Recensioni

A cura di: Eugenia Toni

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Titolo: La mia Istanbul.
Viaggio di una donna occidentale attraverso la porta d'oriente
Autore: Francesca Pacini
Ed. Ponte Sisto

Un libro, tanti libri. Una città, tante città, un libro tanti libri. “La mia Istanbul” è un viaggio, un’analisi lucida quando realmente sperimentata dell’essenza contraddittoria e multistrato quale può essere oggi “La Città delle Città”. Anche l’osservatore occidentale più attento spesso commette l’errore di immergersi nella realtà che descrive senza spogliarsi degli istinti pregiudiziali. Il fuori o l’altro da sé rischiano così di rimanere entità a se stanti, fredde, mute. E’ un libro di un viaggio, questo. Francesca Pacini fa un viaggio, il suo, non solo di testa o di penna, ma con le gambe e con l’intuizione, non rimane sulla soglia, ma attraversa la Porta d’Oriente con la semplicità colta e risolta dell’abbandono. Istanbul, un tempo Costantinopoli, non può essere capita, ma percepita, e solo così, con un resa catartica alle sue energie contrastate. Come non potrebbe essere altrimenti, Bisanzio è creatura nata dalla costola di Roma, parlante una lingua greca infarcita semanticamente di cultura cristiana, a contatto pericoloso e attrattivo con il vicino Islam. Di fronte a tanto, troppo, si deve viaggiare in totale stato di abbandono, disgregando la propria inutile pretesa di unità, liberando i contrasti, aprendo il cerchio, snudando gli angoli. Istanbul è la città dove la propria storia personale si libera e abbraccia la Storia di una città maestra che insegna a rispettare il nostro essere strati e contrasto. “La mia Istanbul” come libro di storia e di storie, quindi. Costantinopoli è l’Eva ribelle che tradisce scalpitando senza mai disconoscere la paternità romana per perseguire la singolarità della sua Storia, mordendo e scalciando tra controversie cristologiche, matrimoni commerciali con Genova e Venezia, e cedendo infine sedotta alla conquista ottomana. Era il suo destino, insomma, se l’Occidente voleva una prostituta, l’Oriente invece ne ha fatto una sposa ricca, libera e sessualmente soddisfatta. Non me ne vogliano i colleghi bizantinisti, ma non c’era forse altro modo affinchè La Città continuasse a vivere e perpetrarsi. Lo descrive bene Francesca Pacini, Istanbul non è donna da prostituirsi all’Occidente, ma rivendica il suo sviluppo straordinario e alla mitra dei latini preferisce, quando lo sceglie, il hijab. Il suo è un libro psicoanalitico, ci si perde e si cede tra le strade di Istanbul come si cede alle nostre debolezze, ai nostri percorsi, al senso più profondo di ciò che significa davvero libertà. E’ questa la domanda che serpeggia ed esclama forte tra le 221 pagine: che significa davvero, libertà? Men che mai esplicito è il legame con le recenti manifestazioni a Gezi Park. Un libro sociale, politico, civile, un libro che si legge tutto d’un fiato e con pause, volendo, tante. Un libro che si prende e si riprende, che si lascia ma che non lascia più finchè non si è arrivati al punto. E la storia continua. Un ponte c’è, tra le sponde d’Europa e Asia, un ponte che lega e non confonde, che non ha la pretesa di unire ma semplicemente di facilitare un passaggio, senza bipolarismi concettosi di sorta ma con la semplice, pura e consapevole accettazione degli opposti. Anche i nostri opposti possono convivere senza forzature intellettuali di fusione coatta. Ma c’è un ponte anche con il nostro Sud, con una Napoli o Palermo, con gli eccesso caotici e luminosi, goliardici e confusi della vita del nostro Meridione. Con una differenza, però, non esplicitata nel libro ma soffusa. La pretesa tutta nostra di una soluzione tra gli opposti, che non c’è, non è detto che ci sia, una pretesa che esplode nello squilibrio. Istanbul non pretende, a Istanbul le contraddizioni si smorzano nel silenzio mistico. Una mistica iconoclasta quanto sensuale. Per questo “La mia Istanbul” è anche un libro erotico, quello che delinea il volto e il corpo sensuale, terrigno, ancestrale, magistico, di una Istanbul che si spoglia velandosi, dove la femminilità, pur nella sua ritrosia e timidezza esplode in una sensualità immediata, diretta, senza filtri. Un libro che è una guida, volendo, tra luoghi, scorci, sapori, persone, senza forzature di sorta. L’Istanbul di Francesca Pacini è un libro di cucina, che si gusta, di sapori forti e alchemici, non casuali ma coordinati con la riscoperta psicologica del gusto e del proprio sapore personali. Infine, un libro di un amore, in fondo, che nasce con l’innamoramento di ciò che non si conosce, e si trasforma poi in amore di ciò che impariamo a conoscere, e più conosciamo e ci conosciamo più amiamo. “Chi viene a Istanbul la prima volta deve prepararsi all’inevitabile: perdere la coscienza di sé e ritrovarla alla fine del viaggio, trasformata per sempre”. E ad attuare questa “metamorphein”, questa trasformazione sono l’amore e la conoscenza che accomunano senza dubbio sufismo e mistica cristiana, Oriente e Occidente, l’amore è conoscenza e la conoscenza è amore. “L’epica del mistero preferisce gli spazi bianchi fra le parole”. In conclusione, come già detto, Istanbul, la popolosa, contraddittoria, caotica città è silenzio, il silenzio di una femminilità non urlata nè eccessivamente esposta, il silenzio iconografico delle moschee e quello apofatico del misticismo bizantino.

Eugenia Toni


Theorèin - Luglio 2013