LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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DOCTORES CONTROVERSIARUM

Breve introduzione ai Controversisti della Riforma Cattolica

In seguito alla Riforma protestante la Chiesa sviluppò un genere teologico che doveva battere in breccia le asserzioni degli eretici, che fu la teologia controversista. Sebbene essa raggiungesse la sua forma più matura nella Seconda Scolastica con Roberto Bellarmino, tale teologia si sviluppò praticamente in concomitanza con l’azione di Lutero e degli altri padri del Protestantesimo. Nonostante la drammaticità dell’evento della Riforma, essa servì senz’altro a generare la ripresa della teologia cattolica e quindi a rimettere in moto il flusso vitale della Tradizione cattolica. I temi del Tardo Medioevo, legati alle dispute tra i dottori della via antiqua e della via nova, vennero accantonati a vantaggio delle questioni soteriologiche, ecclesiologiche, mariologiche e della teologia fondamentale, ossia di quelle questioni che gli eretici avevano messo in campo sovvertendo la dottrina di sempre.

I controversisti impedirono ai Protestanti di farla da padroni nella loro epoca, anche se non riuscirono ad arginarne la marea e non ebbero tutti i mezzi necessari per combattere la loro battaglia. Infatti non stava nelle mani dei dottori controversisti la Riforma Cattolica e nemmeno l’albeggiare della Controriforma, che spettavano al Papato e ai Vescovi, i quali vi si accinsero con molta lentezza. Inoltre essi facevano pur sempre una cultura teologica accademica che non raggiungeva, a causa delle sue forme letterarie, un grande pubblico, che invece i polemisti e i libellisti evangelici riuscivano più facilmente a plasmare. Inoltre non sempre i dottori controversisti ebbero una preparazione specializzata in campo teologico, mentre la tarda scolastica non forniva loro i mezzi più appropriati per trattare i cavalli di battaglia del luteranesimo, dello zwinglianesimo e del calvinismo, in quanto non si era occupata di alta dogmatica. Anche la filosofia nominalista, sebbene avesse influenzato Lutero, esercitò un peggior impatto proprio sui controversisti che non avevano un pensiero razionale di riferimento che potesse aiutarli. Infine, l’oscurità dogmatica e lo scarso spirito religioso della tarda scolastica ipotecarono lo sviluppo interiore della teologia controversista. A queste ragioni strutturali si aggiunse, come inibitore della teologia controversista, la sua impronta universalistica, a fronte della matrice nazionale della teologia luterana e di altre teologie riformate, che divennero, al di là dei loro contenuti, le bandiere di interi popoli contro gli abusi della Curia Romana. Per questo i controversisti dei paesi riformati ebbero un ruolo particolarmente ingrato.

Al netto di ciò, i dottori controversisti svolsero un lavoro rimarchevole, sia nel numero – diverse centinaia in tutta Europa e duecentosessanta nella sola Germania – sia nei contenuti, che prepararono il Concilio di Trento.

I DOTTORI CONTROVERSISTI

Indichiamo tra essi ovviamente i maggiori, cominciando dai tedeschi. Giovanni Eck (1486-1543), svevo, fu filosofo e teologo. Sacerdote e professore, Eck aveva gli stessi interessi di Lutero e nel 1514 scrisse un trattato sulla predestinazione. Negli stessi anni si occupò della liceità morale del prestito ad interesse. Nel 1517 Eck scrisse gli Obelischi, che contestavano punto per punto le Novantacinque Tesi di Lutero. In seguito alla risposta di quest’ultimo si innescò una polemica che culminò nella Disputa di Lipsia tra i due teologi, il cattolico e il riformatore, conclusasi in un nulla di fatto. Eck, che considerava Lutero un seguace di Hus, scrisse altre opere sui temi della controversia e in difesa del Papato, mentre chiedeva la condanna dell’eresiarca. Ottenutala con la Exurge Domine di Leone X (1513-1521) del 1520, Eck la diffuse in Germania a rischio della vita. Scrisse ancora sulla giustificazione, sulla penitenza, sulla confessione, sul Purgatorio e in particolare un manuale, l’Enchiridion locorum communium adversus Ludderanos, che raccoglieva argomenti biblici e patristici contro la predicazione di Melantone. Tale opera ebbe grande diffusione. Eck scrisse poi cinque volumi di omelie tedesche proprie del Tempo e dei Santi, ma anche sui Sacramenti e i Comandamenti, per l’uso dei parroci germanici che correvano il rischio di subire l’influsso di Lutero. Pubblicò una Bibbia in tedesco, della quale tradusse personalmente l’Antico Testamento, per arginare l’influenza di quella realizzata da Lutero.

Giovanni Dobneck detto Cocleo (1479-1552), canonico di Magonza e di Breslavia, filologo e umanista, scrisse più di duecento opere per la difesa del Cattolicesimo. Cercò di trascinare nella lotta antiluterana Erasmo e Giovanni Fisher; scrisse all’Elettore Palatino per recuperarlo al Cattolicesimo; si rivolse a diverse città minacciate dall’eresia perché rimanessero nella Chiesa e in particolare si rivolse a Berna perché non aderisse a Zwingli; scrisse libri per l’Inghilterra e la Scozia e ne fece tradurre altri per loro; cercò contatti con Enrico VIII per evitare lo Scisma Anglicano; si adoperò per mantenere la Polonia nella Chiesa; chiese al Papa di abolire l’Università di Wittenberg; stampò libri suoi e altrui per il lavoro del Concilio di Trento. I suoi Commentaria sulla vita e gli scritti di Lutero fecero scuola anche in senso polemico. Cocleo fu all’altezza dell’avversario almeno nello stile, spesso corrusco e sempre severo.

Giovanni Fabri (1478-1541), nato a Leutkirch, ebbe il suo soprannome per il mestiere paterno. Arcivescovo di Vienna dopo una lunga carriera pastorale, fu impegnato sia nell’aspetto dottrinale che in quello pastorale della Riforma Cattolica. Il suo Malleus in haeresim lutheranam fu concepito per difendere la dottrina cattolica della giustificazione e l’autorità papale. Fabri scrisse prediche e trattati sulla Messa e sul sacerdozio, nonché un trattato De fide et operibus, di grande valore; tutte queste opere avevano il pregio di non cadere in eccessi polemici e il limite di non attirare l’attenzione di un pubblico tutto schierato.

Thomas Murner (1475-1537), francescano nato ad Obernai, fu poeta, teologo e filosofo, oltre che membro stimato del suo Ordine. Nel 1520 iniziò la sua carriera di controversista che lo portò a scrivere trentadue opere contro Lutero. Scrisse in tedesco un’opera polemica contro Lutero, apostrofato senza mezzi termini quale pazzo e indemoniato, e per questo dovette lasciare Strasburgo dove si trovava in quel momento. Sfuggito anche alla Guerra dei Contadini, si rifugiò a Ginevra e prese la guida del partito cattolico contro Zwingli, che attaccò con la solita virulenza. Ancora costretto a fuggire, ritornò ad Obernai dove, come curato, continuò a scrivere e a predicare contro Lutero. Compose opere contro l’astrologia, per la riforma dei poeti e sulla Messa. Fu il più energico, reattivo e noto oppositore popolare.

Giorgio Witzel (1501-1573) nacque a Mainz e divenne prete. Apostatò per il luteranesimo e si sposò. Ravvedutosi grazie allo studio dei Padri tornò nella Chiesa e divenne predicatore sposato, anche se fu guardato con sospetto da entrambe le parti in lotta. Partecipò a dialoghi di religione e a diete imperiali, scrisse memoriali agli Imperatori e circa centocinquanta opere contro Lutero. I suoi lavori furono soprattutto storici e liturgici, per mostrare che la Chiesa aveva conservato gli usi dell’antichità. Il suo Cathechismus Ecclesiae fu in tedesco e contenne il primo abbozzo di storia biblica. Egli propugnava alcune concessioni disciplinari – comunione sotto le due specie e matrimonio del clero – per recuperare gli eretici. Tuttavia la sua attività non ebbe quasi nessuna ripercussione pratica.

Anche in Italia sorsero controversisti, tanto più coinvolti nella disputa perché spesso appartenenti alla Curia Romana, oggetto degli strali di Lutero. Del Gaetano ho detto parlando delle ultime Scuole teologiche del tardo Medioevo. Silvestro Mazzolini, nato a Prierio e detto Prierias (1456/57-1523) fu domenicano e maestro del Sacro Palazzo sotto Leone X. Scrisse un Compendium Defensionum Divi Thomae Aquinatis e una Summa Summarum, vertente sulla teologia morale casistica, assai noto nel XVI sec. Su richiesta di papa Leone scrisse il Dialogus in praesumptione Martini Lutheri conclusiones de potestate Papae, in cui difende l’autorità della Chiesa e del Papa, anche al di là dell’infallibilità dogmatica e la prassi delle Indulgenze, senza peraltro fare differenza tra magistero infallibile e fallibile e tra questi e il consenso dei teologi. Aspro nel tono, fu respinto da Lutero che si appellò a un Concilio per la chiarificazione della questione delle Indulgenze. Prierias allora scrisse nel 1520 gli Errata et argumenta Martini Lutheri recitata, detecta, repulsa, in cui approfondiva tutta la questione sollevata da Lutero e sottolineava la struttura monarchica della Chiesa. Fu un capolavoro polemico che però non ebbe risposta alcuna dal riformatore tedesco.

Gaspare Contarini (1483-1542) era un patrizio veneziano che fu dapprima ambasciatore della Serenissima presso Carlo V (1519-1556) e poi uomo di Chiesa. Simile a Lutero per la profondità della sua esperienza religiosa, studiò a Padova le lingue classiche, la matematica, l’astronomia, la filosofia e in particolare il pensiero di Tommaso. Si diede poi allo studio della Bibbia e dei Padri. Nel 1520 assistette alla Dieta di Worms e alla ribellione di Lutero. Comprendendone la gravità, scrisse il De Potestate Pontificis quod divinitus sit tradita, che difendeva il Primato del Papa. Entrò nel circolo dei riformatori formato da Reginald Pole, Giovan Matteo Giberti, Alvise Priuli e Gianpietro Carafa, anche se di questi non condivideva i battaglieri piani per l’estirpazione dell’eresia. Nel 1530 contestò la Confessio augustana con la Confutatio Articulorum seu Quaestionum Lutheranorum. Privo di acredine polemica, Contarini si appellava alla concordia. Compose poi un De Officio Episcopi, in cui disegna il ritratto ideale del Vescovo, pastore che deve essere ripieno di Cristo, che deve risiedere nella sua diocesi, che deve predicare, celebrare e prendersi cura delle anime. Nel 1535 da semplice laico Contarini divenne cardinale per volontà di Paolo III (1534-1549) e divenne presidente del Consilium de emendanda Ecclesia, che fece l’elenco degli abusi da riformare in essa. Nel De Sacramentis Contarini discusse la posizione dei riformatori protestanti. Nell’Epistula de Iustificatione del 1541 il cardinale spiegò la dottrina della Doppia Giustificazione, a cui si era pervenuti nei Colloqui di Ratisbona ma che fu rigettata dal Concistoro e dal Concilio di Trento.

Girolamo Seripando (1493-1563) era napoletano. Fu Eremitano di Sant’Agostino e direttore del loro Studium generale bolognese. Priore generale del suo Ordine nel 1539, dovette gestire la gravissima crisi che lo travagliava a causa del passaggio di molti suoi membri al Lutero, il quale era un agostiniano anch’egli. Seripando condannò gli errori di Lutero ma difese il magistero di Sant’Agostino a cui l’eresiarca pretendeva di rifarsi. Usò i metodi dell’esegesi umanistica e si rifece alle fonti bibliche e patristiche. Seripando scrisse tre opere sulla Doppia Giustificazione suggerita dai Colloqui di Ratisbona, chiarendone alcuni aspetti e correggendone la terminologia. Seripando esortò Paolo III ad indire il Concilio di Trento e, divenuto Arcivescovo di Salerno, resse la sua diocesi nello spirito tridentino. Compose numerose omelie sul Simbolo degli Apostoli e una esposizione del Padre Nostro. Fu poi segretario del Concilio nella sua ultima fase sotto Pio IV (1559-1564) e si distinse per il suo ruolo nella stesura del decreto sulla giustificazione, ma anche per il suo zelo nell’inculcare ai Vescovi il dovere di residenza. Commentò la Lettera ai Romani e ai Galati correggendo l’interpretazione luterana a cui però concedeva diverse posizioni.

Ci furono poi controversisti di altri paesi. Giovanni Nijs, detto Driedo (1475-1535) dal suo paese natale, era olandese. Filosofo e teologo, fu docente universitario a Lovanio e più volte decano della Facoltà di Teologia e rettore dell’Università stessa. Scrisse il De Ecclesiasticis Scripturis et Dogmatibus, importante trattato di metodologia teologica ed ecclesiologia, stampato con difficoltà per le varie opposizioni incontrate. Altre sue opere sono il De Captivitate et Redemptioni Humani Generis, il De Concordia Liberi Arbitrii et Praedestinatione Divinae, il De Gratia et Libero Arbitrio. Controversista che seppe cogliere la novità dei problemi e cercarne la soluzione nella Tradizione, Driedo influì anche sul Concilio di Trento.

San Giovanni Fisher (1469-1535), inglese, studiò a Cambridge, fu Vescovo di Rochester e umanista amico di Erasmo e di Tommaso Moro. Promosse lo studio delle lingue bibliche. Teologo poco originale, ammiratore di Tommaso d’Aquino e di Duns Scoto, tentò di innestare sul tronco scolastico elementi umanistici. Scrisse la Lutheranae assertionis confutatio (1523) e altri trattatelli polemici, tutti assai diffusi in Germania. Rifiutatosi di aderire all’Atto di Supremazia voluto da Enrico VIII (1509-1547), fu martirizzato su suo ordine nel 1535 nonostante Paolo III lo avesse creato cardinale.

SALMANTICENSIS SCHOLA

Breve introduzione alla Scuola di Salamanca

Negli anni della Riforma Cattolica e in particolare della Controriforma, accanto alla rifioritura della disciplina ecclesiastica, della pietà popolare, della santità e della missione, oltre all’arginamento della marea protestante e alla riconquista di tanti popoli al Cattolicesimo, all’ombra del grande Concilio di Trento (1545-1563), rinacque la grande teologia scolastica, come manifestazione tipica della Tradizione in questo periodo, nella quale si distinsero molti Dottori riconosciuti come tali dalla Chiesa. I centri della rinascita sono Salamanca e Roma, ossia la Spagna e Roma, le aree centrali della Cristianità cattolica, essendo la Francia in questo periodo in profonda crisi e la Germania spezzata in due dall’eresia, mentre l’Inghilterra era scismatica. Salamanca fu la grande Università alla quale si rivolgevano i Re di Spagna per tutte le loro problematiche, dominata dai Domenicani e dai Carmelitani, fucina degli inquisitori. Roma si adornò di numerosi Collegi ecclesiastici in cui insegnano gli intelletti maggiori dell’epoca. Così per la prima volta la Spagna e Roma stessa diventano centri di irradiazione teologica. Questo splendore teologico è il contraltare dello sviluppo della magnifica civiltà barocca.

LA SECONDA SCOLASTICA

La Seconda Scolastica non ha l’importanza filosofica della prima né la sua natura composita, ma è senz’altro ad essa simile per metodo e contenuti. Egemonizzata dal tomismo, è senz’altro l’età aurea di questa filosofia. Gli indirizzi alternativi e in particolare quello occamista e nominalista sono spazzati via a favore della grande sintesi intellettuale dell’Aquinate e della sua salda compenetrazione tra fede e ragione. Tommaso d’Aquino proprio nel 1567 fu proclamato Dottore della Chiesa da Pio V (1565-1572) e la sua Summa Theologica prese il posto delle Sentenze di Pietro Lombardo nello studio ecclesiastico in modo definitivo. La ragione per la quale iniziamo proprio dalla Scuola di Salamanca la nostra esposizione dei Dottori della Controriforma sta nel fatto che da questa Università si irradiò potentemente il pensiero tomista in Europa, nonostante già dall’inizio del secolo esso aveva avuto i suoi continuatori e commentatori. Solo che all’epoca essi erano stati praticamente degli epigoni del Medioevo, mentre ora i Salmaticensi erano dei rinnovatori. Del resto anche la Compagnia di Gesù abbracciò convintamente il pensiero dell’Angelico, con qualche sparuta eccezione. Non si deve però dimenticare che anche Agostino, interpretato in modo ortodosso, è un maestro importante in quest’epoca, per contestare l’uso distorto fattone dai Protestanti nelle materie che solo l’Ipponense aveva trattato in modo tanto approfondito, come quelle della giustificazione.

Teologia mediterranea ed ispanica, avendo solo nomi spagnoli eccettuato Bellarmino, quella dei Dottori della Seconda Scolastica ebbe lo stesso metodo del tomismo medievale che usò per risolvere i nuovi problemi. Le specie contrarie di Lutero, la coincidenza degli opposti di Cusano, la dissociazione tra fede e ragione di Ockham sono eclissate dalla conciliazione tra queste ultime due facoltà, secondo lo stile sobrio di Tommaso. Avviene praticamente una ripresa della parte migliore della Scolastica, saltando a ritroso le fasi della sua decadenza. Polemica e poco speculativa perché controversista, questa teologia si nutre non solo di trattatistica ma anche di composizioni più agili all’occorrenza. Ha una impostazione antropocentrica che si sostanzia di un umanesimo che ha le sue radici in Cielo e i suoi frutti in terra, mediante un’attività incessante dell’uomo nel tempo. Costituisce così una sorta di compensazione tra l’umanesimo spinto del Rinascimento e quello spento della Riforma luterana.

La Seconda Scolastica ha poi una teologia positiva che genera discipline erudite nuove: la Storia dei Concili e l’agiografia. Essa utilizzò largamente i Padri contro gli eretici e diede il via ad ampie compilazioni erudite sul magistero ecclesiastico e a vaste sintesi di Storia della Chiesa, queste ultime in replica ad una prima produzione di matrice protestante. Un’ultima sua caratteristica fu la ripresa della teologia mistica con nomi di assoluta rilevanza, lo sviluppo della teologia spirituale e la nascita di quella missionaria.

LA SCUOLA DI SALAMANCA E FRANCISCO DE VITORIA

Fondata nel XIV secolo, l’Università di Salamanca fu il volano del rinnovamento teologico spagnolo nel XV e, nel XVI, il pilastro della Controriforma spagnola grazie ai suoi grandi maestri, primo tra tutti Francisco de Vitoria. Sessantasei dottori del Concilio di Trento venivano da Salamanca. Alcalà, Saragozza, Barcellona, Valladolid, Valenza e Coimbra ruotano, coi loro atenei, attorno a quello salmaticense e irradiano il mondo cristiano della luce dei loro dottori. I maggiori geni dell’epoca vengono da qui e impugnano con forza sia la controversia che la trattatistica sistematica, quali armi della lotta dottrinale. Culturalmente, religiosamente e politicamente la Spagna degli Asburgo è il faro dell’Europa, mentre Salamanca ne è il punto focale.

Francisco de Vitoria nacque forse nel 1483. Presumibilmente, fu Burgos e non Vitoria il suo luogo natale. Di famiglia legata agli ambienti della Corte, fu domenicano nel 1506. Studiò a Parigi dove approfondì il tomismo in rinascita, addottorandosi in teologia. Sia in quella città che a Valladolid svolse attività di insegnamento. Studiò e approfondì molto in questi anni sia la teologia che la filosofia, scegliendo con sicurezza le posizioni dottrinali più confacenti al suo pensiero e alla sua sensibilità, nutrita di una cultura sempre più vasta. Dal 1526 al 1546, anno della sua morte, il de Vitoria insegnò teologia a Salamanca, dalla cattedra più prestigiosa, la cosiddetta primaria. Uomo di grandissimo carisma, padrone di un latino puro dolce e pulito, ebbe ottimi allievi che collaborarono al suo progetto: rilanciare il tomismo e rinnovare la teologia. Anch’egli usò la Somma di Teologia al posto delle Sentenze del Lombardo quale libro di testo. Consultato sulle questioni più svariate da personalità illustri di ogni ambito, de Vitoria prese posizione a favore dell’ortodossia di Erasmo, che aveva studiato, pur sottolineando l’ambiguità di alcune sue formule e la povertà della sua formazione patristica; difese anche i diritti degli Indios, affermando che essi dovevano essere istruiti nel Cristianesimo prima e non dopo il Battesimo. Aprì la strada alla teoria giuridica moderna del diritto delle genti, anticipando Ugo Grozio. In poche parole, fu il massimo dottore dei suoi tempi. Scrisse molto, ma di lui ci sono giunte solo le Relectiones Theologicae, ossia la silloge delle sue dissertazioni universitarie letta almeno una volta all’anno. Ne sono quindici, sulla potestà della Chiesa anteriore e posteriore, su quella civile, su quella del Papa e dei Concili, sugli Indiani d’America, sul diritto di guerra, sul matrimonio, sulla crescita della carità, sulla temperanza, sull’omicidio o sulla fortezza, sulla simonia, sulla magia e su ciò a cui si è tenuti mediante l’uso di ragione. Esse furono pronunziate tra il 1530 e il 1540.

Sulla potestà del Papa il de Vitoria si rifà a Tommaso: la superiorità del potere spirituale sul temporale dipende dai suoi fini specifici e non da altro; il dottore rifiuta l’idea che il Pontefice sia il signore del mondo. Il potere civile, essendo compiuto in sé, non è soggetto a quello spirituale in modo diretto, ma quest’ultimo, pronunziandosi sulla moralità di una norma, esercita la sua autorità sulla sfera temporale. Essa, in tutto quello che non pertiene la vita dello spirito, non è assolutamente soggetta a quella spirituale. Inoltre il de Vitoria, polemizzando con i luterani, specifica che lo Stato ha la sua origine nel popolo che conferisce il potere ai Re e che segue il diritto naturale, mentre la Chiesa trae la sua autorità direttamente da Dio il Quale sceglie i pastori che la dirigono e che esercitano il potere sulla base del diritto divino positivo. Il dottore, pur sostenendo risolutamente il primato papale contro il conciliarismo, afferma che la prassi delle dispense papali canoniche spesso era fonte di abusi e che quindi i singoli Vescovi non avrebbero dovuto dare applicazione a quelle che più evidentemente sarebbero state dannose per le anime, creando peraltro scandalo.

Soffermandosi sulla comunità civile, il de Vitoria afferma che lo Stato, avendo una origine naturale, ha in tal maniera anche una derivazione divina, essendo Dio il fondatore della natura. Esso è una società perfetta che, formata dai cittadini, provvede al loro bene comune. In questo modo egli ha individuato una causa efficiente, formale, finale e materiale per lo Stato. In quanto al potere, il cui esercizio è essenziale allo Stato per essere tale, è trasferito al Re dal popolo in cui risiede, ma viene sempre da Dio, Che l’ha conferito agli uomini. In tal modo nessun potere monarchico può essere abrogato dagli uomini ma nemmeno può essere esercitato contro la legge naturale e divina.

Sulla complessa questione delle relazioni tra i popoli, nata in seguito alla colonizzazione delle Americhe, il de Vitoria prende posizione difendendo i diritti degli Indios nel quadro di un rinnovato concetto di diritto delle genti. Esso è tutto quanto è riconosciuto come valido presso tutti i popoli, per cui è anch’esso diritto naturale o derivato da esso. Perciò esso ha valore prima ancora che qualsiasi ordinamento positivo lo recepisca e non può essere violato in pace o in guerra. Siccome i popoli precolombiani avevano tutte le caratteristiche delle nazioni, ovviamente de Vitoria si poneva il problema della liceità del loro assoggettamento alla Spagna. Distinguendo tra motivazioni legittime ed illegittime, il dottore accettava, delle tante proposte a sostegno della validità della conquista ispanica, solo le prime, ossia il diritto a propagare la fede nelle Americhe da parte della Spagna e di difendere quanti, tra gli indigeni, l’avessero abbracciata; l’opportunità che gli indigeni credenti avessero un sovrano cristiano; la necessità di abbattere i governi autoctoni tirannici; la libera sottomissione degli Indios; l’alleanza tra questi e gli Spagnoli e il basso livello di civiltà dei primi. In conseguenza di ciò la conquista dell’America viene legittimata ma i diritti dell’uomo applicati ai nativi. In particolare, essi non potevano essere combattuti solo perché pagani, né forzati a convertirsi, né assoggettati a nuovi signori o a nuove imposte dai poteri universali del Papa e dell’Imperatore. In ragione della negazione della dottrina canonica sulla potestas directa in temporalibus del Papa in questa disputa, la Relectio de Indis andò a finire all’Indice sotto Sisto V (1585-1590). Oggi ovviamente non corre alcun rischio di sembrare canonicamente scorretta, anzi appare molto moderna. Tutto sommato per il de Vitoria il genere umano intero è una sola nazione, anche se non specifica se questo dipenda o meno dal fatto che gli uomini abbiano la stessa natura; era convinto che esistesse una autorità internazionale ma non individuò chi dovesse esercitarla; riconobbe che una guerra potesse essere combattuta per la difesa dei diritti di un popolo che fosse stato ingiustamente conculcato da un altro, ancorandola quindi nella fattispecie al diritto internazionale e quindi facendone una vera e propria procedura contro determinate infrazioni. Per questo motivo, come dicevo, il de Vitoria apparve essere il fondatore del nuovo diritto delle genti.

DOMINGO DE SOTO

Tra i massimi discepoli del de Vitoria, Domingo de Soto nacque a Salamanca nel 1495 e vi morì nel 1560. Studiò le arti e la teologia ad Alcalà e a Parigi. Docente ad Alcalà e a Montserrat, divenne domenicano nel 1525. Trasferito nello stesso anno a Salamanca, divenne collaboratore del de Vitoria per vent’anni. Partecipò al Concilio di Trento e collaborò alla definizione delle dottrine sulla giustificazione e sul peccato originale. Confessore di Carlo V, de Soto fu primo docente di teologia a Salamanca dopo il de Vitoria, dal 1552 al 1560. Prese posizione sulle principali dispute dell’epoca. Scrisse di filosofia e teologia e le sue opere principali sono le Summulae, In dialecticam Aristotelis, In libros Physicorum, De Natura et Gratia, De Iustitia et Iure. Da esse discende quasi tutta la letteratura teologica della seconda metà del Cinquecento.

Filosofo solido, profondo giurista, acuto moralista, capace dogmatico, Domingo de Soto fu un tomista di razza, che però mantenne una qual certa propensione al nominalismo, così da rigettare la distinzione tra essenza e atto dell’essere negli enti. Espose ed arricchì il diritto naturale dell’Aquinate, distinguendo ciò che è proprio della natura delle cose e che stabilisce quel diritto da ciò che è ordinato dalla natura umana e che discende dal diritto positivo degli uomini. Il primo è dunque superiore, necessario, universale e obbligatorio incondizionatamente. Il diritto delle genti ne è una specificazione, anche se una parte di esso è frutto di elaborazione positiva. In ragione di ciò esso va rispettato. In quanto poi all’origine dell’autorità, essa viene da Dio direttamente se è ecclesiastica, indirettamente se è civile, per mediazione del popolo in cui Egli l’ha fatta risiedere.

Nella soteriologia de Soto sostiene che la grazia esercita una predeterminazione morale oggettiva sull’anima, che viene così inclinata alla salvezza. Inoltre sostiene, conformemente alla Tradizione, che nessuno, se non per speciale rivelazione, può essere sicuro di essere in grazia di Dio. Nella complessa questione della legittimità della conquista spagnola delle Americhe, de Soto ribadì che solo la creazione delle condizioni per la libera predicazione del Vangelo ne era un valido motivo, mentre la fede non poteva essere imposta in nessun modo e gli Indios erano a pieno titolo umani e quindi soggetto di diritti naturali.

Asceta di stampo medievale, nel suo Tradado de amor de Dios il de Soto insegna a contemplare la Passione di Cristo e insiste sulla giustificazione per fede e per opere.

MELCHIOR CANO

Nacque nel 1509. Fu docente di teologia a Salamanca ed Alcalà, confessore di Carlo V e padre del Concilio tridentino; prese parte attiva ai dibattiti di sacramentaria e teologia eucaristica, liturgica e penitenziale. Vescovo delle Canarie e Provinciale dei Domenicani, morì nel 1559. Fondatore dell’apologetica cattolica moderna e teorico della metodologia teologica, il Cano scrisse su di esse i Libri XII de locis theologicis, in cui classifica tutte le fonti della disciplina. La Relectio de Sacramentis e quella De Poenitentia sono altre sue due opere, a cui si aggiungono i commenti inediti alla Summa Theologica di Tommaso.

Il Cano distingue dieci luoghi teologici di cui sette sono propri e tre impropri. I primi due sono quelli fondamentali, fontali, ossia la Bibbia e la Tradizione, gli altri sono esplicativi. La Bibbia è quello principale, essendo per ispirazione divina inerrante tutta intera. La Tradizione invece contiene tutte le dottrine che o non hanno posto o non sono chiare nella Bibbia, in quanto la parola viva è superiore alla scritta. Seguono poi gli altri quattro luoghi propri. La Chiesa è, per autorità infallibile, con il suo insegnamento un luogo teologico. I Concili, se ecumenici ed approvati dal Papa, sono anch’essi un luogo teologico proprio, in quanto infallibili pure loro. Il Papa, successore di Pietro, è infallibile per il suo ufficio, anche se come persona privata può errare. I Padri, se concordi tra loro, sono un ennesimo luogo teologico proprio. I dottori o teologi, se unanimi, danno ad un insegnamento una grande validità. Tra i luoghi impropri abbiamo la retta ragione, che individua cognizioni sicure e universali; l’opinione concorde dei filosofi – tra cui il Cano privilegia Aristotele e Tommaso – e la storia, che insegna mediante testi fededegni, accettati con prudenza e recepiti dalla Chiesa. Ciceroniano nell’impostazione topica e dimostrativa, il Cano non riprende la fondazione epistemologica della teologia fatta da Tommaso, dandola per presupposta. Tralascia poi le fonti soggettive della teologia, ossia la fede vissuta e l’illuminazione dello Spirito Santo, perché non rientrano nel suo schema di lavoro.

GIOVANNI DI SAN TOMMASO

Fu il primo e maggior esponente della Seconda Scuola di Salamanca assieme a Domingo Bañez. Infatti, esauritasi la spinta primigenia della Scuola Salmaticense, intessuta di problemi pratici ed espressasi nei maestri che abbiamo citato e in Francisco di Toledo (1532-1596), Diego Alvarez (†1635), Tommaso di Lemos (1555-1629), Bartolomeo de Medina (1527-1580) e Giovanni Maldonato (1533-1583), una seconda propulsione, spiccatamente speculativa, si ebbe grazie ai due summenzionati autori. Giovanni di San Tommaso nacque a Lisbona nel 1589 dalla famiglia Poinsot, austro-portoghese. Studiò a Coimbra le arti e la teologia, che concluse a Lovanio. Domenicano nel 1610, prese il nome dal suo amato Aquinate. Sacerdote nel 1620, insegnò a Palencia e poi ad Alcalà in posizioni di grande prestigio. Confessore di Filippo IV (1621-1665), morì improvvisamente nel 1644 a Fraga. Scrisse solo su Tommaso d’Aquino. Ne commentò con attenzione e maestria la seconda parte della Somma Teologica e ne sintetizzò il pensiero nel Cursus Theologicus e in quello Philosophicus.

Forse tra i massimi commentatori dell’Aquinate, Giovanni ripropone il realismo aristotelico-tomista in antitesi, sia pure involontaria, del soggettivismo immanentistico di Renato Cartesio (1596-1650), a lui contemporaneo. L’oggetto della conoscenza è l’essenza delle cose materiali. L’intelletto mira alla verità. La conoscenza sensibile è la via alla verità, imprescindibile perché senza di essa non si forma nessuna idea. Di sé l’uomo ha solo una conoscenza riflessiva, che muove dagli oggetti e passa attraverso gli atti. I primi principi non sono né intuiti immediatamente né innati, ma colti dall’intelletto agente attraverso i sensi. La metafisica, per oggetto e principi, è la scienza prima ed è il fondamento di tutte le scienze. La teologia è scienza subalterna a quella dei Beati, come diceva Tommaso, ma la subalternazione è solo nei principi, essendo l’oggetto dell’una e dell’altra scienza sempre il medesimo. Teologo mistico, nel classico ed insuperabile trattato I Doni dello Spirito Santo, Giovanni di San Tommaso afferma che la conoscenza mistica è transconcettuale e che in essa la forza dell’amore prevale sulla luce della fede. Essa apre ai concetti, ma la carità fa avanzare oltre essi. Con questo trattato, Giovanni integrò e ampliò il pensiero dell’Aquinate.

DOMINGO BAÑEZ

Nacque a Valladolid nel 1528. Studiò le arti a Salamanca, dove divenne domenicano nel 1546. Nella stessa città studiò teologia. Fu docente a Salamanca, Alcalà, Avila e Valladolid. Fu di nuovo primo docente di teologia a Salamanca fino alla morte, avvenuta nel 1604. Fu confessore di Santa Teresa d’Avila, di cui lesse e revisionò i manoscritti. Commentò alcune opere di Aristotele, la prima e la seconda parte della Somma teologica di Tommaso e scrisse la Relectio de merito et augmento charitatis. Erudito, profondo e chiaro, il nostro fu uno dei massimi commentatori tomisti. Approfondì il pensiero dell’Aquinate arricchendolo all’occorrenza anche lessicalmente ma sempre con assoluta fedeltà. Legato alla controversia sulla grazia o de auxiliis, fu dapprima accusato presso l’Inquisizione nel 1582 per le sue tesi e poi, prosciolto – nonostante la prosecuzione delle polemiche – accusò a sua volta i seguaci di Luis de Molina (1535-1600), in quanto designato censore delle sue opere. Svolta questa funzione si tirò fuori dalla disputa che continuò da sola, con la condanna del molinismo e la sospensione del giudizio sui sistemi dello stesso Bañez e del Molina, di cui parleremo trattando dei Gesuiti, da parte di papa Paolo V (1605-1621).

Secondo Bañez la predestinazione alla salvezza avviene non in vista dei meriti ma prima di essi, che ne sono la conseguenza, anche se l’uomo non può acquisirli senza collaborare con la sua volontà. La grazia santificante esercita sull’uomo e sul suo libero arbitrio, una premozione fisica, una predeterminazione ontologica, disponendolo e preparandolo a fare il bene. La grazia non annulla il libero arbitrio umano, perché la volontà umana è mossa in un modo ad essa stessa conforme. L’uomo così mosso non subisce coazione né avverte necessità. Come si attira spontaneamente la farfalla con il fiore e l’ape col miele, per cui esse spontaneamente giungono laddove sono attratte, così la libertà umana è mossa dalla grazia divina perché compia ciò che Dio ha stabilito che faccia. La grazia provoca quindi la libera adesione dell’uomo. Ciò non annulla la libera scelta umana, che anzi trova in Dio il suo garante, in quanto Egli stesso è libero e ha fatto l’uomo a sua immagine e quindi libero anch’egli, anche se sempre in una situazione e mai in senso assoluto, in quanto Dio è onnipotente e onnisciente, mentre l’uomo può solo alcune cose e ne conosce altrettante. Come la sapienza umana rimanda a quella divina come sua causa fine e mezzo, così la libertà dell’uomo rimanda alla libertà di Dio. Il libero arbitrio umano è in rapporto di analogia con quello divino e, come secondo estremo, è simile al primo, da esso mosso, ad esso subordinato e intrinsecamente dipendente, come condizione stessa del suo operare liberamente. L’uomo mosso dalla grazia non può non sceglierla non perché ne è costretto, ma perché la stessa libertà umana si costituisce sotto l’azione divina e consapevolmente si adegua a quanto Dio le ha donato. Non dunque predeterminazione che annulla la scelta umana o mancanza di libero arbitrio nell’uomo ma sua salda fondazione nella stessa libertà divina, sia naturalmente che soprannaturalmente. Non vi è dunque libero arbitrio umano che non compia una azione buona senza il concorso della volontà divina la quale, mediante la grazia, dà a quell’azione un valore soprannaturale e deiforme. La creatura vuole il bene tanto liberamente quanto è altrettanto voluto per lui dal Signore. Manca in questo sistema la distinzione tra la grazia preveniente – a cui ben si addice la premozione fisica – e quella concomitante e susseguente, che operano con la libertà – che diversamente non potrebbe agire verso il bene – e a cui l’uomo può ribellarsi cadendo nel peccato.


Theorèin - Dicembre 2017