LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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Dottori e teologi del Seicento

Il secolo francese, il Seicento, è un periodo di grande splendore. Ma in teologia è un’età di decadenza, perché in essa inizia il processo della secolarizzazione. La fine politica della Controriforma con la Pace di Westfalia (1648) e la conseguente estromissione delle questioni religiose dalle dispute internazionali non ridusse la conflittualità tra gli Stati ma secolarizzò la politica. L’ascesa della borghesia e del sistema economico capitalista laicizzò l’ambito sociale e produttivo legandoli a strutture meramente utilitaristiche. Le scienze sperimentali, affermatesi a dispetto dei veti ecclesiastici, si svilupparono in modo autonomo dalla cultura tradizionale di stampo aristotelico custodita dalla Chiesa. La cultura si diffonde tra i borghesi ma secondo dei canoni egualitaristici e laici che la sganciano dal predominio della religione, raggiungendo l’apice nell’età dei Lumi. Infine, in campo religioso, lo Stato tende ad estendere le proprie prerogative anche in campo spirituale, risuscitando il cesaropapismo sotto forma di politiche giurisdizionaliste. Si tratta come si vede di un quadro complesso, che si delineò del tutto anche attraverso il secolo successivo e raggiunse il suo compimento con la Rivoluzione Francese. Peraltro, a cavallo del Seicento e del Settecento nacque la Massoneria, che diffondendosi ovunque dentro e fuori la Chiesa, si diede a realizzare il proprio progetto egemonico di matrice esoterica e anticristiana.

Un segno palese del processo di secolarizzazione è la diffusione di una teologia naturale razionale che non prepara alla fede, ma prescinde da essa, quasi che il messaggio cristiano fosse superfluo, postulato o inutile. Questa teologia, sostenuta con tanta foga dai suoi esponenti – di cui abbiamo detto in precedenza, come Cartesio o Leibniz – in realtà non preluse alla rinascita della religione, ma sfociò nello scetticismo empirista, nell’agnosticismo kantiano, nel panteismo hegeliano e nell’ateismo materialista, marxista, positivista e irrazionalista, sorretto da una completa ateologia.

Sotto queste insegne nasce dunque, a partire proprio dal secolo francese, la modernità, partorita dai Lumi ma preparata in precedenza. Soggettivismo, autonomia dell’agire umano, spirito critico, autonormatività rispetto al passato e alla metafisica filosofica e religiosa, progressismo, enciclopedismo e storicismo ne sono le caratteristiche che già il Seicento vede ben delineate nei grandi pensatori. La loro sintesi è l’antropocentrismo, che via via si secolarizza anch’esso, diventando assoluto e sostituendo l’uomo a Dio. Così, riprendendo il programma umanistico in modo laico e unilaterale, la modernità si contraddistingue in una sola caratteristica onnicomprensiva di tutte le precedenti, ossia la secolarizzazione.

La cultura teologica e religiosa accusò il colpo e reagì con un fissismo a volte rigido, egemonizzato dal Magistero e armato contro il Protestantesimo e la nuova filosofia. Ne derivò la perpetuazione, in forma di sistema, di quanto ereditato dal passato, spesso senza particolare originalità. Ciò dipese da un lato dall’emancipazione della filosofia dal dominio della teologia, con una conseguente volontà di supremazia della prima sulla seconda; dall’altro invece venne dall’esaurirsi della forza rinnovatrice scaturita dal Concilio di Trento – parallelo all’insterilirsi di quella nata dalla Riforma in campo protestante. Il risultato fu un progressivo impoverimento, di cui il secolo francese, non privo di diversi bagliori di luce ma funestato da lunghe crisi – da quella giansenista alla quietista – fu la fase di incubazione e l’ultima, decadente espressione della Scolastica barocca, riletta tutta in chiave tomista.

Questo sapere solenne ma ingessato si conservò nelle Università, sempre più numerose, ma tra le quali spiccavano ancora Salamanca e Parigi. I Gesuiti hanno il monopolio delle cattedre teologiche, anche appena fondate. Essi raramente dialogano col pensiero di Cartesio, di Leibniz, di Wolff. Altri centri di irradiazione sono le Accademie, dove avviene soprattutto ricerca. L’anello più basso del sistema è costituito dai Seminari.

Non sarebbe però vero affermare che tutto in quest’epoca è decadenza in religione: nasce infatti in esso la devozione al Sacro Cuore di Gesù nelle sue forme moderne e contemporanee. Così che al declino teologico sopperisce una rinascita spirituale, destinata a dare frutti nei secoli successivi.

SAN VINCENZO DE’ PAOLI

Nacque nel 1585 a Pouy. Fu sacerdote giovanissimo e si diede allo studio teologico e giuridico, nonché alla pastorale. Combattè il giansenismo, sforzandosi di mantenere o richiamare all’ortodossia l’Abate di Saint-Cyran e la Madre Arnauld. Curò le missioni al popolo, predicando in città e campagne senza sosta in un modo adatto ai suoi uditori e sempre ricco di contenuto. Per incrementare questa attività fondò la congregazione missionaria dei Signori della Missione, detti anche Lazzaristi dal priorato di San Lazzaro ad essi affidato. Essi, sull’esempio di San Vincenzo, si occuparono anche della formazione del clero. Inoltre il Santo fu un apostolo insuperabile di carità: non vi fu una categoria di derelitti, abbandonati, sofferenti, piccoli ed emarginati che egli non soccorse, con un amore vasto, intenso, instancabile, che fece della sua vita una epopea e che lo rese un faro di virtù per tutti, sempre. Per rinforzare le sue opere di carità fondò con Santa Luisa di Marillac (1591-1660) le Figlie della Carità. Morì a Parigi nel 1660.

Delle sue opere ricordiamo: Instruction sur les trois vertus des Filles de la Charitè (1718), Les Constitutions et Statuts de la CM (1983), Les Regles Communes de la CM (1658), Les Regles Communes et particulieres des Filles de Charitè (1701), Le Regles du Seminaire Interne (1652), Regles Communes et des Offices (1655), Statuts des Filles de la Charitè (1718), l’Epistolario e le Conferenze.

SAN GIOVANNI EUDES

Nacque a Ri nel 1601 in Normandia. Seguace di De Bérulle e di altri grandi maestri, decise di diventare prete. Fu zelante predicatore, formatore del clero, redentore di prostitute, benefattore ed autore di dodici volumi di opere ascetiche. Devotissimo dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, ne fu l’apostolo e il teologo a dispetto del giansenismo. Fondò in loro onore la Congregazione omonima, dedita soprattutto alla gestione dei Seminari. Morì nel 1680. Le sue opere principali sono Le Royaume de Jésus, Le contrat de l'homme avec Dieu par le Saint Baptême, Le Mémorial de la vie Ecclésiastique, Le Bon Confesseur, Le Prédicateur Apostolique, Le Cœur Admirable de la Très Sainte Mère de Dieu – la prima opera sul Cuore Immacolato di Maria nella storia.

L’APOLOGETICA NUOVA E PASCAL

Nel tentativo di battere in breccia il razionalismo incipiente, nasce e si sviluppa con profitto una nuova apologetica, orientata soprattutto contro i Libertini, che volevano negare la fede cristiana stessa. Le due maggiori figure in tal senso sono Malebranche, di cui ho detto, e Pascal. Questi, sebbene giansenista nei punti chiave del suo pensiero teologico, rimase essenzialmente cattolico nella sua impostazione generale, per cui rimane una grande figura della Tradizione.

Blaise Pascal nacque a Clermont Ferrand nel 1623; a sette anni si trasferì a Parigi col padre, dal quale mutuò l’interesse per le scienze; a dodici anni scoprì da solo trentadue proposizioni della geometria euclidea; a sedici compose un trattato sulle sezioni coniche; a diciotto inventò la calcolatrice e confermò le scoperte di Torricelli sulla pressione atmosferica. Ammalatosi precocemente per il suo studio forsennato, nel 1646 conobbe dei medici giansenisti che curavano il padre in seguito ad una grave frattura. Si votò allora anche agli studi teologici. Conosciuto Cartesio nel 1647, l’anno dopo frequentò i giansenisti di Port-Royal. Morto il padre nel 1651 e complice la salute fragile che gli impediva una vita di impegni, si diede ad un periodo mondano, ma non vizioso. Nel 1654 ebbe una visione mistica, la notte del 23 novembre, che lo chiamò ad una piena professione di fede in Cristo e sulla quale scrisse il suo Memoriale. Progredì rapidamente nella vita interiore e compose la Preghiera per domandare a Dio di fare buon uso delle malattie. Sempre più legato a Port-Royal, Pascal scrisse le Lettere provinciali, che circolarono anonime e che battevano in breccia il lassismo della morale gesuita, per sostenere la causa dei suoi amici giansenisti. I Frammenti del filosofo sono invece la parte superstite di quell’Apologia del Cristianesimo che egli avrebbe voluto scrivere contro i libertini. Morì a Parigi santamente nel 1662 dopo molte sofferenze.

Pascal parte nella sua trattazione filosofica e teologica criticando l’impostazione di Cartesio, per la quale la ragione umana può scoprire l’esistenza di Dio e basarsi su di essa per conseguire una conoscenza certa. Per Pascal l’idea stessa che la ragione possa determinare l’esistenza di Dio, quella dell’anima e i fondamenti della morale è assolutamente smentita dal fatto che l’unico suo metodo, quello scientifico sperimentale, è inapplicabile in questi ambiti, nei quali i filosofi hanno sempre avuto opinioni differenti. Pascal inoltre afferma che l’uomo, con la sua stessa ragione, non può nemmeno comprendere se stesso e la sua natura, limitandosi a determinare le sue caratteristiche contradditorie, per cui è sospeso tra ignoranza e conoscenza, tra virtù e vizio, tra vita e morte, in quanto le sue aspirazioni sono alte e nello stesso tempo puntualmente frustrate dal fallimento. L’uomo è come un re decaduto, consapevole solo della sua passata grandezza. All’uomo, incastrato in un lembo di spazio e di tempo, prigioniero delle sue caratteristiche naturali, è dato solo di scegliere se interrogarsi sul suo mistero oppure no. Tuttavia, ignorando la questione, l’uomo si dà già una risposta, che implica la svalutazione di ogni trascendenza possibile, e quindi il rischio di perdere qualsiasi vantaggio ad essa connesso, svilendolo in una vita basata sulla distrazione, sul divertimento, in cui affogare la propria mancanza di alcun senso esistenziale. Per questo l’uomo deve interrogarsi, ma utilizzando non lo spirito di geometria che la ragione usa per la ricerca scientifica sulla scorta cartesiana, ma lo spirito di finezza che è adoperato dal cuore per intuire tutto quello che sfugge alla ragione stessa. Lo spirito di finezza non sillogizza, non deduce, non induce, ma intuisce, con una maggiore profondità ma con minore sistematicità. Il cuore, inteso come fondo percettivo dell’essere dell’uomo, comprende quello che la ragione non conosce e lo fa in un modo tale che la ragione non può comprendere. Per il cuore è immediata l’apprensione dell’immortalità dell’anima, dell’esistenza di Dio e della realtà del bene e del male. Alla ragione è invece dato, in tali materie, un argomento probabilistico. E’ la scommessa su Dio. Se l’uomo punta sulla sua esistenza, punta sulla sopravvivenza dell’anima e sulla possibilità che essa sia premiata da Dio per l’eternità, sia pure sulla base di un retto comportamento. Se invece punta sull’inesistenza di Dio, anche semplicemente ignorando la questione, allora l’uomo rinuncia alla possibilità dell’eternità, confinandosi nella limitatezza del tempo. Se Dio esiste l’uomo ha dunque tutto da guadagnare puntando su di Lui e tutto da perdere nel non farlo. Da buon ex giocatore d’azzardo, Pascal suggerisce di puntare su Dio, per avere l’eternità in cambio del tempo.

Ma la fede pascaliana non è solo una sorta di roulette, bensì il risultato di questa convergenza di cuore e ragione scommettitrice in un orizzonte soprannaturale. Una volta che l’uomo punta su Dio, per Pascal appaiono evidenti due cose. La prima è che la fede cristiana, e solo essa, spiega, coi suoi dogmi, il senso dell’esistenza e risponde, con le sue norme, alle domande dell’uomo. Egli è diviso in sé perché macchiato dal Peccato d’Origine, ma chiamato tutto intero alla salvezza dalla Redenzione. Mortale per punizione, può aspirare all’immortalità; corrotto per conseguenza, può ambire alla santità; ignorante per sanzione, può ricevere la verità. La seconda cosa evidente è che, una volta che l’uomo fa il salto che gli permette di abbracciare la fede al di là della ragione stessa, egli scopre che la prima non è in contrasto con la seconda, in quanto la supera senza contraddirla e la completa dall’esterno. Avanzando in questa nuova dimensione, l’uomo aumenta la sua fede vivendola. Praticandola, essa viene accresciuta. A quel punto agli occhi dell’uomo si svela la verità: quel Dio che egli cercava con il ragionamento e sul quale ha puntato, in realtà è nascosto in un modo tale che non tutti possono vederlo e non tutti possono ignorarlo. Coloro che sono giunti a vederlo, sono coloro che Egli stesso, il Dio nascosto, con la sua Grazia, ha attirato a Sé. Per cui, in una singolare dialettica, l’uomo giunge a trovare Dio quando Egli lo vuole. L’uomo non cercherebbe Dio se non l’avesse già trovato.

Per Pascal il Dio su cui puntare è il Dio di Gesù Cristo. Egli è dunque la soluzione dell’enigma umano, in cui tutte le soluzioni si accordano. Centro, ragione e senso di tutto, compreso l’uomo e Dio, Cristo è la Verità che rivela ad un tempo la miseria dell’uomo e la grandezza di quanto Dio ha fatto per salvarlo, è Colui Che decifra il mistero e salva l’esistenza, è Luce, rimedio, Vita. L’Incarnazione e la Croce sono i due estremi tra i quali scorre la misericordia di Dio. L’uomo non può conoscere la sua miseria senza conoscere la grandezza di Dio e non può comprendere il fastigio al quale è stato chiamato prescindendo da Lui. Ciò è possibile solo tramite Cristo. Egli è il solo che rivela Dio così come Egli è e quindi che rivela l’uomo a se stesso. Egli Crocifisso è superiore a qualsiasi saggio o eroe, in quanto Egli solo assume e redime il peccato. Egli è Colui Che garantisce al Cristianesimo i caratteri della vera religione: perennità, miracoli, santità di costumi.

Per avvicinarsi a Lui, dopo il percorso della scommessa, vi è dunque bisogno di una adesione profonda, di una conversione intima, vera, di una comprensione intima della bellezza della Croce, che genera l’amore di Dio, a cui nessun ragionamento può condurre. Tutta l’apologetica è dunque un preambolo della fede. Una fede che, come dicevamo, è una grazia, ma una grazia nella quale si può, assecondandola, crescere attraverso l’amore, che ne è lo scopo.

JACQUES BÉNIGNE BOSSUET

Illustre figura della cultura francese, voce sempre ascoltata nelle dispute dottrinali e disciplinari del suo tempo, custode di un certo nobile immobilismo ecclesiastico, Bossuet nacque a Digione nel 1627, studiò dai Gesuiti, si trasferì a Parigi e vi apprese filosofia e teologia con una straordinaria erudizione, distinguendosi per la sua eloquenza. Figlio spirituale di San Vincenzo de’ Paoli, adeguò i suoi costumi e il suo eloquio a quelli della gente povera e semplice. Prete nel 1652, divenne canonico di Metz subito dopo. Dedito agli studi scritturistici e teologici, fu anche apostolo della carità vincenziana nella città. Nel 1659 si trasferì a Parigi per predicare, con grande successo. Nel 1669 divenne vescovo di Condom e precettore del Delfino di Francia. Nel 1681 venne promosso arcivescovo di Metz e divenne consigliere di Stato, così da seguire da vicino tutte le vicende religiose e politiche del Regno. Vescovo zelante non solo per gli affari delle sue diocesi ma di tutta la Chiesa, sostenne il gallicanesimo e partecipò alla sciagurata assemblea episcopale del 1682 che formulò i Quattro Articoli del 1682, annullati da Innocenzo XI (1676-1689). Il Bossuet credette, erroneamente, di salvaguardare l’unità della Chiesa francese facendo queste concessioni al regalismo, e lo fece intendere nel suo Discorso sull’Unità della Chiesa del 1681, ma si sbagliava. Fu invece assolutamente ortodosso schierandosi contro il Quietismo. Nelle Conferenze di Issy del 1694-1695 egli contribuì decisamente alla stesura delle trentaquattro proposizioni sulla vera natura dell’Amore di Dio, che ulteriormente interpretò con la sua Istruzione sugli stati di orazione del 1697. In questa controversia prese posizione contro il suo discepolo Fénélon, che più per imperizia che per cattiveria aveva assunto posizioni più miti sulla questione. Ne ottenne altresì la censura, ma non la condanna, da parte di Innocenzo XII (1691-1700), che lo aveva in uggia per la sua invadenza e che ricusò sempre di crearlo cardinale. Nonostante ciò Bossuet continuò ad occupare il proscenio, riprendendo la battaglia contro il rinascente giansenismo e contro il razionalismo cartesiano. La Difesa della Tradizione e dei Santi Padri, le Meditazioni sul Vangelo e le Elevazioni sui misteri sono le sue ultime opere importanti, che attestano come egli studiasse sino alla fine dei suoi giorni. Morì nel 1704. Di lui ricordiamo anche il Discorso sulla Storia universale, La politica ricavata dalle parole stesse della Scrittura e la Storia e i cambiamenti delle Chiese protestanti.

Bossuet non ebbe mai altro interesse che difendere la fede, che professava con radicalità e semplicità. Questo spiega sia la sua granitica certezza, sia la sua affezione indiscussa alla Tradizione sia la sua vena polemica spesso sferzante e sarcastica. Troppo incline alla teocrazia regia, Bossuet fu un pensatore eclettico che attinse dai Padri e da Agostino specialmente, ma anche dalla teologia positiva del suo secolo. Poco dotato di senso storico nello studio dello sviluppo del dogma, Bossuet si distinse nell’omiletica, nella teologia della storia, nella teologia politica e nella teologia ecumenica.

In omiletica Bossuet eccelse come uno dei maggiori oratori sacri di ogni tempo. Autori di quaresimali ed elogi funebri assai belli, Bossuet considerava la parola della predicazione come un sacramentale, come una incarnazione spirituale di Cristo, che esige attenzione, dedizione e preparazione da parte del sacerdote. L’Eucarestia e la predicazione servono entrambe alla salvezza delle anime, perciò Bossuet predicò senza remore ai potenti i loro doveri verso i poveri e i deboli, ai quali nulla deve essere negato. Negli elogi funebri invece egli traeva dalla vita degli scomparsi esempi e ammonizioni, così come l’ispirazione per farsi voce della coscienza nazionale.

Nella teologia della storia Bossuet fu il più fedele continuatore dell’opera che in materia aveva svolto Agostino, in quanto il suo Discorso sulla storia universale si rifà direttamente alla Città di Dio. Opera intesa a dare una comprensione generale della storia e ad enunciare i principi basilari della teologia corrispondente, essa fu dedicata al Delfino di Francia e corresse molti errori storici e critici dell’opera agostiniana, completandone la cronologia universale e temperandone il predestinazionismo in modo da rivalutare l’azione dell’uomo nel tempo. Dio infatti governa il mondo servendosi degli uomini, sia con le loro virtù che con i loro vizi.

In teologia politica Bossuet si fa sostenitore della teocrazia regia, corroborandola con la Bibbia nell’opera Politica ricavata dalle parole della stessa Scrittura. Sebbene attribuisca al Re grandi poteri, il Vescovo li limita con il diritto naturale e divino e tratteggia la figura di un sovrano che è più padre che capo del suo popolo.

In teologia ecumenica il nostro, dopo aver messo in evidenza che la verità è perpetua solo nella Chiesa Cattolica, mentre le Chiese riformate, frantumandosi continuamente a causa del libero esame, mostrano di avere solo la menzogna, cercò una sponda in Leibniz per un processo di riunificazione. Tuttavia il filosofo cercava un’unione prima della conciliazione dottrinale, mentre il Vescovo voleva il contrario; il primo era pronto a mettere in discussione il Concilio di Trento, il secondo ovviamente no. Perciò il progetto di unione si arenò.

SAN CLAUDIO DE LA COLOMBIÉRE

Nacque a Grenoble nel 1641. Brillante negli studi, entrò nel 1658 nel noviziato della Compagnia di Gesù. A venticinque anni andò a studiare teologia a Parigi e a ventotto fu ordinato sacerdote. Fu superiore del collegio di Paray-le-Monial e confessore delle vicine Suore della Visitazione, tra cui Margherita Maria Alacoque, di cui diremo. Rappresentò una guida sicura per i fedeli, disorientati dalle dottrine gianseniste. Venne mandato a Londra come cappellano della futura regina Maria Beatrice d'Este. Ma fu arrestato con l'accusa di voler restaurare la Chiesa cattolica. Espulso, tornò a Paray-le-Monial, dove morì nel 1682. Scrisse, tra le altre cose, Sermoni, Réflexions chrétiennes, Retraite spirituelle, Lettres spirituelles.

SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE

E’ l’anima eletta alla quale il Signore Gesù Cristo affidò le rivelazioni per instaurare nel mondo la devozione al Suo Sacro Cuore. Ella nacque a Verosvres nel 1647. Entrò, dopo lunghe sofferenze nell’ambiente domestico e dure prove, nel monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, nel 1671 e vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 1690. La sua pietà, il suo amore per il sacrificio e la sua virtù si distinsero da subito perché erano state acquisite già nel secolo. Già nel primo anno di chiostro ebbe il Fidanzamento spirituale con Gesù e iniziarono le incomprensioni con le consorelle. Professa nel 1672 dopo che si era pensato di ritardare l’emissione dei suoi voti, la Santa l’anno successivo ricevette l’ordine di scrivere tutto quanto le accadeva interiormente e di consegnare i testi alla superiora. Divenne poi aiuto infermiera. Il 27 dicembre dello stesso 1673 ebbe la prima Rivelazione di Gesù. Nel 1674 divenne maestra delle sorelle del piccolo abito e da quell’anno ogni primo venerdì del mese inizia a vedere il Cuore di Gesù. Questi, in uno di tali venerdì non precisato, le concede una seconda Rivelazione. Considerata visionaria, riceve da Gesù la promessa dell’arrivo di un confessore santo, Claudio de la Colombière. Ciò avvenne nel 1675. In quest’anno il confessore rassicura la Superiora della sincerità di Margherita Maria e le ordina anch’egli di scrivere un diario interiore. La Santa ebbe nello stesso anno la visione dei tre cuori – di Cristo, il suo e di San Claudio – uniti nelle fiamme del Primo. Nell’ottavario del Corpus Domini del 1675 Margherita Maria ebbe la terza Grande Rivelazione, quella che chiese la Comunione riparatrice per i Primi Nove Venerdì consecutivi del mese, promettendo in cambio la perseveranza finale. E’ la Grande Promessa. Consacratasi al Cuore di Cristo col suo confessore nello stesso anno, è privata della presenza di San Claudio dal 1676 al 1678. Nel frattempo, nel 1677, la Santa si offre, a richiesta di Gesù, vittima per la sua comunità e passa una dura notte di agonia. Nel 1679 San Claudio, saputo che la nuova Superiora dubitava di Margherita, giunge a rassicurarla della santità della veggente. Tra il 1679 e il 1680 è di nuovo maestra delle suore del piccolo abito e in quest’ultimo anno prova la mistica Coronazione di Spine. Nel 1681 San Claudio tornò a Paray dove morì l’anno dopo. Nel 1684 la nuova Superiora elesse Margherita Maria sua assistente e nello stesso anno, sulla testimonianza scritta di San Claudio, la comunità riconosce la verità del racconto della Santa sulla Grande Promessa. Tra il 1684 e il 1687 la veggente diventa maestra delle novizie. Tra il 1685 e il 1686 inizia, su ordine del nuovo confessore, la sua Autobiografia, che però interruppe non appena quegli fu trasferito. Nel 1686 inizia il culto devozionale pubblico del Sacro Cuore nel monastero e la Santa fa voto di perfezione. Nel 1687 è di nuovo assistente della Superiora. Nel 1688 con una lettera alla Madre de Saumaise, la prima sua superiora, rende nota al mondo la Grande Promessa. Nello stesso anno ha una visione in cui Gesù le mostra il ruolo delle Visitandine e dei Gesuiti nella diffusione del culto del Suo Cuore. Nel 1689 ricevette dal Signore un messaggio per Luigi XIV (1643-1715), al quale si chiedeva di mettere il Cuore di Gesù sulla bandiera di Francia, onde evitare grandi sconvolgimenti futuri. La richiesta fu ignorata e cento anni dopo scoppiò la Rivoluzione Francese. Nel 1690 ebbe un’ultima visione di Gesù che le disse di bruciare dal desiderio di essere amato. Il 17 ottobre di quell’anno la Santa morì, dopo una preparazione di quaranta giorni al grande passaggio.

Santa Margherita Maria scrisse le sue Memorie per ordine di Madre Saumaise, pur aggiungendovi dopo qualche brano successivo al periodo di governo di quella religiosa. Indi scrisse una autobiografia per il Padre de la Colombière, della quale sopravvivono solo alcuni frammenti, in quanto la Santa bruciava quel che scriveva non avendo avuto l’ordine di conservarlo. Poi scrisse l’Autobiografia incompleta che possediamo e alcuni Ritiri Spirituali giuntici anch’essi a brandelli per il medesimo motivo. Fu scrittrice priva di cultura umanistica, di facile espressione, a tratti vivace, con un stile a volte pesante come da gusto dell’epoca; non rileggeva quel che scriveva essendole stato proibito e nella sua formazione hanno un certo peso Agostino, Francesco di Sales, Giovanna de Chantal, l’Imitazione di Cristo, gli scritti di Claudio de la Colombière e ovviamente la Bibbia, il Breviario e la Liturgia.

La Santa fu una grande mistica, eminentemente cristocentrica, che contemplò moltissime volte Gesù e che da Lui ebbe almeno tre Rivelazioni (per alcuni studiosi esse sono quattro); vide altresì la Vergine, molti Santi, molti Defunti e il suo Angelo Custode. Il suo messaggio verte sul Sacro Cuore di Gesù. Simbolo e sacramento d’amore, esso indica la Persona amante e vivente di Cristo, che ama ognuno di noi sempre, comunque e infinitamente. Per questo Cuore è chiesta la Consacrazione e la Riparazione: la prima per votarsi consapevolmente a Colui Che ci ha amati per primi e a cui abbiamo promesso fedeltà attraverso i nostri genitori nel Battesimo; la seconda per compensare Gesù delle infedeltà sia nostre che degli altri, così da farci, con la nostra compassione per la sofferenza del Redentore, mediatori delle sue grazie per gli altri. Le pratiche proposte sono l’Ora Santa, l’Ammenda onorevole, la Comunione riparatrice.

L’insegnamento di Margherita Maria è la vera risposta al giansenismo; sebbene non trionfò subito, la devozione al Cuore di Cristo ha plasmato generazioni e generazioni di anime cristiane, santificandole e portandole in Cielo, ed è ad oggi la speranza e la consolazione di milioni di noi cristiani.

FRANÇOIS DE SALIGNAC DE LA MOTHE FÉNÉLON

Vescovo, oratore, pedagogista e teologo, Fénélon nacque nel 1651 a Périgord. Aristocratico formato nella cultura umanista, Fénélon nel 1664 iniziò a studiare lettere a Cahors e poi nel 1668 filosofia e teologia a Parigi, fino al 1675. Conobbe altresì la teologia mistica. Sacerdote nel 1675, rimase per alcuni anni legato alla Comunità di San Sulpizio nel cui seminario aveva studiato. Predicatore subito famoso, conobbe Bossuet e ne fu devoto discepolo. Nel 1679 divenne superiore di un convento di benedettine riformate. Nel 1685 tenne missioni di successo al popolo. Nel 1687 scrisse L’educazione dei figli e il ministero dei pastori. Compose anche una Ricusazione del sistema di Malebranche per ordine di Bossuet, mai stampato se non nel 1820. Membro dell’Accademia di Francia nel 1693, nel 1695 fu eletto vescovo di Cambrai. Conosciuta Madame Guyon (1648-1717), una delle promotrici del Quietismo, ne intese il significato se non ortodosso almeno suscettibile di una interpretazione corretta, prendendo così posizioni che lo avrebbero trascinato nella controversia su questa corrente teologica. Quando infatti le menzionate Conferenze di Issy, a cui anche Fénélon partecipò, condannarono le teorie quietiste con trentaquattro articoli, il nostro ne diede, con la Spiegazione delle massime dei Santi sulla vita interiore, una interpretazione diversa da quella di Bossuet, che a questi e ai suoi sostenitori apparve troppo incline a minimizzare le posizioni della Guyon. Bossuet ottenne l’esilio di Fénélon e la sua censura da parte di Roma nel 1699, dove però Innocenzo XII, come dicevo, non volle bollarlo come eretico. Il Papa temeva, come poi avvenne, che questa censura inaridisse la vita mistica cristiana e avrebbe ben tollerato un pluralismo di linguaggi in questa materia. Sottomessosi al Papa, Fénélon nel 1699 venne reintegrato nella sua sede, nella quale di fatto fu confinato. Da qui svolge una azione pastorale costante e di grande valore, anche se non originale. A lui si rivolgevano quanti avevano bisogno di lumi e desiderio di profondità nuova. Egli in effetti fu uomo di studio più che pastore. Fermo avversario del giansenismo, contro la sua rinascita scrisse l’Istruzione pastorale in forma di dialogo sul sistema di Giansenio nel 1714, che fu la migliore confutazione dell’eresia che fosse mai stata scritta, nonostante alcune semplificazioni del pensiero contestato. Combattè altresì i libertini con il Trattato sull’esistenza e gli attributi di Dio del 1712. Poco apprezzato dai critici filosofici, il Trattato tramandò all’Illuminismo e al Romanticismo il sentimento religioso nonostante la crisi del Cristianesimo. Fénélon morì nel 1715.

ALTRI AUTORI SPIRITUALI

La Venerabile Maria dell’Incarnazione (1599-1672), chiamata da Bossuet la “Teresa del Canada” dove svolse la sua missione apostolica, fu scrittrice spirituale e mistica degna di una comparazione con la Grande di Avila e autrice di un ricco epistolario.

François Guilloré (1615-1684) fu un mistico, autore dei Segreti della vita spirituale che svelano le illusioni, opera interessante ma appesantito dallo stile.

La Venerabile Margherita del Santissimo Sacramento (1619-1648), carmelitana, promosse la devozione al Santo Bambino Gesù, sulla scorta del culto tributatogli in Boemia e patrocinato dal Venerabile Cirillo della Madre di Dio (1590-1675).

Louis Tronson (1622-1700), terzo superiore generale di San Sulpizio, scrisse gli Esami particolari, in uso nelle case religiose sino a tempi recenti.

Il gesuita Dominique Bouhours (1628-1702) fu il massimo esperto di letteratura classica del periodo, puntellando l’egemonia del suo Ordine in campo educativo, rivolto soprattutto ai ceti medio-alti. Apostolo dell’educazione nei ceti più bassi fu invece il fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, San Giovanni Battista de la Salle (1651-1719).

TEOLOGI E DOTTI

Tra i maggiori teologi dell’epoca – considerando quelli non originali e fedeli ad un tomismo non puro ma di maniera – ricordiamo innanzitutto Philippe de Gamaches (1568-1625), maestro di De Bérulle. Indi menzioniamo Nicolas Isambert (1565-1642), commentatore tomista più fedele al pensiero dell’Angelico. Guglielmo Gibieuf (†1650), oratoriano, fu invece uno dei pochi teologi platonizzanti, che concepì un sistema in cui Dio, sovranamente libero, avvicina l’uomo alla Sua libertà tramite Cristo, che lo redime dal peccato che lo rende schiavo. Gibieuf rifiuta la premozione fisica e la scienza media come soluzioni alla controversia sulla Grazia, rifacendosi alla mistica fiamminga e aprendo una violenta polemica sull’argomento. Dopo di lui il platonismo scomparve pressoché totalmente dalla spiritualità, rimanendo solo nell’opera di Paul Métézeau (1583-1632), oratoriano, che scriss un trattato De Sancto Sacerdotio, in cui sviluppa una teologia gerarchica sacerdotale derivata anche da Dionigi l’Areopagita. Tomisti convinti furono Louis Bail (1610-1669) e Guglielmo de Contenson (1641-1674). Moralista ad uso di preti poco dotti fu invece Etienne Bauny (1564-1649), che compendiò una ricca casistica trattandola in modo probabilistico.

Nicolas Poisson (1637-1710) fu invece il solo che tentò una fondazione cartesiana del pensiero cristiano.

Nell’ambito delle scienze e della teologia storica, ricordiamo anzitutto Jacques Sirmond (1559-1651), gesuita autore dei Concilia antiquae Galliae. Indi Teofilo Raynaud (1582-1663), avversario di Gibieuf ed editore di Sant’Anselmo di Aosta. Il domenicano François Combefis (1605-1679) fu un patrologo greco, editore di San Massimo il Confessore e autore dell’Historia Haeresis Monothelitarum. Gli oratoriani Jean Morin (1591-1659), esegeta e liturgista orientale, e Jérôme Vigniér (1606-1661), anch’egli esegeta e polemista antigiansenista con poco fiuto nella disamina dei documenti storici, si distinsero nel loro Ordine. Invece i Padri Maurini – Grégoire Tarrisse (1575-1648), Luc d’Achéry (1609-1685), Jean Mabillon (1632-1707, fondatore della paleografia e della diplomatica), Bernard de Montfaucon (1655-1742), Thomas Blampin (1640-1710)- furono i grandi editori della letteratura patristica, le cui edizioni, specie del Mabillon furono e sono ancora di capitale importanza. Denis Petau (1583-1652), gesuita, e Louis Thomassin (1619-1695), oratoriano, furono autori di due Dogmata Theologica di notevole importanza: il primo ha realizzato un’opera ancora ineguagliata per informazioni ed analisi, il secondo ha prodotto un’opera ancor più ricca ma più personale.

Nell’esegesi si distinsero, già dal XVI sec. Jean Maldonat, (1533-1583) il grande ebraista Jean Morin (1591-1659)e Jean Simon (1638-1712), padre della critica biblica, talmente avanzato per i suoi tempi da avere guai a non finire per la pubblicazione delle sue storie critiche del Vecchio e del Nuovo Testamento. Charles Lecointe (1611-1681) fu il grande storico della Chiesa francese. In agiografia vanno ricordati, per il loro rigore critico, Mabillon (Acta Sanctorum Ordinis Sancti Benedicti; Annales Ordinis Sancti Benedicti, Vetera Analecta, Opera Omnia Sancti Bernardi, De Re Diplomatica) e i suoi discepoli. Sebastiano Le Nain de Tillemont (1637-1698), proveniente da Port-Royal, scrisse la Storia degli Imperatori e le Memorie per servire alla Storia ecclesiastica dei primi sei secoli.


Theorèin - Aprile 2018