LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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NOVI DOCTORES MYSTICI

Breve introduzione ai Dottori mistici della Controriforma

Nella Controriforma ritornò ad altissimo prestigio la teologia mistica speculativa, coltivata sia in Ispagna che in Francia, rispettivamente nel Cinquecento e nel Seicento. Sono altresì da segnalare anche alcune figure mistiche italiane, non speculative ma di forte caratura affettiva. Quanto segue né dà una rapida sintesi.

LA MISTICA SPAGNOLA

Il Cinquecento è il secolo d’oro della Spagna, anche in religione e in letteratura. Perciò la mistica, che interessa entrambi gli ambiti, è particolarmente fiorente in quest’epoca nella Terra di San Giacomo. Il rinnovamento religioso del Paese si concretizzò dapprima in un folto numero di asceti, mistici e maestri spirituali, dalle cui fila uscirono autori di diversa importanza – molti medi e alcuni grandissimi – che diedero inizio e anima a un movimento speculativo che terminò con una serie di compilatori e trattatisti scolastici di soda dottrina e di ampio successo. Questo nuovo fervore di Dottori mistici ha esercitato una influenza tale sulla spiritualità cattolica che non ancora si è esaurita e che non accenna a diminuire, tale da determinare fortemente la vita interiore del mondo cristiano nelle sue forme più alte.

La mistica ispanica ha alcune caratteristiche fondamentali. Innanzitutto è cristocentrica, in quanto tutto quello che verte sul Cristo e in ispecie sulla Sua Umanità e sui Suoi dolori viene contemplato, amato e imitato. Il grande San Giovanni della Croce, di cui a breve parleremo, nella sua Salita al Monte Carmelo, esorta chi vuole realmente raggiungere la perfezione a coltivare un desiderio ordinato di imitare Cristo in ogni Sua azione, di conformarsi alla Sua Vita, di meditarla, conoscerla e imitarla, così da comportarsi in ogni cosa come se Egli fosse presente. Una ulteriore caratteristica della mistica ispanica è la sua natura controriformistica o più precisamente tridentina: essa è la manifestazione più compiuta della spiritualità della rinascita cattolica. Ignazio di Loyola – di cui abbiamo parlato a proposito dei Dottori gesuiti ma che è anch’egli un gran mistico, Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila – di cui a breve anche parleremo – furono ad un tempo i maggiori mistici della Controriforma e dei veri combattenti per la Fede. Santa Teresa fece della conversione dei Protestanti la ragione della sua vita contemplativa e della sua azione riformatrice, inculcando nelle sue monache questa medesima intenzione. Ancora una caratteristica della mistica ispanica, collegata alla precedente, è la sua natura pugnace e combattiva. Dopo aver lottato per secoli contro i Mori, ora gli spagnoli combattevano, sul fronte dello spirito, una battaglia senza tregua contro l’impero delle tenebre per la conquista della santità e la salvezza delle anime, usando spesso per descrivere le proprie esperienze il linguaggio della Reconquista e della monarchia assoluta degli Asburgo. Conseguenzialmente, questa mistica è una mistica attiva, i cui Dottori insegnano e vivono il principio per cui la perfezione dipende essenzialmente dal volere umano, perché esso può accettare o meno che la Grazia divina scorra senza riserve. Dio si dona senza riserve se l’uomo fa lo stesso. San Giovanni della Croce insegna che l’uomo deve concentrare tutte le sue forze in Dio per ottenere la perfezione mistica. Il suo pensiero è quindi solo apparentemente passivo. Il Dottore insegna che, rimossi i fattori che dividono o diminuiscono l’energia spirituale e il raccoglimento, l’uomo immediatamente riceve la contemplazione infusa. Anche gli stadi più alti della vita spirituali, dove l’azione di Dio diventa via via più esclusiva, esigono determinati esercizi da parte dell’uomo. Questi, nel proemio della seconda edizione del Cantico spirituale di Giovanni della Croce, viene esortato a cercare, una volta per tutte, specie quando la sua vita è giunta a metà del suo corso, per ragioni stringenti, soltanto Dio. Questa svolta vitale implica una spiritualità totale. Santa Teresa afferma che la strada della perfezione mistica è aperta a tutti coloro che vogliono percorrerla. La vita spirituale è applicazione della forza di volontà. Basta una piccola determinazione ad intraprendere il cammino che dev’essere deciso, perenne, instancabile e ostinato. Teresa d’Avila insegnò ad operare sempre, servendosi del grande mezzo della preghiera, quale linfa fecondatrice dell’azione. In lei Marta e Maria convivono senza disturbarsi. Ovviamente, le azioni mistiche per eccellenza sono quelle apostoliche e missionarie, che diventano le ultime caratteristiche di questa spiritualità ispanica, aliena dalle speculazioni della sua omologa tedesca del Trecento e quindi più compatta e sicura nelle sue formulazioni. Infine, l’ultima caratteristica degna di essere sottolineata è che la mistica spagnola, nei suoi autori maggiori, è il frutto dell’esperienza degli scrittori stessi, mentre solo nel secolo successivo la trattatistica in materia avrebbe avuto un impianto teorico preponderante su quello empirico.

SAN GIOVANNI D’AVILA, DOTTORE DELLA CHIESA

Nacque ad Almodovar del Campo nel 1499. A Salamanca, mentre studiava giurisprudenza, si convertì e si diede ad una vita di raccoglimento e penitenza per tre anni nella sua stessa casa. Riprese gli studi e divenne baccelliere delle Arti nel 1523 ad Alcalà. Dopo aver concluso gli studi teologici, nel 1526 fu ordinato prete e, nell’impossibilità di partire missionario, si diede ad evangelizzare l’Andalusia di cui fu detto “Apostolo”. Accusato di eresia per la sua stima di Erasmo da Rotterdam, fu incarcerato per tre anni dall’Inquisizione e nel corso della sua prigionia scrisse la sua unica opera organica, la Audi filia. Liberato e riabilitato nel 1533, riprese a predicare in Andalusia, fondò diversi collegi e l’Università di Baeza, fino a quando si ritirò a Montillia, dove morì nel 1569.

Giovanni scrisse l’Audi filia, che fu pubblicato contro la sua volontà nel 1556 e messo all’Indice per un certo tempo nel 1559. Era un trattato di ascetica e mistica, tra i primi, e destinato al popolo. Tra le altre sue opere si annoverano un trattatello sull’amor di Dio, uno sul sacerdozio, un epistolario, un omeliario, diverse conversazioni e altri scritti minori. Il Beato fu assai popolare. Nonostante ammirasse Erasmo, Giovanni ne conosceva i limiti e metteva in guardia da essi. Erudito di ampie proporzioni, conosceva benissimo la Bibbia e abbastanza bene i Padri, specialmente Agostino e Dionigi.

IL VENERABILE LUIGI DI GRANADA

Nacque nel 1504 da povera famiglia. Nel 1525 divenne domenicano a Santa Cruz. Studiò teologia a Valladolid, dove conobbe le principali dispute teologiche dell’epoca. Nel 1534 fu mandato, ormai prete, a rifondare il Convento di Escalaceli, di cui divenne priore. Nel 1549 fondò il Convento di Badajos dove soggiornò fino al 1555. Qui scrisse la Guia de Pecadores, la sua opera prediletta. Trasferitosi in Portogallo su richiesta del Cardinale Patriarca, ne divenne provinciale nel 1556. Nel 1559 l’Inquisizione mise all’Indice la Guia e il Libro de oracion y meditacion. Guardato con sospetto dalla Corona spagnola dopo l’unione di questa con la portoghese, Luigi morì nel 1588.

Autore eccezionalmente prolifico e prosatore assai significativo della letteratura spagnola, Luigi scrisse, oltre ai due libri citati, il Compendio de doctrina cristiana, l’Introducciòn al Simbolo de la Fè, il Compendio de la Introducciòn, il Breve tractado de proponer la doctrina cristiana a los nuevos fideles, diverse biografie, una raccolta di omelie De tempore et de Sanctis. Luigi esercitò un’ampia influenza sui secoli successivi e la sua Introducciòn fu opera unica, capace di svolgere una funzione catechetica, apologetica e missonaria, essendo destinata a tutti i fedeli e in particolare ai convertiti. Fu grande divulgatore della dottrina spirituale, che seppe insegnare al popolo e nello stesso tempo inculcare nei predicatori, per cui egli fu grande direttore di coscienza e grande predicatore. Poco originale, Luigi fu tuttavia un maestro solido e di grande ascendente sul popolo cristiano.

SAN PIETRO DI ALCANTARA

Giovanni di Sanabria nacque ad Alcantara nel 1499, studiò a Salamanca tra il 1511 e il 1515, entrò in quell’anno tra i Francescani Scalzi, dove assunse il nome di Pietro, e nel 1519 fu inviato a fondare il Convento di Badajoz. Nel 1524 divenne sacerdote. Fu poi superiore a Blobedillo, guardiano a Plasencia e a Badajoz, dove fu richiamato a furor di popolo. Nel 1538 fu ministro della Provincia di San Gabriele e ne scrisse gli Statuti. Nel 1588 divenne commissario generale dei Conventi riformati di Spagna e li riunì nella Custodia di San Giuseppe, destinata a diventare Provincia nel 1561. Fu confessore e direttore spirituale di Santa Teresa d’Avila e l’aiutò nella sua riforma. Già in vita era considerato santo e grandissimo apostolo. Morì nel 1562 ad Arenas.

San Pietro scrisse un Commento al Salmo L e il Tradado de oraciòn y meditaciòn. Tradotto e riedito innumerevoli volte, il trattato ha uno spirito precipuamente francescano, semplice, affettuoso, concreto, pieno di intelligenza contemplativa, comprensiva, penetrante e realista, in cui si rintracciano formule di diversa provenienza ma funzionali ad esprimerne lo spirito. Nel trattato un intero capitolo è dedicato alla memoria della Passione di Gesù, diviso in sette meditazioni, una per ogni giorno della settimana.

SANTA TERESA D’AVILA LA GRANDE, DOTTORE DELLA CHIESA

Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada, detta la Grande per distinguerla da Teresa di Lisieux, nacque ad Avila nel 1515 da nobile famiglia. Precocemente inclinata al martirio, la pia fanciulla fuggì di casa per cercarlo tra i Mori. Riportata a casa, si diede a vita eremitica. Morta la madre, scelse come sua nuova mamma la Madonna. Trascorse una adolescenza segnata dalla mediocrità morale, cosa che le diede rimorso per tutta la vita. Nel 1535, a dispetto del padre, si fece carmelitana nel Convento dell’Incarnazione di Avila. Nel 1537 pronunziò i voti perpetui e dopo una esperienza mistica del Cristo sofferente ebbe la sua conversione decisiva. Nel 1538, per una grave malattia, lasciò il Carmelo e giacque per tre anni paralizzata. Miracolata da San Giuseppe di cui fu sempre devotissima e apostola. La Santa, oramai avviata nella via del misticismo, fu incompresa da molti confessori e furono solo San Francesco Borgia nel 1557 e San Pietro d’Alcantara, suo direttore di coscienza dal 1560 al 1562, a rassicurarla sull’origine divina di quanto le accadeva. Il secondo la guidò saggiamente e la sostenne nello sforzo di seguire il suo progetto di riforma monastica con la massima perfezione. Infatti Teresa, dal 1560, aveva cominciato a lavorare, con altre monache, al progetto di un Carmelo che seguisse alla lettera la Regola primitiva dell’Ordine. Così nel 1562 nacque il Carmelo di San Giuseppe, in cui entrarono subito quattro novizie accanto alle religiose che lo avevano fondato. Il progetto appena concretizzatosi fu osteggiato ma Pio IV (1560-1565) concesse alle monache di vivere in piena povertà e nominò Teresa priora. Nel 1567 il Generale dei Carmelitani non solo autorizzò Teresa a fondare altri Carmeli femminili, ma anche ad aprirne due maschili nella Provincia castigliana. Iniziò l’epopea teresiana delle fondazioni: a Medina del Campo nel 1567, a Toledo e a Pastrana nel 1569, a Salamanca nel 1570, ad Alba di Torres nel 1571. Dopo varie peripezie, nel 1571 il Visitatore Apostolico di Pio V (1565-1572) la nominò priora del Carmelo dell’Incarnazione di Avila, dove aveva emesso i voti e in cui trovò una strenua opposizione che domò solo con la sua virtù. Nel 1572 San Giovanni della Croce divenne suo confessore. Nello stesso anno, mentre si comunicava dalle mani del Santo, vide il Cristo Che, porgendole un chiodo, la elevò al Matrimonio spirituale con Lui. Da allora le visioni di ogni genere si moltiplicarono e agli occhi interiori ed esteriori di Teresa si dischiusero i misteri della Santissima Trinità, dell’Umanità di Cristo e del mondo celeste. Nel 1574 Teresa fondò un Carmelo a Segovia e nel 1575 a Beas de Segura e a Siviglia. In quell’anno, in soli due mesi e per ordine del superiore e futuro confessore Gerolamo Graciàn, la Santa scrisse il Castello interiore, il suo capolavoro. Nel 1577 Teresa tornò ad Avila dove ebbe il dolore di vedere arrestato San Giovanni della Croce per ordine dell’Inquisizione. Ma la lotta senza quartiere contro la Riforma teresiana non poté fermarla: nuove fondazioni furono fatte dalla Santa a Cuenca, a Palencia, a Burgos e a Madrid. Alla fine erano sedici Carmeli femminili e diciotto maschili quelli fondati dalla Riformatrice, venuti su senza che lei avesse all’inizio alcuna dotazione finanziaria, anche minima. Nel 1582 morì santamente avendo ricevuto il Viatico e dopo aver ringraziato Dio di averla fatta figlia della Chiesa e averle concesso di perseverare in essa.

Teresa d’Avila fu la somma mistica della Spagna. I suoi scritti furono tutti frutto di esperienza propria e osservazione personale. Cinque sono le sue opere maggiori: la Vita (Libro de la Vida), il Cammino di perfezione (Camino de Perfección) e il Castello interiore – chiamato anche Le mansioni (Castillo Interior o Las Moradas) – che costituiscono un trittico dottrinale, le Fondazioni (Las Fundaciones), il Commento al Cantico dei Cantici, le Esclamazioni (Esclamaciones), alcune poesie e l’Epistolario, di più di quattrocentocinquanta lettere. La Vita fu scritta come confessione segreta destinata solo al direttore di coscienza. Racconto dell’esperienza originale della Santa che già conteneva una dottrina spirituale intera, l’opera fu rielaborata tra il 1562 e il 1565 e vi furono accluse un trattato sui gradi della preghiera e una breve storia della fondazione del Carmelo di San Giuseppe, entrambi destinati al pubblico. Gli aspetti più propriamente autobiografici sono segnati dalla consapevolezza che la Santa ha dei propri peccati e della misericordia di Dio nei suoi confronti, espressa dai doni carismatici conferitile e da lei minuziosamente e chiaramente descritti. Il Cammino di perfezione è destinato alle monache per formarle alla preghiera. In esso Teresa insiste sulla vita di orazione e comunicazione con Dio che è il cardine della sua riforma contemplativa. Il Castello interiore è la descrizione del cammino dell’anima verso Dio mediante un percorso per sette mansioni. L’itinerario di grazia vi è tracciato con mano sicura dall’autrice oramai all’Unione trasformante con Dio. Questi unisce l’anima a Sé con un amore tenero e forte, nel distacco dalle cose, così da poter irrompere nella creatura e realizzare con essa una comunione d’amore in cui il Creatore non si fa vincere in generosità. In queste opere tutte Teresa mostra uno stile vivace, ricco di immagini, sorretto da una intelligenza geniale che lo piega alla descrizione e alla trattazione di temi ardui e difficili. Le Fondazioni, oltre ad essere un resoconto dell’attività di Teresa nella costituzione dei suoi Carmeli, sono uno schema della riforma da lei voluta e approfondita nel Cammino di Perfezione. Le Esclamazioni sono elevazioni infuocate emesse spontaneamente da Teresa dopo la Comunione.

Nella teologia mistica teresiana ci sono due poli: il Cristo e l’anima, entrambi bellissimi, anche se la bellezza della seconda è un riflesso di quella del primo. La Santa, sempre dotata di penetrante introspezione e di finissima capacità di analisi fenomenologica di quanto accade dentro di lei (cosa mediante cui ha rinnovato la teologia mistica accentuandone il carattere sperimentale e psicologico), usa alcune immagini per illustrare il rapporto tra Cristo e l’anima: quest’ultima è un castello fatto di un solo diamante o cristallo, divisa in molte mansioni, nel cui centro abita il Redentore; oppure l’anima è uno specchio chiarissimo e luminoso nel quale si riflette il Signore, così che Egli sia visibile dappertutto dentro di lei. Chi dunque conosce Dio conosce anche la propria anima e meglio la intende via via che avanza in questa comprensione. Oltre alla speculazione, in questo cammino si avanza con l’orazione, con la contemplazione e con l’amore. L’orazione mistica è soprannaturale in quanto viene più da Dio che dall’uomo e fa sì che egli si estranei dal mondo sensibile per concentrare tutte le sue facoltà sul Signore. Pace e quiete derivano spesso da tale raccoglimento così che l’orante non sente più bisogno di nulla, nemmeno di pregare e meditare parlando dentro di sé, così che è spinto solo ad amare ed è stanco di tutto il resto. L’orazione mistica, che può durare a lungo, può diventare rapimento e ratto. La conseguenza è che l’anima si dimentica di vivificare il corpo e quando si ridesta avverte indolenzimento. Nel rapimento l’anima muore poco a poco a tutte le cose. Nel ratto avverte di essere portata fuori di sé da Dio, al quale si deve quindi abbandonare.

Il percorso per arrivare tanto in alto è descritto essenzialmente nel Castello interiore. Dall’abbandono del peccato alle nozze con la Trinità, questo libro descrive tutte le fasi che conducono, attraverso i vari gradi dell’orazione, al centro dell’anima. Il corpo e il mondo sono il fossato e le mura del castello dell’uomo, mentre la sua unica apertura è la porta della preghiera, mediante cui l’anima entra in sé e si muove nelle proprie parti interiori. Ogni mansione è uno stadio esistenziale che va attraversato per giungere a Dio, che vive dentro l’anima come datore di luce e di essere, anche per chi è in peccato. L’orazione conduce la marcia dell’anima, scandita da sette tappe, quali altrettante prove per abbracciare lo Sposo divino. Nella prima mansione l’uomo passa dal peccato alla Grazia e prende coscienza delle realtà soprannaturali. Nella seconda mansione l’anima inizia una orazione discorsiva, imperfetta, turbata dagli istinti, dalle suggestioni del mondo e dalle tentazioni di satana. Nella terza mansione l’anima sottomette la natura alla Grazia rendendo abituale e semplice l’orazione mentale discorsiva, mediante cui si semplifica il raccoglimento contemplativo. La quarta mansione è quella in cui l’anima umana passa dallo stato ascetico attivo a quello mistico passivo, segnato dal raccoglimento infuso, dall’orazione di quiete e dal sonno delle potenze. Nella quinta mansione l’azione di Dio è purificatrice e trasformante, oltre che unitiva. Il baco da seta diviene farfalla. Visioni, locuzioni e infiammazioni della volontà creano una amicizia più perfetta tra Dio e l’uomo, sviluppando così l’essenza della preghiera in quanto tale. Nella sesta mansione Dio purifica radicalmente e profondamente l’anima, mediante estasi violente che sottomettono la natura alla Grazia. Dio si mostra e parla nelle visioni e nelle locuzioni, conducendo l’anima al fidanzamento spirituale. Nella settima mansione finalmente Dio si mostra oltre il velo della fede, facendo sgorgare l’eternità nel tempo e l’immensità nello spazio, così che le mistiche nozze sono celebrate. Nel centro dell’anima l’uomo acquista una personalità nuova e può dedicarsi alle più ardimentose imprese senza perdere la sua unione con Dio.

SAN GIOVANNI DELLA CROCE, DOTTORE DELLA CHIESA

Nacque a Fontivéros dalla famiglia Yepes nel 1542 e morì a Ubeda nel 1541. Divenne carmelitano nel 1563 e si addottorò in filosofia e teologia a Salamanca tra il 1564 e il 1567. Ordinato prete, avrebbe voluto diventare certosino, ma accettò di collaborare con Teresa d’Avila nella riforma del ramo maschile del Carmelo. Questo fece di lui il padre dei Carmelitani Scalzi ma anche l’oggetto di una implacabile persecuzione che arrivò fino alla reclusione per nove mesi nel carcere conventuale di Toledo. Qui, tra sofferenze fisiche e spirituali, si elevò all’unione mistica e scrisse pagine di impareggiabile bellezza sulla mistica. Aprì e diresse i noviziati di Duruelo e Pastrana, nonché i collegi di Alcalà e Baeza, dove plasmò i giovani a lui affidati avviandoli alla perfezione. Dopo essere stato Priore di Granada e aver ricoperto svariati incarichi nel suo Ordine, nuovamente calunniato e frainteso, privato di tutti i suoi incarichi, trasferito prima a Peñuela e indi alla summenzionata e sperduta Ubeda, vi morì tra dolori fisici e morali, esattamente come aveva chiesto a Dio.

Il Dottore scrisse opere poetiche, in prosa e miste. Le principali sono le seguenti. In poesia En una noche oscura (In una notte oscura) ovvero Canzoni dell’anima che si rallegra d’essere giunta all’alto stato della perfezione, che è l’unione con Dio per il cammino del rinnegamento di sé; Cantico espiritual (Cantico Spirituale) ovvero Canzoni tra l’anima e lo Sposo; Romances (Romanze) – nove poemi che prendono lo spunto dal Prologo del Vangelo di Giovanni e hanno una ricca dottrina biblica e dogmatica – Por toda la hermosura (Per tutta la bellezza) – sulla trascendenza e l’assoluta eccellenza di Dio su ogni cosa - Llama de amor viva (Fiamma viva d’amore). Canciones del alma en la íntima comunicación de amor de Dios - opera intensa, semplice e di grande bellezza, conclusiva e legata necessariamente alle precedenti, originale quanto a esperienza mistica, creazione letteraria e dottrina spirituale. In prosa Avisos a un religioso (Avvisi a un religioso) – una guida per il rapido raggiungimento della perfezione – Censura y parecer (Censura e giudizio) – in cui fornisce i criteri per distinguere il vero dal falso spirito religioso e suggerisce i rimedi – l’Epistolario – con le poche lettere superstiti degli ultimi anni di vita dell’Autore. Le opere miste sono la Subida del Monte Carmelo (Salita del Monte Carmelo) – in tre libri ed incompleta, è l’opera più imponente e sistematica – la Noche Oscura (Notte oscura) – che di fatto è la quarta parte dell’opera precedente, anche se da essa distinta – Cantico espiritual (Cantico spirituale) ovvero l’esercizio di amore tra l’anima e Cristo suo Sposo – è il commento dell’omonima composizione poetica. Abbiamo poi anche le Cautele e altre Poesie.

I suoi scritti rimasero inediti per ventisette anni e nella loro prima edizione fu escluso il Cantico spirituale. Le prime edizioni diedero problemi testuali, risolti solo nel Novecento.

Giovanni fu prosatore castigliano limpido e bello, lucido e robusto, facile all’aforisma luminoso ed essenziale; le sue composizioni liriche – specie quelle che lui stesso poi commentò – furono tra le più alte e deliziose della letteratura spagnola. La sua poesia esprime gli slanci della sua anima, a cui è profondamente connaturata. La mistica sponsale gli suggerisce immagini audaci che quasi si permettono di superare i limiti naturali tra l’uomo e Dio.

Nelle sue opere Giovanni traccia magistralmente il cammino dell’anima, che mediante le notti oscure attive del senso e dello spirito, attraverso le prove purificatrici superiori e passando per altri momenti travagliati, giunge alle mistiche nozze con Dio. Il nulla generoso che essa deve dare a sé stessa è il mezzo che la rende degna del tutto divino e della pienezza del Suo amore. Questo itinerario è l’eco integrale del messaggio evangelico, che il Dottore ha fatto suo con profondità teologica e conoscenza accurata della psicologia e che ha vissuto coerentemente, giungendo ad una sintesi dottrinale del tutto inedita e personale.

Giovanni della Croce è il vertice della mistica cristiana. Egli considera l’elemento fondamentale della preghiera, ossia la contemplazione, e ne traccia l’itinerario illuminandone i contenuti con una profondità ancora ineguagliata. Egli tratta della contemplazione iniziale nella prima parte della Notte Oscura, completandola nella Salita del Monte Carmelo. Comincia facendo il ritratto dei principianti, esaminando i vizi capitali che in essi si mostrano non in forme gravi, ma tali da impedire il progresso spirituale. Per domare la sensibilità ci vuole una purificazione il cui autore è Dio stesso, mediante la notte passiva dei sensi. In essa questi rimangono privi di ogni conforto e gusto nelle cose spirituali. In questo modo l’anima che si era avviata alla vita dello spirito perché attratta dalle dolcezze insite in essa vi viene confermata per un atto di volontà, nonostante tali dolcezze ora siano scomparse. E’ la crisi dell’aridità. Questa aridità purificatrice si distingue da quella naturale o da quella colpevole perché l’anima, nel corso di essa, non riesce per molto tempo a meditare, non ha gusto nelle cose divine ma nemmeno più cerca quelle umane, è in ansia temendo di non amare il Signore. Questo suo zelo è il segno che l’anima sta entrando nella contemplazione, ossia nel modo di conoscere Dio per amore e non discorsivamente. L’anima ha acquisito il senso di Dio e, svanita l’aridità, entra nella via dello spirito, diventando stabile nella contemplazione. Di questa seconda fase della vita interiore il Santo parla nei libri II e III della Salita al Monte Carmelo e nel libro II della Notte Oscura. Nei primi due testi Giovanni descrive l’aspetto attivo della purificazione, che si compie attraverso le virtù teologali che uniscono l’anima a Dio e la mondano. Nel terzo testo il Dottore mostra l’aspetto passivo di questa fase interiore, in quanto Dio proietta la Sua luce sull’anima perché essa veda la propria miseria morale. Così l’anima soffre per questa visione, odia i propri difetti e li espelle. Sotto l’attrattiva divina l’amore assume diverse forme: è stima di Dio, per il Quale l’uomo sarebbe pronto a morire; è passione divorante che gli farebbe abbracciare le cose più difficili pur di piacere al Signore e di affrettare l’unione con Lui; è pregustazione breve e rara di questa unione. Essa tuttavia avviene attraverso due stadi. Sono lo sposalizio o unione di volontà e il matrimonio o unione totale. Il primo è descritto nel Cantico spirituale dalla tredicesima alla ventunesima strofa, il secondo nel resto del Cantico e nella maggior parte della Fiamma viva d’amore. Nello sposalizio la volontà umana si trasforma in quella divina. La prima non si rifiuta più alla seconda ma non può trascinare tutta la sensibilità con sé, avendo bisogno di aiuto dall’alto. Tuttavia l’anima ama ciò che Dio comanda e in genere tutto quanto Gli piace. Adesso l’amore passivo non illumina più le miserie dell’anima, che sono state espulse, ma Dio stesso, oggetto di contemplazione profonda e luminosa che comunica all’anima stessa il senso della grandezza del Signore. L’anima è a suo agio con Dio e Lo sente vivere in lei. Qualche emozione sensibile ancora turba questa fase interiore e satana cerca di approfittarne, ma il passaggio alla fase successiva, al matrimonio, ovvierà a questo inconveniente, rendendo l’anima divina per partecipazione. Infatti in esso la trasformazione investe tutte le altre facoltà umane, compresa la sensibilità. Dio tiene abbracciata l’anima e dal suo fondo esce la mozione di Grazia che la guida in tutto quel che fa. Nei momenti più intensi l’anima è trascinata nella conoscenza della Natura Divina e nel Suo amore infinito. Sperimenta la partecipazione alla vita della Trinità. Subisce gli interventi diretti e divini del Signore, intensi e decisi, dei quali il più forte un giorno spezzerà il fragile involucro del corpo e la porterà da Lui con una morte d’amore.

SANT’ALONZO DI OROZCO E I MISTICI MINORI

Nacque nel 1500, fu agostiniano dal 1522 e studiò a Salamanca. Ordinato prete, fu superiore di diversi conventi. Partito per l’America nel 1546, dovette rientrare appena giunto alle Canarie per problemi di salute. In una visione, la Vergine Maria gli ordinò di scrivere. Fu predicatore di Corte e morì a Madrid nel 1591. Tra le sue opere ricordiamo la Regola della vita cristiana, il Monte della contemplazione, il Memoriale dell’amor santo, l’Esame di coscienza, la Contemplazione del Crocifisso e le Confessioni, su imitazione del capolavoro agostiniano.

Tra i massimi letterati spagnoli e tra i più tradotti e commentati, Luigi di Leon nacque nel 1527, nel 1543 divenne agostiniano a Salamanca e fu nominato professore di Scienze bibliche in quella università da Domingo Soto. Coinvolto in una disputa sul Protestantesimo, fu imprigionato dall’Inquisizione dal 1542 al 1546 e poi assolto e riabilitato. In seguito rinunciò spontaneamente a tutti i suoi incarichi tranne che alla cattedra di teologia scolastica. Morì a Madrigal nel 1591. Fu teologo mistico speculativo e teorico. Scrisse trattati ascetici e mistici. Tra i primi La moglie perfetta e tra i secondi una traduzione e un commentario del Cantico dei Cantici, Francisci Luysii Legionensis Augustiniani Theologiae Doctoris, & Divinorum Librorum primi apud Salmanticenses interpretis explanatiorum in eosdem, l’Esposizione del Libro di Giobbe e i Nomi di Cristo. Scrisse anche ventitré poemi.

Nato nel 1536 e morto nel 1609, francescano e predicatore di corte, Giovanni di Los Angeles fu autore fortemente influenzato dalla mistica fiamminga. Fu autore assai leggibile anche se poco originale e prolisso. Scrisse diverse opere importanti, tra cui: I trionfi dell’amore di Dio, i Dialoghi della Conquista del Regno di Dio, il Manuale della vita perfetta, i Sermoni, il Salterio spirituale, la Presenza di Dio.

LA LETTERATURA SPIRITUALE FRANCESE

Fiorisce in corrispondenza dell’ascesa della Francia a grande potenza europea, concorrente della Spagna e nuovo, ulteriore bastione della Controriforma. Ha uno stile intermedio tra l’oggettivismo della teologia sistematica e il soggettivismo della mistica vera e propria. Si alimenta della traduzione in francese di tutte le grandi opere mistiche fiamminghe, tedesche e spagnole, nonché degli scritti, debitamente tradotti anch’essi, di Dionigi l’Areopagita. E’ concomitante alla rinascita della devozione e alla fioritura della spiritualità nella Chiesa francese, auspici le riforme monastiche, la crescita dei nuovi Ordini e la diffusione dei Chierici Secolari dell’Oratorio, della Missione, di San Sulpizio, degli Eudisti e di tanti altri. Questa letteratura ha inoltre una sua linfa ulteriore in quegli scritti devoti e colti scritti da e per i laici, sia rimasti nel mondo, sia avvicinatisi alla vita monastica senza abbracciarla, sia riuniti in pie associazioni come la Compagnia del Santissimo Sacramento e l’Eremitaggio di Cuen. Il maggior limite di questa letteratura e della spiritualità che essa esprime sta nella mancanza di una valida teologia sistematica locale. L’esperienza religiosa finisce così per esprimersi in modo retorico, pesante, ricco di similitudini raffinate, tendente alla psicologizzazione connessa al continuo sforzo di esaminare e dirigere l’interiorità; la conseguenza finale è lo spostamento dell’asse del discorso da Dio alla trascendenza in genere, fino a trascolorare nelle forme più estenuate del Barocco decadente. Prima però di decadere, questa letteratura ha saputo favorire la purificazione e l’illuminazione critica dello spirito e del cuore per orientarli all’apertura e alla disponibilità verso Dio, il Quale, mediante la Sua Rivelazione liberamente compiuta e liberamente accettata dall’uomo, lo conduce all’unione d’amore con Lui. L’uomo, chiamato a questa sublime vocazione, può solo abbandonarsi, essere indifferente nel senso di vivere un amore umile pronto a soffrire, sottomettersi alla libera scelta del Signore di unirlo a Sé o meno.

SAN FRANCESCO DI SALES, DOTTORE DELLA CHIESA

Nacque a Thornes in Savoia nel 1567 e studiò a Parigi dal 1582 al 1588. Nella capitale subì una dura prova spirituale per più di un mese, nel 1586 circa, quando credette di non essere tra i predestinati. Entrando casualmente in Nôtre-Dame e pregando la Vergine dopo sei settimane di tormento, ne fu liberato immediatamente mediante l’accettazione di qualsiasi decreto divino; in conseguenza di ciò egli udì il Cristo che lo chiamò ad una vita di elezione, in quanto Egli non avrebbe tratto una vera gloria dalla perdizione della sua anima. Laureatosi in Giurisprudenza a Padova, lavorò in missione in Savoia dal 1594 al 1597, per poi diventare dapprima vescovo coadiutore, nel 1597, e poi ordinario, nel 1602, di Ginevra. Nel 1602 soggiornò a Parigi per una missione politica e conobbe i grandi mistici della Riforma cattolica di Francia: la Beata Maria dell’Incarnazione (1566-1618), Maria di Beauvilliers (1574-1567) e il Cardinale de Bérulle. Tornato in Savoia, si dedica solo alla Diocesi, alla predicazione e alla corrispondenza spirituale. A Digione nel 1604 conobbe Santa Giovanna Francesca di Chantal (1572-1641) con cui nel 1610 fonda la Congregazione della Visitazione, approvata nel 1615 da Paolo V (1605-1621) e rapidamente diffusasi. Il Santo morì nel 1622. Scrisse diverse opere, tra cui il Teofilo o Trattato dell’amor di Dio, l’Introduzione alla vita devota, i Veri colloqui spirituali, le Controversie, i Discorsi e l’Epistolario. Esse hanno avuto e hanno un’ampia influenza in tutto l’orbe cattolico. Il Santo fu un autore profondo ed efficace e versatissimo nella sua lingua, tanto che i suoi scritti sono tra i classici del francese.

Caratteristiche generali del pensiero di Francesco di Sales sono la benignità, l’umanità, la visione moderna e profonda dell’uomo e della natura, la complementarietà e la capacità di elevazione che la Grazia ha nei confronti della realtà creaturale.

Il grosso della dottrina salesiana sta nel Trattato dell’amor di Dio. Ha solide basi filosofiche, teologiche e mistiche, queste ultime sia classiche sia personali dell’autore e della sua cerchia. Francesco di Sales conosce ed usa la Bibbia, specie gli scritti di San Paolo e San Giovanni, i Padri come Agostino e Dionigi, i Dottori scolastici come Bernardo, Bonaventura, Tommaso e Scoto, i mistici come Suso, Tauler, Ignazio di Loyola, Giovanni d’Avila, Teresa la Grande e Giovanni della Croce. Il Santo tuttavia predilige lo stile e i concetti chiari e rigetta lo stile nebbioso dei mistici tedeschi. Nel Trattato il Dottore spiega, attraverso dodici libri, altrettanti temi: la nascita dell’amore divino, il suo progresso e compimento, la sua caduta, i suoi atti fondamentali (ossia compiacimento, benevolenza, preghiera), le sue vette (estasi e morte d’amore), la sua conformità alla volontà divina sia di precetto che di consiglio e di ispirazione, la sua santa indifferenza come conseguenza alla conformità al divino volere, la sua natura di comandamento principale, la sua determinazione come virtù teologale e poi diversi mezzi per la sua pratica.

San Francesco di Sales sviluppa, nelle prime parti della sua opera, una sorta di trattato sulla preghiera. Egli afferma che la volontà può guidare tutte le altre facoltà, anche se queste non rinunciano a protestare. L’uomo ha un’anima divisa in tre parti: sensibile, dove albergano le passioni; superiore, dove risiede la ragione e anche il volere; suprema o punta fine, dove avvengono gli appagamenti della speranza, della fede e della carità. Qui risiede la vita mistica. Trattando poi della nascita dell’amore divino, il Dottore afferma, come Scoto, che l’Incarnazione del Verbo è avvenuta non solamente per redimerci ma per testimoniare la carità di Dio verso l’uomo, con il quale vuole creare una comunione addirittura ipostatica.

Parlando della forza dell’amore, Francesco afferma che esso è la vita del cuore umano e il motore di tutti i sentimenti. L’amore divino, quando regna in noi, assoggetta tutte le inclinazioni e le aspirazioni dell’anima. Le passioni sono riassorbite in esso e l’anima si disseta perpetuamente alla fonte divina. Tuttavia l’amore ha sempre l’insidia di diventare amore di sé, che fa quel che fa anche con Dio per il piacere che ne trae. Per questo l’uomo dev’essere indifferente a qualunque cosa gli capiti, dentro e fuori di sé, onde fare solo quel che Dio vuole, senza cercare ma nemmeno rigettare le consolazioni. La vetta e l’accademia d’amore è il Calvario. Non si ama a prescindere dalla Passione di Gesù né si può amare Lui senza amare la Sua Morte d’amore. Del resto, morire fuori dell’amore di Cristo e vivere senza di esso è quanto di peggio può accadere all’uomo. Egli infatti deve obbedire a Dio e scegliere tra l’amore eterno e la morte eterna. Ovviamente Dio vuole che scegliamo il primo, ma non lascia a nessuno una terza strada. La carità è la disinteressata amicizia soprannaturale con Dio, a cui segue la contemplazione estatica. Dio compie questa in noi, infondendo nell’anima una pace sublime, mediante cui ogni facoltà esterna e interna è orientata alla presenza intima e reale del Signore al suo interno. La preghiera diventa dunque silenzio e intelletto e immaginazione tacciono. Per il Dottore – e questo è degno di nota – tale vocazione alla perfezione è rivolta da Dio a tutti gli uomini, in tutti gli stati di vita.

Francesco di Sales prese posizione anche nella controversa questione del rapporto tra Grazia e libero arbitrio, sostenendo l’equilibrato principio per cui bisogna agire come se tutto dipendesse da noi e pregare come se tutto dipendesse da Dio.

PIERRE DE BÉRULLE

Nacque a Sérilly presso Troyes da famiglia della nobiltà di toga nel 1575. Precocemente votato alla castità – a soli otte anni fece voto di osservarla – fu orfano di padre assai presto; educato dalla madre, studiò a Parigi e poi a Clermont dai Gesuiti, indi alla Sorbona. Nella capitale conobbe la Beata Maria dell’Incarnazione, Benoit de Canfeld (1562-1611) e Richard Beaucousin (1561-1616), che lo invogliò a scrivere la sua unica opera mistica, il Breve discorso dell’abnegazione interiore, del 1597, in cui spiega che l’amore di Dio si perfeziona mediante una serie progressiva di rinunce: ai beni materiali, ai sensi, al calore, alla tenerezza, ai lumi della parte superiore dell’anima, sino a giungere ad una passività che permetta all’anima di far agire il Signore pienamente e liberamente in essa, così da farne una sorta di nulla essenziale, che poi è il nulla proprio della natura creaturale, che non esiste di per sé ma per divino volere.

Sacerdote nel 1599, si impegnò per portare in Francia la riforma carmelitana di Teresa d’Avila. Ciò avvenne nel 1604, quando il nostro condusse con sé dalla Spagna dove si era recato alcune monache carmelitane incaricate di diffondere la lezione teresiana. Lo stesso Pierre divenne il superiore dei conventi riformati e direttore di coscienza di molte anime pie. Nel 1608 si diede tutto alla riforma del clero fondando l’Oratorio di Gesù e Maria, ossia un Istituto di Chierici regolari simile a quello di San Filippo Neri. L’Oratorio fu approvato nel 1613 da Paolo V ma entrò in contrasto coi Gesuiti, che si sentivano minacciati dall’intraprendenza e dall’indipendenza spirituale della nuova fondazione, senza che nemmeno la mediazione del futuro Cardinale Richelieu (1585-1642)- che lo stesso Pierre avrebbe introdotto a Corte - potesse placare la contesa. Nel frattempo Pierre patrocinò la restaurazione del Cattolicesimo in Inghilterra mediante le nozze tra Carlo I Stuart (1625-1649) e la sorella del Re di Francia. La cosa piacque a Urbano VIII (1623-1644) che lo creò Cardinale. Pierre morì nel 1629, oramai in contrasto con Richelieu per la sua politica antiasburgica, che minacciava l’unità delle potenze cattoliche in Europa.

Il Cardinale fu uomo eccezionalmente dotto. Scrisse il Discorso sulla grandezza di Gesù, in cui espose la sua spiritualità sacerdotale; le Elevazioni della Maddalena; la Vita di Gesù; la Direzione dei Superiori e un nutrito Epistolario.

Il Cardinale apprezzava l’Umanesimo come mezzo di rinnovamento e rafforzamento della preghiera. Attento alla trascendenza in modo pressoché esclusivo, egli delineò una metafisica cristiana senza trascurare l’etica della carità. Il suo sistema è stato definito un teocentrismo agapico incarnazionista: per il Cardinale Dio è Amore, ipostatizzato prima nel Padre, poi nel Figlio e poi nello Spirito Santo; indi svuotatosi mediante l’assunzione della Natura Umana da parte del Figlio, il Quale, come Gesù Cristo, irradia in ogni fase della Sua Vita un amore redentivo e una rinascita spirituale per l’uomo, in vista della cui salvezza Egli ha accettato questo abbassamento. Gesù suscita diverse specie di amore ma solo quello che si nutre di sacrificio, rinuncia e dolore Gli è davvero gradito e confacente, perché simile al Suo. Non a caso Gesù conserva anche nella gloria le Stimmate. Per il Cardinale l’uomo è un microcosmo e Dio lo ha creato per essere il sacerdote dell’Universo. L’uomo deve dare a Dio un culto razionale e sensibile, conforme alla sua natura composta. Questa funzione originaria è stata compromessa dal Peccato e restaurata da Cristo, nel Quale oggi è possibile tributare a Dio il culto perfetto. Cristo infatti è l’Adoratore perfetto, il Sacerdote Sommo ed Eterno, Che tributa al Padre il culto perfetto nello Spirito. In Lui noi tutti celebriamo la Santa Liturgia celeste che continuamente si attua sulla terra nella Santa Messa, ma in particolare sono i sacerdoti che partecipano della missione sacerdotale di Cristo, nella Cui persona officiano e che quindi devono essere essi stessi adoratori costanti, ricchi di sacrificio, rinunzia, abnegazione, sofferenza e preghiera. Il Cardinale, dopo aver dimostrato nelle sue opere come in ogni fase della Sua Vita Gesù fu perfetto adoratore, spiega che l’Infanzia di Cristo è un modello perfetto per l’anima cristiana, in quanto in essa si aderisce a Dio senza reticenza o discernimento alcuno. Come il Bambino Gesù, il fedele deve essere umile, obbediente e silenzioso. Con questi austeri e profondi principi, il Cardinale riuscì a riformare profondamente il clero francese.

GLI AUTORI FRANCESI MINORI

La mistica francese, già segnata in certi ambienti – come accennavamo - dall’influenza dei mistici tedeschi e fiamminghi, in seguito all’incontro di questo influsso con quello platonizzante di Dionigi l’Areopagita, fu in molti casi segnata dallo sforzo di unirsi a Dio direttamente senza alcuna mediazione, compresa quella dell’Umanità di Cristo. Fu la cosiddetta Scuola Astratta. Ne citiamo alcuni esponenti, che ebbero relazione, come vedemmo, con de Bérulle.

La Beata Maria dell’Incarnazione, fu dapprima madre e sposa e poi tra le fondatrici del Carmelo riformato in Francia. Scrisse Lettere ed Esercizi spirituali, più altre cose minori. Accanto a lei vanno citate Maria di Valenza (1570-1548) e la Santa di Coutances, Maria des Vallées (1590-1656), le cui rivelazioni furono raccolte dai suoi discepoli. Benoit de Canfeld, cappuccino, di famiglia puritana inglese, convertito e trasferitosi in Francia. Ricoprì in Francia varie cariche nel suo ordine e fu ricercato direttore spirituale a Rouen e a Parigi. Ivi pubblicò la Règle de perfection ch'ebbe grandissima diffusione, dopo essere stato debitamente emendato dagli eccessi astratti e platonizzanti e nonostante la sua mediocrità stilistica. Richard Beaucousin, certosino, tradusse alcune opere di Giovanni da Ruysbroeck in francese. Laurent di Parigi (1563-1631), cappuccino, scrisse il monumentale Palazzo dell’amor divino. Constantin de Barbanson (1582-1611), cappuccino anche lui, compose i Sentieri dell’amor divino. Queste opere, scritte in francese, furono spesso dimenticate. La Scuola Astratta declinò a partire dal 1630. I suoi ultimi esponenti furono Jean di Saint-Samson (1571-1636), la cui opera apparve postuma, Francois Malaval (1627-1719), autore della Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, ed Epiphan Louys abate di Etival (†1682), che scrisse le Conferenze mistiche. Tutti e tre scrissero in francese.

Vi sono poi gli autori della scuola berulliana. Francois Bourgoing (1585-1662) scrisse in volgare Le Verità e le eccellenze di Nostro Signore Gesù Cristo, in cui sotto forma di meditazione rese comprensibile a tutti la teologia del maestro. Guillaume Gibieuf (1580-1650), editore di de Bérulle, scrisse il De libertate Dei et creaturae di ispirazione platonica e La vita e la grandezza della Santissima Vergine Maria – in francese – con cui diede compimento allo spirito mariano della scuola berulliana.

Charles de Condren nacque nel 1588 a Vauboin, si laureò alla Sorbona nel 1615, divenne prete nel 1617 e divenne oratoriano nel 1620, divenendo superiore della Congregazione nel 1629. Morì nel 1641. Scrisse le Idee sul Sacerdozio e sul Sacrificio di Cristo e le Sante Istruzioni per la condotta della vita cristiana. E’ suo anche un interessante Epistolario. Al centro del suo pensiero c’è l’idea di Sacrificio, ovviamente di Cristo, l’unico gradito a Dio. Per questo l’uomo deve avvicinarsi all’Eterna e Perfetta Vittima e deve uniformarsi ad Essa, distruggendo se stesso e scoprendo nel proprio nulla la radice della sua vera e nuova vita. Fu spirito singolare e ribelle, che insegnò predicando e parlando più che con gli scritti.

Jean Jacques Olier nacque a Parigi nel 1608, fu discepolo di San Vincenzo de’Paoli che l’orientò spiritualmente, divenne prete nel 1633 e si fece dirigere da Condren. Nel 1641 fondò la Compagnia di San Sulpizio, composta da chierici regolari dediti all’insegnamento e alla direzione spirituale nei Seminari, e ne fu superiore. La Compagnia fu approvata nel 1645 da Innocenzo X (1644-1655). Olier morì nel 1657. Scrisse tra le altre cose La giornata cristiana, Catechismo cristiano per la vita interiore, Spiegazione della Messa solenne della Parrocchia, Introduzione alla vita e alla virtù cristiane e il Trattato sugli Ordini Sacri. Scrisse anche le Lettere spirituali. Il centro di questa spiritualità è ancora il Sacrificio. La creatura deve offrirsi a Cristo, Che per primo si è offerto al Padre, in un dono e in un olocausto perfetto e completo. Ne deriva una profonda devozione al Santissimo Sacramento, alla Comunione e alla Messa, che viene ampiamente spiegata. L’Olier insistette molto sulla Mediazione di Cristo e lavorò con immenso successo alla santificazione del clero. Suggerì tuttavia diverse opere di pietà anche ai fedeli laici. Ebbe un grandissimo talento letterario.

Luis Lallemant (1568-1635), gesuita, in possesso di una conoscenza approfondita della letteratura ascetica e mistica, fu insigne direttore spirituale e uno dei gesuiti più meritatamente famosi del suo tempo. Scrisse I Doni dello Spirito Santo e La dottrina spirituale. Quest’ultima fu raccolta dai suoi discepoli e tratta della considerazione del fine dell'uomo, idea della perfezione, della purità del cuore, ella docilità allo Spirito Santo, del raccoglimento interiore, dell’unione con Gesù Cristo, degli ordini o gradi della vita spirituale. Egli è berulliano per ammirazione come è amante dei mistici fiamminghi e renani per convinzione. La sua mistica è squisitamente cristocentrica, mirando all’unione dell’uomo con il Redentore.

Louis Chardon (1595-1651), domenicano del Convento riformato dell’Annunciazione di Parigi, ebbe colà una formazione scolastica, umanistica, classica e scientifica. Fu maestro dei novizi nel suo convento e poi per tutta la Francia. Poi fu predicatore del Convento di Tolosa. Indi tornò a quello dell’Annunciazione. Fu direttore spirituale ricercatissimo e fu autore di diverse opere tra cui La Croce di Gesù e Una meditazione al giorno sulla Passione di Gesù. Ricordiamo la Vita del devoto frate Simon Balièvre – per i novizi – La Vita di San Sansone, la traduzione francese della Dottrina di Dio rivelata a Santa Caterina da Siena, Il Compendio dell’arte del meditare, Le divine istituzioni delle lezioni della perfezione del venerabile Padre Taulero. Ebbe una parte grande e sofferta nella riforma dell’Ordine Domenicano in Francia.

Il gesuita Jean Baptiste de Saint-Juer (1588-1657) fu scrittore fecondissimo ma non berulliano. Si avvicina al Lallemant per il suo cristocentrismo. Il suo capolavoro è in francese: Sulla conoscenza e sull’amore del Figlio di Dio, Nostro Signore Gesù Cristo.

LA MISTICA ITALIANA

La mistica italiana non è speculativa ma affettiva e incentrata su figure femminili, che si spalmano tra la fine del Medioevo e quella della Controriforma. Ne indico alcune.

Santa Caterina da Bologna nacque nel 1413 e morì nel 1463. Educata alla Corte dei Duchi di Ferrara, divenne clarissa in quella città nel 1432, svolgendovi umili mansioni. Nel 1456 divenne Badessa di Bologna e vi rimase fino alla morte. Mistica gratificata da visioni celesti, fu potente taumaturga in vita e in morte, scrisse diversi libri di ascetica, di gran valore religioso e letterario. Tra di essi Le armi necessarie alla battaglia spirituale e Rosarium mysticum de mysteriis Passionis Christi Domini et de Vita Beatae Mariae Virginis.

Santa Caterina da Genova nacque dalla famiglia Fieschi e morì nel 1510. Nel 1463 contrasse un infelice matrimonio, dal quale tentò di distrarsi con la vita mondana, che abbandonò nel 1473 con una profonda conversione. Dedita a penitenze, preghiere e opere di carità, ricevette grazie soprannaturali e divenne direttrice del reparto femminile dell’ospedale di Pammatone nel 1489. Convertì il marito e divennero terziari francescani. Ebbe discepoli che ne raccolsero gli insegnamenti. Scrisse opere sull’amore di Dio e sulle Anime del Purgatorio.

Santa Caterina de’ Ricci nacque a Firenze da nobile stirpe nel 1522 e vi morì nel 1590. Domenicana a tredici anni a San Vincenzo di Prato, ebbe incarichi numerosi nell’Ordine. Intelligente e virtuosa, fu ricercata per i suoi consigli ed insegnamenti da tanti grandi dell’epoca e, gratificata da doni mistici, lasciò lettere ricche di profonda dottrina ascetica.

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi nacque a Firenze nel 1566 dalla nobile famiglia dei Pazzi e vi morì nel 1604. A sedici anni divenne carmelitana a Santa Maria degli Angeli per godere del privilegio della Comunione quotidiana che mai tralasciò, anche tra le difficoltà. Ebbe ogni sorta di sofferenza fisica, morale e spirituale. Il suo motto fu “patire e non morire”. Svolse con profitto numerosi uffici nel monastero. In estasi dettò lettere al papa Sisto V (1585-1590), a cardinali e vescovi per la riforma della Chiesa. Tenute dapprima nel riserbo, furono poi note ed ammirate per dottrina, acutezza e prudenza. Nelle sue Rivelazioni, grazie alle quali la Santa ha un posto di prim’ordine tra i mistici e che furono raccolte dalle consorelle, si parla meravigliosamente di Dio, degli Angeli, dei rapporti dell’anima con Cristo e dei segreti della perfezione. Esse sono un trattato altissimo di psicologia soprannaturale. Prima di morire sperimentò a lungo il “nudo patire”.


Theorèin - Marzo 2018