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SCHOLASTICA NOVA Breve introduzione alla Neoscolastica e al Neotomismo La grande parabola storica della Scolastica era stata quella medievale, nella variopinta espressione delle sue tendenze di pensiero e delle sue successioni di indirizzi teoretici, dei quali peraltro ampiamente abbiamo già parlato. Tanto grande era stata la suggestione che per secoli essa aveva esercitato sul mondo cristiano che, quando ai tempi della Controriforma c’era stata la necessità di rifondare un pensiero filosofico e teologico cattolico, ci si era riallacciati alla sua tradizione metodologica e contenutistica, privilegiando la lezione tomistica, sebbene debitamente reinterpretata. Esauritasi, come abbiamo pure visto, la linfa vitale di questa Seconda Scolastica, con minore vitalità ma altrettanta coerenza nella conservazione del metodo, la Cristianità del Settecento ne aveva addirittura fondata una Terza, che anch’essa aveva svolto una funzione importante nella cultura religiosa della sua epoca, in uno sforzo di contrapposizione – poco riuscito – con la filosofia razionalista. Ora, nel tardo Ottocento, di fronte ad una marea secolarizzatrice davvero impressionante, ancora una volta risorge la tradizione scolastica, con un movimento nel quale confluisce lo spontaneismo di certi intellettuali e l’impulso impresso dal Papato. In questa Nuova Scolastica o Neoscolastica, che trapassa nel Novecento del quale è stata una importante corrente filosofica e di certo la maggiore tra quelle cristiane, individuiamo soprattutto, ma non esclusivamente, un combattivo ed agguerrito Neotomismo – nel quale si colloca anche chi scrive per formazione e cultura – che è stato l’indirizzo di riferimento dei maggiori pensatori cattolici del secolo scorso e che ha saputo riscoprire più di chiunque altro prima il genuino senso del pensiero dell’Aquinate. NEOSCOLASTICA E NEOTOMISMO La Rivoluzione Francese e l’Impero napoleonico avevano spazzato via le strutture portanti della Terza Scolastica, ossia le grandi scuole ecclesiastiche, continuando sulla scia del giurisdizionalismo regio che per primo aveva vibrato un duro colpo a quella corrente di pensiero facendo sopprimere dal Papato la sua maggiore coltivatrice, ossia la Compagnia di Gesù. La crisi materiale della Scolastica settecentesca era diventata una crisi formale ed ai più lo spirito scolastico sembrava superato, a causa del suo oggettivismo e della mancanza di senso storico. Questo avvenne soprattutto in Germania, dove l’influenza del soggettivismo e dello storicismo idealisti erano più marcati. Alcuni però mai abbandonarono la consapevolezza che la Scolastica non era solo una forma storica del pensiero cristiano ma una manifestazione vitale e quindi sempre attuale della Tradizione e furono costoro a riprenderla e a rivitalizzarla. Furono soprattutto pensatori italiani e gesuiti a riesumarla sia contro gli errori filosofici dell’epoca sia per supportare con essa la teologia. Per essi la filosofia cristiana può rivivere solo ritornando alla Tradizione del pensiero cattolico espresso nel XIII secolo. Inoltre questi autori considerano la filosofia sempre in una funzione ancillare per la teologia, subordinandola al Magistero e quindi identificandola con una forma perenne che alla fine risulterà essere specialmente quella tomista. In aggiunta a ciò, i pensatori neoscolastici vogliono, mediante questa loro riscoperta, saltare a piè pari il pensiero moderno, figlio del Protestantesimo e quindi inutile e dannoso per la Chiesa stessa. Infine, essi consideravano la natura umana solo alla luce della salvezza offerta dalla Grazia e quindi avevano bisogno di un sistema di pensiero concepito in tale maniera. Per tutti questi motivi quei pensatori italiani a cui facevamo riferimento poterono e vollero far nascere la Neoscolastica. Essa è radicalmente antimoderna e squisitamente ottocentesca, in quanto nell’Ottocento essa esprime, con pensatori assolutamente diversi da essa come Kierkegaard e Nietzsche, la ripulsa e la critica dei pilastri della modernità, che alla fine contribuirà ad abbattere. Essa ha avuto il grande merito storico di separare concettualmente filosofia e teologia come fede e ragione; ha rivendicato le competenze esclusive dell’una e dell’altra pur subordinando la seconda alla prima; ha saputo mantenersi in un equilibrio maturo tra le tentazioni del razionalismo e del fideismo, dell’Illuminismo e del tradizionalismo, del positivismo e dell’agnosticismo; ma soprattutto ha fornito un supporto fondamentale al Magistero papale, permettendogli di esprimersi in un modo consono all’epoca in cui doveva svolgersi, attraverso l’uso di consolidate, valide ed efficienti categorie di pensiero, dal Vaticano I al Vaticano II. I PRIMI PENSATORI NEOSCOLASTICI E NEOTOMISTI Essi comparvero innanzitutto al Collegio Alberoni di Piacenza. In esso insegnarono Vincenzo Buzzetti (1777-1824) e i suoi allievi, che riscoprirono l’Aquinate e lo usarono sistematicamente nella teologia speculativa. Buzzetti scrisse numerose opere filosofiche e teologiche che, eccettuato il libello antinapoleonico Il trionfo di Dio sul nemico della società, della natura, della Chiesa, rimasero inedite. Tra esse vanno ricordate le Institutiones logicae etmetaphysicae, Confutazione di Giovanni Locke, Tractatus de Gratia, Tractatus de infallibilitate Romani Pontificis, Alcune riflessioni sull'opera di Sant’Agostino "De Civitate Dei", Lezioni teologali. Buzzetti partecipò al moto di idee sorto in Francia alla caduta di Napoleone e caratterizzato dalla predicazione del primo Lamennais, col quale ebbe relazione. Nella filosofia Tommaso Buzzetti vedeva lo strumento idoneo per l'affermazione dei principi di restaurazione politico-sociale e culturale. A questo si aggiunse per il nostro l’esigenza di eliminare dall'insegnamento teologico le contaminazioni razionalistiche e sensistiche, per una riforma della cultura ecclesiastica sulla base di un'unica prospettiva filosofica scolastica. Il Buzzetti fece proprie tutte le principali tesi tomistiche, dal principio dell'unità sostanziale nei rapporti tra anima e corpo alla teoria dell'ilemorfismo, dalla distinzione tra l'essenza e l'essere in creatis alla concezione tolemaica in astronomia. La riesumazione del tomismo così operata, nonostante l’anacronistica fedeltà al geocentrismo, offriva al mondo ecclesiastico italiano del tempo una soluzione speculativa in grado di dare una risposta sistematica ai problemi sollevati dal pensiero laico contemporaneo. Tra i discepoli del Buzzetti si distinsero Serafino e Domenico Sordi. Gesuiti, si impegnarono nella rinascita del Tomismo. Serafino (1793-1865) fu docente in svariati collegi gesuiti, ne diresse altrettanti, scrisse abbondantemente e in tutte queste attività propagò la filosofia di Tommaso combattendo lo spiritualismo, compreso quello giobertiano. Ebbe contatti con Taparelli d’Azeglio – di cui abbiamo parlato in precedenza - e con Giuseppe Pecci (1807-1890), fratello di Leone XIII. Fu dunque uno dei maggiori artefici della rinascita tomista. Ricordiamo le sue opere Lettere intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee dell'abate A. Rosmini Serbati, I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati, I misteri di Demofilo, Ontologia, Theologia naturalis aliaque phisolophica scripta, Manuale di logica classica. Domenico (†1880) ebbe invece meno incidenza ma, insegnando a Napoli per il suo Ordine, poté influenzare i suoi discepoli Matteo Liberatore e Carlo Curci, oltre che coltivare relazioni con Gaetano Sanseverino, il più importante dei restauratori tomisti dell’epoca. Giuseppe Pecci (1807-1890), gesuita e cardinale, fu prefetto dell’Accademia Pontificia di San Tommaso d’Aquino voluta dal fratello Leone XIII. Dagli opuscoli filosofici di Pecci emerge il profilo di uno studioso severo, originale e sottile, che restituisce nella sua vivacità il pensiero di Tommaso d’Aquino, assumendo come oggetti polemici privilegiati Kant e Rosmini. La sua filosofia è legata alla lettura di Tommaso fatta dal Caetano. Il testo più organico di Pecci sono gli Studi sulla psicologia, in cui ricostruisce i capisaldi della psicologia tomista, insistendo sul carattere universalmente aperto dell’intendere e del volere degli esseri umani rispetto a quello degli animali, capaci di aprirsi solo a oggetti particolari. Pecci difende dalle critiche di Rosmini la circolarità tomista tra intelletto e volontà: ciascuna delle due facoltà, essendo trascendentale, può assumere e relativizzare l’altra come oggetto entro il proprio orizzonte operativo. Mette poi a tema il libero arbitrio, che è l’esercizio della volontà in vista del fine ultimo, quando manchi l’immediata evidenza della configurazione concreta di tale fine e, di conseguenza, del suo determinato nesso con le azioni accessibili al soggetto. L’atto di scelta può essere inteso come una struttura ilemorfica, in cui l’appetizione è l’elemento materiale e il giudizio che la piega su un certo contenuto è l’elemento formale. Pecci affronta inoltre il tema della prescienza che fa tutt’uno con quello della creazione. In polemica con certa Seconda Scolastica, egli esclude che Tommaso abbia parlato di concorso divino nelle azioni umane, in quanto l’Angelico parlava di mozione. In effetti, Dio è l’unica fonte effettiva di ogni atto primo e secondo, compreso l’agire umano. Più precisamente, Dio opera in ogni operante. Ogni realtà, dunque, è creata secondo una propria natura che, nel caso dell’uomo, è libera. Per questo si può dire che l’azione umana sia tutta del Creatore e tutta dell’uomo. Dio conosce i futuri contingenti, in quanto implicati, non essenzialmente ma di fatto, nella creazione. Nelle Osservazioni sopra alcuni errori di Kant Pecci si confronta con lo gnoseologismo moderno. Esso pone contraddittoriamente l’astratto, ossia l’idea, come un concreto. Invece, sostenere che ciò che ci è noto non è la cosa in sé, ma solo una sua rappresentazione, implica che ci sia nota anche la realtà in sé, cioè l’originale della rappresentazione. Quanto al sistema kantiano, Pecci contesta l’apriorità dello spazio e del tempo, che sostiene siano astrazioni tratte dai corpi. La distinzione tra giudizi analitici e sintetici pare a Pecci non adeguata, in quanto il giudizio in quanto tale è articolazione analitica, in soggetto e predicato, di una sintesi. La vera differenza è tra i vari tipi di implicazione analitica: in alcuni, la negazione dell’implicazione dà luogo a impossibilità assoluta, in altri a impossibilità condizionale. Matteo Liberatore (1810-1892), dopo una laboriosa analisi e un costante approfondimento, si convinse che il tomismo, ripulito dalle sovrastrutture di cui lo avevano coperto i commentatori, era l'unica filosofia che potesse adeguatamente risolvere i grandi problemi del pensiero. Tra il 1840 e il 1842 pubblicò a Napoli la sua prima opera filosofica, le Institutiones logicae et metaphysicae, tradotte nelle principali lingue europee. Nelle successive venti edizioni si può seguire il suo progressivo avvicinarsi al tomismo, fino al 1850. L'edizione più significativa delle Institutiones è la terza, ampliata con gli Ethicae et iuris naturae elementa. L'opera fu sintetizzata nel Compendium logicae et metaphysicae. In essa il Liberatore spaziava su tutta la problematica filosofica e si soffermava sul tema della conoscenza, confutando, alla luce del pensiero aristotelico-tomistico, errori e pregiudizi del lamennesismo, del tradizionalismo, dell'ontologismo e del razionalismo e criticando Malebranche, Leibniz e Cartesio. Polemista vigoroso ma dotato di senso autocritico, il Liberatore comprese che la caduta del Potere temporale apriva scenari nuovi nei rapporti tra Stato e Chiesa e nell'estensione dell'influsso di quest’ultima sul mondo contemporaneo. Ipotizzò una nuova Roma, capitale spirituale del mondo e centro del cristianesimo. Tali idee, espresse con prudenza e con valide argomentazioni, ebbero grande influsso anche sulla gerarchia, grazie all'amicizia di Pio IX (1846-1878) e di Leone XIII. Nel 1879 Liberatore collaborò alla stesura dell'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII sulla filosofia scolastica e di cui diremo. Coinvolto nelle problematiche dell'epoca, nell'ambito sociale e politico ebbe una notevole maturazione, con aperture che contribuirono a un progressivo cambiamento di mentalità e portarono a soluzioni nuove. Per la sua preparazione fu chiamato a collaborare nella stesura dell'enciclica Immortale Dei (1885) sui rapporti tra Chiesa e Stato. Nell'ultimo decennio della sua vita si dedicò soprattutto allo studio dei problemi di economia politica. Sotto la guida di Leone XIII fu il redattore principale della Rerum Novarum. Carlo Curci (1810-1891) fondò a Roma nel 1850 la Civiltà Cattolica, la rivista gesuita che più di tutte contribuì alla rinascita tomista. La rivista diede la stura ad una polemica nell’Università Gregoriana dove diversi docenti – Secchi, Tongiorgi, Palmieri – si opposero alla nuova corrente. La spaccatura tra i gesuiti era evidente, ma alla fine il Neotomismo prese il sopravvento sui suoi oppositori nella Compagnia, anche perché la Scuola Romana così nata condivideva appieno gli obiettivi culturali del Papato: lotta alla modernità, fedeltà al magistero in campo filosofico, ripulsa degli errori del tempo. Fu così che il trionfo del Neotomismo e della Neoscolastica con esso identificata in modo non corretto fu sancito e imposto dal papa Leone XIII (1878-1903). Sulla Civiltà Cattolica scrissero, oltre al Curci stesso, il Liberatore, il Taparelli d’Azeglio e Giovanni Maria Cornoldi (1822-1892). Questi fu aperto e illuminato in rapporto alle questioni politico-religiose, ma abbracciò senza riserve e in modo intollerante verso le altre filosofie le idee del movimento neotomista. Fu collaboratore stretto di Leone XIII e segretario dell’Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino. Gaetano Sanseverino (1811-1865) insegnò dapprima teologia fondamentale, poi logica e metafisica presso il liceo arcivescovile di Napoli. In circa trent’anni d’insegnamento creò intorno a sé un nutrito circolo di discepoli, che lo seguirono nel recupero della filosofia scolastica e ne continuarono l’opera. Nel 1841 diede vita alla casa editrice Biblioteca cattolica e alla rivista intitolata La scienza e la fede (1841-1888), destinate all’apologetica militante, di modello francese. Intorno alla testata radunò un piccolo e qualificato gruppo di compilatori. Sulla rivista Sanseverino pubblicò diversi saggi di carattere patristico e scolastico, destinati a fornire una lettura cristiana della cultura contemporanea. Oltre a molti articoli, Sanseverino pubblicò diversi volumi di filosofia. Tra i più significativi, alcuni riediti più volte e tradotti anche in francese e spagnolo, si segnalano Institutiones logicae et metaphysicae, La dottrina di s. Tommaso sull’origine del potere e sul preteso diritto di resistenza, Elementa philosophiae theoreticae ad usum cleri Neapolitani, Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata, Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata in compendium redacta, Institutiones seu Elementa philosophiae christianae cum antiqua et nova comparata, Elementa philosophiae christianae. GLI AUTORI FONDAMENTALI DELLA NEOSCOLASTICA Giovanni Perrone nacque nel 1794 a Chieri e studiò nel seminario di Torino. Entrò nel 1815 tra i Gesuiti quand’era già prete e dottore in teologia. Nel 1824 divenne docente di teologia dogmatica nel Collegio Romano. Nel 1848 si trasferì nel Galles in seguito all’instaurazione della Repubblica Romana. Colà insegnò nello scolasticato inglese e vi rimase fino al 1855, quando tornò a Roma dove, nel 1853, divenne rettore del Collegio Romano e, nel 1855, prefetto degli studi dello stesso Istituto, fino al 1876. Consultore di svariate Congregazioni, collaborò agli studi previ alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e ai lavori preparatori del Concilio Ecumenico Vaticano I. Morì a Roma nel 1876. Perrone scrisse molto e tra le sue opere segnaliamo le Praelectiones Theologicae in nove volumi e Il Protestantesimo e la regola della Fede. Il nostro fu un classico del pensiero teologico e le sue opere furono edite decine e decine di volte. Artefice della restaurazione scolastica, ben informato su tutte le tendenze teologiche dell’epoca, profondo conoscitore della teologia tedesca, non fu un vero esperto ma spesso fu alto divulgatore. Polemico e controversista, spesso ha una esposizione scarna dei concetti veri e propri. Fu grande erudito e dotato di immensa sicurezza. Contestò tutti gli errori dell’epoca, dal tradizionalismo al razionalismo. Perrone creò il trattato sui rapporti tra fede e ragione e svolse un apostolato teologico di incomparabile valore. Carlo Passaglia nacque a Pieve di San Carlo presso Lucca nel 1812. A quindici anni divenne gesuita e studiò sotto Perrone. A trentatrè anni divenne docente di dogmatica al Collegio Romano. Insegnò per quindici anni con erudizione ed eloquenza, brillando nella conoscenza patristica e propugnando un costante ritorno alle fonti per il rinnovamento teologico. Anche lui nel 1848 dovette lasciare Roma recandosi in Inghilterra, Francia e Belgio. Rientrato nel 1850, riprese ad insegnare. Da quell’anno pubblicò i suoi corsi, su svariati argomenti, distinguendosi in quelli di ecclesiologia. Lavorò enormemente per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione. Ammalatosi, dovette lasciare l’insegnamento. Ristabilitosi, non fu reintegrato perché era favorevole ad una composizione conciliativa della Questione romana. Lasciati i Gesuiti per questo nel 1859, nel 1861 dovette fuggire da Roma per i suoi scritti politici e si trasferì a Torino dove continuò a lavorare per la Conciliazione ed ebbe una cattedra di filosofia all’Università. Promotore di una petizione al Papa sempre sulla questione del Potere temporale, fu sospeso a divinis nel 1862. Commentò l’enciclica Aeterni Patris nel 1880 in un testo in cui elogiava il tomismo e difendeva Rosmini. Nel 1887 si riconciliò con la Chiesa e morì. Tra i suoi scritti segnaliamo il Commentarius de prerogativis Beati Petri, De Ecclesia Libri Quinque, De Immaculato Deiparae semper Virginis Conceptu, Della Dottrina di San Tommaso secondo l’Enciclica di Leone XIII, Pro causa italica ad episcopos catholicos auctore presbytero catholico. Passaglia ebbe una erudizione superiore a quella di Perrone e una profondità spirituale notevolissima. Trattò con somma maestria del Primato di Pietro, della Trinità, della Volontà Divina, della Chiesa, dell’Inferno e dell’Immacolata Concezione. Johann Baptist Franzelin nacque ad Aldein nel Tirolo nel 1816. Poverissimo, studiò dai francescani di Bolzano e all’Università di Graz. Nel 1834 divenne gesuita. Insegnò lettere in alcuni collegi dell’Ordine e apprese moltissime lingue antiche e moderne. Nel 1845 fu inviato a studiare alla Gregoriana. Nel 1848 anche lui dovette fuggire da Roma in rivolta e riparò in Inghilterra e poi in Francia, dove insegnò a Vals. Ordinato prete nel 1849, nel 1850 tornò a Roma per insegnare lingue orientali alla Gregoriana. Nel 1857 ebbe la cattedra di dogmatica e la tenne per quasi vent’anni con enorme successo. Collaborò alla preparazione del Vaticano I. Nel 1876 Pio IX lo creò cardinale a dispetto delle sue resistenze. Nel 1886 morì, rimpianto per la sua cultura, intelligenza, semplicità e bontà. Franzelin scrisse molto dal 1868 e di lui ricordiamo: De Sanctissimae Eucharestiae Sacramento et Sacrificio, De Sacramentis in genere, De Deo Trino, De Divina Traditione et Scriptura, De Deo Uno, De Verbo Incarnato. Meno incline a fare sfoggio di erudizione di Passaglia, non ne aveva di meno di lui. Preciso e rigoroso nella documentazione, sobrio e logico nelle citazioni, fu interprete acuto, sicuro e capace dei testi teologici. Conobbe la cultura contemporanea in tutta la sua ampiezza e non mancò di esporre le sue tesi con novità di stile e contenuto. Unì la teologia speculativa alla positiva, rimanendo fedele al motto per cui fides quaerens intellectum. Provava i dogmi con la Scrittura e la Tradizione per poi approfondirne i significati e spiegandone il senso filosofico. Fu tomista nella lettura di Suarez e quindi non adatto ai puristi dell’Angelico. Tommaso Maria Zigliara nacque a Bonifacio in Corsica nel 1833. Studiò presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, fu poi novizio domenicano a Roma e fece la sua prima professione religiosa nel 1851. Studiò a Perugia dove nel 1856 fu ordinato prete dall’arcivescovo Pecci, poi Leone XIII. Professore di teologia e filosofia a Corbara, a Corbara di Corsica e a Roma, fu reggente degli studi nel Collegio San Tommaso della capitale. Cardinale nel 1879 per volontà di Leone XIII, lavorò in molte Congregazioni romane. Avendo scelto nel 1893 di fare il Vescovo a Frascati, non fece in tempo a ricevere l’ordinazione episcopale perché morì nello stesso anno. Zigliara scrisse il Saggio sui principi del tradizionalismo, Della luce intellettuale e dell’ontologismo secondo le dottrine dei Santi Agostino, Bonaventura e Tommaso, De mente Concilii Viennensis in definitione unionis animae cum corpore, Propaedeutica ad sacram theologiam in usu scholarum, Summa philosophica in usu scholarum. Quest’ultimo è un manuale adottato in moltissimi seminari in cui diffuse il tomismo efficacemente. Zigliara fu in effetti uno dei maggiori neotomisti e non solo ebbe il merito di far fiorire questa filosofia ma anche di rieditare i testi dell’Angelico nell’edizione leonina. Fu un tomista fedele al pensiero autentico del Dottore e anche molto aggiornato. LEONE XIII Fu il grande Papa che riconciliò la cultura moderna con la Chiesa, superando la fase delle condanne dei suoi Predecessori e formulando nuovi principi su cui fondare quei valori che fino a quel momento erano appannaggio del mondo laico. Vincenzo Gioacchino Pecci nacque a Carpineto Romano da nobile famiglia nel 1810. Fu educato dai gesuiti a Viterbo e a Roma, completò gli studi all’Accademia dei Nobili Ecclesiastici, si addottorò in utroque iure, fu ordinato prete nel 1837 ed entrò al servizio della Segreteria di Stato. Delegato Apostolico a Benevento dal 1838 al 1841 e poi a Perugia dal 1841 al 1843, fu consacrato Arcivescovo di Damietta in partibus e inviato Nunzio Apostolico in Belgio dal 1843 al 1846. Richiamato in patria per i contrasti con la Corona, Pecci fu eletto Arcivescovo di Perugia e fu tale dal 1846 al 1878. Creato cardinale nel 1853, nel 1877 fu nominato Camerlengo di Santa Romana Chiesa, entrando nella Curia di Pio IX dalla quale fino ad allora il defunto Segretario di Stato Giacomo Antonelli (1848-1876) lo aveva sempre tenuto lontano considerandolo un progressista. Nel Conclave del 1878 fu eletto successore di Pio IX e prese il nome di Leone XIII. Era considerato un moderato di larghe vedute e un Papa di transizione. La prima cosa era verissima, la seconda assolutamente no. Leone era un uomo di immensa cultura che teneva continuamente aggiornata, di intelligenza sottile e sovrana, estremamente versato per la speculazione intellettuale e per il grande gioco politico e diplomatico. Con quest’ultimo trasse la Chiesa dall’isolamento politico causatole dalle posizioni intransigenti dei suoi Predecessori, mentre con il suo insegnamento raggiunse quei fini conciliativi di cui facevamo menzione all’inizio. La ricristianizzazione del mondo moderno fu l’obiettivo del gran magistero di Leone. Nell’enciclica programmatica Inscrutabili Dei Consilio del 1878 egli non solo condanna gli errori e polemizza con essi ma rivendica alla Chiesa il ruolo di promotrice di civiltà, sfidando i suoi rivali sul loro stesso terreno. Il Papa inoltre esortava ad una educazione attenta e proficua della gioventù, rivendicando alla Chiesa e alla famiglia il primato in questo ambito. Per la tematica di questo capitolo, dobbiamo incentrarci sull’enciclica Aeterni Patris del 1879, più volte citata in precedenza. La promozione di una visione filosofica unitaria della realtà era un presupposto fondamentale per il rinnovamento culturale cristiano patrocinato dal Papa. Egli già dall’enciclica programmatica aveva insistito sulla necessità di usare bene la filosofia e di intenderla cristianamente. Ora con il nuovo documento si propose di rinnovare gli studi ecclesiastici privilegiando come strumento il Tomismo, pur senza imporre l’Aquinate quale unico maestro. Leone rivendicò al magistero la funzione di indirizzo anche in campo filosofico, perché in esso si rispettino le norme di fede e la dignità delle scienze, nonché per sostituire all’antropocentrismo moderno il teocentrismo cristiano. Il Pontefice depreca quegli autori cristiani che hanno lasciato la tradizione antica per seguire la filosofia moderna. Ragione e filosofia rettamente usate possono dimostrare i preambula fidei, rendere scientifica la teologia, difendere le verità di fede. Tutto questo è stato egregiamente fatto dai Padri e dai Dottori e specialmente dall’Aquinate. Egli più di tutti ha armonizzato fede e ragione, fondando la prima su solide basi razionali. In conseguenza di ciò il Papa esortava tutti ad attingere alla tradizione tomista. Con l’Aeterni Patris Leone XIII avviava a compimento la rinascita neoscolastica e suggellava quella neotomista, alla quale come abbiamo visto aveva indirizzato anche altre iniziative. Grazie all’enciclica si passò da una sorta di prototomismo rinnovato ad una fase matura in cui si risalì sistematicamente alle fonti autentiche del pensiero di Tommaso. Ma Leone non fu solo l’uomo della Aeterni Patris. Tutte le sue cinquantuno encicliche rimangono pietre miliari del pensiero cristiano e lui stesso sopravanza di molto la media qualità del magistero dei Papi in genere. Nel 1885 pubblicò la Immortale Dei Consilio, nella quale affermò la naturale socialità umana, l’origine divina dell’autorità e la necessità che esse si assoggettino al volere di Dio e che riconoscano i diritti della Chiesa favorendone lo sviluppo e garantendole, come soluzione ideale dei rapporti tra essa e lo Stato, il pieno esercizio della sua libertà. Ai cittadini cattolici Leone XIII riconosceva il diritto e imponeva il dovere dell’azione politica, purchè essi si mantenessero uniti in materia dottrinale e mantenessero un legittimo pluralismo nelle questioni libere senza però combattersi tra loro. Degno di particolare nota è che in questa enciclica Leone XIII riconobbe che anche in democrazia il potere deriva da Dio, il Quale lo concede al popolo nel suo complesso quale sovrano di se stesso e lasciandolo libero di scegliere i suoi delegati per esercitarlo. Nel 1890 Leone XIII pubblicò la Sapientiae Christianae, in cui, trattando dei doveri civici dei cattolici, affermò la preminenza della legge morale su quella tecnica, la necessità di agire in ogni campo privato e pubblico secondo i principi del Cristianesimo, l’obbligo di amare la Patria terrena di un amore naturale e la Chiesa di un amore soprannaturale che quando necessario deve avere preminenza, la necessità di assoggettare le leggi umane alle divine, la terzietà politica della Chiesa e la sua superiorità al potere secolare nonché il dovere di questo di servire il Cattolicesimo. Fu a Leone XIII che si dovette lo sviluppo della Dottrina Sociale della Chiesa, con la prima enciclica dedicata a quest’argomento, la Rerum Novarum del 1891. Essa colmò un grande vuoto che da lungo tempo attendeva di essere riempito. Inquadrata storicamente la questione sociale e definitane la capitale importanza, nell’enciclica Leone censurò con ampie argomentazioni il socialismo, del quale condanna la violazione del diritto al risparmio del lavoratore, del diritto naturale di proprietà di ognuno, delle competenze di famiglia e Stato per l’educazione della prole. Il Pontefice enunciò la soluzione cristiana del problema, fissando compiti e obiettivi dei corpi sociali. Allo Stato, del quale ribadì la naturalità e la necessità, il Papa attribuì il compito di perseguire il bene comune, difendendo la proprietà privata, prevenendo gli scioperi mediante la rimozione delle loro possibili cause sociali, garantendo il riposo festivo, limitando la durata del lavoro specie a donne e bambini, tutelando i più deboli e garantendo il giusto salario. Alla società, quale realtà intermedia tra individuo e Stato, il Papa addita quale mezzo di composizione dei contrasti alternativo alla innaturale lotta di classe la ricostituzione delle corporazioni, debitamente modulate e adattate alle circostanze ambientali e munite di determinati poteri. Ovviamente nel solco del corporativismo Leone concepisce anche il diritto sindacale dei lavoratori, strutturato per il conseguimento del bene dei propri iscritti nell’ordine fisico, economico e morale. Il Papa inoltre ribadì la destinazione sociale della proprietà privata, il valore morale del lavoro e l’autorità della Chiesa sui principi sociali ed economici. Ancora dalla penna di Leone XIII uscì l’enciclica Provvidentissimus Deus del 1893, nella quale egli prese posizione contro gli errori biblici protestanti e cattolici. Il Papa affermò risolutamente che la Scrittura è ispirata da Dio non solo in materia di fede e morale ma anche negli altri ambiti che essa tocca, perché complementari a quelle e atte ad esprimerne i contenuti. Leone censurò la tendenza a cercare le ragioni per cui Dio abbia ispirato la Bibbia in un modo piuttosto che in un altro, insegnò l’inerranza completa della Scrittura, incoraggiò la revisione della Vulgata, diede un prudente impulso ai nuovi studi biblici, raccomandò per la ricerca del senso dei passi biblici l’uso dei brani paralleli e delle scienze ausiliarie, invitò a conservare l’interpretazione patristica della Bibbia anche quando è allegorica ma non vietò di cercare nuovi sensi, autorizzò ad usare i risultati degli studi non cattolici ma non a preferirli e infine ricordò che il senso autentico della Scrittura lo può determinare solo la Chiesa. Ne venne un impulso positivo all’esegesi sul quale torneremo. Dobbiamo sia pure sommariamente ricordare le altre Encicliche di questo Pontefice. Con la Quod Apostolici Muneris condannò socialismo, comunismo e nichilismo; con l’Arcanum Illud difese il matrimonio cristiano; con la Diuturnum Illud rivendicò il diritto della Chiesa al Potere temporale; con l’Auspicato Concessum rilanciò il Terz’Ordine francescano e le sue attività sociali; con la Nobilissima Gallorum Gens tentò la conciliazione dei cattolici francesi con la III Repubblica; con la Humanum Genus condannò la massoneria; con la Libertas Praestantissimum formulò una concezione cristiana della libertà umana; con la Inimica vis condannò la massoneria in Italia; con la Graves de Communi Re aprì la strada al movimento politico della Democrazia Cristiana; con la Praeclara gratulationis incoraggiò la riunione dei Protestanti e degli Ortodossi con la Chiesa Romana; con la Satis Cognitum e la Divinum Illud enunciò un’ecclesiologia per cui la Chiesa è ceto dei fedeli e vera società; con la Ad Anglos e la Apostolicae Curae promosse l’unione della Chiesa Anglicana con Roma pur dichiarando nulle le ordinazioni fatte in quella Chiesa; con la Testem Benevolentiae condannò l’Americanismo; con la Saepe Numero promosse una storiografia cristiana che, pur con intenti apologetici, non doveva dire il falso né tacere il vero. Non possiamo poi tralasciare la Divinum Illud Munus sulla devozione allo Spirito Santo che egli rilanciò, né l’enciclica Tametsi Futura Prospicientibus sulla Redenzione, la Mirae Caritatis sull’Eucarestia, l’Annum Sacrum sul Sacro Cuore di Gesù, la Quamquam Pluries su San Giuseppe e le undici sul Rosario e la Madonna (essendo il Papa convinto che la devozione a Lei fosse il rimedio di tutti i mali), tra cui menzioniamo la Supremi Apostolatus, la Superiore Anno e la Octobri Mense sul mese devozionale di ottobre istituito dal Papa, l’Adiutricem Populi, in cui Leone XIII tratteggia la Mediazione Universale della Vergine. Non si possono poi dimenticare altri atti di Leone, come l’istituzione della Pontificia Commissione Biblica, l’impulso fortissimo alla missione, l’attenzione alla vita consacrata, la promozione delle arti sacre e profane e delle scienze. Il tutto concorre a disegnare un profilo intellettuale e morale di altissimo livello, attento soprattutto alle questioni etiche, giuridiche e pratiche. ALTRI PENSATORI NEOSCOLASTICI E NEOTOMISTI Sulla scia dell’Aeterni Patris Leone XIII protesse e promosse molti filosofi tomisti, come i cardinali gesuiti Francesco Satolli (1839-1910), Santo Schiffini (1841-1906) e Camillo Mazzella (1833-1900) che chiamò ad insegnare a Roma. Quest’ultimo seguì il tomismo nella lettura fattane da Suarez. In Germania furono zelanti e polemici tomisti Franz Jacob Clemens (1815-1862), Costantin von Schäzler (†1881), Joseph Kleutgen (1811-1883) e la loro cerchia. Maggiori di loro furono in genere i cultori della Scolastica medievale: il cardinale Franziskus Ehrle (1845-1934), che studiò l’agostinismo, Friedrick Heinrich Suse Denifle (1844-1905), che studiò la mistica renana e che col precedente fondò l’Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters, Clemens Baeumker (1853-1924), che studiò il platonismo medievale e le connessioni tra scolastica cristiana e islamica, Martin Grabmann (1875-1849), che studiò il metodo scolastico. Hermann Schelle (1850-1906) fu invece un antiscolastico di tendenza eterodossa. Va menzionato anche Maurice de Wulf (1867-1947), belga, autore della raccolta “Le philosophes belges” e discepolo di Mercier, di cui diremo a parte. In Francia si ebbe Maurice Lesage d’Hautrecour d’Hulst (1841-1896) che operò all’Institute Catholique de Paris, in un panorama piuttosto modesto di cui quell’ateneo fu la sola eccezione significativa. Attorno a numerose riviste neotomiste come Divus Thomas, Pastor Bonus, Revue Thomiste ecc., si radunarono altrettanti circoli. Agostinisti furono Léon Ollè – Laprune (1839-1898), Maurice Blondel (1861-1949) – con venature ereticali - e il suo discepolo Lucien Laberthonniére (1860-1932), antiscolastico condannato dal Sant’Uffizio e prontamente sottomessosi. Essi cercavano di tener viva la tradizione che dall’Ipponense andava a Bonaventura, Pascal e Malebranche. A Quaracchi poi il Collegio San Bonaventura conservò il pensiero di quel Dottore. In genere i francescani conservarono lo scotismo e molti gesuiti il pensiero deuteroscolastico di Suarez. LA GRANDE NEOSCOLASTICA: SCHEEBEN Mathias Joseph Scheeben nacque a Meckenheim nel 1835. Nel 1852 fu mandato a studiare a Roma alla Gregoriana, dove si addottorò in teologia e filosofia studiando con Taparelli, Liberatore, Perrone, Kleutgen, Passaglia e Franzelin. Sacerdote nel 1858, tornò in Germania e dal 1860 insegnò teologia nel seminario di Colonia. Schieratosi a favore del magistero in seguito alle polemiche sulla definizione del dogma dell’infallibilità del Papa, divenne direttore della rivista Il Concilio Ecumenico del 1869. Dal 1873 pubblicò i tre volumi del suo monumentale Manuale della dogmatica cattolica, costituito da sei trattati. Scrisse tra le altre cose I misteri del Cristianesimo. La sua produzione ammonta ad un migliaio di titoli di articoli teologici e pastorali. Nel 1888 Scheeben morì prematuramente portandosi nella tomba tutta la grandezza della teologia cattolica dell’epoca. Scheeben mise al centro della sua ricerca e del suo sistema il soprannaturale come centro di irradiazione di bellezza e purezza e quindi come centro di attrazione. Con ogni mezzo egli combattè i residui del razionalismo imperante anche in teologia. Nei Misteri del Cristianesimo Scheeben sintetizzò tutte le verità rivelate alla luce di nove misteri fondamentali: quello trinitario, quello della Creazione, quel del peccato, quello cristologico, quello eucaristico, quello ecclesiologico e sacramentale, quello soteriologico, quello escatologico, quello della predestinazione. Alla fine l’autore parla della relazione tra fede e ragione e della natura della scienza teologica. Scheeben mostra che la ragione nulla ha da temere dai misteri della fede, dei quali tesse un grande elogio affermando che essi ci attirano proprio per la loro vastità, la loro grandezza e la loro radiosità. L’analogia fidei è uno strumento fondamentale per Scheeben, di cui si serve per spiegare ogni mistero con gli altri: l’Eucarestia con la Chiesa, la Chiesa coi Sacramenti, la Giustificazione con la Predestinazione. Ogni mistero per il nostro autore ha due elementi costitutivi: è una verità al di sopra della comprensione di ogni creatura ed è suscettibile di una comprensione analogica. Esso riguarda una verità di cui conosciamo l’esistenza ma di cui ignoriamo la natura. I dogmi sono verità radiose, che illuminano la mente e scaldano il cuore dei credenti. Con questa presentazione, Scheeben fa sì che la sua opera non sia solo erudita, ma altamente contemplativa, sulla scia della Patristica e della Scolastica. Parlando della teologia come scienza, Scheeben dice che essa è una saggezza divina ed umana, in cui questi due termini stanno in relazione come le due Nature di Cristo nella Sua Incarnazione. La teologia è una scienza perché ha un oggetto proprio, ossia i misteri, alieni dal dominio della ragione, e ha un suo organo conoscitivo, il lumen supernaturale, ossia la fede, che raggiunge ciò che è al di sopra dell’intelletto umano. Per Scheeben, coerentemente tomista anche in questo, la fede e la ragione sono distinte ma non separate e perfettamente conciliabili all’occorrenza. Derivando da una sola fonte, devono solo separare i loro oggetti: la prima si occupa del soprannaturale e la seconda del naturale. In ordine ai misteri della fede, la ragione svolge una funzione di servizio. Anche il rapporto tra le due facoltà ricalca l’Unione Ipostatica: la ragione non genera da sé i misteri di Dio e la fede da sola non può sviluppare il suo contenuto. Sono dunque due principi paritetici, uniti in un matrimonio intellettuale, in cui la forma del nuovo sinolo è la fede e la materia la ragione col suo ambito naturale. LA GRANDE NEOSCOLASTICA: BILLOT Louis Billot nacque a Sierk presso Metz nel 1846. Studiò a Metz, a Bordeaux e a Blois dove fu ordinato prete nel 1869. Gesuita subito dopo, insegnò teologia biblica a Laval e dogmatica ad Angers. Passato a Jersey, giunse a Roma alla Gregoriana nel 1885 per volontà di Leone XIII che se ne servì per il suo programma neotomista. Rimase colà fino al 1910, quando divenne consultore del Sant’Uffizio. Nel 1911 San Pio X (1903-1914) lo creò cardinale. La vicinanza ad Action Française gli inimicò Pio XI (1922-1939) che aveva condannato il movimento e lo indusse a rinunciare alla porpora nel 1927, pur tessendone ampi elogi intellettuali in Concistoro. Billot si ritirò a Galloro e vi morì nel 1831. Billot fu studioso profondo e prolifico. Tra i suoi numerosi trattati, che coprono tutta la dogmatica, vanno ricordati De Verbo Incarnato, De Deo Uno et Trino, De Ecclesia Christi, De Gratia Christi. Sommo scolastico della sua epoca, tomista di sicurissima esperienza, si servì dell’Angelico per rinnovare la trattatistica e contestare modernismo e liberalismo. Fu lui uno degli ispiratori della condanna del modernismo fatta da Pio X nella Pascendi Dominici Gregis. Billot considerava il liberalismo un’eresia scaturita dalla Rivoluzione Francese basata su una filosofia atea. Ne denunziò l’errore capitale, per cui il bene supremo sia la libertà, che invece è il mezzo per attingere questo stesso Bene ma anche per perderlo. Da Tommaso d’Aquino Billot prende le idee guida e in particolare in metafisica usa l’analogia, la distinzione tra atto e potenza, quella tra essenza ed esistenza. La distinzione tra queste due cose nelle creature è fondamentale, in quanto fanno la differenza con Dio, in cui sono perfettamente coincidenti. In questo modo Billot rifiuta ogni univocità ontologica. In teologia trinitaria il nostro mette in rilievo il concetto di relazione. In cristologia parla della Persona del Cristo come Essere del Verbo. In teologia eucaristica intende la transustanziazione come conversione sostanziale e considera la Messa un sacrificio incruento mistico. In ecclesiologia egli mantenne l’impostazione socio-giuridica di Bellarmino e Leone XIII, per cui egli da un lato esamina le strutture gerarchiche della Chiesa stessa e dall’altro considera la vita interiore e la Comunione dei Santi come un fatto che riguarda gli individui. Originale ma rigettata dai teologi l’idea da lui sostenuta sul destino ultraterreno dei non cristiani, assimilati ai bambini e destinati al Limbo. LA GRANDE NEOSCOLASTICA: MERCIER E LA SCUOLA DI LOVANIO Desiré Mercier nacque a Braine l’Alleude nel 1851 in Belgio e morì a Malines nel 1926. Sacerdote nel 1874, docente di filosofia nel 1877, insegnò filosofia tomista dal 1879 in Belgio. Nel 1889 fondò l’Istituto di Filosofia dell’Università di Lovanio. Attorno a lui si radunarono insigni studiosi come Nys, Noël, De Raeynmaeker e De Wulf. Nel 1894 fondò la Revue Néoscholastique de Philosophie, prestigiosissima rivista del movimento. Nel 1906 Mercier divenne Arcivescovo di Malines, Primate del Belgio e Cardinale. Svolse un lavoro assiduo per la santificazione del popolo e del clero, nonché per la formazione dei sacerdoti. Promosse l’Unione Internazionale di Studi Sociali di Malines e il dialogo ecumenico con la Chiesa Anglicana attraverso i colloqui celebri tenuti nella sua Arcidiocesi, dal 1921 al 1926. Scrisse la Criteriologia generale, la Logica, la Psicologia, la Metafisica generale od Ontologia, Ai miei seminaristi, Ritratto Pastorale. Si accorse che la cultura ecclesiastica era troppo eterogenea per combattere il Positivismo e l’Idealismo e che bisognava ricondurla a sistema per renderla più efficace. Si ispirò alla Neoscolastica e al Neotomismo italiani. Il centro del suo pensiero fu la criteriologia, alla quale dedicò la Criteriologia generale, il suo capolavoro. In essa si affronta il tema cruciale della filosofia, ossia se l’uomo può conoscere alcunché e, posto questo, cosa possa conoscere. Mercier afferma che esiste una corrispondenza tra il piano ontologico e quello gnoseologico e professa il realismo gnoseologico, la teoria dell’astrazione e il metodo induttivo. Antitetico al soggettivismo gnoseologico, Mercier è pure convinto di aver dato così un fondamento epistemologico più valido alla scienza di quello fornito dai Positivisti. Considera altresì le proposizioni di ordine ideale come giudizi analitici in cui vi è identità tra soggetto e predicato. Anche i giudizi matematici sono analitici secondo Mercier, che in questo contraddice Kant e che considera giudizi analitici anche gli asserti metafisici come il principio di causalità. In genere, Mercier professò la distinzione tra forma e materia, tra potenza e atto, considerò l’anima forma del corpo, dedusse l’esistenza di Dio dalle cinque vie tomiste e tuttavia considerò questa filosofia una realtà viva suscettibile di sviluppo. Tra i suoi discepoli, oltre a quelli già citati en passant, menzioniamo Joseph Maréchal (1978-1944), che cercò di superare il kantismo in prospettiva neoscolastica attraverso una critica che nasceva dal di dentro delle stesse concezioni del filosofo prussiano. STORICI, ESEGETI E SOCIOLOGI NELL’ETA’ DI LEONE XIII Sebbene per i neoscolastici la storia fosse disciplina tutto sommato solo complementare, durante il papato di Leone XIII lo studio storico si sviluppò enormemente. Il summenzionato Ehrle fu Bibliotecario e Archivista di Santa Romana Chiesa sotto il pontificato di Pecci e contribuì alla messa a disposizione degli studiosi della miniera documentaria archivistica a cui era stato preposto. Johannes Janssen (1829-1891) usò con enorme scrupolo le fonti e fu al centro di un grande dibattito sulla possibilità di restituire ai posteri la loro voce originaria, mediante una corretta comprensione storica. Ludwig von Pastor (1854-1928) fu autore di una monumentale Storia dei Papi dalla fine del Medioevo che pur mancando spesso di una corretta prospettiva fu una pietra miliare nella ricerca in materia. Una simile impostazione la ebbe Johan Hergenrother (1824-1890) nella sua manualistica di storia ecclesiastica. Franz Xavier Kraus (1840-1901) fu a sua volta fondatore dell’archeologia cristiana. Franz Xavier Funk (1840-1907) improntò la sua manualistica ad un corretto senso dello sviluppo storico mancante nella neoscolastica. Charles De Smedt (1833-1911) sovrintese ai lavori dei Bollandisti con i principi della critica filologica da lui eccellentemente difesi. Ebbe come collaboratore Hippolyte Delehaye (1859-1941). Louis Duchesne (1843-1922) sostenne lo sviluppo storico dei dogmi ed ebbe perciò diversi problemi. Il suo lavoro erudito, ad esempio sul Liber Pontificalis, fu di grandissima rilevanza. Altri, come il citato Schälzer, seguirono nei loro lavori sui dogmi una prospettiva meno storica. E’ questa l’epoca dei grandi dizionari di erudizione, generalmente francesi: quello di archeologia cristiana e liturgia, quello di storia e geografia ecclesiastica, quello di teologia cattolica. Molte traduzioni bibliche fiorirono nel periodo, basate sulla Vulgata. Sulle migliori di esse si basò la Bibbia poliglotta di Fulcran Vigouroux (1837-1915), il massimo biblista dell’epoca, pugnace nemico della critica biblica razionalista. Su questa strada lo seguì con più moderazione Thomas J. Lamy (1827-1907). Franz Philip Kaulen (1827-1907) fu invece influente nei paesi germanofoni. Vi fu un dibattito acceso sul concetto di ispirazione biblica, al quale presero parte anche Billot e Franzelin secondo le linee tracciate da Leone XIII. Joseph Marie Lagrange (1855-1938) e Ferdinand Prat (1857-1938) sostennero una tesi di compromesso con la scienza moderna. Nonostante i guai passati per questa posizione, Lagrange rimane uno dei maggiori studiosi dell’epoca, fautore dell’incontro tra l’ortodossia e i moderni studi, fondatore di ben due riviste bibliche. Non a caso è ancora oggi letto. Tra i grandi teorici della Questione sociale ricordiamo monsignor Victor-Joseph Doutreloux (1837-1901) e monsignor Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877). Il primo fu Arcivescovo di Liegi e il suo episcopato fu segnato da prese di posizione coraggiose intorno alla questione sociale che sfociarono nel Congresso sociale di Liegi 1886. Nel frattempo egli impiantò il movimento eucaristico nella sua diocesi e ad interessarsi ai Congressi internazionali sul tema. Il secondo, vero precursore della Rerum Novarum, fu Arcivescovo di Magonza e tenne celebri discorsi sui temi dell’intervento dello Stato in economia, sulle libere associazioni professionali, sul diritto della Chiesa di intervenire in materia. Scrisse diverse opere, tra cui La Questione operaia e il Cristianesimo, Libertà autorità e Chiesa, Liberalismo socialismo e cristianesimo, I cattolici nel Reich tedesco. Va anche menzionato il cardinale arcivescovo di Baltimora Edward Gibbons (1834-1921), impegnato nella soluzione della Questione sociale negli USA, fautore del movimento sindacale ed autore di opere popolari quali La fede dei nostri padri, Le nostre radici cristiane, L’ambasciatore di Cristo, Discorsi e sermoni, Una retrospettiva di cinquant’anni. In Italia invece si distinse il Beato Giuseppe Toniolo (1845-1918), sociologo, economista ed accademico, autore di un numero notevole di opere scientifiche. SAN PIO X Massimo riformatore interno della Chiesa dopo il Concilio Tridentino e prima del Vaticano II, distruttore del Modernismo, Pio X, senza essere né un intellettuale né un teologo, si collocò pienamente nel contesto neoscolastico e neotomista dal quale attinse mezzi e metodi per la lotta all’eresia che alla fine estirpò e per la promozione della vita spirituale che fece prosperare. Di intelligenza più robusta che sottile, si differenziò da Leone XIII e lo completò sotto svariati punti di vista. Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese presso Treviso nel 1835. Studiò nel Seminario di Padova tra il 1850 e il 1858. Sacerdote in quell’anno, fu fino al 1867 vicario a Tombolo e fino al 1875 curato a Salzano. Cancelliere vescovile di Treviso e direttore del Seminario diocesano da quell’anno al 1884, divenne poi Vescovo di Mantova e vi rimase fino al 1893, quando Leone XIII lo elesse Patriarca di Venezia e lo creò Cardinale. Visse sempre in modo santo e austero. Nel 1903 fu eletto Papa alla morte di Leone. Assunto il nome dei grandi Papi perseguitati degli ultimi secoli, Pio X si dedicò solamente alla vita interna della Chiesa, essendo del tutto disinteressato alla politica e non avendo altro da aggiungere all’ammodernamento fatto da Papa Pecci. Il suo magistero si ricorda innanzitutto per l’estirpazione del Modernismo. Dopo svariati ammonimenti e prescrizioni all’Indice di diversi testi modernisti, Pio X promulgò il decreto Lamentabili con cui condannò sessantacinque proposizioni moderniste nel 1907, l’enciclica Pascendi Dominici Gregis nello stesso anno che lo contestava dottrinalmente e il motu proprio Sacrorum Antistitum con cui imponeva al clero un giuramento antimodernista, nel 1910. La condanna di quella che Pio chiamò la sintesi di tutte le eresie era la condanna della resa quasi a discrezione allo storicismo, al soggettivismo, al relativismo e all’evoluzionismo di certa teologia e cultura che cercavano una conciliazione con la modernità. Essi volevano adattare la Fede ai mutamenti dello spirito umano trasformando i principi della Rivelazione e mettendo al centro della religione una generica forma di intimismo religioso, mentre rigettavano intellettualismo e soprannaturalismo, prospettando una apologetica che considerasse l’aspirazione naturale al divino in chiave immanentistica e che insistesse sull’evoluzione dei dogmi. Pio X denunciò queste storture a cominciare dalle loro applicazione in esegesi biblica, per poi estendere la sua censura a tutti gli aspetti di questa eresia, contro la quale prese energici provvedimenti di contenimento. Ma non fu solo il Papa dell’antimodernismo e il suo magistero è anch’esso importante nei svariati suoi aspetti come quello dei suoi Predecessori. Nell’enciclica Fermum Propositum additò ai gruppi sociali cattolici l’obiettivo di far regnare Cristo in ogni ambiente e sciolse quei movimenti che sembravano inclinare ad una sorta di modernismo politico. Pio X condannò il movimento Le Sillon che cercava di conciliare Cristianesimo e socialismo. Il Papa inoltre riformò la Curia Romana con la costituzione apostolica Sapienti Consilio del 1908, avviò la compilazione del Codice di Diritto Canonico, riorganizzò il Conclave, innalzò il livello morale e spirituale del clero promuovendone l’efficienza pastorale, riorganizzò i seminari migliorandone gli studi, ristrutturò il programma catechistico e promulgò il Catechismo che porta il suo nome. Favorì la collaborazione dei laici col clero, inculcò la Comunione frequente e vi ammise i bambini in età di ragione e la facilitò agli ammalati; riformò la musica liturgica e ripristinò il Canto Gregoriano; diede una nuova struttura al Breviario e avviò la revisione del Messale. CANONISTI, LITURGISTI E TEOLOGI AI TEMPI DI PIO X La riforma del diritto canonico, preparata da numerosi codificatori in forma privata (De Luise nel 1873, Colomiatti nel 1888, Pillet nel 1890, Pezzani nel 1893, Deshayes nel 1895) e auspicata da Leone XIII, fu voluta da Pio X e si concretizzò con la promulgazione del Codice da parte di Benedetto XV (1914-1922). Il maggior artefice di questa codificazione fu Pietro Gasparri (1852-1934), principe dei canonisti dell’età moderna e contemporanea, poi cardinale Segretario di Stato sia di Benedetto XV che di Pio XI (1922-1939), molto attivo anche come studioso. Nella sua opera di riforma liturgica, Pio X si avvalse della collaborazione del gesuita Angelo De Santi (1847-1922), vero motore della riforma del canto liturgico, e di monsignor Pietro Piacenza (1847-1919), artefice autentico del riordino delle celebrazioni. Durante la tempesta modernista, si distinsero diversi autori, alcuni innovatori e quindi spesso nei guai con l’autorità ecclesiastica – anche se non condannati formalmente – ed altri integristi. In Germania il patrologo e storico Albert Ehrhard (1862-1940), fu dei primi ed E. Commer dei secondi. In Italia furono riformatori Giovanni Genocchi (1860-1926), assai stimato da Pio X, Umberto Fracassini (1862-1950),il Servo di Dio Giovanni Semeria (1867-1931), apologista e conferenziere, ingiustamente tacciato di modernismo per la vicinanza ad alcuni suoi alti esponenti, Francesco Lanzoni (1863-1929), anche lui sventuratamente caduto in una tempesta che non avrebbe dovuto lambirlo. Tra i francesi citiamo due moderati: il Padre Léonce de Grandmaison (1868-1927) e il Padre Ambroise Gardeil (1859-1931). Capofila degli integristi fu invece monsignor Umberto Benigni (1862-1934), storico, apologeta, pubblicista e diplomatico. LA NEOSCOLASTICA DI MILANO Il suo epicentro fu l’Università Cattolica del Sacro Cuore, fondata nel 1921 dal Venerabile Ludovico Necchi (1876-1930), accademico e medico, dalla Venerabile Armida Barelli (1882-1952) e dal francescano Agostino Gemelli (1878-1959), Servo di Dio, il quale, pur essendo medico e psicologo e non filosofo, fondò l’ateneo nel 1921 e, sin dal 1909 la Rivista di Filosofia neoscolastica, che furono due poderosi strumenti della rinascita del pensiero cattolico in un’Italia dominata dapprima dall’idealismo e poi dal marxismo gramsciano. Gemelli fu anche promotore della devozione a Cristo Re e, purtroppo, un critico severo dei maggiori mistici del secolo XX di cui non comprese la grandezza. La vera mente della Neoscolastica milanese fu monsignor Francesco Olgiati (1886-1962), a cui poi si aggiunsero Amato Masnovo (1880-1955), Gustavo Bontadini (1903-1990) e Sofia Vanni Rovighi (1908-1990). IL PERSONALISMO Il concetto di persona è un concetto chiave del Neotomismo e il Personalismo, come filosofia di ispirazione cristiana, è da questo punto di vista una costola del Neotomismo, nonostante debba moltissimo anche a Pascal, a Maine de Biran e a tutti gli autori di quello che venne chiamato albero personalista, da Socrate in poi. Questa corrente ebbe punti di contatto con Buber e Scheler. Il fulcro di questo pensiero sta nell’idea di persona come realtà inoggettivabile, inviolabile, creativa, libera e responsabile, incarnata in un corpo, situata nella storia e costitutivamente comunitaria. Il suo obiettivo è una rivoluzione personalista comunitaria intellettuale che rifaccia e corregga la modernità. L’incontro tra la nozione personalista – forgiata da Charles Renouvier (1815-1903) e quella comunitaria avvenne in Francia col contributo teorico di Emmanuel Mounier (1905-1950), massimo filosofo di quella che potremmo chiamare, in senso accomodatizio, la sinistra cristiana. Egli fondò la rivista Esprit nel 1932 e fu l’estensore del Manifesto del Personalismo Comunitario e di altri testi programmatici che svilupparono sistematicamente l’idea di una nuova cultura cristiana. Tra gli esponenti di questa filosofia si delinearono parecchi indirizzi: quello esistenzialista di Berdajev, Landsberg, Ricoeur, Nédoncelle, quello marxista e quello classico di Lachièze Rey, Nabert, Le Senne, Madinier, Lacroix. Ebbe come rappresentanti inglesi i membri del Personalist Group di J.B. Coates e come esponenti statunitensi Howinson, Bowne, Brightman e Hocking. Il Personalismo ebbe esponenti anche in Olanda, Svizzera e Italia, come Armando Carlini e Luigi Stefanini. Ma tra i suoi pensatori due si distinguono facendo in un certo senso scuola a sé: Simone Weil (1909-1943) –pensatrice in cui il tema di Cristo e della Croce sono centrali nonostante il suo vivo spirito antireligioso per buona parte della sua vita e nonostante si sia fatta battezzare solo, pare, in punto di morte – e Jacques Maritain. JACQUES MARITAIN A questi, grande filosofo che influì anche su Paolo VI (1963-1878) e sul Concilio Vaticano II (1962-1965), ma non teologo di rilievo, dedichiamo qualche nota per questo motivo. Nato nel 1882 e morto nel 1973, fu il massimo tomista, senz’altro più tomista che personalista. Scrisse Distinguere per unire: i gradi del sapere, in cui enunciò la legge dell’analogia, quale legge della somiglianza tra i diversi esseri che permette di non naufragare nella sconfinata varietà della realtà dell’universo, senza però unificare tutto in una indistinta ed ingannevole totalità. Si dedicò alla pedagogia, all’arte e alla politica sulla scorta aristotelico-tomista. In Educazione al bivio paragonò l’arte di educare alla medicina, in cui il maestro è al servizio della natura e costituisce il fattore intellettuale dinamico incaricato di assecondare l’agente principale, il principio dinamico primordiale, la forza propulsiva prima del processo educativo che è il soggetto da educare. Maritain in questo fu contrario sia al lassismo che al rigorismo. In Arte e Scolastica e Intuizione creativa nell’arte e nella poesia Maritain radica l’arte nell’intelletto, in quanto dietro di essa vi è ragione intuitiva., creativa, animata dall’immaginazione, radicata fin nell’inconscio. In Umanesimo Integrale, il suo capolavoro, Maritain concepì una società animata da principi cristiani eppure laica, autonoma nelle sue istituzioni. E’ una città laica cristiana in modo vitale e uno Stato laico cristianamente costituito, in cui profano e temporale hanno il loro compito come agenti e fini principali, ma non esclusivi, ultimi e più elevati. Sostenitore della democrazia contro le religioni secolari del totalitarismo, Maritain sostenne che non vi è potere senza responsabilità e senza che chi lo detiene non renda conto di quel che fa. ETIENNE GILSON E’ l’ultimo nome degno di nota in questa carrellata. Nato nel 1884 e morto nel 1978, fu sommo storico della filosofia (La filosofia nel Medioevo) e grande filosofo (Lo spirito della filosofia medievale). Gilson comprese che il fulcro geniale del tomismo, a cui approdò dalla storia, è la distinzione tra essenza ed esistenza: essa dà ragione della creaturalità degli enti e ad un tempo dell’esistenza di Dio quale presupposto della loro esistenza. In Dio infatti essenza ed esistenza sono congiunti: se non fosse così, i possibili che realmente sono dovrebbero essere inesistenti, mentre invece esistono. Theorèin - Settembre 2018 |