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Antonello Persico |
"Ospitiamo un altro amico che ama aprire gli occhi sul mistero della realtà (theoria-theorein).
Fra le mura multicolor del reparto di chirurgia pediatrica dell’ospedale civile di Pescara spunta ogni mattina come Patch Adams,un medico
dai baffi biondi e allegri dall’aria poetica: Antonello Persico".
Storia di un medico fatto per passione. Intervista: D. Chirurgo pediatra e chanteur nostalgique due passioni che si incontrano per condurci dove? R. Le hai definite bene: due passioni
che partono da molto lontano, da quando nel mio paese Bolognano, in provincia di Pescara,
giocavo con tanti miei coetanei
alcuni dei quali malati, e quando entrava il dottore nelle loro case pensavo:”ecco un giorno li curerò io!”. Il sogno si è realizzato e spesso “i ciliegi restano in fiore”.
La parola “nostalgico”non mi piace mi sa di “vecchio” ed invece cantando le canzoni di Fabrizio, oggi, mi sembrano tutte attuali e fresche, per i giovani.
D. Interpretando De Andrè cosa pensi di comunicare al pubblico?
R. La mia vita, il mio punto di vista, che per molti aspetti si avvicina al suo, a quella anarchia speciale, che lo ha fatto diventare il mio punto di riferimento musicale e culturale da quando ero adolescente.
D. Descrivimi il messaggio più profondo che hai letto negli occhi di un bimbo malato?
R. E’ molto difficile esprimere in poche righe quello che ti comunicano gli occhi dei bimbi malati. Terrore, serenità, fiducia; quello che ti fa più male è quando esprimono rassegnazione allora ti senti sconfitto perché sai che nessuna canzone o gioco di prestigio può aiutarli.
D. De Andrè nei suoi testi cantava spesso di morte e donne di strada con un rispetto quasi divino.Che idea ti sei fatto di entrambe?
R. Della morte preferirei non parlare. Esiste la morte fisica, le idee non muoiono. Le donne di strada sono purtroppo il risultato di una società abbrutita, maschilista, in cui potere riversare le proprie sconfitte.
D. Cosa ti emoziona?
R. Mi emoziona un campo di papaveri rossi.
D.So dei tuoi incontri con De Andrè,vuoi raccontarci qualcosa?
R.Ho parlato con Fabrizio tante volte anche se per poco tempo: ci siamo intesi subito. Gli ho raccontato delle mie registrazioni di sue canzoni con i miei nipoti, di mio fratello Mario che regalandomi una sua cassetta nel 1970, ”La buona novella”, me lo fece ascoltare per la prima volta.
D. L’entusiasmo di chi segue il tuo cammino solidal-musicale ha un sapore che aggrega gli uomini, cosa senti di dire ai tuoi afecionados?
R. Di non dimenticarsi di chi è stato più sfortunato. Di credere negli ideali di uguaglianza e di libertà per i quali hanno combattuto i nostri padri. L’egoismo porta tristezza e solitudine.
D. Una definizione del dolore?
R. E’ la privazione della libertà.
D. Una domanda facile facile, perché si canta?
R. Si canta per aggregarsi, per trovare una maniera di "vivere insieme”. Per essere liberi. A me piace farmi ascoltare e se riesco a comunicare quello che sento, allora ho raggiunto lo scopo.
D. Cos’è la notte?
R. E’ il dubbio.
D. Cos’è il mare?
R. E' libertà.
D. Progetti futuri?
R. Penso di fare:”Non al denaro non all'amore nè al cielo” in aprile o maggio.
Grazie Antonello!
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