LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
Entra nella sezione FILOSOFIA

Se vuoi comunicare con Vito Sibilio: gianvitosibilio@tiscalinet.it

IN EPISTULAS SANCTI IOHANNIS

Breve introduzione alle Lettere di San Giovanni Apostolo

L’AUTORE

Nato a Bethsaida di Galilea, era pescatore col padre Zebedeo. Sua madre si chiamava Salome, suo fratello era Giacomo il Maggiore. Forse erano di famiglia aronitica o levitica. Fu chiamato da Gesù a seguirlo assieme al fratello Giacomo e figura con lui nell’elenco degli Apostoli, componendo con Pietro la triade alta degli intimi del Signore. Essi furono testimoni della Trasfigurazione di Gesù e scelti per dargli conforto nell’Agonia del Gethsemani. Giovanni fu tra i primi chiamati, fu il discepolo che il Signore amava – come egli stesso si definisce – per il suo ardore e la sua giovane età impreziosita da una verginità che non abbandonò mai. Fu alla sinistra di Gesù nel Cenacolo e potè reclinare il suo capo sul Cuore di Cristo ascoltandone la profondità dei battiti. Unico discepolo a non abbandonare Gesù durante la Passione, entrò con Lui nella Casa di Caifa assistendo al processo religioso. Ai piedi della Croce ricevette da Gesù la cura della Beata Vergine e fu dichiarato suo figlio dal Redentore moribondo. Egli per primo, avvisato con Pietro dalla Maddalena, giunse al Sepolcro vuoto anche se non capì che il Maestro era risorto. A lui, nella terza apparizione dopo la Resurrezione, Gesù profetizzò indirettamente che non sarebbe stato martirizzato, avendo rischiato la sua vita ai piedi della Croce.

Negli Atti Giovanni fu al fianco di Pietro quando questi guarì lo storpio e fu tra le personalità principali della Chiesa primitiva; questa funzione gli è riconosciuta anche da Paolo che si recò a consulto da lui, Giacomo e Pietro. Forse Giovanni abbandonò Gerusalemme provvisoriamente già nel 42, per sfuggire alla persecuzione di Erode I Agrippa (10 a.C.-44 d.C.), assassino del fratello e incarceratore di Pietro, e già da allora potrebbe essersi recato in Asia Minore, con la stessa Madre di Dio, per poi tornare in patria dopo il 44. Di certo lasciò Gerusalemme dopo la Dormitio della Vergine Maria, avvenuta secodo Eusebio nel 48, non senza aver partecipato al Concilio di Gerusalemme. Nel 53 potrebbe essere ancora a Gerusalemme. Nel 57 in ogni caso non era più in città. Quando Giovanni iniziò per certo il suo soggiorno stabile ad Efeso, nel 66, gli altri Vangeli erano già stati scritti; perciò egli avrebbe potuto scrivere il suo sempre per ultimo, ma molto prima dell’ultima decade del I sec., anzi addirittura prima della Distruzione di Gerusalemme, almeno nella sua stesura più arcaica. Girolamo pone la composizione prima dell’esilio di Patmos e parla di un ritorno ad Efeso nel 96 ca. Negli anni tra il 60 e il 65 si collocano le Lettere.

Tutti gli autori antichi attestano che egli non fu martirizzato, ma che ampiamente soffrì per il Vangelo. Tertulliano attesta che Giovanni fu gettato da Domiziano in una caldaia di olio bollente e che ne uscì illeso. Ciò prova che l’Apostolo stette a Roma almeno nel periodo di trapasso da Tito (78-81) e Domiziano (81-96). Girolamo in particolare scrive: "Giovanni, Apostolo prediletto di Gesù, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo decollato da Erode, [..] avendo Domiziano decretato la seconda persecuzione nel quattordicesimo anno dopo Nerone [ossia nell’81 n.d.r.], egli fu relegato nell’isola di Patmos; sotto Nerva tornò ad Efeso, ove morì di vecchiaia, sessantotto anni dopo la Passione di Cristo [ossia nel 98-99 n.d.r.] ." Non mancano ipotesi che retrodatano il suo esilio. Morto Nerone nel 68 e impostisi i Flavi, Domiziano, reggente a Roma dal gennaio al giugno del 70 mentre il padre Vespasiano (69-79) e il fratello Tito (79-81) assediavano Gerusalemme, avrebbe già da questa data esiliato Giovanni Apostolo a Patmos, dove questi scrisse l’Apocalisse prima ancora che il Tempio fosse distrutto e con una nitida memoria della persecuzione di Nerone (14, 8; 18, 2; 11, 1 ss.; 13; da cfr. con Tacito, Hist. 3, 72.83; 4, 1). In tal caso, Giovanni avrebbe visitato Roma già da quell’epoca e scritto l’Apocalisse prima del Vangelo.

LA DATAZIONE

Secondo il Robinson le tre Lettere di Giovanni, nell’ordine di Seconda, Terza e Prima, sono legate all’ambiente giudaico-cristiano ma diffuse in Asia Minore; stigmatizzano gli gnostici e i docetisti. Sono ascrivibili all’Apostolo e al periodo tra il 60 e il 65, con richiami alle Lettere di Giuda e Seconda di Pietro. La comune datazione della Prima alla fine del I sec. in concomitanza col Quarto Vangelo perde di autorevolezza se si considera che quel Vangelo è anteriore alla Distruzione del Tempio. Non manca chi mette alla fine del I sec. anche la Seconda e la Terza Lettera, evidentemente con maggior fondamento della Prima. Personalmente collocherei la Prima in concomitanza del Vangelo, del quale segue le sorti nella datazione, ovviamente nella forma definitiva, ma sempre prima del 70, e la Seconda e la Terza alla fine del secolo.

LA PRIMA LETTERA DI SAN GIOVANNI APOSTOLO

DESTINATARI

Scritta per prefare il Vangelo e accompagnarlo richiamandolo in molti punti, la Lettera è indirizzata a tutta la Chiesa ed è dettata ad Efeso.

CONTENUTO E STRUTTURA

Essa batte in breccia l’incipiente gnosticismo che proprio in Efeso e nell’Asia Minore trovava il suo alimento dai giudaizzanti e da certa filosofia. La Divinità di Cristo era negata, non potendo Dio stabilmente unirsi ad una natura umana, intrinsecamente perversa perché materiale. La Redenzione svilita in quanto per la salvezza bastava la gnosi, riservata peraltro a pochi eletti. La stessa sofferenza di Gesù era considerata solo apparente.

Nella Lettera distinguiamo un prologo, due parti ed un epilogo. Il Prologo (1,1-4) compendia la dottrina della Lettera, ossia che il cristiano è chiamato a vivere della vita di Dio, comunicata da Cristo per grazia, nella fede e nella carità. La Prima Parte (1,5-2,29) ricorda l’obbligo di essere figli della Luce, di confessarsi poiché Cristo ci ha meritato il perdono, di osservare i Comandamenti, specie quello della carità, di fuggire lo spirito mondano e gli eretici, attenendoci all’insegnamento dello Spirito Santo. La Seconda Parte (3,1-5,11) inculca le virtù cristiane della giustizia, della carità verso Dio e il prossimo; esorta alla santità e alla fuga del peccato e degli eretici. Rammenta che per essere figli adottivi di Dio è necessario credere in Cristo. L’Epilogo (5,12-21) sottolinea l’efficacia della preghiera e dà alcune raccomandazioni finali.

DISAMINA CONTENUTISTICA, LETTERARIA E FILOLOGICA

Letterariamente e dottrinalmente la Lettera è strettamente legata al IV Vangelo, come dicevamo. L’annosa questione relativa alla sua precedenza o successione al IV Vangelo si può dirimere considerando che lo stesso Vangelo ebbe più edizioni, per cui la Lettera senz’altro precedette la forma finale dello stesso. In essa Giovanni ha condensato la sua esperienza religiosa: temi paralleli successivi (luce 1,5ss.; giustizia, 2,29 ss.; amore 4,7-8s.; verità, 5,6s.) servono ad illustrare l’intimo legame che esiste tra il nostro stato di figli di Dio e la nostra retta vita morale, considerata come fedeltà al duplice comandamento della fede in Cristo e della carità fraterna.

LA SECONDA LETTERA DI SAN GIOVANNI APOSTOLO

Sebbene essa non porti il nome di Giovanni e per la sua brevità (13 versetti) non fosse nota a tutte le Chiese antiche (in Origene, Eusebio, Girolamo riportano gli echi dei dubbi sulla sua canonicità e le Chiese sire la accolsero nel canone solo in un secondo tempo), è indubbio ormai che sia uscita dalla penna dell’Apostolo da Efeso, a causa del suo stile e della sua dottrina. Se non fosse stata di Giovanni in effetti difficilmente poteva essere conservata e godere di prestigio, data la sua concisione. L’Autore si designa l’Anziano – traducibile anche come il Presbitero – condanna con decisa energia gli eretici e li separa dalla Chiesa. La Lettera è destinata alla Signora Eletta, che però non è una persona, ma una Chiesa. Si complimenta con essa per la virtù dei suoi figli, la esorta a crescere nella fede, nella carità e nello zelo e a guardarsi dagli eretici e dalla negazione della realtà dell’Incarnazione, mentre promette una visita. Se fosse stata scritta nell’ultima decade del I sec., si giustificherebbe l’uso dell’epiteto “Anziano” non per mera umiltà ma per età.

LA TERZA LETTERA DI SAN GIOVANNI APOSTOLO

Anche della Terza Lettera si può dire quanto affermato della Seconda, compreso quanto concerne il dibattito sulla sua canonicità e sulla sua accoglienza nel canone, nonché sulla necessità di supporne la paternità giovannea per giustificarne la sopravvivenza e il prestigio, altrimenti incomprensibili per la sua brevità (15 versetti). Senza il nome di Giovanni, firmata dall’Anziano, scritta da Efeso contro i medesimi eretici, è un esempio brillante della bella corrispondenza privata dell’Apostolo. Sembra essere la più antica delle tre, ma datandola alla fine del I sec., giustifichiamo l’appellativo dell’Autore. Ancor più personale della Seconda, la Terza Lettera elogia Gaio, a cui è indirizzata, in quanto cristiano zelante, avendo questi ospitato gli operai evangelici. Lo mette in guarda contro Diotrefe e gli raccomanda Demetrio.

IN EPISTULAM SANCTI IUDAE

Breve introduzione alla Lettera di San Giuda Apostolo

L’AUTORE

Giuda è l’autore intestatario; si presenta come fratello di Giacomo e quindi è nel gruppo eletto dei fratelli del Signore (v.1; cfr. Mt 13,55p). Sebbene egli stesso sembri distinguersi dal gruppo apostolico (v. 17), questo avviene per umiltà e non vi è motivo per non postulare l’identità tra l’autore e l’Apostolo. Tra l’altro, la pseudonimia non avrebbe una grande ragion d’essere, data la mediocre importanza del Giuda fratello del Signore. Niceforo Callisto nel XIV sec. lo fa missionario in Giudea, Galilea, Samaria e Idumea. La maggior parte degli autori greci affermano che Taddeo morì di morte naturale. Invece, secondo gli autori siriaci egli sarebbe stato martirizzato. Sulla loro scia si muovono gli autori armeni e georgiani, nonché i persiani. Per tutte le fonti, dopo la dispersione degli Apostoli, l'attività di Giuda Taddeo si sarebbe svolta a Edessa, in Osroene; cosa perfettamente possibile perché il Regno di Osroene, indipendente dal 142 a.C. al 244 d.C., era all’epoca un fiorente centro di cultura semitica, legato da vincoli di vassallaggio al Re dei Re dei Parti. Un documento dell'archivio di Edessa, che Eusebio di Cesarea cita nella sua "Storia Ecclesiastica" e dice di aver visto, presenta uno scambio di lettere fra Gesù e il toparca Abgar V Ukkama di Edessa (4-7; 13-50), intercorso dieci giorni prima della Passione: Abgar lo pregò di recarsi da lui in Edessa per guarirlo da una malattia; Cristo rispose che poteva svolgere la sua missione solo in Israele, ma che in seguito avrebbe mandato alla sua corte uno dei suoi discepoli. Dopo l’Ascensione dunque, secondo Eusebio, l'apostolo Tommaso avrebbe inviato ad Abgar uno dei Settantadue discepoli, di nome Taddeo, chiamato anche Addai. Nella Dottrina di Addai, uno sviluppo dell'antica leggenda risalente all'anno 400 circa, leggiamo la notizia che il messo inviato ad Abgar dipinse e portò al toparca il Mandylion, l'immagine di Cristo. Ma Eusebio intende che l'apostolo Taddeo e Addai siano la stessa persona . E’ evidente che la lettera non è autentica . Ma l’evangelizzazione di Edessa e la sua conversione ufficiale si possono datare proprio intorno al 40. E ci sono buoni motivi per fare proprio di Giuda Taddeo l’apostolo della città e supporre qualche contatto tra Abgar V e Gesù. Infatti Giuda Taddeo, passando da Edessa nel 45, si portò poi nelle regioni limitrofe della Palestina, nell'Arabia, in Siria, in Libano e in Mesopotamia, come attestano gli Atti di Taddeo, probabilmente redatti sin dal III sec. in siriaco ma giunti a noi in una versione greca del VI-VIII sec. Tali Atti, che mescolano le notizie su Taddeo e su Addai, fanno morire il protagonista di morte naturale . Di converso, una Passio Simonis et Judae esiste dal IV-V sec. Altre fonti dicono che Taddeo avrebbe sofferto il martirio a Beirut o ad Aradus in Fenicia, oppure - secondo lo storico armeno Mosè di Khorene (410-490), che lo imputa a re Sanatruce (50-67) - nel 66 a Weriosphora in Artasia. Le fonti georgiane fanno Taddeo martire in Iberia secondo i Georgiani. Il cap. VI delle Memorie Apostoliche di Abdia -che, come abbiamo detto, è del VI-VII sec. - narra che Taddeo abbia incontrato l'apostolo Simone lo Zelota in Persia, insieme al quale la evangelizzò e in tredici anni percorsero le province dell'Impero arsacide. Giunti nella città di Suanir (vicino a Tabriz città della regione dell’Azerbaigian), i due Apostoli furono uccisi da sassate e colpi di mazza da fanatici zoroastriani, e per questo l'arte mette in mano all'apostolo Giuda una pesante mazza. Poi sarebbe stato sepolto con Simone a Babilonia. Sul luogo del suo martirio si trova una chiesa intitolata al santo chiamata «Qara Kelisa» (Chiesa Nera) che in Armenia è meta di pellegrinaggi, più volte restaurata e nel 2008 è dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Ciò è descritto. Quale resoconto è più credibile? Innanzitutto, la fonte più antica, la Passio Simonis et Judae, attesta il martirio. Analogamente Mosè di Khorene, di poco posteriore. I luoghi indicati dalle fonti armene, siriache e georgiane coincidono: l’Iberia è, dal V sec. in poi, il nome dell’antica Colchide; è a ridosso dell’Artasia, nell’Armenia settentrionale; la città di Suanir è nella zona e ha una memoria monumentale legata al martirio; essa può presumibilmente identificarsi con Weriosphora. L’ambientazione minoritaria del martirio ad Aradus si può imputare a qualche errore paleografico che mescoli questo nome con quello del fiume Araxes, da cui prende il nome l’Artasia e la sua metropoli, la capitale dell’Armenia, Artaxes. La convergenza di questi dati esclude che il martirio sia avvenuto in Libano. Il ciclo di Taddeo ha ambientazioni storicamente plausibili nelle Memorie di Abdia. L’Apostolo contesta il culto solare di Suanir, che è chiaramente zoroastriano. I maghi già sconfitti da Matteo si ritrovano come suoi avversari e rinnovano contro di lui una predicazione dualista, tipicamente mazdaica, che rimanda agli ambienti persiani. Il contesto storico coonesta la narrazione del martirio: re Sanatruce fu un fanatico zoroastriano, che fece apostatare l’Osroene dalla religione cristiana; anche suo fratello, Tiridate I d’Armenia (…†…) – sul cui trono Sanatruce salì nel 91 rimanendovi fino al 109 – era uno zelante seguace di Ahuramazdah, che non dovette essere ben disposto verso l’Apostolo e gli Ebrei in genere. Sia Tiridate che Sanatruce erano Arsacidi, ossia di stirpe iranica, non semitica. Tiridate poi divenne re cliente di Nerone che lo incoronò in Italia nel 66, quando presumibilmente il sovrano armeno esportò in Italia il culto di Mitra. L’Armenia di Tiridate era una nazione dove si parlava correntemente l’aramaico, oltre che il greco. Il regno di Tiridate, segnato da sconvolgimenti politici (perse il trono nel 53-54 e nel 58-63) nel quadro delle lotte romano-partiche, potè essere favorevole ad una predicazione nuova come quella del Cristianesimo, salvo poi scatenare una reazione quando la sua posizione si rafforzò con gli accordi tra Nerone e la Partia. Inoltre il martirio di Giuda Taddeo è riscontrato dai cicli agiografici di Simone lo Zelote e ha addentellati con quelli di Matteo, Bartolomeo e Tommaso, custoditi anch’essi nelle Memorie di Abdia. Come può però spiegarsi che il martirio di un Apostolo non sia recepito dalla tradizione della Grande Chiesa, attestata dagli Atti di Taddeo? Nel periodo in cui sono scritti sia gli Atti greci che le Memorie – attribuendo ad entrambi la più alta datazione possibile e la simultaneità – la Grande Chiesa e le Chiese etniche d’Oriente sono separate per le dispute cristologiche. L’autore greco degli Atti potrebbe aver voluto delegittimare l’origine apostolica delle Chiese scismatiche, non solo facendo morire Giuda Taddeo in Libano, ma di morte naturale. Il chierico franco autore delle Memorie, appartenendo ad una Chiesa meno coinvolta nelle dispute, avrebbe invece fatto sfoggio di erudizione usando fonti orientali più antiche. Ovviamente anche Mosè di Khorene e le fonti dello Pseudo-Abdia potrebbero aver voluto nobilitare le proprie Chiese, attribuendone la fondazione a un Apostolo e facendolo morire martire nel proprio territorio. Anche se nel loro caso si dovrebbe riscontrare che tra gli Armeni e i Siriaci d’Occidente, monofisiti, e i Siriaci d’Oriente, nestoriani, presumibilmente rappresentati da Mosè e dalle fonti dello Pseudo-Abdia, non correva più buon sangue di quanto ne corresse tra entrambi e gli ortodossi. Inoltre gli Atti hanno presumibilmente un archetipo siriaco più antico di tutti gli altri testi di cui parliamo. Appare inverosimile che la notizia del martirio di un Apostolo, peraltro assai nobilitante, fosse ignorata da un autore del III sec. e nota ad altri successivi. Ma gli Atti hanno un difetto: mescolano le notizie su Taddeo e quelle su Addai. Nessuno ci garantisce che parlando della fine di Taddeo tramandassero quelle, che essi reputavano vere, su Addai, sul quale ancora più fortemente si può sospettare che abbiano pesato intenti denigratori o su cui almeno un autore greco poteva, ragionevolmente, essere meno informato. Perciò gli Atti sembrano essere meno attendibili della tradizione siriaco-armeno-persiano-georgiana. Il silenzio di Eusebio sul martirio di Taddeo non è una prova del fatto che non sia accaduto, ma che la Grande Chiesa e la corte imperiale non aveva in merito notizie sufficientemente dettagliate. Non va inoltre dimenticato che il ciclo di Taddeo, tramandato in aramaico ma ambientato in Armenia, potè essere fissato nella lingua di quel popolo solo nel V sec., quando ne fu fissato l’alfabeto, rimanendo fino ad allora in una sorta di limbo in cui le varie fazioni ecclesiastiche e politiche potevano trascurarlo o riprenderlo secondo il proprio comodo. Perciò possiamo ritenere sufficientemente fondato quanto segue: Taddeo percorse tutta la Palestina; dall’Idumea passò in Arabia petrea nel 42 e poi in Libano. Qui subì persecuzioni e passò in Siria. Dalla Siria andò oltre i confini dell’Impero Romano, in Osroene, nel 45. Intorno al 52 cominciò a percorrere l’Impero partico con Simone lo Zelota e, nel 66, prima della morte di Sanatruce, per istigazione di costui e del clero mazdaico, fu martirizzato nei domini del fratello Tiridate, magari mentre questi era a Roma per l’investitura neroniana e suo fratello poteva maggiormente spadroneggiare.

DATAZIONE E DESTINATARI

I più pensano alla fine dell’età apostolica, compatibilmente con la data del martirio di Giuda (66). Il Robinson colloca la Lettera di Giuda nello stesso periodo in cui pone la Seconda Lettera di Pietro, ossia tra il 64 e il 65. Per il nostro la Lettera di Giuda è per una comunità giudaico-cristiana in ambiente ellenistico, minacciata dal giudaismo gnosticizzante e sarebbe stata scritta da Roma. Ma la data topica è incompatibile con la missione partica del Santo. Sono usati l’Apocalisse di Mosè e il Primo Libro di Enoc, segno di una composizione molto antica, prima che questi testi fossero rigettati dalla Sinagoga e dalla Chiesa, ossia sempre prima del 70. L’interdipendenza delle due Lettere fa tuttavia sì che il frammento 7Q10 della 2 Pt datato al 50 postuli una possibile contemporaneità delle medesime per quel periodo. L’uso delle Lettere di Paolo che avviene nel testo è possibile (Galati, Romani, ai Corinti, Prima a Timoteo) anche perché tre sulle cinque citate sono anteriori a quella data e le altre di poco posteriori. Sarebbe dunque stata scritta dalla Palestina o dalla Siria, collocandola in questo periodo più antico.

CONTENUTO

La Lettera attacca i falsi dottori e minaccia i castighi divini sulla loro superbia e lussuria. Esorta i cristiani a stare saldi nella fede e a praticare i loro doveri. Consta di venticinque versetti.

DISAMINA FILOLOGICA LINGUISTICA E LETTERARIA

Dal 200 la Lettera era accolta quale canonica nella maggioranza delle Chiese. L’uso delle fonti apocrife come Enoc e l’Assunzione di Mosè non è un argomento contro la sua ispirazione ma a favore della sua antichità, risalente ad un’epoca in cui essi ancora avevano la loro influenza tra i giudeo-cristiani e prima della Distruzione del Tempio con conseguente dispersione di quel patrimonio letterario. Giuda vuole stigmatizzare i falsi dottori che mettono in pericolo la fede cristiana. Minaccia su di loro la punizione divina come attestata dalla tradizione biblica (5-7); descrive in tinte analoghe i loro errori (11). La Lettera non ha nessun connotato che rimandi in modo esplicito al II sec., al quale alcuni pretendevano di datarla. Le denunzie dei vizi, delle bestemmie e della licenziosità sono attestate nelle Chiese del I sec. anche dalle Lettere paoline (Galati e Pastorali) e dall’Apocalisse. La predicazione degli Apostoli è collocata nel passato (17 s.) per cui sembra che la Lettera non debba collocarsi troppo indietro nel I sec., ma il riferimento profetico sembra essere di tipo apocalittico e non storico, un luogo letterario e non un indizio di datazione, un rimando a quanto accaduto e alla possibile imminenza della parousia e non ad un’epoca recentiore. La Lettera, apparentata come dicevamo con la Seconda di Pietro, ha uno stile migliore e più sostenuto.

SCRIPTURAE APOSTOLICAE

Breve introduzione alle Lettere del NT

L’AT contiene qualche lettera ma nessun suo libro ne ha la forma. Nel NT le lettere sono invece ventuno: la forma epistolare è dunque il genere dominante, tanto più che due lettere si trovano in Atti (15,23-29 e 23,26-30) e sette in Apoc (2-3). Delle ventuno lettere neotestamentarie quattordici sono di Paolo. Sette sono chiamate “cattoliche” con una denominazione che viene dall’antichità. Eusebio di Cesarea così le chiama, ma citando autori più antichi come Apollonio (197 circa; cf. Storia Eccles. V,18,59) e Dionigi di Alessandria (200 circa, Storia Eccles. VII,25,7.10). Così le chiama molte volte anche Origene (circa 250). Mentre i destinatari delle lettere paoline sono precise comunità (per esempio la comunità di Corinto) o persone (Filemone, Tito, Timoteo), i destinatari delle lettere ‘cattoliche’ sono i cristiani di intere regioni L’ordine che hanno ora nel canone è basato sull’elenco delle ‘colonne’ della Chiesa (di Gerusalemme) fatto da Paolo in Gal 2,9. Per questo la lettera di Giacomo precede sia le due di Pietro (Kefa), e quelle di Pietro precedono le tre di Giovanni e quella di Giuda. La loro collocazione nella lista canonica (= dopo Paolo) viene da Girolamo (e dalla sua Volgata) il quale seguì la tradizione delle Chiese Orientali del sec. IV. In certi manoscritti sono collocate prima delle lettere Paoline, in base alla gerarchia: prima i Dodici e poi Paolo.

Il genere era ben noto nel mondo ellenistico, nella forma della lettera privata o di circostanza e nella forma dell’epistola, cioè di composizione letteraria, con contenuto polemico o filosofico, indirizzata a un pubblico colto e destinata alla pubblicazione. La maggior parte delle lettere paoline e cattoliche sono vere lettere di circostanza inviate a destinatari precisi, e non epistole. Alcune sono biglietti a persone private (ad esempio, 3 Gv e in parte Fm), ma per lo più sono lettere rivolte a comunità o rappresentanti di comunità, hanno carattere pubblico e autoritativo. Dovevano essere lette nelle assemblee liturgiche e passare di comunità in comunità (cfr. Col 4,16). Rispondono a problemi concreti, pur superando il contingente nell’insegnamento. Lo scopo è religioso, secondo un genere molto conosciuto nel mondo giudaico. Confrontando il procedimento degli autori neotestamentari con quello ellenistico, possiamo vedere che le formule epistolari vengono cristianizzate. Normalmente, nell’uso greco l’intestazione comprendeva nome dello scrivente (al nominativo), nome del destinatario (al dativo) e il saluto. Questa forma si trova in lettere riportate in At 15,23; 23,26 e in Gc 1,1. Il formulario semitico-orientale dava invece per saluto un’espressione come «la pace a voi». Paolo adotta il formulario orientale, ma lo amplia con titoli di intonazione cristiana per il mittente e i destinatari e vi aggiunge quasi sempre un ringraziamento, in cui sono già annunciati i motivi della lettera.

La formula conclusiva era normalmente «state bene»; Paolo introduce una benedizione di origine liturgica, come «la grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi». Egli adatta inoltre le formule ai singoli destinatari e alle singole circostanze.

L’importanza di questo genere letterario è legata alla situazione della missione itinerante, in cui permane il bisogno di mantenere il contatto tra comunità e apostolo, nonché al profondo senso di unione tra le comunità di credenti.

Il contenuto delle lettere è vario e comprende elementi di genere diverso: profetici, catechetici (formule e professioni di fede), omiletici, liturgici (formule eucaristiche, battesimali, preghiere, dossologie, inni), parenetici (cataloghi di virtù e vizi, «codici familiari», precetti per vescovi, presbiteri, vedove, ecc.), esegetici, ma anche autobiografici, narrativi, ecc.


Theorèin - Novembre 2015