LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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PRAESENS AETAS

Breve introduzione ai teologi cattolici moderni

Per la Chiesa l’età dopo il Concilio è la vera contemporaneità. E’ poi proprio nel 1965 che vengono pubblicate opere teologiche importanti protestanti. Naturalmente, fedeli all’impostazione che ci demmo, non tratteremo né di autori non cattolici né di autori cattolici eterodossi, ma non possiamo ignorare che oggi più che mai l’influsso interreligioso nel pensiero teologico è un dato di fatto di incalcolabile portata.

Sebbene culturalmente omogenea, questa nostra età presente è segnata da fasi differenti. La prima, che maggiormente ha influenzato l’intero periodo, coincide con la Rivoluzione sessantottina che, preparata per tutto il settimo decennio del secolo scorso e proseguita durante l’ottavo, ha portato a compimento quanto di peggio poteva esserci per la Cristianità, ossia una trasformazione dei costumi in senso secolaristico, accompagnata da un sommovimento politico, economico, culturale e sociale mai visto prima, sotto l’egida di un pensiero ateo e materialistico, il marxismo. Le domande dell’uomo del XX secolo sono le stesse di sempre ma ad esse si aggiungono quelle legate allo squilibrio sociale, alla Guerra Fredda, alla Decolonizzazione, alla nascita del Terzo Mondo, all’equilibrio del terrore atomico e al disarmo, ai diritti umani e alla loro negazione, alla globalizzazione, alla povertà. Per giunta, questi interrogativi non cercano risposta in Dio, per la diffusione dell’ateismo e dell’indifferentismo, per cui i teologi devono radicalmente modificare il loro modo di operare nello sforzo spesso vano di rincorrere chi ha lasciato, non solo fisicamente ma mentalmente, l’ovile di Cristo e lo stesso recinto del Divino. Obiettivi e contenuti teologici mutano, spesso febbrilmente e velocemente: si usano come ausili le scienze umane e la politica, abbandonando – con un errore capitale – la filosofia e la metafisica. Si privilegia la riflessione sui temi pratici e i bisogni umani, a scapito dei misteri di Dio. Si cerca una sempre più ampia inculturazione nei nuovi innumerevoli ambiti in cui il Vangelo viene proclamato, partendo dal presupposto che la stessa teologia tradizionale sia stata una forma di inculturazione nell’antichità, nel medioevo e nella modernità. Nascono così teologie continentali, di genere e di etnia. La prassiologia e l’inculturazione dureranno fino al 1995, lasciando poi il posto ad una tendenza più funesta: l’adattamento al costume secolare, anticamera della morte non solo della teologia ma della fede.

E’ questa la seconda fase, nella quale, senza che smetta l’inculturazione, il paradigma tende a stabilizzarsi, vi sono tentativi di restaurazione, se non contenutistica, almeno epistemologica e, nel contempo, come dicevo, una tendenza neomodernista nell’assorbimento delle istanze della società secolarizzata nell’ambito etico, che dura fino al presente. Un presente funestato dalla globalizzazione selvaggia, dallo scontro tra Nord e Sud del mondo e dal fondamentalismo islamico, oltre che dalla secolarizzazione laicista e anticristiana, in cui si saldano spesso istanze liberali, socialiste ed esoterico-massoniche. Si tratta di un panorama fosco in cui spesso la teologia non sa misurarsi degnamente con l’avversario, in quanto le stesse categorie dialoganti del pensiero del Vaticano II sembrano essere state surclassate dall’arroganza aggressiva degli avversari, amplificata da un potere mediatico, finanziario e politico integrato e operante su scala planetaria.

In questo contesto la teologia smette in larghissima misura di essere opera dei chierici e appannaggio dell’accademia – persino questo mio scritto divulgativo lo dimostra- e naturalmente ciò allarga le prospettive ma anche le rende più fosche per la presenza di tanti dilettanti. Il genere sistematico, inadatto ad una ricerca sempre in via di essere sperimentata, viene sostituito dal saggio, dall’opuscolo, dal trattatello, dal programma, dall’articolo, senza giungere quasi mai alla costruzione di un pensiero organico. In effetti una delle caratteristiche deteriori del periodo è l’assoggettamento della teologia alle mode, fugaci e crudeli, per cui molti indirizzi sono stati solo accennati e nemmeno sviluppati. Frammentaria nell’espressione, questa teologia è frantumata nei contenuti. La mancanza di temi comuni, di metodi condivisi, di linguaggi tecnici impedisce qualsiasi unitarietà e confronto in molti casi, mentre branche fondamentali come la trinitaria e la cristologia sono drammaticamente trascurate. La frattura è anche evidente col passato, in quanto la teologia guarda soprattutto e fumosamente al futuro.

In quest’epoca distinguiamo qualche figura di altissimo prestigio, diverse correnti, alcune tematiche. Inoltre, indichiamo le linee portanti del Magistero papale.

JOSEPH ALOIS RATZINGER E LA TEOLOGIA DEL MAGISTERO

Il rinnovamento teologico cattolico in Occidente era già iniziato con gli autori di cui abbiamo parlato in precedenza raggruppandoli sotto vari influssi, tomisti neotomisti e agostiniani. Dopo il Concilio e fino ai tempi nostri – in genere fino agli anni Ottanta, in cui muoiono quasi tutti – quegli autori continuarono a lavorare indefessamente. Ma alcune figure sorsero dopo la grande assise ecumenica. Di esse le tre maggiori sono quelle di Joseph Ratzinger (1927-), Hans Küng (1928-) ed Edward Schillebeeckx (1914-2011). Tuttavia gli ultimi due, sebbene prestigiosi e dotti, sono innegabilmente eterodossi e in effetti sono stati censurati da San Giovanni Paolo II, per cui da trattare rimane il primo, nonostante sia ancora in vita – come del resto Küng – in deroga al nostro principio, in quanto trattasi di personalità altissima, peraltro assurta ai fasti del Papato, poi abbandonato con monastico distacco.

Joseph Alois Ratzinger è attualmente il massimo intellettuale cattolico vivente, oltre che il più grande teologo. Continua ad essere, come nella maggior parte della sua vita, un isolato, ma ha luce sufficiente per illuminare, da solo, buona parte del mondo, disposto a vedere. Egli nacque a Marktl am Inn, in Baviera, nel 1927. La sua famiglia, semplice, era convintamente antinazista. Studiò ad Aschau negli anni delle elementari, frequentò il ginnasio a Traunstein e servì nell’esercito tedesco tra il 1943 e il 1945, a causa del volkssturm, nella contraerea. Fu poi prigioniero degli Alleati. Liberato, entrò nel Seminario di Frisinga e studiò colà e all’Università di Monaco. Fu ordinato prete nel 1951. Nel 1953 si addottorò in teologia. Nel 1957 conseguì, sia pure in mezzo a molte difficoltà, la libera docenza. Nel 1958 cominciò ad insegnare nel Seminario di Frisinga, dogmatica e teologia fondamentale. Nel 1959 divenne ordinario di teologia fondamentale all’Università di Bonn. Fu perito del Concilio Vaticano II al seguito del cardinale Joseph Frings (1887-1978), arcivescovo di Colonia. In quel ruolo maturò una fisionomia riformista ancorata nella Tradizione, a differenza dei tumultuosi cambiamenti di certi fronti teologici innovatori. Nel 1963 divenne professore all’Università di Münster. Nel 1966 si trasferì in quella di Tubinga. Nel 1969 lasciò quella sede, minata dalla contestazione studentesca, e si trasferì nel neonato ateneo di Ratisbona. Nel 1977 San Paolo VI lo elesse arcivescovo di Monaco di Baviera. Nello stesso anno fu creato cardinale. Nel 1981 San Giovanni Paolo II lo volle Prefetto Apostolico della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Lo scelse perché era un teologo che, liberamente, autorevolmente e dottamente, era sempre in linea con il magistero. Tra il 1986 e il 1992 fu Presidente della Commissione per la redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel 1992 divenne Cardinale Vescovo di Velletri e Segni. Nel 2002 divenne Decano del Sacro Collegio dei Cardinali e Cardinale Vescovo di Ostia, titolo che unì all’altro suburbicario che già aveva. Nel 2003 divenne Presidente della Commissione per la redazione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Nel 2005 fu eletto Papa e assunse il nome di Benedetto XVI. Il suo pontificato si distinse per lo sforzo enorme per la moralizzazione del clero, per la riforma delle finanze vaticane, per il magistero di altissimo livello, per la restaurazione della disciplina liturgica e per una maggiore attenzione alle questioni religiose rispetto a quelle politiche. Da Papa, Ratzinger non smise di fare ricerca e divulgazione. Fronteggiò dal 2011 una congiura oscura tra oppositori di Curia, teologi neomodernisti, poteri massonici, finanziari, mediatici e politici internazionali, volta ad impedirgli il governo ordinario della Chiesa, sfruttando scandali veri o presunti che lambirono diversi suoi collaboratori, ma resistette con dignità ed energia. Superato l’acme della tempesta, Ratzinger, malato e vecchio, nel 2013 abdicò alla Tiara e attualmente vive nella Domus Mater Ecclesiae della Città del Vaticano, conservando il nome pontificale e col titolo di Papa Emerito.

Ratzinger è il teologo del Magistero, perché le sue posizioni argomentano sempre brillantemente a favore di esso, senza però perdere l’originalità della ricerca. Autore eccezionalmente prolifico, limpido, dotto e profondo, Ratzinger ha un’opera omnia che al momento della sua assunzione al Papato contava sedici grossi volumi ancora oggi in pubblicazione e previsti in svariate lingue. Il primo volume è la sua tesi di dottorato sull’ecclesiologia di Agostino; il secondo la dissertazione per la libera docenza sulla teologia della storia e la comprensione della Rivelazione in Bonaventura; il terzo volume comprende gli studi sui rapporti tra fede e ragione (la prolusione all’Università di Bonn del 1959 sul Dio della fede e il Dio dei filosofi è il primo di tutti questi testi); il quarto comprende il libro Introduzione al Cristianesimo del 1968 e tutti gli altri testi sulla confessione della fede, il battesimo, la conversione, la sequela di Cristo e la realizzazione dell’esistenza cristiana; il volume quinto riunisce tutte le sue opere sulla Creazione, sull’antropologia, sulla soteriologia e la mariologia; il volume sesto tratta della cristologia, a partire dalla trilogia Gesù di Nazareth, scritta già da Papa, mettendo insieme tutti i saggi sull’argomento; il volume settimo mette insieme tutti i testi sulla teologia conciliare, intesi sia come preparatori al dibattito dell’assise, sia come relazioni sui fatti avvenuti, sia come commenti formulati in seguito, sia come studi sulla ricezione dei testi del Vaticano II; il volume ottavo riunisce gli studi ecclesiologici e di teologia ecumenica dell’autore; il volume nono raccoglie i saggi sulla gnoseologia e l’ermeneutica teologiche, sull’esegesi biblica e sulla correlazione tra Rivelazione, Bibbia, Tradizione e Magistero; il volume decimo tratta dell’escatologia a partire dal trattato Escatologia del 1977 e mettendo insieme tutti i saggi sull’argomento; il volume undicesimo riunisce tutti gli scritti ratzingeriani sulla liturgia; il volume dodicesimo riunisce i testi sul ministero sacerdotale, divisi in due titoli: Annunciatori della Parola e Servitori della vostra gioia; il volume tredicesimo raccoglie tutte le interviste a Ratzinger, sia prima che dopo l’elezione al Papato e anche dopo la sua abdicazione, per cui vi si trovano anche il libro Rapporto sulla Fede scritto con il giornalista convertito Vittorio Messori (1941-) e i tre volumi con il giornalista Peter Seewald (1954-) – di cui Luce del Mondo, il secondo, fu scritto durante il Papato e Ultime conversazioni, il terzo, fu scritto dopo la rinuncia; il volume quattordicesimo è una amplissima antologia dell’omiletica e dei discorsi di Ratzinger; il volume quindicesimo unisce l’autobiografia intitolata La mia vita del 1997, altri testi biografici e personali e quelli su Giovanni Paolo II, oltre che vari discorsi occasionali; il sedicesimo volume è la bibliografia ragionata dell’opera dell’autore. Dei documenti pontifici non diamo qui conto rimandando al paragrafo sul suo magistero.

La teologia di Ratzinger è essenzialmente catechetica, volendo presentare ai fedeli i contenuti della religione senza alterarli o edulcorarli ma rendendoli comprensibili. Egli non ha mai voluto creare un sistema come Rahner o von Balthasar, ma ha solo cercato di farsi capire dai contemporanei. Il grande peso catechetico e il significato del suo lavoro in tal senso gli hanno permesso di stare alla pari anche di quegli altri colleghi che avevano obiettivi più ambiziosi. Chi lo legge ritrova il suo credo alla luce di un pensiero vigoroso e fedelmente creativo.

Il rapporto tra fede e ragione accompagna Ratzinger costantemente, in quanto egli sa che nell’età della demitizzazione e dell’ateismo esso è un problema particolarmente acuto. Il contrasto presunto tra fede e ragione crea un forte disagio tra i credenti, per cui Ratzinger ha presentato la fede cristiana in termini esistenziali, personalistici, dinamici e comunitari, enucleando il senso profondo delle asserzioni bibliche e dogmatiche in cui essa si esprime. La ragionevolezza del Cristianesimo per Ratzinger non sta nell’evidenza o nella certezza di quanto si asserisce, ma nel suo valore esistenziale e personalistico. Infatti le verità di fede danno senso all’esistenza e possono farlo perché il soggetto riconosce loro tale potere. L’uomo singolo prende posizione rispetto al senso della storia, sua propria e collettiva, e in particolare rispetto all’evento Cristo, che a quella storia dà un significato particolare ed unico. Infatti Cristo non solo rivela il senso della vita ma è Egli stesso quel senso. Il senso della vita di tutti è una Persona viva, appunto Gesù. La fede in Lui non può essere oggetto di palinodie ma è sempre scandalosa, divisiva, in quanto essa realizza tutta la storia in un solo suo evento, Cristo appunto. Può l’uomo fondare tutto su di Lui, in un modo precario apparentemente? Questo può accadere solo se si accetta fino in fondo la Resurrezione di Cristo. In tal modo, la precarietà diventa saldezza e alle religioni contemplative si sostituisce quella incarnata. Nessuna disonestà intellettuale deve nascondere la difficoltà di una simile presa di posizione. Nello stesso tempo però, presa questa posizione, l’evento passato, ossia il Cristo storico, diventa artefice del futuro, attraverso noi, mentre Egli stesso è atteso nel Suo ritorno. La fede vera passa attraverso una esperienza spirituale vissuta in profondità. La parola precede il pensiero. La Parola di Dio interpella l’uomo ed egli adatta ad essa il suo pensiero. La fede non è una filosofia e non è modificabile a piacimento.

Il tema del rapporto tra Magistero e teologia è un altro dei punti qualificati della riflessione ratzingeriana. Ciò che il futuro Papa scrisse prima ancora di diventare Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede confluì nell’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, da lui redatta e promulgata con l’autorità di San Giovanni Paolo II. Per Ratzinger il Magistero stabilisce i contenuti della fede e le modalità della sua espressione, lasciando alla teologia il compito del loro approfondimento. In un certo senso, la teologia è magisteriale anch’essa, pur non esaurendo mai il suo compito.

In ecclesiologia, Ratzinger ha sostenuto la dottrina della comunità eucaristica, fondata sul più importante dei Sacramenti. Questa teoria ha riscosso successo anche tra gli ortodossi. L’Eucarestia è il principio unificante della Chiesa. Il Cristo eucaristico è il vero nuovo Tempio dell’Israele di Dio, il nuovo centro della Comunità, un centro che è ovunque viene celebrato sacramentalmente il mistero. L’Eucarestia è per sempre e la Pasqua cristiana fu è e sarà centro e fonte del Popolo di Dio. Il Cristo ha fatto del Suo Corpo sacramentale il centro modellatore della Chiesa e mediante Esso la porta alla propria autorealizzazione. Il Popolo di Dio è tale in forza del Corpo di Cristo e lo diventa grazie all’Eucarestia. La conseguente unità tra le membra del Corpo di Cristo non rimane solo sacramentale e diviene etica e sociale. La Chiesa trae significato dalla sua relazione con Cristo, assume da Lui il valore che ha per gli uomini. Cristo rappresenta coloro per i quali si sacrifica e rappresenta Dio presso di loro, Cristo è per gli altri. L’una e l’altra cosa Egli lo è sempre, ma specialmente nel Sacrificio della Croce. La Chiesa partecipa della Sua missione e rende possibile la prosecuzione dell’azione di Lui per gli altri. Grazie alla Chiesa gli altri, compresi coloro che sono fuori di essa, possono essere salvati, per il principio della parte per il tutto, della minoranza per la maggioranza, della rappresentanza, esattamente come il Cristo immolato. In ragione di ciò, anche la piccolezza visibile della Chiesa non costituisce una minorazione della sua funzione ma anzi una sua garanzia e conferma.

Proprio in relazione alla questione della salvezza dei non battezzati, Ratzinger riprende questo concetto, affermando che il piccolo gregge di coloro che sono nella Chiesa può garantire, con la sua preghiera, la sua azione, il suo sacrificio, la salvezza dei molti eletti. In tal maniera non vi è bisogno dei cristiani anonimi di Rahner ne’ delle altre religioni quali via ordinaria di salvezza.

Nei temi etici Ratzinger ha sottolineato l’importanza della vita, della coscienza, della persona, della legge morale. Con questo eccezionale bagaglio culturale, Ratzinger è poi diventato Papa, esercitando uno dei più dotti magisteri di ogni tempo.

I TEOLOGI ITALIANI

In Italia non vi fu un tumultuoso rinnovamento teologico dopo il Concilio, a causa di alcuni limiti strutturali della formazione ecclesiastica nazionale: la mancanza di una solida speculazione filosofica, la separazione tra filosofia e teologia, l’impostazione seminaristica delle Facoltà teologiche, la mancanza di collaborazione delle Case editrici che prediligono autori stranieri, la separazione tra cultura laica e religiosa, la forte presenza di stranieri tra i docenti degli atenei pontifici, lo stretto controllo della Santa Sede. In ragione di ciò spesso l’Italia ha fatto solo da cassa di risonanza per le correnti straniere. In compenso si è risparmiata grossi scossoni. Dagli anni Ottanta del secolo scorso ad oggi alcuni fattori hanno favorito lo sviluppo teologico italiano: la moltiplicazione dei centri della domanda, attraverso la nascita di Scuole di teologia per laici e Istituti di Scienze Religiose, oltre che mediante lo sviluppo dei temi teologici in seno all’Azione Cattolica, alla FUCI, alle ACLI, a Comunione e Liberazione e agli altri movimenti ecclesiali e laicali, arrivando persino a sensibilizzare la stampa e i media all’uso della consulenza di esperti, così che alla fine una grande fetta di pubblico, in gran parte di fedeli laici, si avvicina alla tematica teologica; l’offerta di strumenti di lavoro teologico realizzati in Italia con molta raffinatezza, come riviste, dizionari, manuali; il rinnovamento scientifico degli studi accademici; la nascita e lo sviluppo di nuove associazioni teologiche come l’ATI; la nascita di nuove facoltà teologiche e di nuovi istituti, già citata sopra e qui considerata dal punto di vista dello sviluppo della qualità dello studio teologico (Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, ubicata a Milano e con le sedi gemmate del Piemonte, della Liguria e del Veneto; Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, con sede a Napoli e diramata in Puglia e Calabria; Facoltà Teologiche della Sardegna e della Sicilia) e del fatto che vanno a sopperire alle Facoltà teologiche nelle Università statali, fatto soprattutto dagli Istituti di Istruzione Religiosa.

Tra i pochi teologi sistematici originali italiani citiamo Italo Mancini (1925-1993), Luigi Sartori (1924-2007) e Bruno Forte (1949-). Di quest’ultimo, arcivescovo di Chieti e Vasto, vicino al Papa regnante, non diciamo nulla perché vivente. In quanto a Italo Mancini, nacque ad Urbino e fu docente di Filosofia nell’Università della sua città natale. Fu soprattutto filosofo e in quanto teologo si interessò specialmente di pensatori evangelici come Barth e Bonhoeffer. Il nostro amò definirsi testimone di Dio e della convivenza umana. Volle essere fedele al mondo e alla teologia, alla natura e a Dio. La filosofia della religione e i rapporti tra filosofia e teologia furono i suoi temi privilegiati. Per Mancini la filosofia della religione deve partire dalla Rivelazione e dal kerygma, pena la creazione di una religiosità astratta, antropomorfica, soggettivista, di tipo aristotelico e kantiano. Nei rapporti tra teologia e filosofia Mancini afferma che la seconda dev’essere assunta come strumento esplicativo non introduttivo ma esplicativo, con un movimento dall’interno simile all’analogia fidei di Barth. Mancini fu anche fautore di un dialogo pratico e costruttivo tra Cristianesimo e marxismo, pur avendo ben chiare le differenze tra i due e affrontando poi la delusione di un fallimento storico di questa istanza negli anni Ottanta.

Luigi Sartori nacque a Roana presso Vicenza. Fu sacerdote nel 1946, studiò alla Gregoriana e insegnò al Seminario di Padova e alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Consultore presso la Curia Romana, lavorò anche al Consiglio Mondiale delle Chiese. Perito del Concilio per conto della CEI, fu presidente dell’ATI. Teologo pastorale, ecumenico e non sistematico in senso proprio, produsse teologia frammentariamente e occasionalmente. Incline al dialogo e all’ascolto, curò gli aspetti del linguaggio teologico onde garantirne la comprensibilità universale. Non volle mai ripudiare la teologia italiana classica pur nello sforzo del rinnovamento, mentre sostenne l’importanza di una solida riflessione filosofica di complemento. Al centro della sua ecclesiologia vi è il mistero dell’Incarnazione.

Accanto a questi teologi innovatori, sono presenti alcuni di solidissima tradizione tomista. Giuseppe Barzaghi (1958-), Battista Mondin (1926-2015) – alla cui monumentale Storia della Teologia in quattro volumi tanto devo personalmente - e i cardinali Carlo Caffarra (1938-2017) e Giacomo Biffi (1928-2015).

LE CORRENTI PRINCIPALI DEL PENSIERO TEOLOGICO CONTEMPORANEO

Al di fuori del panorama per così dire istituzionale della teologia cattolica europea, distinguiamo diverse correnti. La teologia radicale, fortunatamente di scarsa presa nel mondo cattolico, nasce tra i protestanti e postula una “morte di Dio” in senso culturale, che è la conseguenza del confronto fatale tra Cristianesimo e neopositivismo logico. Il risultato è la fine del discorso su Dio come resa senza condizioni al secolarismo.

La teologia della speranza è europea e nasce dal confronto tra Cristianesimo e marxismo utopico, specie quello di Ernst Bloch (1880-1959). Esaurita la ventata dell’Esistenzialismo cristiano e quella della Neoscolastica, il pensiero cattolico si confronta con l’ottimismo dei primi anni Sessanta e recupera l’escatologia nella prospettiva dell’attesa di un non-ancora realizzato nell’uomo, che però avverrà certamente. L’uomo, ontologicamente alienato, reclama una liberazione che nella religione non trova l’oppio ma un sostegno allo sforzo che egli compie in tale senso. In questo modo la dimensione escatologica, che è fondamentale nel Cristianesimo, viene originalmente recuperata. Questa teologia trova in autori protestanti come Jürgen Moltmann (1926-) i suoi massimi esponenti ma annovera dei cultori importanti anche nel mondo cattolico. Tra i pensatori ortodossi abbiamo non solo Rahner, ma anche il grande mariologo Renè Laurentin (1917-2017), almeno per una parte del suo pensiero.

La teologia politica è la forma più fortunata delle teologie della prassi (del mondo, del lavoro, della pace, dello sviluppo, della rivoluzione, della liberazione, del gioco, della cultura) che, coltivate anche da cattolici (Chenu, Laurentin ecc.), mirano non solo a spiegare i loro oggetti ma a partire da essi per intendere in modo nuovo la teologia stessa. La teologia politica trae la sua ispirazione dalle complesse e drammatiche vicende mondiali durante la Coesistenza pacifica e la Distensione, come la decolonizzazione e il sottosviluppo, la crisi endemica dell’Africa, la Guerra del Vietnam, le dittature militari come antemurali a quelle comuniste, gli squilibri sociali e le lotte di rivendicazione, oltre che dal pesante retaggio degli orrori della II Guerra Mondiale. Essa si nutre della crisi gnoseologica, metafisica ed ontologica della filosofia del Novecento e affonda le sue radici in un terreno dove consapevolmente non è seminata alcuna filosofia cristiana o cristianizzata, così da non aver alcun supporto teoretico razionale. In questo modo ha tentato di attecchire direttamente nella situazione pratica della sua epoca. Una situazione pratica da cui la teologia politica desume la necessità di trattare temi sociali, pubblici, interpersonali, negando risolutamente la matrice esclusivamente intimista ed esistenziale della problematica religiosa.

Alle suggestioni della teologia politica furono sensibili anche Rahner, Congar e Mancini. Ma il suo maestro principale fu Johannes Baptist Metz (1928-) del quale non trattiamo, fedeli al nostro principio di escludere i viventi, ma che presentiamo al lettore quale una delle menti più affascinanti e controverse del XX secolo teologico. Tedesco, è un creativo incentrato sul dialogo anche col marxismo e sull’autocorrezione nel tempo, ma non un sistematico. Meritano una menzione particolare alcuni suoi concetti: che la secolarizzazione sia un processo in un certo senso generato dal Cristianesimo stesso e che, almeno da questo punto di vista, non sia necessariamente pregiudiziale per esso; che in questo mondo secolarizzato Dio è garante della sua stessa sussistenza, avendolo accettato nel Cristo incarnato con un atto definitivo ed escatologico; che l’ominizzazione del mondo, mediante l’antropocentrismo, è foriero di ateismo solo quando è accompagnata dal culto di falsi dei come ideologie politiche, miti sociali, dottrine economiche, feticci razziali e simili; che il mondo ominizzato non può essere abbandonato alle ideologie dalla Chiesa, perché essa vive in lui. Alla luce di questi principi, Metz concepisce la teologia politica come correttivo dell’intimizzazione e personalizzazione della Fede, mostrandone l’aspetto sociale, pubblico e quindi politico nel senso più ampio del termine, in una prospettiva escatologica. Il cristiano deve svolgere nel mondo una funzione critica e costruttiva ad un tempo, per cercare di migliorarlo. La Chiesa è la depositaria della memoria sovversiva del messaggio di Cristo, volto a cambiare le cose secondo un ordine più giusto. Un ordine non marxista, perché l’ateismo materialista non fonda durevolmente l’anelito del miglioramento e perché il bolscevismo esclude le generazioni presenti – a causa della dittatura – e quelle passate – per la mancanza di fede – dalla giustizia universale, relegandola in un futuro remoto e impossibile, ma squisitamente cristiano, basato sulla speranza. Per Metz la teologia politica non deve concretizzarsi in progetti politici particolari – come quello della corrente eterodossa dei Cristiani per il socialismo – ma nemmeno permettere alla Chiesa di rinchiudersi su di sé, essendo oramai minoranza, come una setta indifferente a quanto la circonda. In questa prospettiva la teologia politica di Metz è una sorta di teologia fondamentale e propedeutica.

JOHN C. MURRAY

John Courtnay Murray (1904-1967) è stato il maggior esponente ortodosso della teologia politica, vista in chiave americana. Nacque a New York nel 1904. Divenne gesuita e si addottorò in teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma nel 1937. Docente di teologia al Woodstock College del Maryland da quell’anno, ha diretto la rivista “Theological Studies” ed è stato perito del Concilio Vaticano II, dove ha contribuito alla redazione della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae. E’ stato consultore del Segretariato per la promozione dell’Unità dei Cristiani e del Segretariato per i Non-credenti.

Egli ha scritto soprattutto per riviste teologiche, a cominciare da quella da lui diretta. Tra i suoi libri maggiori: Noi crediamo in queste verità, Il problema di Dio ieri e oggi, Il problema della libertà religiosa.

Pensatore autentico e profondo, non speculativo e attento al dialogo, Murray portò il problema di Dio dal piano metafisico a quello esistenziale. Può Dio servire a costituire l’esistenza storica dell’uomo, come singolo e come specie, e dei popoli? Egli aliena l’uomo o è l’uomo che si aliena quando lo nega? Egli degrada l’uomo o è l’uomo che si degrada quando lo abbandona? Murray ritiene che Dio costituisca, identifichi ed elevi l’uomo come singolo e come genere, in tutte le sue forme sociali. Dio si mostra nella natura e ancor più nella storia, del singolo e della specie, per cui è indispensabile prendere posizione a suo favore, per vivere una esistenza autentica. L’uomo si relaziona a Dio mediante la libertà, il dono con il quale il Creatore gli ha permesso di scegliere tra il bene e il male, tra il vero e il falso, mettendo in conto che la creatura potesse rifiutarlo e ribellarsi a Lui. Alla luce di questo presupposto, Murray ha elaborato una teologia politica che, antesignana di quella classica alla Metz, ha in realtà espresso la cristianizzazione dei valori democratici americani. La teologia politica consta della formulazione dei principi in modo tale da poter essere considerati sempre validi e organizzati coerentemente in un sistema che copre tutti gli eventi pur non dipendendo da nessuno. Questi medesimi principi vanno poi resi operativi mediante modelli che mutano in relazione alle fasi storiche e agli ordinamenti politici. In questo modo ad uno schema eterno e rivelato corrispondono diverse applicazioni contingenti e quindi anche adatte al presente. Argomentando filosoficamente più che teologicamente, Murray esprime una serie di valori come la persona, la democrazia, il pluralismo e la libertà che, pur essendo cristianamente intesi, valgono per tutti gli uomini e per la loro pacifica e proficua convivenza.

MICHAEL NOVAK E LA TEOLOGIA DEL CAPITALISMO DEMOCRATICO

Michael Novak è nato in Pennsylvania nel 1933. Ha studiato presso l’Università Gregoriana di Roma e la Catholic University of America di Washington. Fu docente di Religione, Filosofia e Politiche Pubbliche presso l’American Enterprise Institute e rappresentante diplomatico degli USA presso la Commissione ONU per i Diritti dell’Uomo. E’ morto nel 2017. Il suo libro più importante è Lo spirito del Capitalismo democratico e il Cristianesimo (1982). In gioventù fu socialdemocratico per poi diventare il teologo cattolico del capitalismo democratico degli USA, onde preparare per cristiani, ebrei ed altri popoli religiosi una saggezza politica ed economica tarata sulla prodigiosa ascesa della sua nazione. Per capitalismo democratico Novak intende un’economia prevalentemente di mercato, una forma di governo rispettosa dei diritti della persona alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità, un sistema di istituzioni culturali animate da ideali di libertà e giustizia per tutti. Questi tre elementi strutturano il sistema politico-economico-sociale degli USA, dell’Occidente europeo e del Giappone, sistema che ha prodotto più benessere nel mondo. Economia di mercato e Stato di diritto, infatti, vanno insieme. Secondo Novak la teologia cattolica non ha capito tale sistema e lo ha osteggiato, per un malinteso senso di solidarietà, sebbene esso sia stato quello che più di tutti ha promosso la crescita umana, materiale e morale, delle persone. Certo il capitalismo democratico non è il Regno di Dio né è senza peccato, ma tutti gli altri sistemi – il fascista corporativo e il comunista collettivista – sono peggiori. Quindi il capitalismo democratico è forse la sola speranza umana di lotta alla povertà e alla tirannia. Da ciò deriva l’impegno di Novak nell’enucleare dottrine religiose che hanno influito sul sistema che egli studia: la Trinità, come concezione comunitaria di Dio; l’Incarnazione, come ingresso in un mondo pieno di ingiustizie e limiti da parte di Dio; il Peccato originale, che con le sue conseguenze spiega perché nessun sistema umano potrà mai essere perfetto, tantomeno in politica. La dottrina cristiana più alta, l’amore, trova poi nel capitalismo la sua realizzazione: non il solidarista di sinistra ma il capitalista liberale, che crea lavoro e ricchezza anche per suo profitto, agisce per la promozione del prossimo. Non il dispotismo politico ma il rispetto dei diritti in uno Stato rappresentativo garantisce pienamente la dignità umana.

LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

E’ un movimento importante ma segnato dallo stigma del marxismo e quindi dell’eresia, sanzionata da San Giovanni Paolo II nel 1984 e nel 1986 tramite la Congregazione per la Dottrina della Fede. Tuttavia al suo interno esistono correnti ortodosse, come riconosciuto anche dagli stessi documenti della Santa Sede, che vanno incoraggiate. Causata dalla crisi sociale sistemica ed endemica dell’America Latina, dalla contaminazione col metodo rivoluzionario del marxismo introdotto nella Chiesa dai Cristiani per il socialismo, dalla presentazione dell’opera redentiva come estesa anche alle strutture e alle situazioni di peccato sociale e dall’impulso della teologia politica europea, la Teologia della Liberazione fu elaborata nelle sue forme più radicali da intellettuali al servizio del KGB. Tuttavia essa è diventata un movimento imponente, divisibile in fasi e articolabile, come dicevo, in indirizzi. Storicamente essa inizia con la plenaria del CELAM – Conferenze Episcopali Latino Americane – a Medellin nel 1968, avviando una fase di grande creatività e pericolosità. Con l’adunanza di Puebla del 1980 inizia una fase di assestamento, mentre con quella di Santo Domingo nel 1992 inizia quella di un ripensamento, favorito dalla depurazione del concetto di liberazione dalle contaminazioni marxiste, in seguito alla caduta del socialismo reale. Può darsi che la parte migliore di questa teologia possa affiorare – o essere riconosciuta – proprio a partire da questa data.

Gli indirizzi possono essere classificati in modi diversi. La struttura più completa è la seguente: quello spirituale e pastorale (che opera per la liberazione ma non la riconduce ad una ermeneutica marxista ed è rappresentata dal Servo di Dio arcivescovo Helder Camara [1909-1999], Juan Luis Segundo [1925-1996] e dal Servo di Dio cardinale Eduardo Francisco Pironio [1920-1998]), quello metodologico, quello sociologico, quello storico, quello politico (tutti variamente contaminati dal pensiero comunista) e quello ecclesiologico-popolare (che mette l’accento sulla devozione del popolo e sull’impegno nella lotta alle diseguaglianze sociali ed è rappresentata da Segundo Galilea [1928-2010] e da Jorge Mario Bergoglio [1936- ], oggi papa Francesco [2013-]), quello cristologico, quello pedagogico e quello autocritico. In genere la teologia della liberazione ha i seguenti principi: l’architettonico, che è il mistero della povertà; l’ermeneutico, che è l’analisi socio-politica la quale, se condotta secondo il marxismo, rende eterodosso tutto il sistema; il veritativo, basato sull’ortoprassia; il finale, orientato ai bisognosi di ogni genere; quello politico, per cui l’azione sociale è inscindibile dalle opere della fede; quello soteriologico, per cui la salvezza dell’uomo è anche temporale e sociale e Cristo inaugura anche questa liberazione; quello ecclesiologico, per cui la Chiesa deve impegnarsi in questa prospettiva di azione; quello escatologico immanente, che mira alla trasformazione radicale dell’ordine vigente e che, laddove avvenga con la lotta di classe, diviene eterodosso. La chiave di volta di tutta l’ambiguità di questo movimento, incluse le sue articolazioni ortodosse, sta nella sovrapposizione tra la povertà antropologica – sociale e culturale, ma solamente umana – e quella teologica – espressa dal peccato. Quest’ultima è più vasta della prima e non viene meno se sparisce l’altra. L’immanentizzazione e la socializzazione della salvezza dal peccato, identificato con la povertà, fa si che la liberazione non solo sia incompiuta ma che non possa realizzarsi in senso intimo e soprannaturale. Si corre il rischio che la forma storica dell’impegno sociale sopravanzi la norma eterna che la genera e che l’istanza teologica del popolo fedele si confonda con quella della massa secolarizzata. E’ degno di nota che Gustavo Gutierrez (1928-), il padre della teologia della liberazione, dopo la censura della Santa Sede, si è dedicato solo agli studi di spiritualità e di storia e ha più volte ammesso i limiti contingenti del suo pensiero. Lo stesso spostamento di interessi teologici, dalla speculativa alla pastorale, alla mistica e alla spiritualità, è stata fatta da Jon Sobrino (1938-), incorso anch’egli in reprimende per la sua cristologia eterodossa. Una parziale autocritica è venuta anche da Leonardo Boff (1938-), che del movimento fu l’alfiere polemico e che ad oggi ha abbandonato il sacerdozio.

TEOLOGIE INCULTURATE

Accanto alle correnti, l’età presente si distingue per le teologie inculturate, ossia adattate al diverso contesto in cui il Cristianesimo è attecchito. Sono gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo che vedono lo sviluppo del dibattito sull’inculturazione teologica. Per la prima volta dopo secoli la teologia cristiana, cresciuta secondo le categorie mentali del mondo euromeditterraneo, si adatta a differenti contesti, come l’Africa e l’Asia. Al Cattolicesimo è mancata una teologia nera, ossia una teologia dell’emancipazione dei Neri d’America, in quanto essi ebbero dei leader protestanti (come Martin Luther King [1929-1968]), mentre la sua teologia femminista ha un nucleo eterodosso che la espunge da questa trattazione (l’idea del sessismo nella Rivelazione), pur non mancando di elementi interessanti come la valorizzazione al femminile di Dio e la visione personalista della sessualità. Sono quindi da considerare la teologia africana e l’asiatica. Valga per entrambe la premessa che una buona inculturazione teologica esige da un lato una cultura locale sviluppata – ossia fornita di strutture di pensiero atte ad esprimere il significato della Rivelazione in un modo suo proprio – e dall’altro che un intero popolo e non solo alcuni esperti avvertano la necessità di una espressione propria delle verità di Fede.

La teologia africana è ad oggi la realizzazione in corso di un manifesto intellettuale, quello del 1956 – Alcuni preti neri si interrogano, pubblicata in francese in Europa da sacerdoti di colore – poi perfezionato nel 1968 durante la Quarta Settimana teologica di Kinshasa. Questo manifesto afferma che la Chiesa africana o è specificamente tale o è destinata alla distruzione. Il congolese Vincent Mulago (1920-2012) propose una via pluralista e il belga Alfred Vanneste (1922-2014) – accademico a Kinshasa - una via universalista. Durante il Sinodo dei Vescovi dell’Africa del 1993 sotto San Giovanni Paolo II si avviò il processo per utilizzare il modo africano di vedere e concepire Dio nella teologia. Il cardinale Laurent Monsegwo Pasinya (1939-), della Repubblica Democratica del Congo, ha spiegato che l’inculturazione è una conseguenza dell’Incarnazione e dell’universalità della Chiesa, ma anche una esigenza epistemologica ed escatologica del messaggio evangelico, che così viene inteso da alcuni in modo proprio e da tutti in modo nuovo. Jean Marc Ela (1936-2008), camerunense, nel 1980 ha invece sottolineato l’aspetto politico della teologia africana che, senza diventare teologia della liberazione, esige una difesa cristiana ed africana dei valori e dei diritti dell’uomo africano. Ela propone una teologia sotto l’albero della Croce, a fianco dei diseredati. Oscar Bimwenyi Kweshi (1939-), anch’egli del Congo, nel 1981 ebbe a dire che nella teologia vi è un polo divino, ossia la Parola rivelata, e un polo umano, ossia l’uomo che ascolta. In conseguenza di ciò vanno africanizzati entrambi se si vuole fare teologia africana. Dio dev’essere concepito, africanamente, come il Signore della Parola originaria che fa vibrare il mondo – espresso dalla danza e dal tamburo – l’uomo dev’essere considerato, sempre in quell’ottica, come un essere teotropico, ossia rivolto a Dio. Questi è il Benefico, il Prodigo, il Diverso dal mondo, lo Sconcertante e l’Esigente, che non sottostà alle richieste imperative dell’uomo. Questi è un intreccio di relazioni: con Dio, con la comunità (membralità) e con il cosmo (osmosi ontologica). Engelbert Mveng (1930-1995) nel 1985 ha evidenziato la condizione di povertà antropologica dell’uomo africano, privato dell’identità culturale dal colonialismo. La presa di coscienza di questo dato deve costituire la prima tappa per la restituzione all’africano della sua dignità e specificità. Oltre a questi tentativi di creare sistemi teologici embrionali, la teologia africana va segnalata per lo sforzo di esprimere la dogmatica con un linguaggio nuovo. Ad esempio in cristologia Gesù è chiamato Antenato, Capo, Iniziatore e Guaritore.

Come evidenziato dal teologo cingalese Aloysius Pieris (1934-), la teologia asiatica – afferente alla Grande Asia, quella del Lontano Oriente – si è mossa dal polo terzomondista, in base alle condizioni di povertà in cui si trova il continente, e da quello asiatico propriamente detto, determinato dalle grandi culture locali tradizionali. I due poli sono ovviamente inscindibili. La linea dell’inculturazione fu sostenuta soprattutto da Duraisamy Simon Amalorpavadass (1932-1990), teologo gesuita indiano, che ritenne di dover apprendere molto dalle religioni antiche del suo popolo, pur senza appiattire il Cristianesimo sulla cultura locale, proprio per evitare il rischio opposto della contrapposizione ad essa. Invece il filippino Carlos Abesamis (1934-2008) sostenne il primato della dimensione terzomondiale della teologia asiatica rispetto a quello dell’asiaticità stessa. Il cingalese Tissa Balasuriya (1924-2013) propose una trasformazione profonda della teologia cristiana, segnata da secoli di eurocentrismo, quale risultato dell’analisi delle perverse azioni di sfruttamento dell’Europa sul mondo, azioni che se non vengono rinnegate non potranno mai permettere una conversione degli altri popoli. Balasuriya dice espressamente che l’Occidente non ha il monopolio di Dio e che deve imparare a dialogare con le altre religioni. Questo è in effetti un tema qualificante della teologia asiatica, in quanto in Asia sono nate e tutt’ora esistono religioni antichissime e venerande, anteriori al Cristianesimo, che non possono essere ridotte a una mera superstizione da superare mediante la conversione alla vera fede. In tale prospettiva, favorite dal magistero del Concilio Vaticano II, si sono delineate due scuole di pensiero sul rapporto tra Cristo e le religioni non cristiane.

La prima è sintetizzabile nella formula “Cristo nelle religioni” e parte dal presupposto che le religioni asiatiche più antiche del Cristianesimo siano itinerari di salvezza che conducono a Cristo in un modo propedeutico ma compiuto, secondo lo schema usato dai Padri per valorizzare la filosofia greca. Tale concezione venne formulata nella Conferenza di Nagpur del 1971.

La seconda si può esprimere con il motto “Cristo con le religioni” e si basa sul presupposto che esistano più messaggeri del Cristo – Logos al di fuori del semplice Gesù, e che quindi anche le altre religioni abbiano un valore salvifico compiuto. Ovviamente questa soluzione è ai limiti dell’ortodossia, se non oltre. Di essa fu il massimo esponente l’ispano-indiano Raimundo Pannikar (1918-2010), grande intellettuale purtroppo morto in dissidio con la Chiesa. Egli sostenne da un lato una visione cosmoteandrica di matrice neoplatonica e dall’altro il concetto che il Logos abbia avuto tre epifanie cristiche: quella ebraica, quella cristiana e quella indù, utili alla realizzazione dell’autocoscienza cristica e alla conseguente realizzazione di una via più universale di salvezza. Si tratta di un pensiero sofisticato non immune dal rischio dell’eterodossia ma che non è mai stato formalmente condannato.

LA BIOETICA

L’etica esiste ovviamente ancora quale branca della teologia ed è rappresentata da solidi studiosi, come ad esempio l’arcivescovo Jean-Louis Brugues (1943-). La bioetica invece nasce come specializzazione dell’etica in conseguenza dello sviluppo scientifico e tecnologico applicato alla biologia umana, in un mondo dapprima segnato dalla barbarie eugenetica e poi dalla crisi dell’etica normativa e unitaria della postmodernità. Ha una frontiera interdisciplinare ed è legata profondamente allo spirito filosofico e teologico, avendo una componente sia normativa che descrittiva – dei temi e dei problemi. All’interno del modello bioetico religioso ha una rilevanza particolare quello cattolico. Esso ha come duplice principio quello della sacralità e inviolabilità della vita. Si basa su di una metafisica tomista e insiste sulla natura metafisica dell’uomo, nonché sulla sua creaturalità. Insegna che esiste un piano divino del mondo che si manifesta in un ordine naturale immutabile, che tale ordine ontologico è conoscibile e vincolante da un punto di vista etico e che la Chiesa è la retta interprete e custode di questo ordine sia mediante la ragione filosofica che attraverso la Rivelazione che ha ricevuto. In relazione a quest’ordine, la bioetica insegna la necessità di rispettare i finalismi biologici del corpo, per cui la medicina può curare la malattia ma non modificare l’organismo, né in tutto né in parte. L’uomo, in quanto razionale, non solo non può travalicare i limiti della natura umana, ma deve adeguarsi liberamente ad essi. La bioetica è dunque una sorta di frontiera etica da presidiare, nel pensiero di alcuni suoi importanti esponenti come Adriano Pessina (1953-) ed il cardinale Elio Sgreccia (1928-). Il metodo della bioetica è quello triangolare: una preliminare informazione scientifica, da cui risalire a taluni principi ontologici, per univoche applicazioni particolari. Altri importanti bioeticisti sono John Francis Harvey (1918-2010), Renzo Puccetti (1965-) e Giorgio Maria Carbone (1969-).

LA NUOVA RICERCA SUL GESU’ STORICO 1

La Leben Jesu Forschung – Indagine sulla Vita di Gesù o Old o First Quest of the Historical Jesus - cambiava molto, nei suoi risultati, non in base ai testi dissezionati sul tavolo della critica, ma secondo i pregiudizi di chi faceva ricerca. I razionalisti descrissero Gesù come un moralista, gli idealisti come quintessenza dell'umanità, gli esteti lo lodarono come l'artista geniale della parola, i socialisti come l'amico dei poveri e riformatore sociale. In realtà Gesù non è stato niente di tutto ciò: se fosse stato un moralista, non avrebbe potuto avere credibilità per la sua pretesa, evidentemente fraudolenta o esaltata, di essere Figlio di Dio; se fosse stato legato ad una prospettiva immanente, la sua predicazione salvifica non avrebbe avuto nessun senso; se fosse stato solo un erista, non sarebbe stato tanto coerente da finire sulla Croce; se avesse avuto degli intenti sociali, non avrebbe lanciato un Discorso come quello della Montagna. In genere, i seguaci di Strauss, convinti della composizione tardiva ed eterogenea dei Vangeli, considerarono Gesù un mito alla stregua di quelli della Teogonia di Esiodo (tesi che piacque molto alla storiografia marxista) mentre quelli di formazione positivista, constatando la moltiplicazione di ritrovamenti papiracei del Vanglo sempre più antichi, si accontentarono di fare di Gesù un personaggio storico aureolato da numerose leggende. Da qui il realismo storico degli studiosi cristiani, desiderosi di riportare nell'alveo delle certezze le vicende del loro Cristo, e che della Leben Jesu Forschung conservarono tuttavia la metodologia storico critica, l’ambientazione giudaica della figura di Gesù e lo sforzo di una sospensione dalla dogmatica nell’approccio ai testi, elementi inoppugnabilmente fondamentali per ogni ricerca in materia. Naturalmente, anche tra questi ultimi vi sono state divisioni: Rudolf Bultmann (1884-1976), protestante, ha fatto scuola con una demitologizzazione che tentò di battezzare l'esegesi idealista e positivista, e frange di suoi seguaci moderati si trovano nei cenacoli culturali più accreditati del mondo cristiano, ma non sono mancati i fautori di una storicità piena dei testi sacri. Era stato Martin Kähler (1835-1912), protestante anch’egli, a distinguere per primo, nel 1892, tra Gesù e Cristo. Con Gesù egli intendeva l'Uomo di Nazareth; con Cristo il Figlio di Dio predicato dalla Chiesa. Solo il Cristo biblico era per lui comprensibile per noi, ed egli solo aveva significato durevole per la fede. Agli evangelisti non sarebbe interessato affatto ricostruire la figura storica di Gesù, ma annunciarlo come Cristo Figlio di Dio. Gesù è esistito, ma non sarebbe possibile ricostruire la vita di Gesù a partire dai Vangeli. Bultmann, il cui pensiero esercitò un’influenza fortissima sulla ricerca del XX secolo, riprese queste opinioni a partire dal 1929. Sia il Kähler che Bultmann erano mossi da intenti religiosi, per liberare la Fede dall'erosione delle critiche storico-filologiche, ma essi fornirono di fatto il destro ad una ulteriore riduzione della sicurezza storica sui fondamenti della Fede stessa. In effetti, non solo non appare comprensibile come si possa costruire una Fede in un personaggio storico completamente anonimo, ma non era scientificamente accettabile che si dovesse rinunciare totalmente a qualunque collocazione storica di Gesù. Di queste istanze già nel 1941 si era fatto interprete l’abate Giuseppe Ricciotti (1890-1964), nella sua opera bellissima, ancora oggi letta e meditata. La reazione a Bultmann avvenne tuttavia in una riunione di suoi allievi di Marburgo. Ernst Käsemann (1906-1998) si espresse contro di lui nel 1953 con un noto articolo dal titolo Il problema del Gesù storico, in cui pose tre tesi fondamentali. La prima è che, se cessasse ogni connessione tra il Cristo della fede e il Gesù della storia il Cristianesimo diverrebbe un annuncio docetista da un punto di vista teologico – per cui l'esegesi kahleriano-bultmaniana non raggiungerebbe il suo intento apologetico – e un mito senza tempo nella prospettiva filologica – in ragione della qual cosa quella stessa esegesi perderebbe ogni valenza scientifica in campo storico. La seconda è che la Chiesa antica, se avesse avuto poco interesse per la storia di Gesù, non avrebbe dovuto produrre i Vangeli, che hanno invece un forte richiamo alla storia che li attraversa da un capo all'altro. La terza è la constatazione che proprio perchè i Vangeli sono un prodotto della Fede nata con la Resurrezione, presuppongono l’identità tra Gesù terreno e Signore risorto. Käsemann può essere perciò considerato l'iniziatore della cosiddetta Nuova ricerca sul Gesù storico, la New o Second Quest of the Historical Jesus. La novità di questa «nuova ricerca» stava nell’orizzonte culturale in cui essa si inseriva: la «vecchia» ricerca liberale aveva mirato a raggiungere il sedicente Gesù storico, contrapponendolo alla predicazione dei suoi discepoli; Bultmann aveva capovolto questa impostazione puntando sulla predicazione, resa indipendente dal Gesù storico; la «nuova ricerca» voleva ricomporre la frattura tra i due elementi. Ciò era ovviamente possibile per i progressi delle discipline storico-bibliche, per la crisi delle filosofie laiche del XIX sec. e per l'insorgere di nuove epistemologie, applicabili anche alla ricerca storica. Due importanti trattati cattolici furono quelli di René Latourelle (1918-2017), edita nel 1978, e quello di Francesco Lambiasi (1947-), pubblicata nel 1976. Trent’anni dopo l’opera di Käsemann, lo sforzo di rifondare storicamente la ricerca su Gesù era ormai giunto al successo. E tuttavia, mentre questa New Quest stava ancora cautamente discutendo su presupposti e metodi, un movimento totalmente diverso iniziò in luoghi diversi e senza alcun programma unificato. Fortificati dai materiali giudaici, ora più disponibili, molti studiosi lavorarono come storici, convinti che fosse possibile conoscere moltissimo di Gesù di Nazareth.

La Third o Next Quest of the Historical Jesus ha sfatato alcuni luoghi comuni della ricerca precedente, come la tendenza a negare e demitizzare i racconti miracolosi, dei quali cerca invece spesso il significato che ebbero, una volta accaduti, per l'opinione pubblica, per il sentire comune e profondo della gente. Ha poi piena fiducia nel valore storico delle fonti primarie, i Vangeli canonici..[..]..Gli esiti di questa ricerca sono contraddittori, spesso fragili, non differenti dalle opzioni fondamentali della Old Quest, ma sono di capitale importanza perchè trattano i Vangeli come fonti storiche, a differenza dei maestri della critica liberale. Per cui, sia pure in modi differenti, gli autori di questo movimento sottolineano ciascuno aspetti autenticamente storici della vita di Cristo e della ricerca che la concerne, anche mediante la comparazione con le fonti coeve e più tardive, giudaiche ed apocrife: la sua taumaturgia e il suo potere esorcistico, la sua dottrina sapienziale, la sua profezia escatologica, l'interpretazione politica che si diede della sua Morte, la sua collocazione nel panorama rabbinico e le sue relazioni conflittuali con il Fariseismo, con la cultura giudaica e con la cultura ellenistica. L’enorme varietà dei risultati non pone in questione il valore storico dei Vangeli, ma piuttosto la varietà dei metodi e delle opzioni degli studiosi. Questo come conseguenza del fatto che, nonostante le dichiarazioni di neutralità storica, dietro agli sforzi di ricostruire il Gesù storico talora affiorino pregiudizi ideologici neo-positivisti, della teologia della liberazione e della polemica giudaizzante o antigiudaica. Senza che manchino autori agganciati all'ortodossia della propria Fede, come, nel caso cattolico, di R. E. Brown (1928-1998). Da questa Third Quest emergono interrogativi intellettualmente onesti e storicamente inquietanti, come quelli dello studioso ebreo Geza Vermes, che dimostra la fondatezza storica dei racconti evangelici proiettandoli sullo sfondo del materiale giudaico parallelo. Questi, pur non essendo credente, afferma la «incomparabile superiorità» di Gesù sugli altri venerandi «santi» galilei a cui lo compara per renderlo più comprensibile, lasciando aperto il grande enigma che non trova soluzione se non nella Fede: se Gesù rimane diverso e superiore, qual è la sua identità?

Una acquisizione fondamentale è poi quella di James D.G. Dunn (1939), ne La memoria di Gesù, che attesta l'importanza della dimensione orale nella tradizione dell'insegnamento di Gesù stesso, prima, dopo e durante la stesura dei Vangeli. Altrettanto importante è la scoperta del sostrato linguistico semitico nei Vangeli, specie sinottici, ad opera di Jean Carmignac (1914-1986), Claude Tresmontant (1925-1997) e degli studiosi della Escuela Exegetica de Madrid. Quest’ultima, fondata da Mariano Herranz Marco (1953-2008), attualmente annovera tra i suoi maestri Josè Miguel Garcia Perez (1951-) e Juliàn Carròn (1950-). I suoi studi, già in tredici volumi ad oggi, sono raccolti negli Studia Semitica Novi Testamenti

IL MAGISTERO PAPALE: SAN PAOLO VI

Giovanni Battista Montini nacque a Concesio presso Brescia nel 1897 da famiglia altoborghese. Il padre era avvocato, giornalista e uomo politico, mentre la madre era una contessa. Studiò nel seminario locale e nel 1920 fu ordinato prete e si laureò in teologia e in utroque iure a Roma. Nel 1922 entrò in Segreteria di Stato. Nel 1923 fu segretario di Nunziatura in Polonia. Dal 1924 al 1933 fu Assistente della FUCI. Dal 1931 fu docente di Storia diplomatica alla Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici. Nel 1931 divenne prelato domestico del Papa Pio XI e nel 1937 fu nominato Sostituto agli Affari Ordinari della Segreteria di Stato dallo stesso Pontefice. Nel 1944 il Venerabile Pio XII assunse per sé la Segreteria di Stato ampliando i poteri di Montini nella Prima Sezione e poi, nel 1952, nominandolo Pro-Segretario di Stato. Nel 1954 il Papa lo designò Arcivescovo di Milano. Nel 1958 San Giovanni XXIII lo creò Cardinale. Nel 1963 fu eletto Papa e nel 1965, dopo averlo attentamente guidato conducendolo a risultati positivi e proficui, chiuse il Concilio Vaticano II, del quale curò l’applicazione. Sommo riformatore di tutti gli aspetti della vita della Chiesa, ebbe un pontificato ad un tempo religioso e politico, travagliato da moltissime contestazioni ma artefice della vera fisionomia della Chiesa contemporanea. Il Papa morì nel 1978.

Paolo VI, uomo colto (profondo conoscitore di Agostino, Pascal, Bergson, Bernanos, Congar, De Lubac e Tommaso), sensibile, di spiccato gusto letterario ed artistico, profondamente contemplativo e orientato al dialogo e alla problematica ricerca, sempre informato sulle trasformazioni del pensiero contemporaneo, amante e protettore delle arti, fine diplomatico, attento alla grande politica italiana e mondiale, ebbe un magistero ricco ed importante. Egli dovette affrontare la contestazione dei progressisti e dei conservatori, gli uni e gli altri insoddisfatti del risultato del Concilio e del modo papale di applicarlo. I teologi innovatori, con l’abbandono della scolastica e la creazione delle teologie della prassi di cui abbiamo parlato, non solo modificarono metodo e lessico della disciplina ma tentarono di sovvertire i contenuti della Fede, contestando la stessa idea di una autorità ecclesiastica normativa. Fermo dinanzi alla marea montante dell’eresia ma mite di carattere e nelle reazioni, Papa Montini sfidò l’impopolarità nella difesa del Deposito della Fede e delle sue applicazioni. Lui stesso, nell’omelia del 29 luglio 1978, divise i suoi atti magisteriali in due categorie: quelli in difesa della Fede e quelli in difesa della vita. Ai primi ascrisse l’Ecclesiam Suam, la Mysterium Fidei, la Sacerdotalis Coelibatus, l’Evangelica Testificatio, la Paterna cum Benevolentia, la Gaudete in Domino, l’Evangelii Nuntiandi e il Credo del Popolo di Dio. Ai secondi attribuì la Populorum Progressio e l’Humanae Vitae.

L’Ecclesiam Suam fu l’enciclica programmatica del Papa. In essa non solo egli definì le linee dell’azione della Chiesa al suo interno ma anche l’atteggiamento di dialogo con cui essa doveva porsi verso il mondo esterno, con prudenza e costanza, a cerchi concentrici verso i cristiani non cattolici, i non cristiani e i non credenti. Fu pubblicata nel 1964.

L’enciclica Mysterium Fidei, del 1965, ribadisce la dottrina cattolica sull’Eucarestia e sulla Transustanziazione, rigettando l’idea che tale insegnamento fosse inadatto, improprio od impreciso per i tempi moderni e per il suo significato reale.

L’enciclica Sacerdotalis Coelibatus, del 1967, riaffermò la validità della norma del celibato del clero nella Chiesa Latina a fronte delle contestazioni in tale senso.

Il Credo del Popolo di Dio, promulgato nel 1968, fu la riproposizione delle verità di fede alla luce dell’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II.

L’esortazione apostolica Evangelica Testificatio, del 1971, spronò i cattolici a testimoniare la propria fede in ogni ambito e circostanza della vita moderna, mediante la sequela di Cristo.

L’esortazione apostolica Paterna cum Benevolentia, del 1974, promosse la riconciliazione penitenziale dei fedeli alla vigilia dell’Anno Santo del 1975.

L’esortazione apostolica Gaudete in Domino, del 1975, sottolineò come il tratto saliente del Cristianesimo sia la gioia, che scaturisce dall’annunzio ricevuto e trasmesso del Vangelo.

L’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, del 1975, descrive il vasto ambito a cui destinare l’annuncio evangelico al tempo di oggi e mette in guardia dal confondere tale annunzio con la promozione umana, la liberazione socio-politica e il progresso materiale e tantomeno di subordinarlo a queste attività, che pure possono accompagnarlo. Il Papa nell’esortazione insiste molto anche sull’evangelizzazione della cultura. In effetti Montini fu un Papa eminentemente missionario e fece sì che tutti i cristiani si sentissero missionari, favorendo nuove forme di sostegno all’attività evangelizzatrice. Egli, con altri provvedimenti, potenziò i catechisti e stimolò le vocazioni missionarie laiche. Fu sempre lui a favorire l’adattamento liturgico, teologico e spirituale alla condizione dei popoli da evangelizzare.

Passando all’altro gruppo di testi magisteriali, iniziamo dall’enciclica Populorum Progressio, del 1967, il documento più osannato del Papa. In essa lo sviluppo dei popoli è presentato come un dovere primario della Chiesa e una via della pace. Tale progresso dev’essere integrale, volto a comprendere la dimensione spirituale dell’uomo ed esteso ad ogni essere umano, senza tentare di escludere Dio dall’esistenza del mondo, in quanto, se è possibile reggere il mondo senza Dio da parte dell’uomo, è impossibile che in quelle circostanze l’uomo sia realmente rispettato e tutelato. L’umanesimo vero è quello cristiano. Lo stesso progresso economico va messo al servizio dell’uomo e dei suoi bisogni.

L’enciclica Humanae Vitae, del 1968, confermò e sviluppò l’insegnamento tradizionale della Chiesa sul controllo delle nascite e fu invece il documento montiniano più contestato. Concepita come difesa della vita e della famiglia sotto attacco per la diffusione della legalizzazione dell’aborto e del divorzio nel mondo, l’enciclica tratta della sessualità umana, che va vissuta non solo come piacere ma come mezzo ordinato alla realizzazione della persona, della coppia e della famiglia. In quest’ottica positiva si inquadra la reiterata proibizione della contraccezione, anche nei modi artificiali avanzati del presente. L’atto sessuale ha una valenza unitiva ed una procreativa che non possono essere scisse, se non quando la natura stessa, coi suoi cicli, provvede a farlo. In ragione di ciò, anche le preoccupazioni relative alla sovrappopolazione umana non solo non la legittimano ma non la rendono necessaria, perché il controllo naturale delle nascite è bastevole.

Accanto a questi gruppi di documenti, possiamo noi individuarne altri di importanti. Le lettere encicliche Mense maio sul mese mariano di maggio, Christi Matri sulla preghiera alla Vergine, le esortazioni apostoliche Signum magnum sulla Vergine Maria, Recurrens mensis october sul mese mariano di ottobre e Marialis cultus sul culto mariano costituiscono un corpo dottrinale importante in ambito mariologico. Ricordiamo poi la lettera apostolica Investigabiles Divitias Christi sul Sacro Cuore di Gesù. Il Motu Proprio Ecclesiae Sanctae verte invece sul rinnovamento della vita religiosa, quello intitolato Causas Matrimoniales semplifica la procedura in materia e l’esortazione apostolica Nobis in animo tratta della Chiesa in Terra Santa.

Nel corso del suo Pontificato, Paolo VI ha realizzato, come dicevo, la mole più imponente di riforme che un Papa abbia mai fatto da solo nella Chiesa. Avendo come motto “Tutto il Concilio e nient’altro che il Concilio”, Montini realizzò un rinnovamento in svariati aspetti.

Innanzitutto avviò una nuova redazione del Codice di Diritto Canonico, che sarebbe stato promulgato nel 1984 da Giovanni Paolo II, come del Codice delle Chiese Orientali. Il Papa inoltre riformò le strutture portanti della Santa Sede. Escluse i Cardinali ultraottantenni dall’elettorato attivo del Conclave e fissò a centoventi il numero degli Elettori (Motu Proprio Ingravescentem Aetatem del 1970 e costituzione apostolica Romano Pontifici Eligendo del 1975). Scelse i porporati tra tutte le nazioni del mondo. Riformò la Curia Romana con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae del 1967, abolendo le cariche a vita nella Curia istituendo i mandati quinquennali, sopprimendo molte Congregazioni, fondando nuove tipologie di dicasteri ed eliminando diversi Uffici. Soppresse il Sant’Uffizio sostituendolo con la Congregazione per la Dottrina della Fede e ne modificò le procedure. Sottrasse alla Pontificia Commissione Biblica il potere censorio lasciandole solo quello di indirizzo. Modificò le procedure per le Beatificazioni e le Canonizzazioni per semplificarle. Accrebbe l’importanza della Segreteria di Stato, facendone l’organo di raccordo della Curia. Internazionalizzò il personale di Curia e vi introdusse le donne. Abolì la Corte papale sostituendola con la Famiglia Pontificia e licenziando sia i Corpi d’Armata che l’Aristocrazia romana. Riformò il settore delle finanze, internazionalizzando gli investimenti e istituendo l’Ufficio per l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica – diviso in una sezione per i beni mobili e una per quelli immobili – e la Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede – per la stesura della programmazione e la revisione dei bilanci - e l’amministrazione dello Stato della Città del Vaticano.

In aggiunta a ciò, vanno indicati proprio gli organismi voluti dal Papa nel centro della Chiesa, quali spie della sua nuova e molteplice attività: non solo la prosecuzione del movimento ecumenico riconosciuto da Giovanni XXIII con il Segretariato per la promozione dell’Unità dei Cristiani, ma anche l’inizio del dialogo strutturato con le religioni non cristiane e con le organizzazioni laiche mediante i Segretariati per i Non Cristiani e i Non Credenti, con un occhio di riguardo per gli Ebrei e i Musulmani, in quanto rispettivamente popolo dell’Antica Alleanza e fedeli monoteisti, mediante due apposite Commissioni. A questi vanno aggiunti il Consiglio per i Laici, che attesta la sollecitudine papale per questa componente della Chiesa, la Commissione Giustizia e Pace – per la promozione di questi valori a livello pratico, supportata da analoghi organismi presso le Chiese locali – il Consiglio Cor Unum – per l’applicazione pratica dell’azione caritativa della Chiesa ovunque nel mondo – quello per la Pastorale degli Operatori Sanitari, quello per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, quello per le Comunicazioni Sociali – a dimostrazione dell’interesse della Chiesa per ognuno di questi ambiti delicati della vita moderna – e la Commissione Teologica Internazionale – per la promozione dello sviluppo della teologia. Degno di nota è anche l’Ufficio Centrale di Statistica, mediante cui la Santa Sede elabora i dati della vita della Chiesa nel mondo.

Su questa scia vanno considerati gli atti principali del Papa per la promozione dell’unità dei Cristiani. Il viaggio del 1964 in Terra Santa e il conseguente incontro col Patriarca Ecumenico Atenagora I ([1886] 1948-1972); la promulgazione dell’esortazione apostolica E Peregrinatione nello stesso anno per inculcare la preghiera per l’unità dei cristiani, concretizzatasi poi nella Settimana annuale di preghiera a tale scopo; l’abolizione delle reciproche scomuniche tra la Chiesa Romana e quella Bizantina nel 1965; la fondazione dei Comitati misti tra Cattolici e Anglicani, Metodisti, Luterani, Evangelici zwingliani e tra Chiesa Cattolica e Consiglio Mondiale delle Chiese; gli incontri del Papa con molti capi di Chiese cristiane non cattoliche; la promulgazione del Tomos Agapis per il dialogo tra Cattolici e Ortodossi nel 1972; la diffusione della Dichiarazione comune cattolico-anglicana del 1977.

Inoltre il Papa incentivò la Collegialità episcopale, istituendo col Motu Proprio Apostolica Sollicitudo del 1965, il Sinodo dei Vescovi, quale organo consultivo rappresentativo dell’Episcopato mondiale. Di esso il Papa tenne cinque sessioni ordinarie dal 1967 al 1977, raccogliendo in apposite Esortazioni Apostoliche le decisioni dei Padri. Inoltre Paolo VI estese a tutto il mondo l’istituto della Conferenza Episcopale, di tipo regionale, nazionale e continentale.

In aggiunta, Paolo VI promosse la decentralizzazione ecclesiastica e l’inculturazione, specie missionaria. In tale prospettiva, il Papa non solo concesse poteri e privilegi ai Vescovi col Motu Proprio Pastorale Munus del 1963, ma ampliò le competenze delle Conferenze Episcopali, rivitalizzò le Chiese Orientali autonome e promosse un’attività missionaria più adatta alle esigenze dei destinatari. Ciò tuttavia non impedì al Papa di porre freni laddove vedeva esagerate spinte centrifughe. Ma le azioni di sviluppo dell’autonomia delle Chiese locali compiute dal Papa furono maggiori di quelle di rallentamento.

Inoltre, il Pontefice promosse instancabilmente la riforma liturgica, di cui fu il maggiore artefice. Le riforme fatte furono molte e radicali, ma la Messa di Paolo VI ebbe meno modifiche di quella di Pio V rispetto al modello precedente. Grazie alle riforme, la partecipazione del popolo alla liturgia è cresciuta e le Chiese di missione hanno sviluppato varie forme di inculturazione. Non sono mancati abusi in tale senso, ma la riforma rimane fondamentale e positiva. Una nota dolente è stata l’abolizione del Messale precedente, piuttosto che la sua sostituzione. A tale ambito di azione vanno ricondotti il Motu Proprio Sacram Liturgiam del 1964, per l’istituzione del Consiglio per l’applicazione della Costituzione liturgica del Concilio Sacrosanctum Concilium; l’introduzione parziale del volgare nella celebrazione liturgica nel 1965 e quella totale – estesa al Canone romano – nel 1967; la promulgazione di tre nuove preghiere eucaristiche in aggiunta al Canone del IV sec. avvenuta nel 1968; la promulgazione della costituzione apostolica Pontificalis Romani sulla natura dei tre gradi dell’Ordine Sacro – Diaconato Presbiterato ed Episcopato – e quella del Rito della Consacrazione del Diacono, del Presbitero e del Vescovo nel 1968, documenti che segnarono una netta sfoltitura del cerimonialismo e dell’allegorismo di queste celebrazioni; l’emanazione della costituzione apostolica Missale Romanum del 1969, con cui approvò il nuovo Messale Romano e i Principi e norme per l’uso del Messale nonchè l’edizione del nuovo Lezionario per la Messa dello stesso anno; la pubblicazione del Rito del Matrimonio, rinnovato nella forma e nell’introduzione nella Messa, sempre del 1969; quella del Rito del Battesimo dei Bambini nello stesso anno, che prima non esisteva in quanto, nonostante il Pedobattesimo, la Chiesa Latina usava per i neonati una riduzione del rito per i catecumeni, ancora nel 1969; l’edizione del Rito delle Esequie, sempre in quell’anno; la pubblicazione della Benedizione dell’Abate e dell’Abbadessa, della Professione Religiosa e della Consacrazione delle Vergini nel 1970; la pubblicazione della costituzione apostolica Laudis Canticum, sempre del 1970, per la promulgazione della nuova edizione della Liturgia delle Ore, presentata come preghiera pubblica e ufficiale della Chiesa e non solo del clero; la firma della costituzione apostolica Divinae Consortium Naturae sulla materia e la forma sacramentale della Cresima e la pubblicazione del nuovo Rito della Confermazione del 1971; l’edizione del nuovo Rito per la benedizione degli Oli sempre in quell’anno; la promulgazione della costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum sulla natura del Sacramento dell’Unzione degli Infermi e il suo segno, nonché del suo nuovo Rito del 1972; l’edizione del Rito per l’iniziazione cristiana degli adulti nello stesso anno per i sacramenti da impartire ai catecumeni; la pubblicazione dei Motu Propri Ministeria Quaedam e Ad Pascendum, sugli Ordini minori – trasformati in ministeri e privati del Suddiaconato, abolito – e sul Diaconato, ancora del 1972; la pubblicazione del nuovo Rito della Penitenza, importante anche per la sua introduzione teologico pastorale, del 1973; la promulgazione della costituzione apostolica Costans Nobis che nel 1975 istituì la Congregazione dei Sacramenti e del Culto Divino; l’edizione del Rito della Dedicazione della Chiesa e dell’Altare del 1977. Rientra in questa falsariga anche la riforma della disciplina del clero, in cui rientra anche l’abolizione di usanze venerande, come la tonsura, perché avvertite come superate.

Infine, va considerato l’impegno costante del Papa per la promozione umana. A parte la Populorum Progressio e la lettera apostolica Octogesima Adveniens che commemorava nel 1971 l’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum, entrambi documenti che sviluppavano la Dottrina Sociale, Paolo VI diede moltissimi insegnamenti e compì moltissimi gesti per la promozione umana. L’aiuto ai paesi poveri, la giustizia del commercio internazionale, la difesa dei diritti umani, la tutela della vita, il disarmo, la lotta al razzismo, quella alla droga, la questione sociale, l’impegno contro le guerre furono solo alcuni dei settori su cui il Papa fece sentire la sua voce, spesso mediante memorabili discorsi e messaggi rivolti ad importanti consessi, come l’ONU, l’UNESCO, la FAO, il Consiglio d’Europa e l’OIL.

Molti di questi temi – missionario, ecumenico, riformatore, antropologico – poterono essere sviluppati opportunamente mediante un migliaio di discorsi, omelie e allocuzioni tenuti sia a Roma che nel corso dei viaggi papali, usati da Paolo VI come mezzo di governo. Egli visitò, come dicevamo, la Terra Santa, ma si recò – in ordine cronologico dal 1964 al 1977 – anche a Orvieto, Montecassino, in India, a Pisa, all’ONU, ad Alatri Fumone Ferentino ed Anagni, a Firenze, a Fatima, in Turchia, in Colombia, a Taranto, a Ginevra, in Uganda, a Cagliari, in Iran Bangla Desh Filippine Samoa Australia Indonesia Hong Kong Taiwan Sri Lanka, a Subiaco, a Udine Venezia e Aquileia, a Fossanova Aquino e Roccasecca, a Bolsena, a Pescara.

Si tratta, come si vede, di una personalità gigantesca, degna del Dottorato della Chiesa, alla quale, quasi come suggello, vanno attribuiti due altri meravigliosi scritti personali: i Dialoghi con il filosofo cattolico francese Jean Guitton (1901-1999) e Credo Spero Amo. Testamento.

IL MAGISTERO PAPALE: SAN GIOVANNI PAOLO II

Karol jr. Jozef Wojtyła nacque a Wadowice presso Cracovia in Polonia nel 1920. Suo padre aveva servito nell’esercito e la madre morì quand’egli era ancora bambino. Un fratello maggiore gli morì nell’adolescenza. Il padre scomparve quando egli aveva diciotto anni. L’invasione nazista della Polonia lo obbliga ad interrompere gli studi presso la Facoltà di Filologia dell’Università di Cracovia e ad intraprendere il lavoro di spaccapietre in una cava e poi di operaio della Solvay, per non essere deportato. Tuttavia continuò lo studio clandestino e anzi aderì al Teatro rapsodico e al gruppo del Rosario vivente. Maturata la vocazione sacerdotale, entrò anche nel Seminario clandestino, nel 1944. All’arrivo dell’Armata Rossa, sfuggì provvidenzialmente alla deportazione in URSS. Nel 1946 fu ordinato prete e fu inviato a studiare teologia all’Angelicum di Roma, dove nel 1947 fu licenziato e nel 1948 addottorato, con una tesi sul Problema della fede in San Giovanni della Croce. Non avendo posto nel Collegio polacco, risiedette in quello belga dove apprese il francese, mentre per la stesura della tesi studiò lo spagnolo. Recatosi in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, ebbe da San Pio da Pietrelcina (1888-1968) la profezia del Papato e dell’attentato. Rientrato in patria, fu vicario cooperatore a Niegowic e, nel 1949, a San Floriano di Cracovia. Iniziò all’epoca la produzione poetica e saggistica, in campo filosofico, teologico e pastorale. Nel 1953 si abilitò all’insegnamento universitario con una tesi sulla Possibilità di fondare un’etica cattolica sulla base del sistema di Max Scheler, per cui dovette imparare anche il tedesco e divenne docente dapprima al Seminario di Cracovia e poi all’Università di Lublino. Nel 1957 fu eletto vescovo titolare di Ombi e nominato ausiliario dell’arcidiocesi di Cracovia. Partecipò con frutto al Concilio Vaticano II e nel 1962 divenne vicario capitolare di Cracovia. Nel 1964 ne divenne arcivescovo metropolita. In questi anni, dapprima come prete e docente, poi come arcivescovo, fu l’anima discreta e infaticabile della resistenza al Comunismo: con l’Università volante, fatta di ciclostile e fotocopie, diffuse i cardini del pensiero cristiano e personalista in un paese ateizzato; con quel movimento che divenne poi il sindacato libero di Solidarnosç fece sì che i laici fossero inquadrati in comitati parrocchiali che trattavano, a scopo consultivo, temi sia politici che sociali e religiosi. Il futuro Papa era contrabbandiere di Bibbie, oggetti sacri e libri cristiani, sia in Polonia che nei paesi vicini – compresa l’URSS – e ordinava segretamente sacerdoti per quegli Stati dove vi erano divieti governativi. In tal modo egli coniugò il patriottismo e la difesa della religione, la militanza politica e quella culturale, la tutela dell’identità polacca e quella dei popoli vicini, promuovendo e guidando il terzo grande movimento non violento di liberazione del XX secolo, dopo quello indiano e dei neri d’America. Per tale attività il futuro Papa fu sempre nel mirino dei servizi segreti polacchi e russi, che tentarono più volte di incastrarlo con accuse montate ad arte. Nel 1967 fu elevato alla porpora cardinalizia. Partecipò ai Sinodi del 1969, del 1971, del 1974 e del 1977, mentre predicò gli esercizi spirituali in Vaticano nel 1976. Viaggiò molto all’estero. Nel 1978 partecipò ai due Conclavi e nel secondo fu eletto Papa e assunse il nome di Giovanni Paolo II.

Tra i suoi scritti anteriori al pontificato abbiamo l’Abbecedario dell’etica, Amore e responsabilità, i drammi Fratello del nostro Dio e la Bottega dell’orefice, il trattato Persona e Atto, Alle fonti del rinnovamento, Segno di contraddizione, Riflessi di Luce e numerose poesie. Si distinse come solido e rigoroso filosofo personalista neotomista intento a fondare su questo indirizzo il sistema etico e come poeta sensibile e profondo, nonché come autore teatrale di spessore. I temi prediletti sono, come si vede, la realizzazione dell’uomo nella sua azione morale e le questioni etiche legate al matrimonio, alla famiglia e alla vita. Tenne anche una fitta corrispondenza con diversi amici e amiche, divenuti suoi discepoli, comprendente centinaia di missive, che continuò in alcuni casi fino alla morte.

Da Papa, Giovanni Paolo II svolse un’attività indefessa e straordinaria. Il suo pontificato può essere diviso in due parti. Fino al 1989 fu impegnatissimo nella lotta contro il Comunismo. Sfuggito all’attentato ordito contro di lui dal KGB, dalla STASI, dal DS bulgaro e dai Lupi Grigi nel 1981, per intercessione della Madonna di Fatima - alla Quale divenne devotissimo e a Cui, secondo la richiesta della Vergine stessa e in comunione con tutti i vescovi del mondo, nel 1984 consacrò la Russia, onde favorirne la conversione – il Pontefice rimase il leader di Solidarnosç e alla fine riuscì a piegare i governi comunisti ad un processo di riforma che li portò poi all’autodistruzione. Nella seconda parte del suo Papato Giovanni Paolo II fu invece impegnatissimo nell’evitare che il mondo fosse colonizzato dal liberismo americano e dovette subire attacchi subdoli di chi avrebbe voluto che, per la sua salute, abdicasse. In realtà l’attentato alle Torri Gemelle del 2001 e l’insorgere del fondamentalismo islamico diede al Papa un ampio margine di manovra per presentare all’umanità il suo progetto alternativo di mondo, basato sul dialogo e sui valori dello spirito. Una serie di drammatiche malattie, culminate col Morbo di Parkinson che gli impedì alla fine persino di camminare e respirare, così da dover essere sottoposto a tracheotomia, lo condusse alla morte il 2 aprile 2005. Il suo funerale fu accompagnato da manifestazioni di cordoglio senza precedenti nella storia umana.

Giovanni Paolo II, uomo di vastissima preparazione intellettuale che pochi predecessori avevano avuto, fu artefice di un magistero eccezionalmente ampio, talmente grande da correre il rischio per questo di passare inosservato o di essere squalificato. I documenti più importanti portano inconfondibilmente il suo stile, a prova del fatto che egli li redasse personalmente, ampliando il discorso a cerchi concentrici e usando un lessico e un fraseggio inconfondibili, a volte involuti. Sotto di lui lo strumento dell’enciclica ebbe un enorme risalto. La prima enciclica fu la Redemptor Hominis, del 1979, programmatica e prima di una trilogia trinitaria, dedicata a Dio Figlio. In essa il Papa pone la Chiesa al servizio dell’uomo, quale via da percorrere, onde donargli la grazia della salvezza ottenuta da Cristo Redentore. L’uomo diviene totalmente uomo solo se diviene cristiano, perché il vero umanesimo è quello cristiano. Perciò l’annuncio della Salvezza è integrale: non per le implicazioni temporali immediate ma per la ricaduta antropologica.

La seconda fu la Dives in Misericordia, del 1980, su Dio Padre e sul Suo amore misericordioso verso l’umanità, la cui prova maggiore è l’immolazione redentiva dell’Unigenito. Compito della Chiesa è l’esercizio e la proclamazione della Misericordia. Questa enciclica è la magna charta della spiritualità della Divina Misericordia, nata in Polonia con Santa Maria Faustina Kowalska (1905-1938) e approvata dallo stesso Papa, che infatti in seguito istituì non solo la solennità della Divina Misericordia stessa nella II Domenica di Pasqua, ma concesse anche, secondo la volontà di Gesù espressa alla Santa, l’Indulgenza plenaria in quel giorno.

La terza fu la Laborem Exercens, del 1981, la prima di tre dedicate alla Dottrina Sociale. In essa il Papa si rivolge all’uomo che lavora evidenziando la valenza antropologica e soteriologica del lavoro umano, facendo del lavoratore il soggetto personale dell’economia.

La quarta fu l’epistola enciclica Slavorum Apostoli, del 1985, dedicata ai due evangelizzatori degli Slavi, Cirillo e Metodio e che contiene spunti importanti per la catechesi, la pastorale, l’inculturazione e la riunificazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente oltre che del continente europeo.

La quinta fu la lettera enciclica Dominum et Vivificantem, del 1986, dedicata allo Spirito Santo e conclusiva della trilogia trinitaria. Dello Spirito Santo il Papa ricorda che opera nella storia assicurando la conservazione di quanto insegnato da Gesù, la maturazione interiore di ognuno e lo sviluppo costante dell’umanità nelle vie del bene e della salvezza.

La sesta fu la Redemptoris Mater, del 1987, mariologica, in occasione dell’Anno Mariano. Divisa in tre parti, delinea la figura biblica di Maria SS., il Suo posto nella Chiesa anche in chiave ecumenica e la Sua Mediazione materna e universale. In tal modo viene delineato il mistero mariologico in chiave cristologica.

La settima fu la Sollicitudo Rei Socialis, del 1987, seconda sulla Dottrina Sociale. Il Papa introduce in essa il concetto di solidarietà, nelle e tra le nazioni, onde colmare i divari sociali tra individui, classi e popoli, rifuggendo dal Capitalismo e dal Collettivismo.

L’ottava fu la Centesimus Annus, anch’essa sulla Dottrina Sociale, del 1991, che celebra non solo il centenario della Rerum Novarum ma anche la caduta del Comunismo. Al mondo euforicamente votatosi al Liberismo economico, il Papa, che riconosce i valori del libero mercato e della democrazia, addita la strada di una economia sociale che non metta al centro il denaro ma la persona.

La nona fu la Redemptoris Missio, del 1991, sulla missionologia. Il Papa condanna chi svaluta la missione e insegna che essa è dovere primario della Chiesa ed elenca le modalità di essa: annuncio, conversione, battesimo, inculturazione, fondazione delle Chiese locali, dialogo interreligioso, promozione umana. Afferma anche risolutamente che il Cristo della Fede è il Gesù storico.

La decima è la Veritatis Splendor, del 1993, la prima di un dittico di teologia morale. In essa il Pontefice ribadisce l’oggettività della legge morale, la sua universalità e obbligatorietà, condannando pragmatismo, utilitarismo, conseguenzialismo e proporzionalismo, più altri errori etici. Alla teologia morale assegna il compito di riflettere sulla santità a cui Cristo chiama la Chiesa e afferma altresì che la norma da seguire non è quella dell’opinione teologica ma quella dell’insegnamento ecclesiastico.

L’undicesima è ancora di teologia morale, l’Evangelium Vitae, del 1995. In essa il Pontefice, dopo aver ricordato il valore incomparabile della persona umana, denuncia con rigore le minacce attuali alla vita umana, basate sull’eclisse della percezione del suo valore, su una idea sbagliata di libertà e sull’obnubilamento del senso di Dio e dell’uomo. Riproponendo il messaggio evangelico sulla vita, il Papa rammenta i principi cardine di esso, per cui la vita è sempre un bene e trova un senso in Cristo; l’uomo è chiamato alla vita eterna ed è responsabile della vita dei suoi simili; la dignità della vita inizia col concepimento e dura fino alla morte passando anche attraverso la sofferenza. Inoltre Giovanni Paolo II enumera esplicitamente i peccati contro la vita, specie l’aborto e l’eutanasia, ricordando l’obbligo di sintonizzare la legge civile su quella morale. Infine affida alla Chiesa e alla famiglia la difesa e la promozione di una cultura della vita, che è valida per tutti gli uomini.

La dodicesima enciclica, la Ut Unum Sint, del 1995, tratta dell’ecumenismo. In essa il Santo Padre delinea l’impegno ecumenico della Chiesa quale sua via irrinunciabile, conseguenza del disegno di comunione di Dio tra i cristiani. Incentrato sul rinnovamento e la conversione, la centralità della retta dottrina, il primato della preghiera, lo sviluppo centrale e periferico del dialogo e la collaborazione pratica, il movimento ecumenico deve portare al consolidamento della fraternità, della solidarietà, alla condivisione della Parola e della preghiera e al rafforzamento dei contatti interecclesiali. L’obiettivo è la piena comunione di tutte le Chiese attorno alla Santa Sede, sia pure con esercizi innovativi del suo primato.

La tredicesima enciclica è la Fides et Ratio del 1998 Con essa Giovanni Paolo II si è inserito nel cuore dei processi culturali contemporanei. Nell'enciclica si parla del dialogo tra fede e ragione e dei profondi risvolti esistenziali, ermeneutici, antropologici, connessi alla dialettica del pensiero tra Rivelazione divina e sapienza umana. Il Papa riflette profondamente sul ruolo della teologia nell'epoca post-moderna. Essa diviene un'opportunità di annuncio del Vangelo. Inoltre il Pontefice rivendica il ruolo di indirizzo del Magistero ecclesiastico in materia filosofica.

La quattordicesima ed ultima enciclica è la Ecclesia de Eucharestia, del 2003. Essa ha, ancora una volta, come tema la centralità di Cristo, declinata questa volta sul mistero eucaristico. Il ?pane? che ci fa ?comunione con il Corpo di Cristo trasforma tutti in Lui stesso. La nostra unione con Cristo fa sì che in Lui siamo anche associati all'unità del suo corpo che è la Chiesa. La visione dell'enciclica è comunitaria, facendo appello all'esempio dei Santi che si sono ?fidati? dell'Eucarestia e attorno ad essa hanno costruito tutto il proprio percorso cristiano di fede e testimonianza.

Accanto alle Encicliche, di Giovanni Paolo II possiamo ricordare svariate Lettere Apostoliche, almeno tra le quarantacinque principali. La Rutilans Agmen, del 1979, su San Stanislao di Cracovia; la Pater Ecclesiae, del 1980, su San Basilio Magno; la Dominicae Coenae, dello stesso anno, sulla Messa; la Amantissima, del medesimo anno, su Santa Caterina da Siena; la Sanctorum Altrix, del medesimo anno, su San Benedetto da Norcia; la Radiabat velut, del 1982, su San Francesco d’Assisi; la Salvifici Doloris, del 1984, sul valore della sofferenza cristiana; la Redemptionis anno, del medesimo anno, sulla pace; la Convenistis, del 1985, su San Metodio e la Cecoslovacchia; la Augustinum Hipponensem, del 1986, uno straordinario tributo che il Papa tomista concede al grande Padre africano; la Euntes in Mundum, del 1988, sul Millenario del Battesimo della Russia; la Magnum Baptismi Donum, dello stesso anno, messaggio ai Cattolici Ucraini per il loro Millenario dopo decenni di persecuzione sovietica; la Mulieris Dignitatem, del 1988 anch’essa, sul ruolo e la dignità della donna nella Chiesa e sul genio femminile all’interno di essa, quasi per redigere un manifesto per un femminismo cristiano; la Tertio Millennio Adveniente, del 1994, in vista della preparazione al Grande Giubileo del 2000; la Ordinatio Sacerdotalis, del 1994, sull’inammissibilità delle donne al Sacerdozio ordinato; la Orientale Lumen, del 1995, sulle Chiese d’Oriente; la Dies Domini, del 1998, sulla Domenica; la Novo Millennio Ineunte, del 2001, sul Terzo Millennio cristiano appena iniziato; la Rosarium Virginis Mariae, del 2003, sul Santo Rosario e la necessità di recitarlo, con un ampliamento della sua struttura, la Mane nobiscum Domine, sull’indizione dell’Anno dell’Eucarestia, nel 2004.

Vanno poi ricordate le sue quindici Esortazioni Apostoliche. La Catechesi Tradendae, del 1979, sulla catechesi e i catechismi, postsinodale preparata da Paolo VI; la Familiaris Consortio, anch’essa postsinodale, del 1981, sulla famiglia e in difesa di essa dal divorzio, dall’adulterio, dall’omosessualismo incipiente, dalla contraccezione e dagli altri peccati contro la vita; la Redemptionis Donum, del 1984, sulla vita consacrata; la Reconciliatio et Poenitentia, pure postsinodale, anche del 1984, sul Sacramento della Penitenza; la Redemptoris Custos, del 1989, sul culto di San Giuseppe; la Christifideles Laici, postsinodale del 1989, sul ruolo del laicato nella Chiesa; la Pastores dabo vobis, postsinodale del 1992, sul sacerdozio e la formazione del clero; la Vita Consacrata, anch’essa postsinodale del 1996, sui religiosi; Una nuova speranza per il Libano del 1997, postsinodale speciale, sulla soluzione della crisi di quella nazione; Pastores Gregis, del 2003, sui vescovi; le esortazioni apostoliche postsinodali seguite alle Sessioni straordinarie del Sinodo per continenti: Ecclesia in Africa del 1995, Ecclesia in Asia del 1999, Ecclesia in America dello stesso anno, Ecclesia in Oceania (2001), Ecclesia in Europa (2003), comprendenti diagnosi e indicazioni per soluzioni delle problematiche ecclesiali di ciascuna macroarea geografica in questione.

Citiamo alcune delle sue undici costituzioni apostoliche principali: la Scripturarum Thesaurus che promulga la Nuova edizione della Vulgata, del 1979; la Sacrae Disciplinae Leges, che promulga il nuovo Codice di Diritto Canonico; la Pastor Bonus del 1988, sulla Curia Romana da lui riformata; quella sulle Università Cattoliche del 1990; quella dello stesso anno che promulga il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali; la Fidei Depositum, del 1992, per la promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, opera capitale da lui voluta dopo il Catechismo di San Pio V; la Universi Dominici Gregis, sulla Sede Vacante ed il Conclave, del 1996;

Rammentiamo poi alcune sue Lettere: quella alle Persone consacrate del 1988; quella Nel Venticinquesimo anniversario della Sacrosanctum Concilium, del 1989, sulla riforma liturgica; quella Nel Cinquantesimo anniversario dell’inizio della II Guerra Mondiale, del 1989, con una accorata denuncia della complicità del Nazismo e del Marxismo nello scatenare il conflitto; quella A tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica sulla situazione del Libano, del 1989 ancora, sulla guerra decennale in quel Paese; quella Nel Cinquantesimo anniversario della fine in Europa della II Guerra Mondiale, del 1995; quella Alle Famiglie del 1994; quella Alle Donne del 1995; quella Ai Bambini del 1994; quella Agli Anziani del 1999, in cui il Papa si rivolge ad essi come uno di loro. Vanno poi ricordate le sue Lettere ai Giovani e alle Giovani del Mondo dopo le Giornate Mondiali della Gioventù- da lui istituite – e le sue Lettere annuali a tutti i Sacerdoti del Mondo in occasione del Giovedì Santo.

Ricordiamo poi la sua Bolla di indizione del Giubileo straordinario del 1983, Aperite portas Redemptori, e quella per il Grande Giubileo del 2000, il Giubileo millenario, la Incarnationis Mysterium. Menzioniamo alcuni Motu Propri: Ecclesia Dei, del 1988, per la scomunica dei vescovi della Fraternità San Pio X; Vitae Mysterium, che istituisce la Pontificia Accademia per la Vita, del 1994; Apostolos Suos, sulle Conferenze Episcopali, del 1998; Spes Aedificandi, sulle Compatrone d’Europa Brigida di Svezia, Caterina da Siena e Teresa Benedetta della Croce, del 1999; Nuntiaturae Apostolicae, sulle rappresentanze diplomatiche pontificie, ancora del 1999; Inoltre Giovanni Paolo II, sulla scia di Paolo VI, ha emesso per ogni inizio d’anno un Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Tra di essi merita di essere menzionato quello intitolato Pace con Dio Creatore, Pace con tutta la Creazione, di tematica ecologica, del 1989, ma ne ha composti per quelle giornate e per molte altre (per l’alfabetizzazione, delle comunicazioni sociali, per l’alimentazione, dei malati, delle migrazioni, missionaria, del turismo, della vita consacrata, delle vocazioni).

Sono degni di nota alcuni documenti della Curia Romana pubblicati in suo nome, per il loro contenuto. Della Congregazione per la Dottrina della Fede abbiamo: la Dichiarazione sulle Associazioni Massoniche del 1983, l’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione del 1984, quella sulla libertà cristiana e la liberazione del 1987, la Professio fidei et Iusiurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo del 1988, l’Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e sulla dignità della procreazione dello stesso anno, quella sulla Vocazione ecclesiale del teologo del 1990, la lettera su Alcuni aspetti della meditazione cristiana dello stesso anno, la dichiarazione sul valore salvifico esclusivo della Chiesa Dominus Jesus, del 2000. Poi abbiamo le Direttive sulla formazione negli Istituti Religiosi del 1990, della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, l’istruzione Lo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale della Congregazione dei Seminari e degli Istituti di Studi, la nota Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali del 1990 e infine il documento Memoria e riconciliazione della Commissione Teologica Internazionale del 2000 per le richieste di perdono delle “colpe” della Chiesa, avvenuta per bocca del Papa stesso nel corso di una delle celebrazioni giubilari e relativa all’uso della violenza al servizio della verità, alle responsabilità nella divisione dei cristiani, all’antisemitismo, al mancato rispetto dei diritti degli uomini e delle donne, dei popoli e dei gruppi. Questo atto penitenziale, che non è tuttavia documento magisteriale, ha dato la stura ad una riflessione sistematica sulla storia del pensiero teologico e della sua applicazione nella Chiesa.

A questo dobbiamo sommare una quantità enorme di omelie, discorsi, allocuzioni, messaggi, pronunziati nelle più disparate occasioni, a Roma, in Italia e nel mondo. Tra quelli pronunziati a Roma, ricordiamo i discorsi delle millecentosessantaquattro Udienze generali settimanali – per diciassette milioni seicentosessantacinquemilaottocento fedeli - e quelli per gli Angelus domenicali, continuando in questo la tradizione del predecessore. Tra questi ultimi, alcuni del 1982, 1984 e 1985 sono stati dedicati al Sacro Cuore di Gesù. Rammentiamo poi le omelie nelle trecentouno parrocchie della Diocesi di Roma da lui visitate e i quattrocentoquarantasette altri discorsi pronunziati visitando altre istituzioni ecclesiastiche e laiche di Roma e di Castel Gandolfo. Sono da segnalare anche le cinquantaquattro visite a cinquantotto organismi della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano.

In quanto ai discorsi e alle omelie tenute in Italia, ricordiamo che il Papa ne ha tenuti novecentosei in centoquarantasei viaggi, visitando duecentocinquantanove città per trecentosette presenze (comprensive delle ripetizioni in un medesimo luogo). Da Primate d’Italia Giovanni Paolo II ha visitato tutte le Diocesi d’Italia, con trentotto visite nel Lazio, dodici nel Veneto, undici in Marche, Umbria e Valle d’Aosta, dieci in Campania e Lombardia, nove in Toscana, otto in Piemonte, sette in Abruzzo, sei in Emilia Romagna, cinque in Puglia e in Sicilia, tre in Liguria, due in Basilicata, Calabria, Molise e Trentino Alto Adige, una in Friuli Venezia Giulia e Sardegna.

Per i discorsi e le omelie tenuti nei pellegrinaggi internazionali, ne sono stati duemilatrecentottantadue, in centoquattro viaggi in centoventinove nazioni, seicentodiciassette città e settecentoquindici presenze (comprensive delle ripetizioni in un medesimo luogo). Il Papa ha visitato quasi tutto il mondo, recandosi nove volte in Polonia, otto in Francia, sette negli USA, cinque in Messico e Spagna, quattro in Brasile, Portogallo e Svizzera, tre in Austria Canada Costa d'Avorio Croazia Corea del Sud El Salvador Germania Guatemala Kenya Malta e Repubblica Dominicana, due in Argentina Australia Belgio Benin Bosnia ed Erzegovina Burkina Faso Camerun Curaçao (nelle Antille Olandesi) Filippine India Nicaragua Nigeria Papua Nuova Guinea Perù Repubblica Ceca Slovacchia Slovenia Ungheria Uruguay Venezuela e Zaire, una in Albania Angola Armenia, Azerbaigian Bahamas Bangladesh Belize Bolivia Botswana Bulgaria Burundi Capo Verde Cecoslovacchia Ciad Cile Colombia Congo Costa Rica Cuba Danimarca Ecuador Egitto (al Monte Sinai) Estonia Figi Finlandia Gabon Gambia Georgia Ghana Giamaica Giappone Giordania Gran Bretagna Grecia Guinea Guinea-Bissau Guinea Equatoriale Haiti Islanda, Isole Salomone Israele Kazakistan Lettonia Libano Lesotho Liechtenstein Lituania Lussemburgo Madagascar Malawi Mali Marocco Mauritius Mozambico Norvegia Nuova Zelanda Paesi Bassi Pakistan Panama Paraguay Porto Rico Repubblica Centrafricana Repubblica d'Irlanda Romania Ruanda San Marino São Tomé e Príncipe Senegal Seychelles Singapore Sri Lanka Santa Lucia Sudafrica Siria Sudan Svezia Swaziland Thailandia Tanzania Timor Est (all'epoca parte dell'Indonesia) Togo Trinidad e Tobago Tunisia Turchia Ucraina Uganda Zambia Zimbabwe. Un solo viaggio è stato compiuto in ispirito, durante una cerimonia pubblica, quello in Iraq, nel 2001.

Una menzione particolare meritano, senza che aumentino il computo dei viaggi, i discorsi fatti da Giovanni Paolo II nel corso delle Giornate Mondiali della Gioventù, da lui istituite dal 1985 e iniziate dal 1986, di cadenza annuale, per cui alternativamente si tengono a Roma e in un’altra grande città. Il Papa le ha celebrate a Buenos Aires, Santiago de Compostela, Czestochowa, Denver, Manila, Parigi, Toronto. Sempre di analoga rilevanza gli Incontri Mondiali delle Famiglie, accompagnati dai relativi discorsi, tenutisi, a partire dal 1994, a Roma due volte, a Rio de Janeiro e a Manila. Assolutamente innovativi i due Incontri ecumenici di preghiera, con relativi discorsi, tenutisi ad Assisi nel 1986 e nel 1993. Non c’è timore di smentita se diciamo che Giovanni Paolo II è stato uno dei più grandi apostoli della storia e, quantitativamente, il più grande in assoluto. Tutti questi pronunciamenti hanno permesso al Papa di parlare in loco dei più disparati temi, problemi e questioni.

Sono, peraltro, atti di magistero a tutti gli effetti le centoquarantasette beatificazioni di milletrecentotrentotto venerabili e le cinquantuno canonizzazioni di quattrocentottantadue nuovi Santi, con relative omelie; i nove Concistori ordinari con duecentotrentuno creazioni cardinalizie e i sei straordinari con relative allocuzioni; le trecentoventuno ordinazioni episcopali con connesse omelie in quarantaquattro cerimonie; i discorsi tenuti alle sei Sessioni ordinarie del Sinodo dei Vescovi, alle otto Assemblee speciali di esso – tra cui quella per i Paesi Bassi – e all’unica Sessione straordinaria da lui convocate.

Vanno rammentati anche i discorsi ai milleventidue Capi di Stato e di Governo incontrati o ricevuti in udienza.

Citiamo per concludere l’elenco degli atti papali, oltre alla promulgazione di due Anni Santi, quella di un Anno mariano, uno della Famiglia, uno del Rosario e uno – già menzionato - dell’Eucarestia, più quella del Triduo di anni per la preparazione al Giubileo Millenario.

E’ infine degno di nota che, anche da Papa, Giovanni Paolo II ha continuato a pubblicare libri: Conversando con Giovanni Paolo II, con il giornalista convertito Andrè Frossard (1915-1995), del 1989; Varcare la soglia della speranza, del 1994; Dono e mistero, del 1996; Alzatevi, andiamo !, del 2004; Memoria e identità, del 2005; il poema Trittico Romano. Meditazioni, del 2003. In essi le meditazioni sulla vita personale e sulla storia diventano occasioni per profonde riflessioni spirituali, religiose e culturali.

In questa impressionante mole di testi e atti, cercare di enucleare motivi soggiacenti è impresa ardua. Ne indichiamo alcuni dei più importanti, per dare un senso a quella che potrebbe ridursi ad una mera elencazione.

Cominciamo dal concetto di nuova evangelizzazione, con la quale intendiamo un nuovo annuncio di Cristo a quelle nazioni che lo hanno abbandonato. Essa per Giovanni Paolo II non consiste in un nuovo Vangelo né nell’esclusione dall’annuncio di quanto incomprensibile per la mentalità odierna, ma nella riaffermazione della centralità di Cristo e della sovrabbondanza della Sua ricchezza che nessun’epoca può esaurire e che quindi può bastare anche alla nostra. Si tratta da un lato di modernizzare il metodo della comunicazione del messaggio e dall’altro di mostrarne e difenderne immediatamente e convincentemente le caratteristiche alle obiezioni e alle richieste che possono essere fatte ad esso e su di esso. Lo scopo è la sequela di Cristo, la fede nel Quale permette all’uomo di oggi di costruire su di Lui quale solida roccia nonostante le difficoltà e le opposizioni. Tale sequela non riguarda solo il singolo ma anche la comunità e l’intero genere umano. Ad esso vanno restituiti il senso non solo dei valori e della fede, ma quello stesso della retta ragione, onde restaurare la dignità umana e rendere possibile la conversione. Questo processo di ricostruzione procede di pari passo con l’evangelizzazione di coloro che sono ancora infedeli, annunziando loro il Cristo unico Salvatore. Tale missione può e deve essere svolta in particolare tramite i media, non solo servendosene ma interpretando lo stesso messaggio cristiano nei modi espressivi che sono loro propri. Questo tema è stato ampiamente trattato nella Redemptoris Missio e nel Discorso per l’apertura della Conferenza del CELAM di Santo Domingo del 1992.

Un ulteriore tema capitale giovanpaolino è quello dell’inculturazione. Ereditato da Paolo VI, questo tema in Giovanni Paolo II è ancora l’espressione incarnata del Vangelo in una cultura ed è trattato nei Discorsi tenuti nell’America Latina, in Africa e in Asia, oltre che nell’Enciclica missionaria e nel Discorso di Santo Domingo, in quanto l’inculturazione è strettamente connessa alla nuova evangelizzazione. L’inculturazione secondo il Sommo Pontefice è un processo profondo e globale che investe il messaggio cristiano e la vita teorica e pratica della Chiesa. E’ un processo difficile che non deve compromettere la specificità della fede cristiana né la sua integrità, ma è anche biunivoco, in quanto incide sia sulla comunità evangelizzata che sulla Chiesa che la evangelizza. Alle Chiese locali il Papa consiglia di esprimere progressivamente la propria esperienza cristiana, in modo consono alla propria tradizione e originale, ma sempre fedele alle esigenze della fede stessa. Consiglia peraltro di operare sia in comunione con la Chiesa universale che con le altre Chiese locali del medesimo territorio. Il Papa ha così forgiato due principi pratici per l’inculturazione: la compatibilità col Vangelo e la comunione con la Chiesa Universale. L’obiettivo è la nascita di una nuova, articolata e multiforme cultura cristiana che purifichi le tradizioni umane e rinnovi se stessa aprendosi al futuro.

Un terzo tema è la civiltà dell’amore. Giovanni Paolo II contrappone la carità cristiana, forza generatrice di civiltà, all’odio della città secolare che genera divisioni, guerre, contese, lotte, morte, distruzione, fame, indifferenza. Lo fece sin dai suoi primi discorsi. Nella Lettera alle Famiglie indica la civiltà dell’amore quale via della Chiesa, da battersi attraverso la cellula stessa della società. Tale civiltà nasce dalla Chiesa, che è sacramento d’amore che sgorga dal Cuore di Cristo, il Quale è l’Incarnazione di quel Dio Che è Egli stesso Amore. All’avere e al potere il Papa contrappone l’essere e il donare, mentre i valori costitutivi della nuova civiltà che egli ha in mente sono la verità, la giustizia, la libertà e la pace. Si tratta di ricostruire lo stesso significato delle parole chiave, in quanto spesso esse sono mistificate, fraintese e vilipese. La frontiera passa per la difesa della vita: la tutela del bambino sin dal seno materno, dei poveri, dei malati, degli anziani, dei morenti. La lotta contro l’aborto, contro la fecondazione artificiale con conseguente distruzione o congelamento di embrioni generati quali sovrannumerari, contro la maternità surrogata e divisa in fasi mercificate, contro la manipolazione genetica fine a se stessa, contro la contraffazione del matrimonio uomo donna in quello omosessuale e della procreazione nelle adozioni in questo genere aberrante di unione, contro la soppressione della vita malata e terminale sono i segni distintivi di questa affermazione della civiltà dell’amore, accanto alla lotta contro il controllo artificiale delle nascite, contro il divorzio e contro il libertinaggio sessuale. Ma non solo la lotta bioetica è il cantiere del nuovo mondo: anche le difese della libertà di pensiero, di espressione, di coscienza, di religione, del diritto al lavoro, alla giustizia sociale, alla partecipazione politica e sociale, alla pace sono i pilastri del futuro cristiano e umano. Una menzione particolare merita la riprovazione pratica della pena di morte e quella anche teorica della tortura, fatte dal Santo Padre nel quadro di questa definizione dei valori dell’umanesimo cristiano, che segna una svolta importante e complessa nell’insegnamento morale della Chiesa.

In questa prospettiva la promozione della civiltà dell’amore comprende in sé una chiara e netta contrapposizione del Cristianesimo alle religioni secolari, che vogliono la realizzazione dell’uomo in modo immanente e nell’arco del suo tempo terreno, bonificando ogni palude del sacro. Giovanni Paolo II ha lottato aspramente contro il Comunismo, in ogni sua forma: dapprima quella totalitaria del bolscevismo sovietico, che egli ben conosceva perché opprimeva la Polonia, poi quella culturale della dialettica degli opposti – tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud del mondo, tra uomo e donna, tra maturi e giovani, tra eterosessuali e omosessuali, tra umani e bestie – e infine quella che snatura il Cristianesimo stesso attraverso teologie fittizie come quella della Liberazione. Lo scopo è sempre lo stesso, per il Papa: salvaguardare la natura metafisica dell’uomo, la sua vocazione al trascendente, la fondazione ontologica dei suoi diritti e dei suoi doveri, in una parola la sua personalità, redenta da Cristo. Questo ha fatto sì che egli desse una voce particolarmente credibile alla Chiesa perseguitata, perché essa parlava in modo da essere compresa da tutti nella denunzia dei presupposti stessi della violenza, in quanto inumani: materialismo dialettico, collettivismo, ateismo militante. Nello stesso tempo Giovanni Paolo II ha potuto togliere al Comunismo il testimone della lotta per la giustizia sociale, mostrando che non solo esso non la realizza, ma la capovolge nella dittatura, mentre tale giustizia può più autorevolmente fondarsi sul Cristianesimo.

Ma il Papa si è opposto risolutamente anche ai totalitarismi di destra, non solo condannando in memoria il neopaganesimo nazista e la statolatria fascista, ma pure promuovendo, in loco, i diritti umani negli Stati retti da dittature militari, anche se anticomuniste, delle quali spesso ha accelerato la fine (Cile, Haiti, Paraguay).

Infine, Wojtyła ha combattuto l’individualismo radicale, supportato dal capitalismo liberista, globalista e mondialista, che mercifica l’essere umano, lo addomestica col consumismo, lo narcotizza con l’edonismo e lo uccide con la solitudine. In una parola, l’impegno politico del Papa è stato sempre di ispirazione spirituale. In questa prospettiva va anche vista la sua costanza nel condannare l’uso unilaterale della guerra come strumento per risolvere le crisi internazionali a vantaggio del più forte e nel richiederla come supporto ad interventi umanitari che ponessero fine a lotte fratricide e genocide. Ed è sempre in questa prospettiva personalista che egli si è risolutamente schierato contro ogni fondamentalismo persecutore, specie quello islamico e indù, rigettando ogni “scontro di civiltà”.

Ancora, l’ultimo tema che enucleiamo come tipicamente wojtyliano è quello della cultura. Ad essa il Papa ha dedicato i suoi migliori discorsi e molti bellissimi documenti. Parlando per esempio all’UNESCO e all’Università di Coimbra Giovanni Paolo II ha mostrato l’aspetto antropologico e pedagogico della promozione della cultura, che forma l’uomo e sviluppa i popoli. La cultura rende più uomini gli uomini e anzi fa si che essi “siano” di più. Per raggiungere questo essere l’uomo deve essere redento da Cristo, ricondotto al Padre nello Spirito, per mano della Madre. Deve far risplendere questa luce ritrovata sulle sue attività intellettuali e manuali, sulle sue azioni umane e soprannaturali. Deve estenderla a tutta la compagine sociale, economica e politica. In questo modo la cultura diventa la sintesi del magistero più riuscito di Giovanni Paolo II, una sorta di sua chiave di lettura. Non è esagerato dire che egli ha progettato un mondo nuovo per un’epoca in crisi.

Come si è visto, Giovanni Paolo II ha, in queste note salienti, ripensato molti aspetti del pontificato montiniano, diventandone un continuatore ed un completamento. In altri ancora, è stato forse più fedele, ma non meno determinato. Per esempio ha proseguito l’impegno ecumenico e dialogico. Non solo ha avuto un occhio particolarissimo verso le Chiese Cattoliche d’Oriente, in difficili condizioni perché immerse in un mare islamico o indù, ma ha continuato il cammino di unione tra le Chiese. I contatti bilaterali hanno dato frutti concreti. Risultati importanti sono venuti dalla Commissione mista cattolico-ortodossa, per esempio su temi chiave come Eucarestia e Trinità nel 1982, dalla Seconda Commissione mista internazionale cattolico-anglicana su questioni relative al Sacerdozio ordinato, dal dialogo col Consiglio Mondiale delle Chiese tramite il Documento di Lima del 1982 su Battesimo, Eucarestia e Ministeri. Sono stati ampliati i contatti stabili con la galassia protestante (Pentecostali, Battisti, Discepoli di Cristo), mentre nel 1983 il quinto centenario della nascita di Lutero ha permesso un’intensificazione del dialogo dottrinale tra Chiesa Cattolica e Chiese evangeliche. La Dichiarazione congiunta tra Giovanni Paolo II e Ignatius Zakka I Iwas ([1931] 1980-2014), Patriarca della Chiesa Apostolica d’Oriente, siglata nel 1984, fissando univocamente il senso delle differenti terminologie dogmatiche, ha stabilito che le due Chiese, assira e cattolica, hanno la stessa cristologia. Il Papa ha incoraggiato questo clima, recandosi più volte fisicamente in chiese ortodosse e protestanti. Egli ha tentato anche di ricucire lo strappo con la Fraternità San Pio X, preparandosi a concessioni liturgiche e giuridiche, ma è stata la controparte a frapporre ostacoli insormontabili.

Giovanni Paolo II ha però perseguito anche il dialogo interreligioso, privilegiando quello con gli Ebrei, fitto e costante ma esemplificato dalla storica visita alla Sinagoga di Roma del 1986 e sanzionato dalla condanna senza appello dell’antisemitismo nazista e dalla rottamazione della vecchia teologia antigiudaica preconciliare. Subito dopo si pose, nell’attenzione del Papa, il dialogo con l’Islam, anch’esso ricco di contenuti ma esemplificato da un gesto, la prima visita di un Papa in una Moschea, a Damasco, nel 2001. In genere, sotto il suo Pontificato, Giovanni Paolo II ha intensificato i contatti con buddhisti, animisti, lamaisti (ricevendo più volte il Dalai Lama) e induisti, anche se con questi non sono mancati momenti di frizione, per colpa loro. Il Pontefice non ha rescisso nemmeno il filo dialogico con i non credenti, ma ha riaffermato il divieto per i Cattolici di iniziarsi alla Massoneria e alle società segrete di stampo esoterico.

Giovanni Paolo II è stato inoltre un grande riformatore. Teologo immerso nella novità del postconcilio, ha difeso con energia la purezza della dottrina senza tornare ai metodi inquisitori soppressi da Paolo VI. Accanto a diversi provvedimenti disciplinari stanno anche suoi chiari pronunciamenti su questioni molto dibattute, anche se di diversa natura: dalla riaffermazione della dogmatica tradizionale alla ribadita esclusione delle donne dal sacerdozio, quale parte del deposito della fede, fino alla definizione dell’illiceità della contraccezione quale materia non disputabile tra i teologi. Fautore della riforma liturgica, ha cercato di correggere gli abusi maggiori legati all’uso del volgare e alla fine della disciplina tradizionale. Ha fermato l’emorragia delle secolarizzazioni nel clero e tra i religiosi, sforzandosi di restaurare la disciplina degli uni e degli altri, mentre favoriva un nuovo protagonismo del laicato cattolico. Ha confermato il processo di devoluzione di competenze alle Conferenze Episcopali, senza rinunciare alle sue prerogative primaziali.

Un’ultima nota la lasciamo per il governo centrale della Chiesa. Giovanni Paolo II ha reso strutturale la riforma della Curia, dividendone i dicasteri in sei gruppi: la Segreteria di Stato, le Congregazioni, i Pontifici Consigli, i Tribunali, gli Uffici e gli altri Organismi. Ha istituito, conformemente ai suoi interessi, il Pontificio Consiglio per la Cultura e quello per la Famiglia e la Pontificia Commissione per l’America Latina. Ha fondato il Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi economici ed organizzativi della Santa Sede, per ovviare ai guasti finanziari causati dal crack dell’Ambrosiano predisposto dai sovietici per impiombare gli aiuti economici della Santa Sede ai dissidenti polacchi. Ha fondato, come abbiamo visto, la Pontificia Accademia per la Vita e il coordinamento delle Accademie Pontificie.

Concludendo questa poco sintetica sintesi, possiamo auspicare anche per Giovanni Paolo II il Dottorato della Chiesa.

IL MAGISTERO PAPALE: BENEDETTO XVI

Joseph Ratzinger, diventato Benedetto XVI, ha svolto un magistero raffinato anche se di minore grandezza rispetto a quello del Predecessore. Ricordiamo innanzitutto le sue Lettere Encicliche. Per esse concepì una trilogia dedicata alle virtù teologali, purtroppo rimasta incompiuta, almeno ufficialmente, in quanto l’ultima delle Encicliche è stata pubblicata dal Successore.

La prima, la Deus caritas est, del 2006, tratta della carità a partire dai concetti di eros ed agape. L’eros, pur richiamando la dimensione più propriamente terrena dell’amore, viene dalla stessa fonte della bontà del Creatore, come la possibilità di un amore che rinuncia a sé in favore dell’altro. La dimensione dell’amore trascendente, è invece l’agape, che si manifesta nella misura in cui due si amano realmente e uno non cerca più solo se stesso ma soprattutto il bene dell’altro. La famiglia è il primo luogo della caritas, ma è anche un principio sociale, perchè incanala l’uomo verso la società, verso la Chiesa, verso il mondo. Essa è necessaria espressione dell’atto più profondo dell’amore personale con cui Dio ci ha creati, suscitando nel cuore umano la spinta verso l’amore, riflesso di Dio che ci rende sua immagine.

La seconda enciclica è la Spe Salvi, sulla speranza. Essa non ha una dimensione solamente terrena, in quanto Gesù Cristo ci ha condotto all’“incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo”. La speranza cristiana non è in qualcosa ma in Qualcuno. Inoltre essa è la fonte della vera libertà, in contrapposizione con i falsi miti del progresso e della scienza. Quest’ultima, in particolare “non redime l’uomo”, anzi, se male utilizzata, “può anche distruggere l’uomo e il mondo”. Tre sono i luoghi della speranza: la preghiera, in quanto Dio non nega mai il suo ascolto; l’azione  intesa in senso altruistico; la sofferenza che “permette di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore”; il giudizio di Dio, che “revoca” la sofferenza passata.

La terza enciclica, Caritas in Veritate, del 2009, verte sulla Dottrina Sociale della Chiesa. La carità, “è la via maestra” di essa e, dato “il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico”, va coniugata con la verità. Ratzinger si soffermò sul concetto di “bene comune”, un principio sempre più calpestato da fenomeni degenerativi come la finanza speculativa, la cattiva gestione dei flussi migratori, lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, i tagli indiscriminati alle spese sociali. Per superare la crisi economica globale e le disuguaglianze sociali è necessario valorizzare il capitale umano. Il primato dell’uomo si sostanzia innanzitutto nel rispetto della vita umana dal concepimento alla morte naturale, per cui Benedetto XVI condannò anche le politiche antinataliste. La stessa economia di mercato deve smettere di “contare solo su se stessa” e di essere un “luogo della sopraffazione del forte sul debole”, riscoprendo la logica del dono. La Caritas in veritate  ha approfondito anche l’etica ambientale. Essendo la natura un dono di Dio da usare in modo responsabile, il Papa suggerisce soluzioni di ‘ecologia umana’ che si rifanno ai principi del diritto naturale. Altri principi dell’enciclica sono il principio di sussidiarietà, che, “attraverso l’autonomia dei corpi intermedi”, diventa “l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista”, e lo sviluppo che, per essere tale, “deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale”.

Ricordiamo poi le Esortazioni Apostoliche di Benedetto XVI: la Sacramentum Caritatis, postsinodale, del 2007, sull’Eucarestia; la Verbum Domini, postsinodale anch’essa, del 2010, sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa e del credente; la Africae Munus, anche postsinodale, del 2011, sulla Chiesa in Africa; la Ecclesia in Medio Oriente, postsinodale, del 2012, sulla Chiesa in Medio Oriente.

Tra le centotrentadue promulgate da Benedetto XVI, citiamo la costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus del 2009, con cui ha istituito gli Ordinariati per i fedeli della Comunione Anglicana che, mantenendo la loro liturgia, vogliano unirsi a Roma.

Benedetto XVI ha inoltre promulgato alcuni Motu Propri di particolare rilievo: quello per la pubblicazione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, del 2005; il De aliquibus mutationis per il ripristino del quorum dei due terzi per l’elezione papale, nel 2007; quello sotto forma di Lettera Apostolica intitolato Summorum Pontificum, dello stesso anno, per la liberalizzazione del Messale di San Pio V e la trasformazione del Vecchio Rito Latino in Rito straordinario; l’Omnium in mentem del 2009; quello contro le attività illegali in campo finanziario e monetario nello Stato della Città del Vaticano, del 2010; quello sotto forma di Lettera Apostolica, intitolato Porta Fidei, per la promulgazione dell’Anno della Fede, nel 2011; quello sotto forma di Lettera Apostolica intitolato Latina Lingua, del 2012; quello sotto forma di Lettera Apostolica detto Normas Nonnullas, del 2013, sul Conclave che doveva seguire alla sua abdicazione.

Degna di nota è la Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese del 2007, la Lettera ai vescovi per l’accompagnamento del Summorum Pontificum, del medesimo anno, quella del 2009 per la remissione della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità San Pio X, la Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda sconvolti dagli scandali degli abusi sessuali del clero, del 2010.

Vanno poi menzionati gli svariati Messaggi per diversi tipi di giornate mondiali (per le Comunicazioni sociali, per l’ alimentazione, per migrazioni, missionaria, per la pace, del malato, delle vocazioni, della Gioventù).

Degni di nota sono i suoi discorsi. Ovviamente il più celebre è la Declaratio del 2011 con cui abdicava, ma molto noto, perché oggetto di infondate polemiche, fu anche quello della Lectio magistralis di Ratisbona nel 2006, sul rapporto tra fede e ragione. Degni di nota sono senz’altro anche i seguenti testi: il Discorso ai rappresentati delle Chiese non cattoliche e delle confessioni non cristiane, quello all’Incontro Ecumenico di Colonia, quello al Consiglio misto per il dialogo cattolico-ortodosso, tutti del 2005; quello ai partecipanti al Convegno promosso dal Partito Popolare Europeo, l’Omelia all’Incontro Mondiale delle Famiglie, il Discorso coi rappresentanti della Scienza a Regensburg, quello agli ambasciatori dei Paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa Sede e di alcune comunità islamiche in Italia, tutti del 2006; il Discorso alla Casa Bianca, i due Discorsi all’ONU, quello al mondo della Cultura a Parigi, tutti del 2008; l’Omelia a conclusione dell’Anno Sacerdotale, nel 2010; il Discorso al Reichstag, quello ai rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica Unita di Germania, quello dell’Incontro coi rappresentanti delle Chiese Ortodosse e Orientali, tutti del 2011; l’ultimo Discorso ai Sacerdoti romani, quello all’ultima Udienza generale, il Saluto di congedo ai Cardinali, tutti del 2013. In genere vanno ricordati i contesti dei discorsi, delle allocuzioni, delle omelie. Per esempio il Papa indisse alcuni anni commemorativi, per la Fede, per San Paolo e per il Sacerdozio (2008-2009, 2009-2010, 2012-2013), che furono importanti occasioni per l’esercizio del suo magistero. Il Pontefice ha poi celebrato cinque Concistori e creato novanta Cardinali. Il Santo Padre ha poi decretato quarantaquattro canonizzazioni e ottocentosettanta beatificazioni (che però non ha celebrato personalmente). Inoltre, anche Benedetto XVI continuò la prassi del viaggio apostolico, punteggiato da discorsi e allocuzioni importanti. E’ stato tre volte in Germania e Spagna, una volta in Polonia, in Turchia, in Austria, in Francia, in Repubblica Ceca, a Malta, in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito, in Croazia e a San Marino. Fuori d’Europa si è recato una volta in Brasile, negli Stati Uniti d'America, in Australia, in Messico e a Cuba, in Camerun, in Angola, in Benin, in Terra Santa, in Giordania e in Libano.

In Italia ha visitato, in ordine di tempo, Bari, Manoppello, Verona, Vigevano, Pavia, Assisi e Loreto (entrambe due volte), Savona, Genova, Santa Maria di Leuca, Brindisi, Cagliari, Albano, Pompei, L’Aquila, Cassino, San Giovanni Rotondo, Aosta, Viterbo, Bagnoregio, Brescia, Torino, Sulmona, Carpineto, Palermo, Venezia, Aquileia, Ancona, Lamezia Terme, Serra San Bruno, Arezzo, La Verna, Sansepolcro, Milano, San Marino di Carpi, Rovereto di Novi, Nemi, Frascati. Ha compiuto inoltre trentasei visite pastorali in Roma, esercitando il ministero episcopale. Ulteriormente degni di specificazione sono le celebrazioni delle Giornate Mondiali della Gioventù fatte da Benedetto XVI, a Colonia, Sydney e Madrid, e degli Incontri Mondiali delle Famiglie a Valencia, Città del Messico e Milano. Tali trasferte, senza accrescere ulteriormente il numero dei viaggi elencati, sono state senz’altro occasioni speciali per il magistero papale discorsivo.

Vanno inoltre citati alcuni documenti emanati in suo nome da alcuni dicasteri della Curia Romana. Sono l’Istruzione Sanctorum Mater (2007) della Congregazione per le Cause dei Santi; la Lettera ai vescovi sulle modifiche introdotte nelle Normae de gravioribus delictis (2010), quella per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare le linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte dei chierici (2011), tutte della Congregazione per la Dottrina della Fede; la Legge CVII e la Legge CLXVI della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, del 2010.

I grandi temi del magistero di Benedetto XVI si possono facilmente individuare. L’attuazione del Concilio Vaticano in piena continuità con la Tradizione della Chiesa, la valorizzazione della centralità dell’Eucarestia, la vocazione apostolica della Chiesa, l’unità dei cristiani e il dialogo interreligioso, specie con Ebrei e musulmani, e coi non credenti, la riforma della Curia Romana e dei costumi del clero, il tutto inquadrato nella visione generale di Chiesa propria del Papa sin da quando era docente universitario.

Nel suo insegnamento la tematizzazione della fede è essenziale: essenziale, pura, intima e vissuta dentro e fuori, basata sull’incontro amoroso con Dio. Analogamente, Benedetto tematizza la speranza, collocata nella sua corretta dimensione escatologica. In questo contesto si colloca la ripresentazione della figura di Gesù nella sua trilogia libraria che lo riguarda e pubblicata, sia pure come persona privata, durante il Papato, e della quale abbiamo parlato a proposito delle sue opere teologiche. In genere Ratzinger cerca di mantenere viva e integra la fede, di mettere in luce la priorità di Dio, di ravvivare oasi di preghiera e ascetismo nel tumultuoso mondo moderno presso cui trovare conforto e refrigerio mediante un distacco anche solo temporaneo dal caos della vita. Nell’ottica della vivificazione della fede vanno letti gli anni tematici su Paolo, la fede stessa e il Sacerdozio, Inoltre il Papa ha tentato di cristologizzare tutta la Scrittura nel suo magistero dedicato ad essa dopo il Sinodo specifico, così da far capo alla Parola incarnata attraverso ogni parola di Dio scritta. Accanto a ciò, Benedetto XVI considera valide le forme di vita religiosa condivise in modo intenso, come le Giornate Mondiali della Gioventù. Un posto speciale ha nel magistero benedettino il rapporto tra teologia e magistero. La prima è possibile solo nella sottomissione al secondo, espresso soprattutto dall’autorità del Papa. Ciò non distrugge la scientificità della teologia e manifesta la fede dei teologi. Benedetto ha inoltre energicamente sostenuto una ermeneutica della continuità del Concilio Vaticano II, definendola più appropriatamente ermeneutica della riforma, che conserva l’essenziale e modifica il contingente.

Nel vasto campo della liturgia Ratzinger ha conservato la sua impostazione di teologo, privilegiando una innovazione restauratrice, basata sull’enunciazione di principi base chiari e solidi e sull’indicazione della soluzione dei problemi concreti, in ordine alla parola e al silenzio nella liturgia, alla musica e al canto sacro, ai gesti, agli abiti e ai simboli liturgici, all’architettura sacra, alla traduzione corretta in volgare dei libri liturgici e all’uso del latino, sino alla formazione liturgica nei Sacramenti. Proprio per questo ha promosso la rinascita degli studi della lingua latina. Inoltre, liberalizzando il Messale di Pio V, Benedetto non solo ha voluto venire incontro alle istanze dei “nostalgici” per favorire il rientro della Fraternità San Pio X nella Chiesa, ma anche dare a questa un esempio di liturgia armonica e foriera di coinvolgimento interiore. Il Papa ha voluto combattere gli abusi liturgici e stigmatizzare frammentazione e riduzionismo in tale campo. Ma non è stato insensibile al richiamo della novità, purchè sgorgante da una istanza precisa, collegata ad una spiritualità. Per questo ha approvato e incoraggiato la liturgia dei Neocatecumenali. In ordine poi alle canonizzazioni e alle beatificazioni, Ratzinger ha enunciato il criterio della necessità di privilegiare quelle di uomini di Dio che parlano a tutta la Chiesa. Il Papa ha in effetti molto chiaro che i Santi sono gli amici dei fedeli e il loro ruolo è insostituibile nella vita spirituale.

In relazione alla vita religiosa, il Papa ha sostenuto gli Istituti tradizionali di vita consacrata ma anche i nuovi Movimenti ecclesiali e ha aiutato i Legionari di Cristo, che hanno attraversato gravi momenti.

A tale proposito, non si può passare sotto silenzio lo zelo enorme, coraggioso ed encomiabile dispiegato da Ratzinger nella moralizzazione del clero, condizione fondamentale perché la Chiesa sia gradita a Dio e svolga bene la sua missione. Egli ha provveduto alla secolarizzazione di quattrocento sacerdoti, alla rimozione di settantasette vescovi e all’emanazione di diverse altre centinaia di sanzioni minori per chierici colpevoli di svariati crimini. Grazie al Papa, la maggior parte delle Chiese del mondo si è data una normativa atta a combattere gli abusi del clero. Ovviamente questo gli ha procurato tantissimi nemici. Lo scopo del Papa non era solo che la Chiesa rispettasse le leggi dell’uomo, ma che seguisse quelle di Dio, ossia che i sacerdoti fossero casti, e non solo immuni dal vizio della violenza sessuale, come Egli comanda.

Papa missionario che ha ribadito la necessità dell’evangelizzazione, perché solo la Chiesa salva e la conversione, nonostante la libertà di coscienza, è necessaria, Ratzinger è stato anche uomo dell’ecumenismo. Ha cercato di ricondurre alla Chiesa i tradizionalisti, ne ha aperto le porte anche a singoli gruppi che, dall’Anglicanesimo e da altre comunità protestanti, volessero tornare in comunione con Roma e ha ripreso i contatti con la Chiesa Ortodossa nella Commissione mista, che aveva interrotto i lavori nel 2000 per le questioni relative alle Chiese unite a Roma ma di rito greco. Benedetto ha chiaramente insegnato che l’ecumenismo deve concretizzarsi e non rimanere nell’ambito delle dichiarazioni o dei gesti simbolici.

Per quanto concerne il dialogo con la cultura del mondo contemporaneo, Ratzinger ha sentito la necessità di mettere in evidenza che la Chiesa ha qualcosa di determinante da dire sulla questione antropologica. Si tratta di cose relative ai diritti dell’uomo, alla bioetica, alla libertà religiosa, alla promozione della pace tra i popoli e al dialogo interreligioso. Perché la Chiesa possa dire questa parola, è necessario il superamento di quella dittatura del relativismo che impedisce la piena espressione del messaggio cristiano. La laicità sana non è quella che secolarizza la società ma è quella in cui la religione può avere il suo posto e dove i valori rettamente intesi sono desunti dalla mediazione della Chiesa, che si fa così garante della presenza di Dio nella convivenza umana, la quale, privata della sua presenza, sarebbe desolata e senza speranza. Ovviamente, i principi etici non si mettono ai voti e la matrice culturale dominante, quella illuminista estrema, è da combattere sul suo stesso terreno raziocinante. Ma sarebbe anche sbagliato affermare che la Chiesa e la modernità non abbiano nulla da dirsi, perché vi sono diversi modelli di quest’ultima, con cui la religione si è relazionata positivamente. In ogni caso, i diritti dell’uomo si fondano sulla dignità metafisica della persona umana, la quale a sua volta riceve quel che ha da Dio. La Chiesa è dunque, come dicevamo, la vera determinatrice dei diritti dell’uomo. Laddove i veri diritti siano conculcati da false leggi che ne mistifichino alcuni, è doverosa l’obiezione di coscienza.

In questo perimetro, il dialogo interreligioso, concepito come confronto culturale e non soteriologico, costituisce la premessa di una pacifica convivenza. Se la consapevolezza delle radici giudaico-cristiane dell’Europa è la base dell’identità del continente e delle relazioni tra Chiesa e Sinagoga, il dialogo con l’Islam è l’antidoto al fondamentalismo. In tale maniera la consapevolezza della propria natura che la Chiesa e l’Occidente devono avere non costituisce una preclusione ma una apertura alle alterità nel quadro di valori condivisi dall’uso di ragione.

Alla luce di ciò si comprendono anche gli interventi di Benedetto XVI sulla Curia Romana, alla quale non ha imposto una riforma complessiva, ritenendola non necessaria. Il Papa, oltre a trasferire competenze da un dicastero all’altro, ha fondato il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ha costituito una Commissione Cardinalizia di inchiesta sullo Scandalo del Vatileaks, ha intrapreso una serie di iniziative per garantire la trasparenza finanziaria dell’Istituto Opere di Religione, assoggettandolo tra le altre cose all’Autorità di Informazione Finanziaria e facendogli guadagnare posizioni nella White List degli Stati stilata da Moneyval. Questo percorso riformatore interno alla Curia, come quello interno alla Chiesa, è stato indegnamente ostacolato dentro e fuori di essa, ma non perde ad oggi la sua forte valenza etica né le buone conseguenze che ha generato.

IL MAGISTERO PAPALE: FRANCESCO

Come abbiamo detto, Jorge Mario Bergoglio è nato nel 1936 a Buenos Aires. Si diplomò tecnico chimico e scelse di diventare sacerdote. Nel 1958 diventa novizio della Compagnia di Gesù. Studiò in Cile e in Argentina, così da laurearsi in Filosofia al Collegio San Giuseppe a San Miguel nel 1963. Insegnò al Collegio dell’Immacolata di Santa Fè Letteratura e Psicologia tra il 1964 e il 1965, e poi al Collegio del Salvatore a Buenos Aires nel 1966. Nel 1970 si laureò in Teologia al Collegio San Giuseppe. Nel 1969 divenne prete. Studiò ancora in Ispagna tra il 1970 e il 1971. Nel 1973 fece la professione perpetua tra i Gesuiti. In Argentina fu poi maestro dei novizi a Villa Barilari a San Miguel, professore presso la Facoltà di teologia, consultore della Provincia della Compagnia di Gesù e rettore del Collegio. Nel 1973 fu eletto Provinciale. Nel 1979 riprese il lavoro nel campo universitario e, tra il 1980 e il 1986, fu di nuovo rettore del collegio di San Giuseppe, oltre che parroco a San Miguel. Nel marzo 1986 si recò in Germania per ultimare la tesi dottorale, che però non discusse mai; quindi fu direttore spirituale e confessore nel Collegio del Salvatore a Buenos Aires e poi nella chiesa gesuita di Cordoba. Negli anni della dittatura militare Bergoglio fu coraggiosamente attivo nella difesa silenziosa della sua gente e, per tutta la sua vita, nella promozione sociale del popolo argentino. Nel 1992 Giovanni Paolo II lo nominò vescovo titolare di Auca e ausiliare di Buenos Aires. Nello stesso anno viene nominato Vicario episcopale della zona di Flores e nel 1993 diviene Vicario Generale. Nel 1997 diviene Coadiutore con diritto di successione. Nel 1998 divenne Arcivescovo di Buenos Aires, Primate di Argentina, Ordinario per i fedeli di rito orientale residenti nel Paese e Gran Cancelliere dell’Università Cattolica.

Scrisse nella sua vita diversi libri, i cui titoli si intendono bene anche in italiano: Meditaciones para religiosos, Reflexiones sobre la vida apostólica, Reflexiones en esperanza, Diálogos entre Juan Pablo II y Fidel Castro, Hambre y sed de justicia. Desafíos del Evangelio para nuestra patria, Educar exigencia y pasión. Desafíos para educadores cristianos, Ponerse la patria al hombro, Corrupción y pecado. Algunas reflexiones en torno al tema de la corrupción, La nación por construir. Utopía, pensamiento y compromiso, Sobre la acusación de sí mismo, El verdadero poder es el servicio, Las deudas sociales de nuestro tiempo, Educar, elegir la vida. Propuestas para tiempos difíciles, Reflexiones sobre solidaridad y desarrollo, Sobre el cielo y la tierra (con il rabbino Abraham Skorka [1950-]), Mente abierta. corazón creyente, Rehabilitación de la política y compromiso cristiano. In essi si distinse per la fedeltà al magistero ecclesiastico e un moderato spirito riformatore in campo disciplinare, oltre che per la vicinanza alla menzionata Teologia del Popolo.

Nel 2013 venne eletto Papa. Il suo pontificato, obiettivamente, si svolge in circostanze molto difficili.

Il magistero di Francesco conta due encicliche, la Lumen Fidei (2013) e la Laudato si’ (2014). La prima verte sulla virtù teologale ed è la parte finale del progettato trittico teologale di Ratzinger, abbellita ed adattata da Francesco. La seconda è la prima enciclica dedicata da un Papa alle tematiche ambientali.

Ricordiamo anche le esortazioni apostoliche. La Evangelii Gaudium è sull’evangelizzazione nel mondo attuale ed è del 2014. Quella postsinodale Amoris Laetitia è del 2016; in essa il Papa traccia un quadro pastoralista delle problematiche connesse alla famiglia nel mondo contemporaneo, comprese quelle forme di convivenza umana che non corrispondono alla legge di Dio ma nelle quali il Pontefice cerca di individuare elementi positivi da incoraggiare onde migliorare la condizione morale e spirituale di chi le vive. Particolarmente controverso il passaggio del testo che tratta della possibilità di accordare i Sacramenti ai divorziati risposati, purchè la loro condizione sia il risultato di scelte non soggettivamente imputabili come colpa. Il brano, concepito in termini pastoralisti, essendo volto a fare sintesi delle prassi esistenti in tutto il mondo, rispecchia inevitabilmente una Chiesa molto divisa in tal senso e si presta a diverse letture, non tutte ortodosse, ma non contiene nulla che legittimi l’eresia in quanto tale. Inoltre pone un problema senz’altro reale, legato alla grande quantità di matrimoni naufragati perché, sebbene celebrati canonicamente, non erano sufficientemente preparati religiosamente. La terza esortazione apostolica è la Gaudete et Exultate, del 2018, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo.

Menzioniamo poi la Bolla Misericordiae Vultus, per l’indizione del Giubileo Straordinario del 2015, dedicato alla Divina Misericordia e strutturato come un Anno Santo.

Tra le Lettere Apostoliche menzioniamo la Misericordia et Misera, a conclusione dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia, nel 2016. Tra le Costituzioni Apostoliche, la Veritatis Gaudium, sulle Università e le Facoltà ecclesiastiche, del 2017, e la Episcopalis Communio, sul Sinodo dei Vescovi, del 2018.

Ricordiamo tra i numerosi Motu Propri alcuni sotto forma di Lettera Apostolica: Ai nostri tempi, sulla giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano in materia penale, del 2013; Mitis Iudex Dominus Jesus e Mitis et Misericors Jesus, sulla riforma del processo canonico per la nullità matrimoniale rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni della Chiesa Orientale, del 2015; Come una madre amorevole, sulla negligenza dei vescovi nel trattamento dei casi di abusi sessuali, del 2016; Maiorem hac dilectionem, per l’approvazione della fattispecie dell’offerta della vita per avviare i processi di beatificazione, del 2017; Magnum Principium, per la competenza dell’approvazione delle modifiche alle traduzioni dei libri liturgici, ancora del 2017; Imparare a congedarsi, sull’età per la rinuncia agli uffici curiali, del 2018.

Vanno considerati poi i numerosi Messaggi del Papa, tra i quali sono rilevanti quelli per le Giornate Mondiali per l’Alimentazione, per le Comunicazioni Sociali, della Gioventù, del Malato, delle Migrazioni, Missionaria Mondiale, della Pace, della Vita Consacrata, della Preghiera per le Vocazioni, oltre a quelli Urbi et Orbi e quelli quaresimali. Papa Francesco ha poi istituito la Giornata Mondiale dei Poveri, e per essa ha già inviato due Messaggi: Non amiamo a parole ma coi fatti, del 2016, e Questo povero grida e il Signore lo invoca, del 2017.

Bisogna poi considerare i numerosi Discorsi del Papa, le sue Allocuzioni, le sue Omelie e le circostanze in cui sono stati pronunziati. Fino ad oggi il Papa ha compiuto pellegrinaggi apostolici in Brasile, Giordania Palestina Israele, Corea del Sud, Albania, Turchia, Sri Lanka Filippine, Bosnia Erzegovina, Ecuador Bolivia Paraguay, Cuba USA, Kenya Uganda Repubblica Centrafricana, Messico, Grecia, Armenia, Polonia, Georgia Azerbaijan, Svezia, Egitto, Portogallo, Colombia, Birmania Bangladesh, Cile Perù, Svizzera, Irlanda, Estonia Lettonia Lituania. Ha visitato le seguenti Organizzazioni internazionali: due volte la FAO a Roma, il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa, l’ONU, l’UNON e il WPF. Il Papa ha visitato poi in Italia le seguenti località: Lampedusa e Linosa, Cagliari, Assisi (tre volte), Cassano allo Ionio, il Molise, Caserta, Redipuglia, Napoli, Torino, Prato e Firenze, Amatrice Accumoli Arquata del Tronto e Norcia, Milano e Monza, Carpi e Mirandola, Genova, Bozzolo e Barbiana, Cesena e Bologna, Nettuno, Pietrelcina e San Giovanni Rotondo, Alessano e Molfetta, Nomadelfia e Loppiano, Bari, Piazza Armerina e Palermo. Il Pontefice ha compiuto poi sessantatrè visite pastorali in Roma. Consideriamo poi le trasferte papali per le Giornate mondiali della Gioventù a Buenos Aires e a Cracovia e per gli Incontri Mondiali delle Famiglie a Philadelphia e a Dublino. Il Pontefice ha tenuto cinque Concistori Ordinari e ha creato settantacinque Cardinali. Il Santo Padre ha inoltre celebrato tredici Canonizzazioni per ottocentonovantadue Santi e ha autorizzato novantaquattro Beatificazioni per ottocentottantasette Beati. Una menzione particolare meritano infine le Meditazioni del Papa, quotidianamente tenute durante le Sante Messe celebrate nella Cappella della Casa Santa Marta dove risiede. In esse il Papa mette in luce le sue doti di pastore di anime.

Il magistero di Francesco, tendente a trattare con pronunciamenti di minor rilevanza magisteriale i temi già abbondantemente sottolineati dai tre predecessori – come quelli della bioetica – e a rimarcare quelli più avvertiti a livello di opinione pubblica globale con un apparente maggiore condivisione di vedute – come le tematiche ambientali, l’integrazione mondiale, la convivenza interculturale, l’accoglienza dei migranti – si può intendere solo alla luce dei quattro elementi che formano il background culturale del Pontefice e che sono, in ordine decrescente, la già menzionata Teologia del Popolo – che gli fornisce l’euristica – il pensiero di Guardini – la cui opposizione polare gli fornisce il metodo – l’esperienza della Compagnia di Gesù negli anni settanta e nei primi anni ottanta e la teologia dell’Europa centrale – che gli dettano rispettivamente sociale e pastorale. Un altro aspetto determinante del magistero francescano sono le circostanze politiche in cui viene esercitato. Essendo egli stato eletto in un momento di fortissima pressione politica, mediatica ed economica sul Papato da parte di nemici interni ed esterni, legati da forti vincoli tra loro, Francesco ha cercato di trattare le istanze violentemente poste da costoro prima ancora come fatti politici che come questioni di principio, così da perseguire punti di equilibrio. Vi sono degli obiettivi limiti in questo magistero, ma le tematiche trattate non possono essere passate sotto silenzio e in questo sta la sua influenza. Peraltro i suoi molti detrattori, accanto a rilievi oggettivamente validi, ne formulano di altri strumentali, mistificatori e addirittura infondati, contribuendo a creare uno iato tra il Pontefice ed una parte di quel popolo fedele, la più sana, che egli pure ha a cuore di voler sempre difendere e seguire.

E’ degno di nota che nel magistero francescano sono presenti inviti alla devozione classica: verso la Beata Vergine Maria, verso San Giuseppe, verso San Michele, verso gli Angeli Custodi.

Il Pontefice ha avuto forti interessi riformatori, come attestano gli interventi fino ad ora realizzati: l’istituzione della Pontificia Commissione Referente sull’Istituto Opere di Religione, quella della Pontificia Commissione Referente di studio e indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa, quella del Comitato di Sicurezza Finanziaria della Santa Sede, quella della Segreteria dell’Economia, quella del Consiglio dell’Economia, quella della Pontificia Commissione per la tutela dei Minori, quella della Segreteria e poi Dicastero per la Comunicazione, quella del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, quella del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, quella del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, quella della Terza Sezione della Segreteria di Stato, quella dell’Ufficio del Revisore dei Conti. Non tutte queste riforme sono state azzeccate, tanto che lo stesso Pontefice è tornato a volte sui suoi passi, ma in ogni caso si tratta di un notevole sforzo di governo che non si vedeva da molto tempo.

Come i suoi due predecessori, Francesco ha continuato a scrivere come persona privata anche da Papa. Ricordiamo tra gli altri Ave Maria, Dio è giovane, Quando pregate dite Padre Nostro, La felicità in questa vita, Il nome di Dio è Misericordia, Il Papa si racconta, Umiltà. La strada verso Dio, Aprite la mente al vostro cuore.


Theorèin - Dicembre 2018