Esodo, Samuele, Geremia, Ezechiele, Esdra, Neemia, Daniele e anche altri. Sembra probabile che, per determinati motivi, l’autorità delle comunità giudaiche abbia ripubblicato certi libri biblici in una forma modificata. La cronologia delle edizioni non è ancora ben conosciuta perché la loro successione temporale è sempre oggetto di discussione. Tuttavia verso la fine del I sec. d. C. un testo acquisì lo statuto di esclusivo nella liturgia sinagogale e negli studi sulla Scrittura (salvo per la torah letta nella comunità samaritana). E’ più difficile indicare l’epoca della biforcazione dei libri biblici in edizioni distinte: forse avvenne nel II e nel I sec. a.C. Verso la fine del I sec. d.C., un testo ebraico consonantico particolare fu adottato come l’unico autorizzato nella comunità giudaica. Questo testo risale senza dubbio ad un manoscritto individuale di qualità eccellente. Viene chiamato Testo Masoretico. Comporta le consonanti, i segni di punteggiatura e di “cantillazione” (accenti o te’amîm), le vocali, le divisioni in capoversi, sezioni e libri, le note testuali in succinto (“piccola massora”) o in forma dettagliata (“grande massora”) nei margini dei manoscritti, compilate dagli studiosi medievali del testo, detti appunto masoreti. Le divisioni in paragrafi, sezioni e libri non sono mai state esattamente unificate; risalgono ai cicli liturgici di lettura. I manoscritti del Mar Morto, la LXX e il TM attestano diversi tipi di sistemi di suddivisione. Gli accenti sono più antichi delle vocali. L’annotazione degli accenti e delle vocali risale al periodo tra VI e VII sec. d.C. Si distinguono il sistema babilonese, più antico, quello palestinese e il sistema tiberiense, più sviluppato e più recente, che si è imposto verso il X sec. I segni vocali masoretici corrispondono ad una fonetica più antica. Le trascrizioni greche e latine dei termini e dei nomi ebraici nell’antichità (LXX, traduzioni esaplari, Vulgata, Giovanni Crisostomo, Gerolamo, Teodoreto, ma soprattutto la colonna di trascrizione delle parole del testo ebraico nella Esapla) evidenziano la stabilità fonetica e le variazioni che sono intervenute. Le annotazioni masoretiche sono destinate a proteggere dalle alterazioni il testo considerato corretto. Queste annotazioni non registrano le lezioni secondarie varianti ma indicano le forme testuali considerate originali. Il primo compito della critica testuale della Bibbia è l’accertamento del TM tiberiense (consonanti, accenti, vocali, suddivisioni, massore). La più importante collazione di manoscritti ebraici è quella di Benjamin Kennicott in due volumi in folio (Oxford, 1776-1780). Giovanni Bernardo De Rossi l’ha completata con una scelta supplementare in due volumi (Parma, 1784-1798). Si tratta di sapere se essi contengono delle lezioni indipendenti dai manoscritti masoretici eruditi dei secc. X e XI e più antichi di questi testi. Tuttavia certi autori definiscono in altro modo la finalità della critica testuale della Bibbia ebraica. Secondo loro, bisogna stabilire un testo biblico critico, a volte chiamato testo “eclettico”, partendo da tutti i testimoni testuali. Questo scopo resta senza dubbio il fine ultimo di un lavoro di edizione della Bibbia ebraica, ma presuppone che prima di tutto siano risolti il problema dell’identificazione e della cronologia di ogni tipo testuale attestato in ebraico o nelle versioni. Ma ciò non sembra essersi ancora verificato. La scelta del TM tiberiense, arricchito di ogni informazione testuale disponibile dopo gli inizi della storia testuale, è dunque conseguenza delle fonti della storia del testo dell’AT. La più antica traduzione della Bibbia è quella dei LXX. Essa costituisce un testimone testuale assai prezioso per la sua antichità. Ha vissuto una storia testuale complessa. Dopo la scoperta dei manoscritti biblici del Mar Morto, alcune forme testuali della LXX si trovano in ebraico. I Targumim (traduzioni aramaiche dei libri biblici, di autori e epoche diverse ), la Peshitta (traduzione siriaca del II sec.), la Vulgata (nuova traduzione in latino da parte di Gerolamo dei libri del canone giudaico- eccetto il Salterio, per il quale è stata conservata la traduzione della Vetus Latina- realizzata prima e dopo il 400) corrispondono spesso ad una base ebraica identica al testo protomasoretico. La Vetus Latina (ossia le traduzioni latine preesistenti a quella di Girolamo ), le traduzioni copte, la versione etiopica e armena hanno come base la LXX, di cui possono essere a volte testimoni più antichi degli stessi manoscritti greci. Sintetizzando nella storia della fissazione del testo abbiamo dapprima la composizione letteraria dei testi biblici, tendente alla loro pubblicazione o alla loro edizione in periodi diversi; poi abbiamo la formazione di una collezione di libri sacri con un testo relativamente stabile; indi vengono introdotte modifiche letterarie in certi scritti canonici, dando luogo in questo modo a nuove edizioni di questi scritti. In questa fase la stabilità testuale dei libri canonici non è ancora diventata assoluta (III sec. a. C. - I sec. d. C.). Infine vi sono la fase del testo protomasoretico, caratterizzato dalla stabilità ormai assoluta e anche, assai probabilmente, da una certa sicurezza delle tradizioni orali concernenti la pronuncia e la suddivisione del testo biblico (fine del I sec. d.C.) e quella del TM propriamente detto, caratterizzata dalla notazione dell’accentuazione (puntazione), dalla vocalizzazione e dalla suddivisione del testo biblico, e dallo svilupparsi progressivamente di una “critica testuale” sistematica sotto forma di note Theorèin - Settembre 2014 |